Chi l'ha detto?/Parte prima/1

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Capitolo 1

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A chi legge Parte prima - 2
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PARTE PRIMA




§ 1.



Delle citazioni, dei libri e delle biblioteche






Presento al pubblico per la settima volta questo saggio di un repertorio italiano di citazioni storiche e letterarie. Gli imitatori ch’esso ha avuto, sono molti, e anche qualcuno poco discreto nel saccheggiarlo; ma quando più di un quarto di secolo fa, nel 1894, uscì in luce la prima edizione di questo libro, nella patria letteratura poco esisteva in tal genere e forse la miglior cosa era il catalogo della «Grande Esposizione Universale di Rettorica usata antica e moderna», che quel bizzarro scrittore che si celava sotto lo pseudonimo di Yorick (avv. P. Coccoluto Ferrigni) pubblicò nell’Almanacco del Fanfulla pel 1873. Ma se il dilettante di umorismo poteva divertirsi di più leggendo di quella Esposizione che doveva inaugurarsi il giorno delle Calende Greche per chiudersi soltanto il giorno del Redde rationem, e restare aperta al pubblico tutti i giorni dal mattino della vita fino all’ora dei delitti (prezzo del biglietto d’ingresso: un obolo.... di Belisario), non sarà immodestia di pensare che il ricercatore, pure divertendosi meno, consulterà con qualche maggior profitto il repertorio mio. Non vi si troveranno frasi peregrine od inedite, chè anzi uno requisiti per poterle ammettere in questo repertorio, è che siano generalmente conosciute. E allora perchè il repertorio, se tutti o quasi tutti le conoscono? Ma se tutti ripetono con compiacenza, e si valgono liberamente di simili motti, sentenze, modi di dire, [p. 2 modifica]passati ormai nel dominio comune1, e diventati per così dire la moneta spicciola della erudizione e della letteratura, non sempre tutti ne conoscono l’autore, l’origine, e talora neppure l’esatto significato. Anche poi di frasi più conosciute, e che ognuno sa essere di autori notissimi, non sempre si ricorda con precisione da quali passi delle loro opere siano tolte, ciò che pure è curiosità scusabile, anzi ragionevole. E perciò non si faccia meraviglia il lettore se incontrerà dei versi di Dante, del Petrarca, o di altri valentuomini dello stesso peso, versi che ogni persona, mediocremente colta, sa a memoria: ma è egli sicuro di ricordarsi con esattezza il canto, il sonetto ecc. cui appartengono? E neppure si meravigli se accanto a queste gemme del nostro tesoro letterario, troverà delle ciance scipite, degli orribili versi tolti dai melodrammi più in voga o dai drammi di repertorio e perfino dalle più scollacciate operette, giacchè alla scelta delle frasi citate non ha presieduto nessun criterio etico od estetico, ma soltanto quello della maggiore o minore notorietà. Anche quelle scorie si citano spesso, e ricorrono nella conversazione, talora adattate ad altri significati dal primitivo, anche più di frequente di sentenze più nobili e più gravi, perciò il pubblico ha il diritto di trovarle qui, e di sapere il loro stato civile. Insomma questo che io faccio è un vero Manuale del perfetto citatore, da cui si deve apprendere l’arte di citare esattamente, arte più difficile che comunemente non si creda, poiché:

1.   L’exactitude de citer, c’est un talent beaucoup plus rare que l’on ne pense.2

(Bayle, Dictionnaire, art. Sanchez, Rémarques).

Il lettore italiano troverà qui di che soddisfare largamente ogni suo gusto: troverà, come già ho detto, le gemme frammiste a molte [p. 3 modifica]pietruzze di nessun conto, che io, ridotto al modesto ufficio di archivista della rettorica contemporanea, non poteva neppur volendo mandare in bando. Può quindi giustamente dirsi delle frasi qui raccolte quel che Marziale diceva dei suoi epigrammi:

2.   Sunt bona, sunt quaedam mediocria, sunt mala plura3

(Epigrammi, lib. I, ep. 17, v. 1).

Esse sono quelle che Omero in più luoghi dei suoi poemi chiamò:

3.   Ἔπεα πτερόεντα.4

che Giorgio Büchmann tradusse nella frase tedesca Geflügelte Worte, frase rimasta celebre come titolo di un libro, sul cui piano è redatto il presente, e di cui quasi duecento mila esemplari sono stati finora sparsi in tutta la Germania.

Vi sono soprattutto citazioni letterarie da scrittori italiani e stranieri, antichi e moderni; vi sono frasi storiche; vi sono anche dei proverbi, cioè delle frasi tolte dal patrimonio comune della lingua, ma sulle quali uno scrittore noto ha versato parte della sua celebrità. Può dirsi infatti col Fournier, autore di altre due raccolte, francesi queste, delle quali pure mi sono valso senza risparmio, che:

4.   Il en est des adages populaires comme des billets en circulation: il faut, pour qu’ils aient toute leur valeur, qu’une bonne plume les endosse5

(Fournier, L’esprit des autres, chap. 6, VIII éd., pag. 85).
Cfr. con i versi di Molière nell’Anfitrione, (a. II, sc. I):

Tous les discours sont des sottises,
Partant d’un homme sans éclat:
Ce seraient proles exquises
Si c’etait un grand qui parlât.


