Alcippo (1615)/Atto quinto

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Atto quinto

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Atto quarto
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ATTO QUINTO.

SCENA PRIMA.


Tirsi, e Montano.


Tir.
L’
Avvenimento inteso

Montano, hà dimostrato, i tuoi consigli,
Sì come più pietosi
Esser miglior de miei;
Però come più saggio
Volgi la mente a trarmi
Di questi casi rei;
Io già condotto a l’ultima vecchiezza
Con fama d’homo giusto
Apparirò diverso a me medesmo
Per propria tenerezza?
Romperò quella legge,
Ch’io dicea per altrui rompersi a torto,
Per proprio mio conforto?
Materia d’altrui detti
Farò mostrarmi a dito
Qui, dove da ciascuno
Stato son reverito?
Lasso me, cui non lice
Uscir da le miserie
Senza essere infelice.
Mon.Ne i propi nostri affari
Tirsi, le passioni
Ci turbano soverchio il cor nel seno;
E di quì spesso nasce, che ’l più saggio
Mostra di sapere meno; et al presente

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Per sì fatta ragione
Teco non tacerò, nessuna via
Parmi più corta per uscir di questi
Noiosi pensamenti,
Che ripregar ben Clori,
A ciò voglia sposarsi
Col ritrovato Alcippo.
Sposa che sia di lui farà suoi preghi
Appresso l’altre Ninfe,
A ciò per lor pietate al suo consorte
Salute non si neghi; in cotal modo
Di lei favellerassi,
Che sforzasse la legge,
E di te tacerassi.
Et eccola apparir con Aritea,
Fa tue preghiere, et io
Non sarò teco indarno,
Quanto fia il poter mio.
     

SCENA SECONDA.


Aritea, Clori, Tirsi, Montano.


Arit.
S
Econdo il tuo volere

Tirsi trovai le Ninfe,
E lor feci palese ogni ventura,
Ch’oggi ti venne incontra;
Hanno di te pietade;
E se Clori perdona, elle son pronte
A conceder perdono al tuo figliolo;
Ho brevemente espresso,
Quanto per me si dee,
E da lor fù commesso.

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Tir.Clori, quel vero amore,
Che tra me durò sempre, e tra Dameta
Tuo padre infin ch’ei visse,
Oggi sì come è degno,
Vaglia tanto con te, che tu m’ascolti
Senza disdegno; e certo
L’error di mio figliolo
Era contra la legge, et era colpa,
Se pure è colpa amare;
Contra tutte le Ninfe, e se le Ninfe
Per lor bontade, et anco per pietade
Di questi anni dolenti, han perdonato,
E tu dei perdonare;
Benche se si riguarda, il mio figliolo
Altro non hebbe in cor, salvo condurre
A fin un suo desire; ogni altra cura,
Che potesse turbar gli animi vostri,
Et non pensò, d’Amor la gran possanza
Suole accecarne; ei fortemente amava,
Però non avisò; ne devi ò Clori
Adirarti con lui, perch’ei t’amasse;
Amor non è dispregio: anzi ei ti pregia
Con tanta forza, ch’ostinatamente
Senza te fa rifiuto de la vita;
La paterna pietà non lo commove;
Disprezza i miei sospiri; et è fermato
Senza le grazie tue correre a morte,
Come a fin de martiri;
Onde io movo a pregarti; e le mie voci
Escono più dal cor, che da la bocca;
Clori, sposarti seco, ò sempre mai
A me cara, e diletta,
È guardata da me come figliola,

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Hor per padre m’accetta; in tua balìa
E, che sia fortunata, o sfortunata
Tutta la vita mia;
In questi monti, o Clori,
Esser posso beato,
Non voler, ch’io ci viva
Essempio di dolori;
Homai lascia piegarti;
A te le mani io tendo; ecco io ti prego;
Nè son solo a pregarti; te ne prega
Questa chioma canuta, e questo petto
Tribolato d’affanni, e questo pianto,
Che disgorga da gli occhi, e questa faccia
Già smorta divenuta, ah non guastare
La mia felicità, non far contrasto
A mie venture, e fa, ch’oggi ti provi
Sì come un chiaro sole
A mie giornate oscure.
Clo.O Tirsi qui venendo
Mi diceva Aritea,
Come tu poco dianzi
Contrastavi a Montano,
E che la sua clemenza
A te pareva rea, et io non veggio
Il fin de tuoi consigli,
Quando le leggi nostre
Debbano forza haver contra ciascuno,
Ma non contra tuoi figli;
Se col dolor paterno
Vuoi scusare le colpe, alcuno al mondo
Non fia mai condennato,
Perche ciascun vivente
Pur d’alcun padre è nato.

