Annali d'Italia dal principio dell'era volgare sino all'anno 1750/194

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Anno 194

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Anno di Cristo CXCIV. Indizione II.
VITTORE papa 9.
SETTIMIO SEVERO imperad. 2.
Consoli

LUCIO SETTIMIO SEVERO AUGUSTO per la seconda volta, e DECIMO CLODIO SETTIMIO ALBINO CESARE per la seconda.

Si sa che Severo Augusto era stato ornato di un consolato straordinario, con avere avuto per suo collega Apulejo Rufino; ma non se ne sa l’anno. Molto meno ci è noto quando Albino fosse console la prima volta. Ci assicurano le medaglie1569 che anch’egli procedette in quest’anno console per la seconda volta. Severo, che con questi onori voleva addormentarlo, fece anche battere monete ad onor suo; sicchè ognun lo avrebbe creduto il Beniamino di Severo. Il nome di Settimio a lui dato nelle stesse medaglie ci fa intendere che Severo lo avea adottato per figliuolo; se con retto cuore poi, non istaremo molto ad avvedercene. In una iscrizione riferita dal Cupero e dal Relando1570, Albino console è chiamato Lucio Postumiano. Ma venendo quel marmo dal magazzino fallace del Gudio, non se ne può far capitale; quando pur non volessimo che ad Albino Cesare, appellato nelle medaglie Decimo Clodio, fosse sostituito un altro Albino: il che non è credibile. Venga ora meco il lettore a conoscere chi fosse Lucio Settimio Severo nuovo Augusto1571. Era egli per nascita Africano, perchè venuto alla luce in Leptis, città della provincia Tripolitana, nell’anno 146 della nostra Era, a dì undici d’aprile. Senatoria fu la sua famiglia. Due suoi zii paterni erano stati consoli. Suo padre portò il nome di Marco Settimio Gela. Esso Settimio Severo giovinetto studiò lettere latine e greche in Africa1572; gran profitto fece nell’eloquenza e nella filosofia de’ costumi; e venuto dipoi in età di diciotto anni a Roma fu condiscepolo di Papiniano1573, studiando la giurisprudenza sotto Scevola, insigne legista di questi tempi. Nondimeno Dione1574, che intimamente il conosceva, trovò in lui un buon genio, ma non molta abilità per l’eloquenza e per le scienze. Diedesi anche a far l’avvocato, ma con poca fortuna. Aveva egli portato seco a Roma il fuoco africano1575; e però la sua gioventù fu piena di furore, ed anche di delitti, ed accusato una volta d’adulterio, la scappò netta per grazia di Salvio Giuliano, di cui poscia procurò la rovina. Sotto Marco Aurelio entrò negli impieghi civili, poscia nei governi; e trovandosi in Africa legato del proconsole, si racconta che, camminando egli a piedi un giorno colle1576 insegne avanti della sua dignità, un uomo plebeo della sua patria Leptis, vedutolo in così nobil carica ed accompagnamento, per allegrezza corse buonamente ad abbracciarlo, dicendogli: O paesano caro. Severo gli fece dare una man di bastonate per esempio agli altri, affinchè più rispettassero i magistrati romani. Scrivono ancora ch’egli consultò uno strologo africano, il quale, veduta ch’ebbe la di lui genitura, gliela restituì dicendo: Dammi la tua, e non quella degli altri. Giurò Severo, che era la sua; ed allora gli fu predetto quanto poscia avvenne. Di sì fatte predizioni e [p. 651 modifica]di augurii presi da’ sogni e da varii accidenti, nel che non poco deliravano una volta i Gentili, parlano molto gli storici antichi. Io, siccome vanità o fole, non le reputo degne di menzione. Passò poi Severo per impieghi militari al governo della Gallia Lionese. Fu console, proconsole della Pannonia, della Sicilia, e finalmente dell’Illirico, dove stando, le rivoluzioni di Roma aprirono a lui strada per salire sul trono. Cominciarono di buonora i Romani a provare che duro maestro fosse questo padrone1577. Da che egli fu entrato in Roma, i soldati suoi co’ cavalli presero alloggio, e fecero stalla ne’ templi, ne’ portici, e dovunque