Alcippo (1615)/Atto primo

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Atto primo

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Persone della favola Atto secondo
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ATTO PRIMO.

SCENA PRIMA.


Clori, e Megilla.


Clo.
Q
Uesto sì forte, e così ben guernito

Arco, di che ti parlo,
Cara Megilla, intra le nostre selve
Oggi provar m’è tolto;
E con quanto dolor non saprei dirti;
Sono costretta da costume usato
A ritrovar Licasta;
L’undicesimo giorno
Oggi rivolge a punto,
Che fatta madre d’un gentil fanciullo
Giacesi in letto, afflitta
Da non picciola febbre;
Oh quante volte io le diceva in caccia
Per le foreste alpine;
Licasta, a questi studi,
A questi incomparabili diletti
Non voler metter fine;
Lascia, ch’altri sopponga

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Il collo a gioghi maritali, e prenda
Legge da cenni del consorte; indarno
Furo uditi i consigli,
Ella divenne sposa,
Hora è venuta madre e si tormenta
Da fiera febbre, e tardi.
Credo, ch’ella si penta.
Meg.Clori, se tuoi consigli
Prendessero le Ninfe,
Ben picciol tempo andrebbe,
Che queste nostre selve
Non havrebbono Ninfe;
Mira, ch’errar per monti,
E dar morte a le fere
Forse ci mette in petto
Assai men di diletto,
Che rimirarci intorno fanciulletti,
I quai siano sostegno
A la nostra infermissima vecchiezza,
E siano poscia heredi
Di nostri cari armenti
All hor che sarem spenti.
Clo.Metti pur cura a raunare armenti,
Non verran meno heredi;
Quanto al sostegno de l’etade inferma,
Che risponder posso io?
Salvo, che bene spesso odo tra vecchi
Non legiere querele
Sovra il costume de figliuoli; e spesso
Chiamarli non conforto,
Ma lor pena, e tormento,
E non sanno trovar chi gli consoli.

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Meg.Ciò non avvien sovente,
Anzi di rado avviene;
Ma pure è tenerezza oltra misura
Mirare i semplici atti, et ascoltare
Il rotto favellar, che balbettando
Ti fanno intorno i figli
Scherzando e vezzeggiando.
Clo.Che non dici più tosto
Udire il lungo suono
De vagiti notturni?
E ben dolce ad udir sù verdi rami
Il vago Rosignolo,
Che se risplende il sole,
O se la notte adombra
I gran campi de l’aria,
Non mai si stanca d’iterar le note
O gioconde, o dogliose
A sentir dilettose;
Dolce ad udire il mormorar de rivi
Il susurrar de l’aura in fra le fronde,
Ma non è dolce il pianto
De tuoi bambini in fascie;
Pensa à l’orror de i monti;
Al fresco delle Valli:
Torniti a mente un praticel fiorito,
E trà le selve il corso
De lo scoperto Lupo,
O del Cinghial ferito:
Il trasvolar de cervi
O sul giogo de monti, o lungo il fiume
E dietro il can, che palpitando anch’egli
Per l’orme a pena impresse

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Par che metta le piume;
Questi sono piacer, sono diletti,
Questa è vita tranquilla,
Così si gode, o cara,
E diletta Megilla.
Meg.Oh la vista de prati,
De monti, e de le valli,
De le fresche riviere
Non si concede al guardo de le Spose?
Non ponno saettar? non tendere archi?
Non dar morte a le fere?
Clo.Come errar per le selve
Donna po, ch’abbandona a le capanne
E fanciulli, e fanciulle?
Non po tergere i dardi,
Ne fornir le faretre,
Et haver per la mente, e fascie, e culle;
Non è cosa gioconda
Senza la libertate;
Così credo io; tu spendi questo giorno
Giocosamente su per gli alti gioghi,
E disiami teco,
Che teco io veramente
Verrò per le foreste,
E sarò con Licasta
Col corpo solamente.

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SCENA SECONDA.


Megilla.


L
Asso me; d’hora in hora

Veggio più chiaramente, i miei pensieri
Uscir fallaci, e farmi
Più tristo, e più dolente;
Io credei con questi habiti mentiti,
E farmi intra le Ninfe
Compagna a Clori, procacciar conforto,
Et aprirmi la strada
A le nozze bramate,
E trovar refrigerio a’ gravi ardori;
Lasciai d’Elide i campi,
Ove soavemente era cresciuto,
Venni a monti d’Arcadia,
E qui non conosciuto
A mia voglia dimoro
Sempre con esso lei,
Che sola al mondo honoro;
Ma fuor di quelle labbra uscir le voci
Ver l’amorosa fiamma
Io non sento giamai se non feroci;
In quel nobile core
Solamente è desio d’archi, e faretre;
Ama predar le selve,
Ne d’altro sente amore;
Dunque gioiosamente
I fortunati amanti
Menino l’hore appresso

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Le lor dilette Ninfe;
Mirino mansueti i lor sembianti,
Ascoltino parole, osservino atti,
Che mantengano viva,
E faccino fiorir la lor speranza;
A me tristo, infelice
Altro homai non avanza,
Salvo che vagheggiar quella bellezza,
La qual s’udrà giamai
Esser da me con ogni fede amata
Si colmerà d’asprezza;
Di tutto quel, ch’Amore
A servi suoi comparte,
È rinchiusa la strada al mio desire,
Solamente col guardo
Io posso procacciarmi alcuna aita,
E per sì fatto modo
O vivere, o morire;
Belle selve d’Arcadia
Da voi darassi essempio
A la futura etate,
Sì come alta beltate
Fosse altamente amata; e come insieme
Durasse un cor fedele
Sotto fiero tormento,
E senza ombra di speme.