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Mon.Ciò, che disse Aritea, Clori, fu vero;
Tirsi guardando a vostri rischi, e solo
Pensando a divietare
L’altrui forte ardimento, e disiando
Farvi affatto secure, era rivolto
A tal rigor, che drittamente dirsi
Poteva crudeltà; la cui durezza
Come creder dobbiam, non approvata
La suso in Ciel, noi la veggiam punita
In lui con grave affanno, e con la forza
D’infinita tristezza, e certamente
Non pur per questo, ma per molti essempi,
De quali il mondo parla,
Scorgesi, la pietate esser diletta,
E molto cara a Dio; per conseguenza
Deon quà giuso gli uomini apprezzarla;
Però placati o Clori; il nostro Alcippo,
Se pure egli ha peccato,
Commise error, che sempre, e ’n ogni loco
Quasi a la gioventù fu perdonato,
E se la colpa suol per pentimento
Scusa impetrar, non la negare a lui,
Il quale oggi si pente, e così duolsi
Con angoscia infinita
D’haverti unqua spiaciuto, ch’egli aborre
La sua medesma vita;
E s’ostinata chiedi,
Ch’ei s’affoghi ne l’onde d’Erimanto
Ei non s’oppone a tuoi desiri; il padre
È che ti prega, e ti piagne a piedi;
Miralo o Clori; quei sembianti afflitti,
Quegli occhi lagrimosi, e quei singhiozzi
Non saran degni di trovar mercede

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A tanti suoi dolori?
Vorrai ch’un sol momento
Gli sia donato il figlio,
E sol per suo tormento?
A tanto di miseria
Alcippo fia venuto,
Che sol per darsi a morte
Sia da suoi conosciuto? harà provata
Ogni strana provincia a se pietosa,
E la patria spietata? se Dameta,
Che ti produsse al mondo, oggi vivesse
Per sua bontà da noi ben conosciuta
Non pure a perdonare,
Anzi ti stringerebbe
A volerti sposare;
Hora egli è morto, e quando
Ei si morì, commise a nostra fede
La tua persona, onde esser dei secura,
Che noi ti consigliam come duo padri:
E riguarda, ch’a noi tutte le Ninfe
Han creduto il governo di se stesse;
Non dei dunque tu sola haver temenza
D’incontrare alcun biasmo
Con la nostra sentenza.
Clo.Poi che ciascuno infra le nostre selve
Vi riverisce come padri, e lascia
Reggere al vostro senno i nostri affari,
Io non vuo contrapormi
A le vostre sentenze,
Onde questa provincia oggi si regge;
Salvisi Alcippo; e si riguardi a Tirsi
Più ch’a la legge, io non ne fo contrasto,
E vi voglio contenti;

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Ma non sia chi di lui mova parola,
Ne più me lo rammenti:
Tir.Ah Clori, ah cara Clori,
Deh non esser ritrosa;
Mira, che ’n verità mi togli a morte,
Ma non fai già, ch’io viva;
Apprendi intieramente esser pietosa;
Tu benigna Aritea
Non mi venire a men del tuo soccorso;
Darà forse a tuoi prieghi
Nostra felicità, che mai sventura
Vuol, ch’al mio pianto neghi,
Arit.Clori, come compagna
Favellerò con te con molta fede;
Pensa sul fior de gli anni,
E su la vaga tua bellezza, e pensa,
C’havendoti la morte dispogliata
E di padre, e di madre,
È mestieri appoggiar tua giovinezza,
E darle scorta, onde gioiosamente
Tu possa caminar per questa vita,
Ne men securamente;
E ciò per ogni parte
Altro non è, che divenire sposa,
E poscia madre; e se sposarsi è senno,
Come tutti siam certi,
Sposarti con Alcippo
Certo non dee spiacerti;
Primieramente tu guadagni un padre
Sì fatto, quale è Tirsi, e molta schiera
D’honorati parenti;
Ti verranno a le man tante ricchezze
E di gregge, e d’armenti, che maggiori

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Per questi monti alcun non le possiede;
Qual de le nostre Ninfe
Saprebbe disiare a se consorte
In queste nostre parti
Miglior d’Alcippo? & egli
Non fa per altra Ninfa
Vivere in questo mondo; e solamente
Viver vuol per amarti;
Clori non ti negare a la ventura,
Ch’oggi ti viene incontra;
Tu non odi parole di nemici;
Sei da costor sinceramente amata;
Io teco son cresciuta; ogni tuo male
Sarà mal di me stessa; e ti consiglio
Perche ti vuo beata.
Clo.Ah che tu mi fai forza; nel mio core
Sento un forte contrasto;
Non posso consentire;
E disdir non vorrei;
Io rimango confusa; e non sò dire
Gl’interni affetti miei.
Arit.Horsù dammi la man; non più pensare;
Entriamo dentro; e ritroviamo Alcippo,
Incomincia ad amare;
Mon.Sù Clori, omai disponti,
Rallegra i nostri monti; in queste selve
Non farà mai ritorno,
Che per te non si canti,
Un sì felice giorno.
Clo.Che più dirvi deggio io?
Sia nelle vostre mani,
E voi reggete il freno
Di ciascun mio desio.

IL FINE.