Adiecta (1905)/I/XXVI

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Ciarle

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CIARLE

I.


     Mi son lasciato dir: — «Ma non t’avvedi
che non ci garban più questi sonetti,
questi epigrammi a coppia, in cui ci metti
4quel sempiterno Monsignor tra i piedi?

     La storia è lunga ormai più che non credi,
le tue son rifritture e non concetti.
Altro vogliam da te, vecchio Stecchetti,
8e le fischiate avrai se non provvedi» —

     Via, non avete torto, anzi consento
che vi cominci, a diventar stantìo
11questo reverendissimo argomento;

     ma se del poco e vii denaro mio
Monsignor che lo palpa è pur contento,
14lasciate un po’ che me lo goda anch’io.




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II.


     Era un duello. Egli m’avea sfidato
prefiggendomi l’armi, il luogo e l’ora.
Io, povero babbeo, ci sono andato,
4ma il prode sfidator non venne fuora.

     Vidi un procurator, qualche avvocato
e i Giudici del campo in mia malora.
Han discusso, han dormito, hanno sudato,
8ma il prode sfidator l’aspetto ancora.

     Solo i padrini suoi disser: — «Sentite:
il condottier che le Romagne ha dome,
11oggi non può venir. Soffre d’otite». —

     Otite? Io le darei tutt’altro nome
e se siamo d’accordo, acconsentite
14ch’io mi diverta col malato.... e come!