Annali d'Italia dal principio dell'era volgare sino all'anno 1750/196

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Anno 196

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Anno di Cristo CXCVI. Indizione IV.
VITTORE papa 11.
SETTIMIO SEVERO imperad. 4.
Consoli

CAJO DOMIZIO DESTRO per la seconda volta, e LUCIO VALERIO MESSALA TRASIA PRISCO.

Porta il Relando1610 sotto quest’anno delle leggi date Fusco II et Dextro Cos. Ma quelle appartengono all’anno 225. Una iscrizione bensì ho prodotto io1611, [p. 661 modifica]posta DEXTRO II ET FVSCO COS., la quale si dee, a mio credere, riferire al presente anno, in cui al console ordinario Prisco dovette essere prima delle calende di giugno sostituito Fosco; e questi poi probabilmente nel suddetto anno 225 arrivò al secondo consolato. Correva già il terzo anno che la città di Bizanzio era assediata dalle milizie di Severo Augusto. Colà dopo la rovina di Pescennio Negro si era rifuggita gran copia dei di lui uffiziali e soldati che maggiormente accesero gli animi di quegli abitanti alla difesa. Dione1612 assai ampiamente descrive le fortificazioni di quella città munita di buone mura, perchè di marmo, guernita di alte torri, di bastioni e di ogni sorta di macchine da guerra, mirabili essendo fra l’altre le fabbricate da Prisco da Nicea, ingegnosissimo architetto. Circa cinquecento barchette aveano gli assediati, colle quali infestavano continuamente la gran flotta spedita colà da Severo. A nulla servì per atterrire ed esortare alla resa quei cittadini e soldati l’aver Severo inviata colà la testa di Pescennio Negro. Essi ostinati più che mai resisterono con far delle maraviglie che pareran di valore, ma che son piuttosto da dire di pazzia. Imperciocchè, in vece di procurare il perdono e qualche tollerabil capitolazione, quando niuna speranza restava lor di soccorso, amarono piuttosto di ridursi agli estremi, che di cedere. Ciò che non potè ottenere la forza operò la fame. Giunsero quegli abitanti, dappoichè ebbero consumati tutti i viveri, anche più schifosi, a mangiarsi l’un l’altro. Nè restando più altro scampo, gran parte d’essi volle tentar la fuga colle loro barchette. Aspettato dunque un gagliardo vento, s’imbarcarono; ma le navi romane furono loro addosso, fracassarono i loro piccioli legni, di modo che il dì seguente nel porto di Bisanzio altro non si vide che cadaveri e pezzi di barche rotte. Allora le grida e i pianti di chiunque restato era nella città, furono oggetti di gran compassione, nè si tardò più a rendere la città. Entrativi i Severiani tagliarono a pezzi tutti i soldati che vi trovarono, e chiunque avea esercitato gli uffizii pubblici. Furono poi d’ordine di Severo smantellate tutte1613 le mura e fortificazioni di quella riguardevol città, le terme, i teatri ed ogni altro più bello edifizio1614. Di peggio non avrebbono potuto fare i Barbari. Dione1615, che dianzi avea veduta in tanta forza ed onore quella città, al mirarla poi ridotta a sì miserabile stato, non seppe già tacciar d’ingiustizia un tanto rigor di Severo, dappoichè con tanta ostinazione quel popolo volle cozzar col suo sovrano; ma non gli seppe già perdonare, che lo sdegno suo avesse privato l’imperio romano di un sì forte antemurale contro i tentativi de’ Barbari. Confiscò Severo i beni di tutti gli abitanti; non solamente li privò di ogni privilegio, ma anche del titolo di città la lor patria, sottomettendo Bisanzio a guisa d’un borgo alla città di Perinto, che insolentemente dipoi esercitò la sua autorità sopra i Bizantini. Al valente ingegnere Prisco fu salvata la vita, e Severo di lui poscia utilmente si servì da lì innanzi nelle guerre. Allorchè accadde la resa di Bisanzio, si trovava Severo nella Mesopotamia, voglioso di acquistarsi gloria in guerreggiare coi Parti e con altre di quelle nazioni. Per la grande allegrezza esclamò: Abbiamo in fine preso