8. Giovanni Oberti/Il grande dispositivo

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8. Giovanni Oberti The Big Device


[p. 2 modifica]IL GRANDE DISPOSITIVO


Settembre 2008, Dafne Boggeri crea un enorme soffitto ribassato in cartone: entrando nello spazio di Careof, attraverso un passaggio forzato1 che costringe a movimenti buffi e goffi, si ha la sensazione di essere in un luogo della fantasia, forse all’interno di un grande animale che lentamente sospira producendo micro movimenti silenziosi.
Settembre 2009, Mauro Vignando sospende a mezz’aria l’esatta riproduzione di una copertura a cassettoni, come se si trattasse di una stanza di cui non esistono pareti. La luce dei suoi sette lampadari trasforma lo spazio in una scatola magica.
Settembre 2010, lo spazio ancora protagonista della personale che Careof dedica ogni anno ad inizio stagione ad un giovane artista italiano. Giovanni Oberti crea un unico grande dispositivo composto di meccanismi primari che concorrono ad un fine comune: raccogliere particelle elementari disperse nello spazio, elaborare e restituirle in una forma diversa.


Al centro della galleria Oberti dispone la scultura Senza titolo (Piedistallo per polvere), un piedistallo irregolare alto circa 2 metri atto a raccogliere la polvere che per la durata della mostra si deposita sulla sua superficie superiore.
Un neon a forma di otto collocato molto in alto su una delle quattro grandi pareti satura lo spazio di una luce calda. Lo sfarfallio continuo appena percettibile sembra animare la forma sinuosa della piccola scultura. Come una clessidra o una Striscia di Mobius (o Lemniscata) rimanda al simbolo di eternità, di infinito, di passaggio costante di materia da uno stato all’altro, metafora di una memoria stratificata e dunque richiamo alla cronologia interna delle cose. Ma è anche un otto, è il numero dei pianeti nel sistema solare, della rosa dei venti, in chimica è il numero atomico dell’ossigeno, nella fisica nucleare è un numero magico, nella simbologia cristiana l’ottavo giorno rappresenta la trasfigurazione e il Nuovo Testamento.
Attraverso l’uso di più deumidificatori l’artista raccoglie poi l’umidità presente nello spazio espositivo, nel magazzino, nell’ufficio di Careof e la restituisce creando ogni giorno una grande pozzanghera d’acqua. Si genera così un ciclo perpetuo dove tutto si trasforma per tornare com’era: l’acqua rovesciata sul pavimento evapora, viene raccolta dai deumidificatori, viene nuovamente rovesciata, torna ad evaporare.
In questo suo affaticarsi, il grande dispositivo, ad ogni passaggio, in modo impercettibile, si appropria di quanto permane nell’ambiente, assorbe la luce del neon, raccoglie parte di quella stessa polvere che si deposita anche sulla grande scultura, assorbe tracce del passaggio dei visitatori, dell’architettura, delle pareti... Tutto entra in unico processo di vita e di morte che, come un grande palindromo, si presta ad essere letto e riletto iniziando da un capo o dall’altro. Al tempo stesso, giorno dopo giorno la grande macchina invisibile deposita tracce di calcare, mista a polvere e altri sedimenti che disegnano sul pavimento forme irregolari sovrapposte le une alle altre, quasi coste frastagliate erose dall’azione continua del mare. In quelle forme fragili appena accennate sul pavimento, Oberti sembra raccontare la relazione fra gli elementi che abitano lo spazio offrendo Una sua personale "traduzione", che non è solo "lettura" ma "comprensione" e "sintesi"2.


Nel progetto per Careof Giovanni Oberti condensa molte delle sue ricerche precedenti, dove attraverso l’uso della polvere, della grafite o di semplici dispositivi ha raccontato il tempo delle [p. 3 modifica]cose e il loro rapporto con lo spettatore, creando un cortocircuito fra presente, passato e memoria: in Senza titolo (Simultaneità dei luoghi, di tutti i paesi che sappiamo...) il lampadario trovato nella prima casa milanese abitata dall’artista, segnato dal lento stratificarsi della polvere, sembrava conservare memoria di tutte le case in cui è stato trasferito successivamente; in Senza titolo (forks, dust) (2006-2008) l’artista rimuoveva le stoviglie d’epoca dal tavolo riccamente apparecchiato nella sala da pranzo in stile barocco (Palazzo Tozzoni, Imola), creando un gioco di impronte che trasformavano l’assenza in presenza; in Senza Titolo (Oggetti dipinti)(2009) dava una seconda superficie ad un oggetto, un’arancia modellata dal tempo quasi protetta, adesso, da una patina di grafite simile a bronzo.


Se le sue opere hanno sempre aggiunto qualcosa alla realtà presistente, in questo ultimo progetto Oberti sembra diventare ancora più silenzioso, sembra fare un passo indietro, e limitarsi a predisporre una situazione con l’obiettivo di dare visibilità ad un meccanismo, svelare un dispositivo, sottolinearne la complessità e la bellezza, forse tenendo a mente le parole di Giuseppe Penone pubblicate nel noto Rovesciare gli occhi3. Penone riporta lì alcune immagini della sua mostra Indicazioni per uno spazio del 1969 e in nota aggiunge "Allestire una mostra presuppone: avvicinare le gente al soffitto, trasportare le finestre all’interno dello spazio e allontanare la superficie del muro" a sottolineare le potenzialità di una scultura capace di rivelare lo spazio e la realà in modo nuovo e diverso.

Chiara Agnello Milano, settembre 2010

Note

  1. [p. 3 modifica]Si passava attraverso 3 macchine utilitarie di colore nero, una Ka, una Twingo, una Panda, poste ognuna in corrispondenza di uno degli ingressi di Careof.
  2. [p. 3 modifica]Manara Valgimigli sottolinea che "Altro è interpretare, altro è tradurre: interpretare è analisi, tradurre è sintesi. Chi interpreta guarda al particolare in sè; chi traduce lo vede nei suoi rapporti con il rimanente [...]. Anche tradurre è, come far musica e poesia, come dipingere un quadro e scolpire una statua, sforzo e anelito di conquistare e di possedere la propria realtà.
  3. Giuseppe Penone, Rovesciare gli occhi, Einaudi, Torino,1977.