Catechismo del concilio di Trento/Parte II/Il Matrimonio

Da Wikisource.
Parte II, Il Matrimonio

../L'Ordine Sacro ../../Parte_III/Il Decalogo IncludiIntestazione 22 settembre 2009 50% Cristianesimo

Parte II - L'Ordine Sacro Parte III - Il Decalogo

289 Santità del Matrimonio cristiano

I pastori devono prospettare per il popolo cristiano una vita beata e perfetta, perché potrebbero anch'essi auspicare quel che l'Apostolo diceva di desiderare, scrivendo ai Corinzi: "Voglio che siate tutti come me" (1 Cor 7,7), cioè che tutti seguissero la perfetta castità. Che cosa infatti di più alto ci può essere, per i fedeli quaggiù, di un riposo permanente dello spirito che non sia distratto da nessuna cura con ogni carnale libidine debellata nell'amore della devozione e nella meditazione delle celesti verità? Ma poiché, secondo la frase del medesimo Apostolo, ciascuno riceve un proprio dono da Dio (chi in un modo chi in un altro), mentre il Matrimonio stesso è accompagnato da così grandi e soprannaturali beni da essere annoverato veramente e propriamente fra gli altri sacramenti della Chiesa cattolica e da meritare che il Signore santificasse con la sua presenza una cerimonia nuziale (Gv 2,2), appare evidente l'opportunità di parlarne. Tanto più che san Paolo (Rm 7,2, 1 Cor 7; Ef 5,22; Col 3,18) come il principe degli Apostoli (1 Pt 3,1) in più luoghi hanno scritto intorno alla dignità e agli obblighi del Matrimonio. Illuminati dal divino spirito, essi comprendevano gli insigni vantaggi che possono ridondare sulla società cristiana, qualora i fedeli conoscano bene e rispettino la santità matrimoniale e i danni e le calamità che invece possono piombare sulla Chiesa, qualora la ignorino e la trasgrediscano.

Si devono quindi spiegare anzitutto la natura e i doveri del Matrimonio, perché spesso i vizi assumono l'apparenza dell'onestà e occorre badare a che i fedeli, ingannati da un falso concetto del Matrimonio, non finiscano con il macchiare l'anima in turpi libidini. Per mostrare meglio la cosa, cominceremo dall'esaminare il significato dei termini.

"Matrimonio" è una denominazione che deriva dal fatto che lo scopo principale per cui la donna deve andare a nozze è quello di divenire madre; oppure perché è particolare ufficio della madre concepire, partorire ed educare la prole.

"Coniugio" poi deriva da "coniugare", in quanto la moglie legittima è sottoposta al medesimo giogo con il marito. Infine il vocabolo "nozze", come dice sant'Ambrogio (De Abr., 1, 9), sorge dalla circostanza che le fanciulle solevano velarsi per pudore e pare che si accennasse anche al dovere che esse fossero sottomesse e obbedienti ai loro mariti.


290 Definizione del Matrimonio

Questa è la definizione, secondo il parere concorde dei teologi: "II Matrimonio è l'unione maritale dell'uomo con la donna, contratta fra persone legittime, che implica una inseparabile comunanza di vita". Affinché si possano meglio comprendere le varie parti della definizione, si deve far notare che, sebbene il Matrimonio comprenda il consenso interno, il patto espresso esternamente con la parola, l'obbligo e il vincolo che ne scaturiscono e l'accoppiamento dei coniugi, con cui il Matrimonio è consumato, pure nulla di ciò costituisce l'essenza del Matrimonio, che consiste propriamente nell'obbligazione e nel vincolo reciproco, espresso dal vocabolo "unione".

Si aggiunge il qualificativo "maritale", perché le altre convenzioni con cui si obbligano uomini e donne a prestarsi scambievole assistenza, in base a compenso o per altra ragione, sono del tutto estranee alla natura del Matrimonio.