Bisanzio. Aveano i popoli dell’Osroene, e dell’Adiabene, gli Arabi e i Parti o prestato aiuto nella passata guerra a Pescennio Negro, o pure tentato di profittar della discordia di lui con Severo, saccheggiando il paese romano, e prendendo ancora alquante castella1616. Severo, a cui premeva di far rispettare in quelle parti il nome romano, [p. 663 modifica]mosse guerra a que’ popoli. Ma ritrovandosi di là dall’Eufrate in stagione bollente, in campagne prive d’acqua, e come soffocate dal gran polverio che facea la marcia dell’esercito, fu vicino a veder perire tutti i suoi. Trovata finalmente acqua, tornò ad ognuno il cuore in corpo. Sappiamo inoltre che Severo spedì Laterano, Candido e Leto a mettere a sacco e a fuoco le nemiche nazioni; nel che fu ben egli ubbidito, con aver eglino anche prese alcune città. Per tali successi non poco s’invanì Severo; ma dovette restar alquanto mortificata la di lui vanità, perchè nel mentre che si cercava con gran premura un certo Claudio, che faceva continue scorrerie e ruberie per la Giudea e per la Soria, costui con una mano de’ suoi, come se fosse stato un tribuno delle armate romane, venne a trovar Severo nel campo, l’inchinò e gli baciò la mano, e poi se n’andò senza che mai riuscisse a Severo di averlo nelle mani. Da queste prodezze e da tali poco a noi note vittorie di Severo, si trova a lui dato nelle medaglie il titolo d’Imperadore per la sesta, settima ed ottava volta1617. Oltre a ciò il senato romano gli accordò i titoli di Adiabenico, Partico ed Arabico: il qual ultimo ci guida a credere ch’egli facesse guerra anche contra degli Arabi. Decretogli ancora un trionfo; ma, secondo Sparziano1618, Severo ricusò il trionfo, per non parere di voler gloria da una guerra e vittoria civile. Nè pur volle accettare il titolo di Partico, per non irritar maggiormente quella possente nazione. Nientedimeno in alcune medaglie di quest’anno il troviamo ornato di tutti e tre i suddetti titoli. Lo stesso si può osservare in varie iscrizioni. Andò poscia Severo a Nisibi, e dopo aver onorata quella città di molti privilegi, ne diede il governo a un cavaliere romano. Osserva Dione1619 che Severo si facea bello di aver accresciuto notabilmente in quelle parti il romano imperio, e provvedutolo di un forte baluardo colla città di Nisibi; la verità nondimeno era che Nisibi non costava se non ispese e guerre per cagion de’ Medi e Parti che non la lasciavano mai in pace: il che in vece d’utile, portava seco un gran danno e dispendio. Ma nel mentre che Severo attendeva a guerreggiar in Oriente, se gli preparò un più pericoloso cimento in Occidente per la guerra a lui mossa nella Bretagna da Clodio Albino Cesare, di cui parlerò all’anno seguente. Per ora basterà di sapere che questo incendio minacciava anche la Gallia; e però all’Augusto Severo fu d’uopo di abbandonar la Soria, e di ricondurre in Europa per terra la grande armata divisa in più corpi, dopo averla ben rallegrata con un magnifico donativo. Racconta Erodiano1620 ch’egli marciava con diligenza senza riposo, non distinguendo i dì delle feste da quei da lavoro. Non l’aggravava fatica alcuna, nè caldo, nè freddo, passando sovente per montagne piene di nevi, e colla neve che fioccava, camminando col capo scoperto, per animar i soldati alla fatica e alla pazienza; ed essi in effetto non per paura, nè per forza, ma per una bella gara al vedere l’esempio del principe, marciavano allegri. Era in somma nato Severo per fare il generale di armata. Allorchè egli pervenne1621 a Viminacio nella Mesia Superiore sulla ripa del Danubio, quivi dichiarò Cesare il suo figliuolo primogenito Bassiano, a cui mutò il nome, con farlo chiamar da lì innanzi Marco Aurelio Antonino. Questi è da noi ora più conosciuto pel soprannome di Caracalla, che gli fu dato dagli storici dopo morte, a cagion d’un abito di nuova invenzione ch’egli portò.