loro piacque; e a buon mercato comperavano quel che loro occorreva, perchè non volevano pagare un soldo. Un gran dire e paura per questo era nella città. S’aggiunse che ito nel giorno seguente Severo in senato, quei soldati cominciarono con alte grida a pretendere un’esorbitante somma di regalo da esso senato, cioè quella stessa che fu pagata all’esercito, allorchè s’introdusse in Roma Ottavio Augusto: quasi che fosse costato loro assai di pena il far entrare in Roma il loro imperadore. Durò fatica lo stesso Severo a quetar quel tumulto, con far loro pagare, o promettere una somma minore, cioè dugento cinquanta dracme per testa. Era poi inveterato costume1578, che le guardie degli Augusti si prendessero dalla Italia, Spagna, Macedonia e Norico, siccome persone di bell’aspetto e trattabili ne’ costumi. Gran mormorazione insorse, perchè Severo a formar quelle compagnie badò solamente alla fortezza, scegliendo perciò gente tutta di orrido aspetto, di linguaggio che facea paura, di costumi salvatici e bestiali. Accrebbe anche il numero d’esse compagnie con grave spesa del pubblico. Ma questo fu rose e viole in paragon di quello che vedremo nell’andare innanzi. Sapeva Severo quanto fosse caro ai Romani Pertinace, quanto lodata la forma del suo governo; e però da uomo accorto, per lusingar il popolo, unì ai suoi nomi quello ancora di Pertinace1579. Allorchè fu nel senato parlò con assai cortesia e bontà, promettendo di gran cose, e sopra tutto di voler prendere per suo modello Marco Aurelio e Pertinace. Nè solamente promise e giurò di non far mai morire alcun senatore1580, ma ordinò ancora, che si formasse un decreto che quello imperadore, il quale altramente operasse, e chiunque a ciò gli prestasse mano, eglino coi lor figliuoli fossero tenuti per nemici della repubblica. Si poteva egli desiderar di più? Ma se ne dimenticò ben presto Severo. Giulio Solone, che avea steso quel decreto, fu il primo a provarne l’inosservanza, e dopo lui tanti altri, siccome vedremo. Contuttociò al basso popolo le prime azioni di Severo fecero concepire molta stima ed affetto per lui; ma quei che conoscevano qual volpe si nascondesse sotto quella pelle d’agnello, andavano l’un all’altro dicendo all’orecchio: E sarà poi così? In fatti fu Severo fornito di mirabili doti per governar bene un imperio, ma insieme di terribili difetti per far un gran male; fra i quali due specialmente toccherò qui, cioè non solamente la severità corrispondente al suo cognome, ma la crudeltà e la poca fede ch’egli non osservava giammai, se non quando gli tornava il conto. Per guadagnarsi maggiormente l’affetto popolare, diede Severo un congiario, e volle far il funerale e l’Apoteosi di Pertinace. Questa magnifica funzione vien descritta da Dione1581 con tutte le sue circostanze. L’orazion funebre in lode di lui la recitò il medesimo Severo. I lamenti e i pianti per la rinnovata memoria di sì buon principe furono infiniti: che non gli elogi fatti in vita dei [p. 653 modifica]regnanti, ma l’amore e il desiderio dei popoli dopo la lor morte son la vera pruova del merito d’essi. Con questa pompa i Romani pretesero di formare un dio di Pertinace; pure non ne stette egli certamente meglio nel mondo di là. Parimente a Severo furono accordati o confermati tutti i titoli e l’autorità consueta degli altri imperadori; e probabilmente1582 non si tardò a conferire il titolo di Augusta a Giulia sua moglie, di nazione soriana, da lui sposata prima dell’anno di Cristo 175, la quale gli avea partorito Bassiano, che fu poi Caracalla imperatore, e Geta, de’ quali si parlerà a suo tempo. Maritò anche Severo due sue figlie, l’una a Probo, l’altra ad Aezio, i quali egli arricchì dipoi e promosse al consolato, non si sa in qual anno. La prefettura di Roma fu da lui appoggiata a Domizio Destro. Diede ancora buon sesto all’annona, sbrigò