È detto poi "fra persone legittime", perché coloro che le prescrizioni legali escludono perentoriamente dalle nozze non possono contrarre Matrimonio e, se lo contraggono, è invalido. Per esempio chi è legato da parentela dentro il quarto grado, o il giovanetto prima del suo quattordicesimo anno e la giovanetta prima del dodicesimo (età fissata dalle leggi) non sono idonei a stringere validi vincoli nuziali. L'ultima clausola, "costituisce un'inseparabile comunanza di vita", spiega la natura del vincolo indissolubile che lega marito e moglie. Da ciò risulta che la natura e il valore del Matrimonio consistono in questo vincolo. Se le definizioni di altri illustri scrittori sembrano riporle nel consenso, dicendo, per esempio, che il Matrimonio è il consenso dell'uomo e della donna, ciò va inteso nel senso che il consenso è la causa efficiente del Matrimonio, come insegnarono i Padri del Concilio Fiorentino, non potendoci essere obbligo e vincolo reciproco, se non in virtù di un consenso o contratto.

È assolutamente necessario che questo consenso sia espresso con parole al tempo presente. Infatti il Matrimonio non è una semplice donazione, ma un patto scambievole; non può dunque bastare all'unione matrimoniale il consenso di uno dei due coniugi, ma deve essere mutuo. Ora è evidente che a esprimere il mutuo consenso dell'animo sono necessario le parole. Se il Matrimonio potesse sorgere dal puro consenso interiore, senza alcun segno esterno, quando due persone lontanissime consentissero nel progetto di Matrimonio, sarebbero subito strette in vincolo matrimoniale, anche prima di manifestare per lettera o per interposta persona la loro volontà; ciò è del tutto difforme dalla ragione, dalla consuetudine e dalle leggi della santa Chiesa.

Inoltre abbiamo detto che il consenso deve esprimersi con parole indicanti il tempo presente e giustamente, perché quelle che indicano il futuro non uniscono il Matrimonio, ma lo promettono. Quel che è futuro evidentemente non esiste ancora e quel che non esiste non ha stabilità e concretezza; perciò non possiede ancora diritto coniugale sulla donna chi promette semplicemente di prenderla in moglie, ne sempre l'adempimento segue subito la promessa, sebbene chi promette debba osservare la parola data e, se non lo faccia, incorra nel reato di fede violata. Invece chi si unisce con il vincolo matrimoniale, pur pentendosi poi, non può mutare o annullare quel che ha fatto.

Siccome l'obbligo coniugale non è una pura promessa, ma una cessione, per la quale l'uomo trasmette realmente la potestà sul proprio corpo alla donna e questa a lui, ne segue necessariamente che il Matrimonio deve essere contratto con parole al presente, la cui forza perdura dopo che sono state pronunciate e lega indissolubilmente marito e moglie. Al posto però delle parole possono bastare alla validità del Matrimonio gesti e segni che indichino nettamente il consenso intimo e lo stesso pudico silenzio della fanciulla, quando parlino per essa i suoi genitori.

In complesso i parroci insegneranno ai fedeli che l'essenza e la forza del Matrimonio risiedono nel vincolo e nell'obbligazione e che posto il consenso, espresso nel modo indicato, non è necessario l'accoppiamento perché il vero Matrimonio sussista. Infatti i nostri progenitori, prima del peccato, quando ancora nessun contatto carnale era intervenuto tra loro, come i Padri riconoscono, erano già congiunti in vero Matrimonio. Perciò i Padri affermano che il Matrimonio consiste nel reciproco consenso, non già nella copula, come anche sant'Ambrogio ripete nel suo scritto intorno alle Vergini (6,1).

Dopo ciò il parroco spiegherà che il Matrimonio presenta due aspetti; si può infatti considerare come unione naturale (l'accoppiamento infatti non è una istituzione umana, bensì un fatto naturale), o come sacramento, la cui forza oltrepassa lo stato delle realtà naturali. E poiché la grazia perfeziona la natura e lo spirituale non è prima dell'animale, ma viceversa, la logica vuole che si tratti prima del Matrimonio nel suo aspetto di fatto naturale e poi di ciò che lo riguarda come sacramento.


