Andrea Doria/La Vita/10

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La Vita
Capitolo 10

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Gli accordi intervenuti a Nizza per la lotta contro gli infedeli, costrinsero però il Principe, appena tornato da Barcellona, a ripartire per riunirsi entro la fine d’agosto dello stesso 1538, a Corfù, alla flotta veneziana comandata da Vincenzo Cappello, e a quella pontificia del Patriarca d’Aquileia. Dopo varie vicende di poco rilievo, l’armata tutta, agli ordini del Doria, si trovò di fronte a quella del turco, e ne sarebbe certo uscito uno scontro terribile, se una serie di errori nella manovra delle navi cristiane, - dovuta a mancato accordo fra le tre flotte diverse -non avesse suscitato tale una confusione che né l’una né l’altra parte ritenne conveniente attaccare. Venuta poi la notte, persero il contatto, e si ritirarono ognuna alla propria base: a Corfù la cristiana, a Prevesa la turca.

Il Principe approfittò dell’occasione, e doppiando indisturbato la flotta nemica, andò a conquistare Casalinovo, dove lasciò un forte presidio spagnolo, che però fu presto schiacciato da un attacco turco, nonostante la strenua difesa: né poteva essere diversamente, dato l’isolamento nel quale si veniva a trovare.

Rientrato a Genova, il Principe affidò a Giannettino suo nipote la lotta contro un altro corsaro, il Dragut, che con dieci navi stava terrorizzando la Corsica. Giannettino sconfisse il corsaro e lo catturò, prendendo tutte le sue navi, e liberando i cristiani da lui fatti prigionieri.

Intanto importanti fatti accaduti nel Settentrione, e fra tutti preoccupante la ribellione di Gand, città natale dell’Imperatore, costrinsero questi a recarsi nei suoi dominii delle Fiandre, Benché ancora abbattuto per la morte dell’Imperatrice, avvenuta per parto il 1° maggio del 1539, egli si decise al viaggio, durante il quale attraversò tutta la Francia. Le accoglienze furono caldissime: i due Sovrani si può dire che fecero a gara per coprirsi reciprocamente di cortesie, e uguali cortesie furono usate all’ospite in ogni castello nel quale dovette sostare. Ma, nonostante le belle accoglienze, l’Imperatore rifiutò nuovamente la proposta di Francesco I di dare a uno dei suoi figli l’investitura del ducato di Milano. Giunto infatti nelle Fiandre, si affrettò a rispondere ai nuovi solleciti del Re, nominando duca di Milano il suo primogenito Filippo, di tredici anni. (11 ottobre 1540).

Riportò in breve la tranquillità a Gand, condannando alla decapitazione i capi della rivolta - che erano arrivati a offrire la sovranità della città e della zona al re francese il quale, lealmente, ne aveva subito informato l’Imperatore - sopprimendo i privilegi già alla città concessi, confiscando i beni municipali, e obbligando i minori responsabili a percorrere la città in camicia, a piedi scalzi, e con una corda al collo.

Le notizie provenienti da Vienna l’obbligarono a stringere i tempi e a correre a quella volta. Solimano, con un forte esercito, stava marciando su quella città, cui pose l’assedio. Carlo V, radunate le truppe di Germania ed Ungheria, marciò contro il turco che, fermato dalla resistenza della città, preso alle spalle da fanterie così valorose, fu costretto anche questa volta, ad abbandonare il campo, e a ritornare rapidamente sui suoi passi,

La vittoria di Tunisi aveva lasciato, come abbiamo detto, nel cuore dell’Imperatore il desiderio di completarla con la campagna contro Algeri, ch’era sempre la base e il punto di partenza di tutte le scorrerie corsare sulle coste: e a questa campagna poté finalmente dedicarsi al ritorno dall’Austria.

Il maggior avversario, quello col quale era sempre necessario fare i conti, era il Barbarossa, protettore dei suoi vecchi compagni di pirateria, e tanto più temibile ora per la forza turca che poteva gettare sulla bilancia. Se fosse stato possibile eliminarlo, la lotta contro i corsari ne avrebbe avuto grande vantaggio.

Ideate da Andrea Doria d’accordo col vicerè di Sicilia, don Ferrante Gonzaga, furono iniziate a Costantinopoli, segrete trattative col Barbarossa, per merito dei capitani Alonso de Alarcòn e Giovanni de Vergara, fin dalla fine del 1538. Si offriva all’ex-pirata di rimetterlo sul trono di Tunisi, a patto che non desse più alcun aiuto ai corsari, e si considerasse alleato dell’Imperatore, al quale avrebbe dovuto fornire, a richiesta, sessanta galee per il combattimento. L’idea di ritornare sul trono di Tunisi allettava il Barbarossa che, dopo lunghe discussioni ed incertezze, si decise all’accordo. Purtroppo un agente diplomatico francese, il capitano Antonio Rincon, venne a conoscenza di quanto si stava contrattando, e - nell’interesse del suo paese - rivelò tutto al Sultano, cosicché il Barbarossa, per quanto. avesse tutto negato e nessuna prova esistesse contro di lui, fu strettamente sorvegliato, impedendogli così dì affiancarsi, con le sue galee, all’armata imperiale.

Deciso a compiere la spedizione di Algeri, Carlo V mandò ordine al Principe di preparare ogni cosa, con quella competenza che ognuno gli riconosceva: e infatti, nel minor tempo possibile, tutto fu pronto. Ma l’Imperatore tardava a giungere, e questo preoccupava il Doria, sempre contrario per evidenti ragioni ad una campagna di guerra invernale.

Quando finalmente il sovrano, ch’era stato trattenuto nelle varie città attraversate, e specialmente a Lucca per l’incontro col Pontefice, giunse a Genova e volle rendersi conto dei preparativi, il Principe gli disse sinceramente che, per quanto tutto fosse pronto, egli lo sconsigliava ad attuare in quel momento il suo progetto che poteva, con sicuro vantaggio, essere rimandato alla prossima primavera. Anche il. marchese del Vasto, consentendo coi Principe, si dichiarò propenso al rinvio. Ma tutto fu inutile: l’Imperatore, reduce da una grande vittoria sui Turchi, era sicuro d’un’altra grande vittoria. Probabilmente egli aveva anche preso impegni precisi col Pontefice, e intendeva mantenere le sue promesse.

Perciò il 29 settembre 1541 l’armata salpò da Genova e, dopo aver costeggiato la Corsica e le Baleari, giunse davanti ad Algeri il 20 ottobre. Sbarcate subito le truppe e le artiglierie, nemmeno erano riuscite a sistemarsi, che le colse una pioggia furiosa, mentre un fortunale spaventoso si scatenava sulla flotta, sbattendo le navi come fossero fuscelli, e molte affondandone. In un momento di sosta della tempesta poterono essere imbarcate le truppe, ridotte in condizioni pietose dall’impossibilità di essere rifornite, e dalla pioggia continua. Non essendo più possibile, per i grandi danni avuti, tentare l’impresa, Carlo V vi rinunciò, e il 2 novembre le galee superstiti poterono riprendere la via del ritorno. Il Doria perdette undici delle sue galee: ma l’Imperatore, per rifonderlo di tale gravissima perdita, gli assegnò tremila ducati all’anno sugli introiti fiscali di Napoli, a titolo perenne per lui e per i suoi successori, e lo nominò protonotaro imperiale di quel Regno.