molte cause, e quelle principalmente di alcuni governatori accusati di avanie ed ingiustizie, gastigando rigorosamente che si provò delinquente. Non si fermò egli in Roma se non un mese, ed in quel tempo usò una mirabil diligenza e fretta nel prepararsi per far guerra a Pescennio Negro, che avea preso il titolo d’Imperadore in Soria, comandando già a tutte le provincie dell’Asia ed anche a Bisanzio. Avea Severo avuta l’attenzione, prima di arrivare a Roma, di spedire Fulvio Plauziano a far prigioni i figliuoli di Negro1583; ed egli poi giunto a Roma fece ritenere gli altri di qualunque magistrato ed uffiziale che fosse in Soria, comandando nondimeno che fossero tutti ben trattati. In Roma non si udì mai Severo dir parola di esso Negro. Solamente studiò egli indefessamente di far leva di gente da tutte le provincie, di adunare una possente flotta da ogni parte d’Italia, e di ordinare alle soldatesche lasciate nell’Illirico di marciare verso il Levante. Non si può assai dire, che spirito vivo e vigoroso fosse quel di Severo; quanta la di lui attività, l’ardire e la prontezza nel concepir le imprese, non meno che nell’eseguirle; quanta la penetrazion della sua mente, per cui prevedeva acutamente l’avvenire, e trovar ripieghi e spedienti, senza guardare a spesa ne’ bisogni, senza curarsi punto di quel che si dicesse di lui, purchè riuscisse ne’ suoi disegni. Però quando men se l’aspettava la gente, mise in marcia il raunato esercito, e verisimilmente nel luglio dell’anno precedente, partendo egli in persona da Roma, per non lasciar tempo a Pescennio Negro di maggiormente assodarsi in Asia. Provvide nello stesso tempo alla sicurezza dell’Africa. Una malattia dipoi sopraggiuntagli in cammino, la lunghezza del viaggio necessario per condurre sì lontano una poderosa armata per terra, perchè non potea tanta gente per mare passar a dirittura in Soria, e il tempo occorrente per unir tante forze da varie parti, pare che non gli lasciassero tempo da far progressi nell’anno suddetto, se non che alcune medaglie (dubbiose nondimeno) cel rappresentano Imperadore per la seconda volta1584, benchè non apparisca quando tale foss’egli proclamato per la prima. Cajo Pescennio Negro, soprannominato Giusto nelle monete, contra di cui Severo faceva questi preparamenti1585, e che fu creduto nativo da Aquino, di famiglia equestre, da giovane si svergognò colla sfrenata sua libidine; ma impiegato nella milizia, da tutti sempre fu riconosciuto e lodato per uomo di raro coraggio, e sopra gli altri geloso della disciplina militare, senza mai sofferire che i suoi soldati facessero estorsione alcuna ne’ paesi per dove passavano o dove si fermavano. Arrivò sotto Commodo ad essere console, ed inoltre, per intercessione di quel Narciso atleta, che strangolò poi lo stesso Commodo, cioè d’uno che in quella sfacciata corte avea, come tant’altra canaglia, gran polso, ottenne [p. 655 modifica]il governo della Soria, dove si affezionò que’ popoli con permettere loro quanti spettacoli voleano, dietro a’ quali era quella gente perduta, e dove, in fine, benchè1586 vecchio, vestì la porpora imperiale. Tuttochè egli sapesse di essere desiderato dal popolo romano, e probabilmente anche da una parte de’ senatori, pure niuna fretta giammai si fece per venir alla volta di Roma. Le delizie e i divertimenti di Antiochia l’aveano troppo incantato1587. Quivi si pavoneggiava egli dell’alta sua dignità, si riputava un novello Alessandro, e intanto nulla facea, persuadendosi forse che senza fatica sua cederebbe Giuliano Augusto, ed allora con tutta pace egli se ne anderebbe a sedere sul trono cesareo in Roma stessa. Restò egli dipoi sommamente sorpreso all’intendere ad un punto stesso ucciso Giuliano, e Severo pervenuto a Roma, e concorsi in lui i voti del senato e popolo romano. Allora si svegliò dal sonno, allora diede ad