291 Istituzione e finalità del Matrimonio

Anzitutto i fedeli siano istruiti sulla verità che il Matrimonio fu istituito da Dio. Scrive la Genesi: "Dio li creò maschio e femmina e li benedisse, dicendo: "Crescete e moltiplicatevi" ". E poi: "Non è bene che l'uomo sia solo: facciamogli un essere simile a lui, che lo aiuti". E poco dopo: "Adamo non aveva ancora un aiuto simile a lui.

Mandò dunque il Signore Dio un invincibile sonno ad Adamo e quando si fu addormentato, gli estrasse una costa, la circondò di carne, trasformandola in donna, e la consegnò ad Adamo, il quale disse: "Ecco dunque, ossa delle mie ossa e carne della mia carne; sarà chiamata Virago, poiché è stata tratta dall'uomo". Perciò l'uomo lascerà suo padre e sua madre, si unirà a sua moglie e saranno due esseri in una sola carne (Gn 1,27; 2,18-24). Queste parole, confermate dallo stesso nostro Signore in san Matteo (19,6), mostrano come il Matrimonio sia istituito divinamente.

Dio però non si limitò a istituirlo, ma, secondo le definizioni del santo Concilio di Trento, lo rese vincolo perpetuo e indissolubile. Per questo il Salvatore sentenziò: "L'uomo non osi dividere quel che Dio ha congiunto" (Mt 19,6).

Già al Matrimonio, come semplice fatto naturale, conveniva che non potesse mai sciogliersi, quantunque tale proprietà rampolli soprattutto dalla sua natura di sacramento; esso infatti per tutte le sue proprietà naturali raggiunge la più alta perfezione. A ogni modo ripugna già all'esigenza dell'educazione dei figli e agli altri beni matrimoniali la dissolubilità del vincolo.

Le parole poi del Signore "Crescete e moltiplicatevi" mirano a delucidare le cause dell'istituto matrimoniale, non già a imporre un obbligo a tutti e singoli gli uomini.

Ormai il genere umano si è tanto accresciuto che non solamente non sussiste legge che obblighi ciascun uomo a contrarre Matrimonio, ma appare invece singolarmente raccomandata la verginità, consigliata nella Scrittura come stato superiore al Matrimonio, dotata di maggiore perfezione e santità. Insegnò il Salvatore: "Chi può capire, capisca" (Mt 19,20). E l'Apostolo ammonì: "Non ho da comunicare un esplicito precetto del Signore intorno ai vergini: ma lo dò come un consiglio, per restar fedele alla misericordia ottenuta dal Signore" (1 Cor 7,25).

Si devono anche spiegare le ragioni dell'unione matrimoniale. La prima è rappresentata da quella associazione, voluta dall'istinto naturale dei due sessi che, cementata dalla speranza del reciproco sostegno e appoggio, rende più agevole affrontare le asprezze della vita e gli incomodi della vecchiaia.

La seconda sta nel desiderio della procreazione, non tanto per lasciare eredi dei beni materiali, ma perché possano allevarsi buoni cultori della vera fede religiosa. La Bibbia mostra come questo fosse il principale proposito dei Patriarchi nello sposarsi.

Ammonendo Tobia sul modo di rintuzzare la violenza del demonio, l'angelo gli dice: " Ti mostrerò io quelli sui quali il demonio può prevalere. Su coloro che contraggono Matrimonio per eliminare Dio dal proprio spirito, per tuffarsi nella concupiscenza. come tanti cavalli e muli privi di ragione, il demonio trionferà". E aggiunge: "Tu impalmerai una vergine nel timore di Dio, spinto più dal desiderio dei figlioli che dalla cupidigia carnale, affinché nel seme di Abramo tu possa conseguire la benedizione che è nei propri figli" (Tb 6,16s). Del resto fu questo l'unico motivo per cui Dio istituì agli inizi il Matrimonio. S'intende perciò quanto mostruoso sia il delitto di quei coniugi che, mediante ritrovati medici, impediscono il concepimento o procurano l'aborto; questo equivale all'azione infame degli omicidi.