[p. 4 modifica]Vi sono pure delle frasi scherzevoli e facete; e anzi sono stato meno parco nell’ammettere queste che le altre, poichè bisognava pur alleviare la gravità della materia, e rendere il libro, di per sè così arido, di lettura un poco più facile, memore del precetto oraziano:

5.   Omne tulit punctum, qui miscuit utile dulci,
Lectorem delectando, pariterque monendo6

(Orazio, Arte poetica, v. 343-4).

La metafora contenuta nelle tre prime parole ha origine dall’uso che nei primi tempi della repubblica le votazioni nei comizii si facevano nel modo seguente: ogni cittadino entrando nel recinto assegnato alla sua tribù o alla sua centuria dava il voto ad un ufficiale posto all’ingresso dello steccato, e questi lo notava segnando un punto di fronte al nome del candidato cui spettava, in una tavoletta che portava i nomi di tutti i candidati; quindi la frase omne tulit punctum, significa riportò tutti i voti.

Quanto alle facezie auguro ai miei lettori di non abusare di questa pericolosa mercanzia; non dimentichino essi che:

6.   Diseur de bons mots, mauvais caractère7

(Pascal, Pensées morales, I p., art. IX, n. xxii).
e non vogliano essere di quelli, ai quali può attribuirsi il melanconico coraggio di ripetere con Quintiliano:

7.   Potius amicum quam dictum perdidi8

(De institut. orat., lib. VI, cap. 3, § 28).

A molte di siffatte sentenze il popolo che le usa, ha dato significato ben diverso dall’originario, e perciò parecchie volte in bocca altrui udrai ripetute per celia o per ischerno frasi che i loro autori scrissero con la massima serietà. Questo del resto segue anche in altri campi; e più fiate converrà dare ad alcuna frase [p. 5 modifica]un’interpretazione che le parole testualmente non avrebbero, leggere fra le righe, indovinare l’occulto pensiero dello scrittore o del citatore. E chi mai potrebbe attenersi sempre alla sola lettera che uccide?

8.   Littera enim occidit, spiritus autem vivificat.9

Questo è il libro ch’io presento all’esame indulgente del pubblico italiano, libro composto con fratesca pazienza, raccogliendo per anni molti la parca messe delle quotidiane letture e conversazioni. L’opera mia è quindi assai modesta. Il mio libro non ha davvero la pretesa di essere

9.   Ce livre, le plus beau qui soit parti de la main d’un homme, puisque l’Évangile n’en vient pas.10

come dell’Imitazione di Cristo scrisse Fontenelle nella Vie de Corneille, pubbl. per la prima volta nella Histoire de l’Académie dell’ab. d’Olivet (Paris, 1729, to. II, pag. 177); nè si può dire di esso quel che Dante dice del libro suo

10.   Al quale ha posto mano e cielo e terra.

Oh, no davvero! la mia fatica non potrebbe meritare nemmeno l’approvazione di Giuseppe Giusti, il quale in un suo epigramma pensava, un po’ troppo sentenziosamente (forse per amore della rima) che:

11.        Il fare un libro è meno che nïente
Se il libro fatto non rifà la gente.

Ma disgraziati noi se tutti i libri pretendessero di rifare la gente! Tuttavia quanti ce ne sono che hanno veramente rappresentato delle rivoluzioni dello spirito umano! Il libro Dei delitti e delle pene del Beccaria ha dato l’ultimo colpo alla procedura penale [p. 6 modifica]medievale; il romanzo della Beecher Stowe, La capanna dello zio Tom, ha spezzato le catene degli schiavi in America; le Mie prigioni di Silvio Pellico (pubbl. nel 1832) nocquero all’Austria

12.   Più che la perdita di una battaglia campale.

Ma chi l’ha detto? La frase fu da taluni attribuita a Luigi Veuillot, direttore dell’Univers; il quale in un colloquio avuto sulla fine del 1849 col Metternich, gli avrebbe detto, a proposito del libro del Pellico, che «le résultat.... a été plus terrible pour l’Autriche qu’une bataille perdue» e il principe avrebbe risposto: «Je ne prétend pas le contraire» (Mélanges religieux, historiques, etc., 2me série, vol. VI, Paris, 1860, pag. 17 sgg.; si veda pure: Rinieri, Della vita di Silvio Pellico, vol. II, pag. 229, in n. e anche il Giorn. stor. d. lett. ital., v. 53, 1909, pag. 118, n. 3). Da altri la frase fu ascritta a Cesare Balbo (D’Ancona e Bacci, Manuale della letter. ital., V, 346), ma si potrebbe anche dire che sia di Giorgio Pallavicino il quale in un rapporto al Governo Austriaco, del 1837, scriveva: «La storia dello Spielberg, esagerata dagli uni, falsata dagli altri, riesce più dannosa al Governo di S. M. che la perdita di dieci battaglie»; si veda Sandonà, Contributo alla storia dei processi del Ventuno e dello Spielberg (Torino, 1911), pag. 370.