ammassar gente, ad implorar soccorsi dai re vicini, e guernir di milizie i passi massimamente del monte Tauro. In persona andò egli a Bisanzio, per ben munire di gente e di fortificazioni quella città, troppo importante, attesa la sua situazione, e più perchè solamente pel suo stretto si soleva passare dalle armate romane in Asia1588. Andò anche a Perinto, dove seguì un combattimento svantaggioso per la parte di Severo, e da cui prese motivo il senato romano di dichiarare Pescennio Negro nemico della repubblica. Se sussiste ciò che narra Sparziano, dopo quella vittoria vennero in poter di Negro la Tracia, la Macedonia e la Grecia; ed egli allora andò ad offerir a Severo, che il prenderebbe per collega nell’imperio: al che altra risposta non diede Severo se non una risata. Ma non è facilmente da credere che Pescennio stendesse tanto l’ali, perchè Severo non gliene lasciò il tempo. Arrivò in quest’anno l’Augusto Severo sotto Bisanzio col grosso dell’armata sua, e ne imprese l’assedio1589; ma conosciuto essere troppo duro quell’osso, dopo aver lasciata ivi gente bastante a tenerla assediata o bloccata, passò col rimanente dell’esercito suo lo stretto, valendosi della flotta seco condotta. Appena arrivò a Cizico città della Misia1590, che gli fu a fronte Emiliano, stato governator della Soria prima di Negro, e, presentemente proconsole dell’Asia, che, sposato il partito di esso Negro, era divenuto suo generale. Godeva questi il credito di essere una delle migliori teste di allora; ma perchè n’era persuaso anch’esso, ed, oltre a ciò, passava parentela fra lui e Pescennio Negro, l’insolenza e superbia sua dava negli occhi a tutti. Ma gli calò ben presto il fumo. Andò in rotta l’esercito suo, ed egli da lì a non molto fatto prigione, per ordine de’ generali di Severo perdè la vita1591. Questa vittoria portò all’ubbidienza di Severo Nicomedia con altre città della Bitinia; ma Nicea ed altre tennero forte per Negro, il quale arrivato di poi con un gran nerbo di armati e raccolti gli sbanditi, fra essa Nicea e la città di Cio venne ad un secondo fatto d’armi1592, che fu assai sanguinoso e dubbioso, con dichiararsi in fine la vittoria in favor di Candido generale di Severo. Dopo di che fece il vincitore Augusto esibire a Negro un onorato e sicuro esilio, se volea deporre l’armi; ma prevalendo i consigli di Severo Aureliano, che avea promesso le sue figliuole ai figli di Negro, quasi rigettò ogni offerta1593. Ridottosi poi Pescennio Negro al monte Tauro, afforzò tutti quei passi; e perchè gli venne nuova che Laodicea e Tiro, per odio ed invidia che portavano ad Antiochia, aveano alzate le bandiere di Severo, spedì contra di esse città alquante brigate di Mori, che dopo un fiero sacco fecero del resto con incendiarle. [p. 657 modifica]Severo dipoi le rimise in piedi. Allorchè giunse al Tauro fra la Cappadocia e la Cilicia l’armata di Severo1594 trovò chiusi talmente que’ passi, che impossibil era l’inoltrarsi. Fermatisi ivi i soldati tutti per qualche giorno, aveano già smarrito il coraggio, si trovavano anche disperati, quando ecco all’improvviso una dirottissima pioggia con neve (segno che si avvicinava il fine dell’anno) la quale, formati dei torrenti1595, schiantò e distrusse tutte le sbarre e fortificazioni fatte in que’ passaggi dall’oste nemica, la quale a tal vista prese la fuga, e lasciò all’armi di Severo comodità di valicar quelle montagne, e di calar nella Cilicia. Fu creduto, secondo il costume, questo avvenimento un chiaro segno del cielo favorevole a Severo. Perchè vo io conghietturando che il fine di questa guerra appartenga all’anno seguente, altro per ora non soggiugnerò, se non che Severo Augusto si truova nelle medaglie 1596 battute nel presente, Imperadore per la terza volta, e ciò a cagion delle vittorie riportate da’ suoi generali, come abbiam veduto di sopra.