La terza causa del Matrimonio sopravvenne dopo il peccato originale che fece perdere la giustizia in cui l'uomo era stato creato e suscitò il conflitto fra l'appetito sessuale e la ragione: chi, consapevole della propria fragilità, non vuole affrontare la dura lotta carnale, può perciò ricorrere al rimedio del Matrimonio per evitare le colpe della libidine. Scrive in proposito l'Apostolo: "In vista del pericolo della fornicazione, ciascuno abbia moglie, e ciascuna marito". E poco oltre, imponendo l'astinenza temporanea dall'atto matrimoniale per fare preghiera, soggiunge: "E poi ravvicinatevi l'un l'altro, affinché Satana non vi tenti con il pungolo della vostra incontinenza" (1 Cor 7,5).

A qualcuno di questi motivi deve ispirarsi chi vuole contrarre Matrimonio e lo vuol fare piamente e religiosamente, come si conviene a figli di santi. Non si condannano però altri moventi, non contrastanti con la santità del Matrimonio, che vengono ad aggiungersi a questi e spingono gli uomini al Matrimonio o inducono, nella scelta della moglie, a preferire questa a quella: per esempio la brama di lasciare eredi, la ricchezza della prescelta, la sua bellezza, la nobiltà della sua schiatta, la somiglianza del temperamento. Neppure la Bibbia infatti rimprovera al Patriarca Giacobbe di aver preferito, per la sua bellezza, Rachele a Lia (Gn 29,17).


292 Il Matrimonio cristiano come sacramento

Dopo aver parlato del Matrimonio in quanto unione naturale, i pastori spiegheranno come, in qualità di sacramento, il Matrimonio assume una natura molto più nobile e volta a un fine molto più alto. Come agli inizi il Matrimonio, quale unione naturale, fu istituito per la propagazione del genere umano, così più tardi gli fu conferita la dignità sacramentale, affinchè sorgesse un popolo nuovo, educato al culto del vero Dio e del nostro Salvatore Gesù Cristo.

Quando Cristo volle offrire un simbolo sensibile della sua strettissima unione con la Chiesa e della sua sconfinata benevolenza verso di noi, espresse appunto la divinità di così ineffabile mistero con la santa unione dell'uomo con la donna. E quanto simile scelta fosse opportuna, risalta dal fatto che fra tutte le relazioni fra esseri umani nessuna vincola più strettamente dell'unione matrimoniale; nessun amore è più forte di quello che passa fra marito e moglie. Per questo la Scrittura raffigura molto spesso l'unione divina di Cristo con la Chiesa mediante l'immagine delle nozze.

La Chiesa, sulla esplicita autorità dell'Apostolo, ritenne sempre per certa e sicura la natura sacramentale del Matrimonio. Scrive infatti san Paolo agli Efesini: "II marito deve amare sua moglie come il proprio corpo. Chi ama sua moglie, ama se stesso. Chi mai odiò la propria carne? Tutti la nutrono e la custodiscono, come Cristo fa con la Chiesa, poiché siamo membri del suo corpo, parte della sua carne e delle sue ossa. Per questo l'uomo abbandonerà suo padre e sua madre e si unirà alla propria moglie, per essere due in una sola carne. Veramente grande è questo sacramento; io intendo dire in Cristo e nella Chiesa" (Ef 5,28-32). La frase "grande è questo sacramento" va riferita indubbiamente al Matrimonio e vuol dire che l'unione fra l'uomo e la donna, di cui Dio è l'autore, è un sacramento, vale a dire segno sacro di quell'ineffabile vincolo che congiunge Cristo Signore alla Chiesa.

I Padri antichi, commentando il passo paolino, l'hanno inteso in questo senso e il santo Concilio di Trento ha definitivamente approvato simile interpretazione. Evidentemente l'Apostolo paragona il marito a Cristo e la moglie alla Chiesa; stabilisce che il marito è il capo della moglie, come Cristo lo è della Chiesa; perciò il marito deve amare la moglie e la moglie a sua volta amare e rispettare il marito. Gesù Cristo amò la Chiesa, diede la propria vita per essa e, secondo lo stesso Apostolo, la Chiesa è soggetta a Cristo. Il sacro concilio dichiara inoltre che con questo sacramento è simboleggiata e anche realmente conferita la grazia, come del resto vuole l'indole stessa sacramentale. Esso dice: "Gesù Cristo, istitutore e consumatore dei venerandi sacramenti, meritò con la sua passione la grazia, atta a sublimare l'amore naturale, e a rassodarlo in una indissolubile unità". I pastori spiegheranno perciò che per la grazia del sacramento i coniugi, stretti nel vincolo dello scambievole amore, riposano nella mutua affezione, rifuggono dagli amori illeciti ed estranei, conservando immacolato il talamo del loro connubio (Eb 13,4).


293 Dignità del Matrimonio cristiano

Il sacramento del Matrimonio sta molto al disopra dei matrimoni contratti prima e dopo la legge mosaica. Sebbene anche i pagani abbiano sempre intravisto nel matrimonio qualcosa di divino e di conseguenza abbiano considerato gli illegali accoppiamenti come vietati da natura e degni di punizione gli stupri, gli adulteri e simili delitti sessuali, tuttavia i loro connubi non ebbero valore sacramentale. Presso gli Ebrei le leggi nuziali furono indubbiamente rispettate con maggiore coscienza, ne possiamo negare che una più alta santità accompagnava i loro matrimoni. Depositari della promessa secondo la quale tutti i popoli dovevano essere benedetti nel seme di Abramo (Gn 12,3; 18,18), ritenevano che fosse insigne compito religioso procreare figlioli, rampolli del popolo da cui doveva trarre origine il Cristo nostro Salvatore, per quanto naturalmente concerne la natura umana. Alle loro unioni però mancava la natura sacramentale.

Se poi ci poniamo dal punto di vista della legge, sia di natura dopo il peccato, sia di Mosè, facilmente constatiamo che la prassi matrimoniale era decaduta dal suo decoro originario. Vigendo la legge naturale riscontriamo che parecchi antichi Padri furono poligami. Più tardi la legge di Mosè permetteva che, consegnato il libello del ripudio, il marito divorziasse, in determinati casi, dalla moglie (Dt 24,1). La legge evangelica soppresse tali abusi e restituì il Matrimonio al suo stato primitivo (Mt 19,9). Quanto la poligamia (di cui però non tutti quei vecchi Padri devono rimproverarsi, avendo alcuni ottenuto da Dio indulgente il permesso di sposare più mogli) sia difforme dalla natura del Matrimonio, è dimostrato da quelle parole del Signore: "Per questo lascerà l'uomo il padre e la madre e si unirà con sua moglie; i due saranno una sola carne". E subito dopo: "Dunque non sono più due, ma una sola carne" (Mt 19,5). Così volle mostrare che il Matrimonio fu da Dio istituito in modo da consistere nell'unione di due sole persone e non di più. Verità cotesta esplicitamente asserita anche altrove. Egli dice: "Chi ripudia la moglie e sposa un'altra, è adultero. E se la moglie, ripudiato il marito, sposa un altro, è adultera" (Me 10,11). Se infatti al marito fosse lecito sposare più mogli, non si vede perché dovrebbe dirsi adultero quando, oltre la moglie che ha in casa, ne impalma un'altra e non quando, congedata la prima, si unisce con una nuova. Tanto è vero che se un infedele, che secondo le consuetudini del suo popolo ha parecchie mogli, si converte alla vera religione, deve, per ordine della Chiesa, lasciarle tutte, ritenendo solo come legittima la prima sposata.


294 Indissolubilità del Matrimonio cristiano

Sempre con le parole di Cristo è facile provare che il vincolo matrimoniale non può essere spezzato da nessun divorzio. Se dopo avere ricevuto il libello del ripudio la moglie fosse sciolta dalla legge maritale, le sarebbe lecito senza colpa di adulterio unirsi in matrimonio con un altro uomo. Invece il Signore sentenziò perentoriamente : "Chi rimanda la propria moglie e ne prende un'altra, è adultero" (Lc 16,18). Il vincolo coniugale dunque può essere spezzato solo dalla morte. Anche l'Apostolo lo afferma, quando scrive: "La moglie è legata alla legge, finché il marito vive; quando questi sia morto, essa è affrancata dalla legge e può sposare chi vuole, nel Signore" (1 Cor 7,39).

E poco prima: "Non io, ma il Signore così comanda a coloro che sono uniti in Matrimonio: "La moglie non si allontani dal marito; qualora se ne allontani, non si risposi, o cerchi di riconciliarsi con il proprio marito" " (1 Cor 7,10). L'Apostolo lascia così alla moglie, che per una ragionevole causa abbandoni il marito, questa alternativa: che rimanga senza marito o si riconcili con lui. Né la Chiesa consente agli sposi di allontanarsi l'uno dall'altro senza gravissimi motivi.

Perché non sembri troppo dura la legge matrimoniale che importa l'indissolubilità, se ne devono prospettare i vantaggi. Ricordino anzitutto gli uomini che nel concludere il Matrimonio occorre tener conto della virtù e dell'affinità spirituale, molto più che delle ricchezze e della bellezza. Si potrebbe provvedere meglio di così al bene della comune convivenza? In secondo luogo riflettano che se il Matrimonio potesse rompersi con il divorzio, non mancherebbero mai ragioni di dissidio, giornalmente messe avanti dall'antico avversario della pace e della pudicizia, mentre se riflettono che, pur allontanati dalla convivenza coniugale, perdura l'efficacia del vincolo matrimoniale ed è sottratta la prospettiva di poter prendere un'altra moglie, i fedeli saranno molto più guardinghi dal farsi trascinare dall'ira e dalla discordia. Pur separati dall'altro coniuge, finiranno con il sentirne vivo desiderio e facilmente l'intervento degli amici porterà alla riconciliazione.

I pastori non tralasceranno di ricordare a questo proposito l'ammonizione di sant'Agostino, il quale per indurre i fedeli a non essere troppo restii a perdonare alle mogli congedate per adulterio, purché pentite del misfatto, interrogava: "Perché il marito non accoglierà una moglie che la Chiesa accoglie? E perché la moglie non perdonerà al marito adultero ma penitente, dal momento che anche Cristo gli perdonò? " (De adult. con., 2, 6). La frase biblica: "E’ sciocco chi tiene con sé un'adultera" (Prv 18,22), vale per colei che, avendo peccato, non vuole ravvedersi.

Da tutto ciò si rileva come il Matrimonio dei cristiani supera di gran lunga in nobiltà e perfezione sia quello dei pagani sia quello degli Ebrei.



295 Effetti del sacramento del Matrimonio

I pastori insegnino ai fedeli che tre sono i beni del Matrimonio: la prole, la fede, il sacramento. Con essi sono neutralizzate quelle pene cui allude l'Apostolo con le parole: "Sperimenteranno la tribolazione della carne" (1 Cor 7,28) e le unioni sessuali, che al di fuori del Matrimonio apparirebbero giustamente riprovevoli, ne vengono nobilitate e coonestate. Il primo bene è costituito dalla "prole", cioè dai figli ottenuti da una legittima moglie.

Così importante appariva questo bene all'Apostolo, da dire: "La donna sarà salvata mediante la generazione dei figli" (1 Tm 2,15). Questo inciso non va inteso come allusivo alla semplice procreazione, ma anche alla formazione spirituale per la quale i figli sono educati alla pietà. Aggiunge infatti l'Apostolo: "Se essi permarranno nella fede".

Ammonisce poi la Scrittura: "Hai dei figli? Istruiscili e piegali dai giorni della loro infanzia" (Sir 7,23). San Paolo riproduce il comando (Ef 6,4; Col 3,20) e nella Scrittura Tobia, Giobbe e altri santi Padri offrono esempi dei magnifici risultati di questa disciplina. Ma quali siano i doveri dei genitori e dei figli sarà spiegato più diffusamente nel quarto precetto del Decalogo.

Il secondo bene è la "fede", non già intesa come quell'ambito di virtù che riceviamo all'istante del Battesimo, ma come quella fedeltà in virtù della quale marito e moglie si legano tanto strettamente a vicenda da trasmettersi la potestà del proprio corpo e da giurarsi perpetua osservanza del patto coniugale. Ciò risulta dalle parole pronunciate dal primo uomo nel momento di ricevere Eva per moglie (Gn 2,24), parole che Cristo ratificò nel Vangelo: "Per questo lascerà l'uomo il padre e la madre e si unirà con sua moglie e i due saranno una sola carne" (Mt 19,5). E risulta pure dal passo dell'Apostolo: "La moglie non ha potestà sul proprio corpo, ma l'ha il marito; parimenti il marito non ha potere sul proprio corpo, ma lo ha la moglie" (1 Cor 7,4).

Si comprendono perfettamente le gravissime minacce lanciate dal Signore nel Vecchio Testamento contro gli adulteri che violano la fede coniugale (Lv 20,10). Tale fede inoltre esige che marito e moglie siano stretti da un amore particolare, puro e santo, sicché si amino non come adulteri, ma come Cristo amò la sua Chiesa. Questa è la regola dell'Apostolo: "Mariti, amate le vostre mogli come Cristo ha amato la sua Chiesa" (Ef 5,25) che egli predilesse con affetto inesauribile, unicamente volto al suo vantaggio. Il terzo bene, denominato "sacramento", consiste nell'infrangibile vincolo matrimoniale poiché, secondo l'Apostolo, il Signore ha imposto alla moglie di non abbandonare il marito, di restare, qualora se ne allontani, senza marito, oppure di riconciliarsi con lui; al marito comanda di non mandar via la propria moglie (1 Cor 7,10). Infatti il Matrimonio esprime, in quanto sacramento, l'unione di Cristo con la Chiesa e poiché Cristo mai si separa dalla Chiesa, è necessario che, per quanto riguarda il vincolo coniugale, la moglie non possa mai separarsi dal marito.


296 Doveri coniugali

Affinché la santa società coniugale perduri più serena, devono essere inculcati i doveri del marito e della moglie, quali furono descritti da san Paolo e da san Pietro, principe degli Apostoli. S'impone al marito l'obbligo di trattare con generosità e onore la moglie. Si ricordi che Adamo chiamò "compagna" Eva: "La donna che mi desti a compagna" (Gn 3,12).

Perciò, secondo l'insegnamento di alcuni Padri, Eva non fu tratta, per esempio, dai piedi dell'uomo, ma dal suo fianco; ne dal suo capo, affinché capisse di essere non padrona, ma suddita del marito. Inoltre è bene che il marito sia costantemente occupato in qualche onesta professione per provvedere il necessario al sostentamento della famiglia e per non poltrire nell'ozio, padre di tutti i vizi. Infine deve saggiamente organizzare la famiglia, correggere i costumi di tutti i membri di essa, sorvegliare su ciascuno perché adempia il suo compito.

Alla moglie incombono i doveri indicati dal principe degli Apostoli: "Le mogli siano soggette ai loro mariti, sicché se alcuno di questi non crede alla parola [di Dio], sia guadagnato, senza la parola, dalla condotta esemplare della compagna, valutandone la santità unita al rispetto. Non siano loro vanto la capigliatura bene acconciata, ornamenti d'oro, sfoggio delle vesti: ma cercate piuttosto di adornare l'interno del cuore, coltivato nell'integrità di uno spirito schivo e modesto, ricco al cospetto di Dio. Così una volta si ornavano le sante donne, ricche di speranza in Dio, soggette ai propri mariti. Così Sara obbediva ad Abramo, chiamandolo signore" (1 Pt 3,1-6). Sia loro somma cura educare i figli nell'amore della religione e sorvegliare l'andamento della casa. Stiano volentieri in casa, se il bisogno non le costringa a uscire, e in tal caso chiedano sempre il permesso allo sposo. Infine (ed è qui l'essenza dell'unione matrimoniale) ricordino sempre che per volontà divina nessuno devono amare e apprezzare più del marito, al quale obbediranno prontamente in tutto ciò che non sia in contrasto con la virtù cristiana.


297 Riti nuziali: impedimenti matrimoniali

I parroci faranno bene a illustrare le cerimonie che accompagnano la celebrazione del Matrimonio. Non registreremo qui le regole emanate in proposito dal sacro Concilio di Trento con diligenza e abbondanza. I parroci non possono ignorare i suoi decreti. Ci limiteremo a raccomandare loro di studiare bene la dottrina del Concilio su questo punto e di esporla coscienziosamente ai fedeli.

Insisteremo piuttosto nel ricordare loro di ammonire senza stancarsi i giovani e le ragazze, la cui età è contrassegnata da tanta leggerezza, a non iniziare, sotto illusorie parvenze nuziali, rapporti di turpi amori. Proclamino solennemente che non sono veri e legittimi Matrimoni quelli contratti senza la presenza del parroco, o di altro sacerdote delegato da lui o dall'ordinario, e di un certo numero di testimoni.

I pastori devono poi additare con cura ciò che impedisce il Matrimonio. Molti gravi e dotti autori, che scrissero sui vizi e le virtù, si fermarono su questo tema con tale accuratezza, che a tutti sarà facile ricavarne sufficiente istruzione; tanto più che si tratta di libri che i pastori devono aver sempre sotto mano. Leggano attentamente le prescrizioni in essi contenute e poi quanto il santo Concilio di Trento ha stabilito circa gli impedimenti che scaturiscono dalla parentela spirituale, dalla pubblica onestà, dalla fornicazione e ne parlino poi ai fedeli.

Da quanto si è detto emerge quali sentimenti debbano animare i fedeli che contraggono Matrimonio. Non pensino di stringere un contratto umano, ma di compiere un atto divino, il quale esige speciale integrità di spirito e grande pietà, come mostrano a sufficienza gli esempi dei Padri dell'antico Patto. Essi andando a nozze, seppure non insignite di dignità sacramentale, ritennero sempre di dover portare a esse massima riverenza religiosa e purezza di cuore.

Fra l'altro si esortino specialmente i figli di famiglia a rendere ai loro genitori, e in genere a coloro da cui dipendono, l'onore di non contrarre Matrimonio a loro insaputa o nonostante la loro opposizione. Vediamo nel Vecchio Testamento come il matrimonio dei figli è sempre concertato dai genitori. Anche l'Apostolo sembra raccomandare che su questo terreno ci si attenga molto al volere del padre e della madre, quando dice: "Chi congiunge in matrimonio la propria figliola fa bene e chi non la sposa fa meglio" (1 Cor 7,38).

Rimane infine da esporre quel che riguarda l'uso del Matrimonio. I parroci ne parlino in modo che dalle loro labbra non esca parola capace di offendere le orecchie e l'animo degli ascoltatori, o di muovere a riso. Come i discorsi del Signore sono casti, così conviene in particolare al dottore del popolo cristiano usare parole improntate a serietà e purezza di mente.

Due ammaestramenti in proposito saranno impartiti ai fedeli: primo, che non devono usare del Matrimonio esclusivamente per voluttà libidinosa, ma per quei fini che Dio ha prescritto e che abbiamo sopra segnalato. Occorre ricordare la raccomandazione dell'Apostolo: "Chi ha moglie, sia come se non l'avesse" (1 Cor 7,29) e il detto di san Girolamo: "II saggio amerà ragionevolmente, non per istinto di passione, sua moglie: frenerà l'impeto carnale, non cercherà freneticamente l'accoppiamento. Nulla di più turpe che amare la propria moglie come una sgualdrina" (Adv. lovin., 1, 49). E poiché ogni bene deve essere umilmente chiesto a Dio, il secondo ammaestramento da impartire ai fedeli riguarda l'astensione saltuaria dall'atto coniugale, per pregare Dio. Sappiano che tale norma deve principalmente osservarsi tre giorni almeno prima di ricevere la santa Eucaristia e più spesso durante la celebrazione del digiuno quaresimale, come i nostri Padri giustamente e piamente prescrissero. Così i coniugi sentiranno crescere giornalmente i beni del Matrimonio, sotto l'influsso della grazia divina e, battendo i sentieri della virtù, non solo trascorreranno serenamente la vita terrena, ma nutriranno speranza verace di conseguire, per misericordia di Dio, la beatitudine sempiterna.