Insomma il mio libro non è che una paziente compilazione, che affido al benevolo esame, non degli ipercritici, non dei dotti, ma di tutti coloro, e sono i più, ai quali un bel giorno può fare diletto o la lettura o la memoria; quindi

13.   Lungi da queste carte i cisposi occhi già da un secolo rintuzzati.

come scrisse il Parini in principio della dedicatoria Alla Moda che precede il Mattino. Esso contiene, e in larga misura, peccati di omissione o d’inesattezza; ma per quanto esso sia anche in questa redazione imperfetto, vi sarà talvolta chi potrà consultarlo con profitto, memore della sentenza di Plinio il vecchio (conservataci dal nipote in una lettera famosa in cui questi dà ragguaglio della vita e degli studi dello zio):

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14.   Nullum esse librum tam malum, ut non aliqua parte prodesset.11

(C. Plinio Cecilio Secondo il giovane, Epistole, lib. III. ep. 5).
Perciò io spero indulgenza, e chi sa, fors’anche favore! infatti

15.                   Habent sua fata libelli12

emistichio che quasi costantemente è attribuito ad Orazio; ma che invece è di Terenziano Mauro (De literis, syllabis et metris: carmen heroicum, v. 1286, presso la fine del lib. II, De syllabis). Ecco il verso intiero:
Pro captu lectoris habent sua fata libelli.

Eccoci dunque a parlare dei libri, anzi già ci siamo venuti da qualche momento, discorrendo di questa povera opera mia. Non avrei voluto passare sotto silenzio la più importante delle sentenze, che al libro si riferiscono:

16.   Un livre est un ami qui ne trompe jamais.13

un bel verso che è la chiusa di un sonetto di Desbarreaux-Bernard, e che il drammaturgo francese René Charles Guilbert (più noto, dal luogo di sua nascita, sotto lo pseudonimo di Pixérecourt) aveva fatto stampare nell’ex-libris della sua ricca biblioteca (vedi Jardère, Ex-libris Ana, Paris, 1895, pag. 70, 72): come Teodoro Leclercq aveva invece posto sulla porta della sua, chiusa ermeticamente ai curiosi non meno che agli studiosi, la egoistica iscrizione:

17.       Tel est le sort fâcheux de tout livre prêté,
Souvent il est perdu, toujours il est gâté14

[p. 8 modifica] Un esemplare delle opere del Sabellico (ediz. di Basilea, 1538) già appartenuto al Grolier ricordato più sotto, quindi al presidente Hénaut, e ora nella biblioteca dell’Arsenale a Parigi, porta in uno dei fogli di guardia questa curiosa annotazione greco-latina di mano dell’Hénaut medesimo:

Έκ τοῦ Ἀθηαίου Caroli de Henaut, in magno consilio senatoris et decani, τῷ ἔτει 1710.

Libros alienos utendos Rogantibus Ἀπόκριμα.

Ἐξ εὐαγγελίου τοῦ κατὰ Λουκᾶν κεφ. 11 καὶ τοῦ κατὰ Ματθαἳον κεφαλαίῳ 25:

Ζητεῖτε δὲ μᾶλλον, καὶ πορεύεσθε
Πρὸς τοὺς πωλοῦντας, καὶ ἀγοράσετε
Ἑαυτοἱς, πῶς γὰρ ὁ ζητῶν εὑρίσκει.

Di questo versetto biblico la frase

18.   Ite ad vendentes.15

è rimasta viva nell’uso.

Ma in Francia altri bibliofili avevano tradizioni più generose, basti per tutti citare l’immortale Giovanni Grolier lionese, tesoriere dell’armata d’Italia sotto Francesco I, quindi tesoriere di Francia sino al 1565, anno di sua morte, amatore e collezionista intelligente di ottimi libri, che sui piatti dei suoi volumi faceva scrivere Jo. Grolierii et amicorum. Ma egli non l’aveva inventata questa nobile divisa ma l’aveva portata d’Italia, con l’arte della legatura ed eziandio con lo stile della ornamentazione imitato dalle splendide legature di uno sconosciuto bibliofilo che molti credono veneziano, dei primi anni del secolo XVI, Tommaso Maioli, i cui libri portano tutti la leggenda:

19.   Th. Maioli et amicorum.16

Anche l’umanista napoletano, Giano Parrasio, appose sul frontespizio di tutti i suoi libri il cortese motto: Jani Parrhasii et amicorum, e Rabelais: Francisci Rabelesii καὶ τῶν φίλων.

[p. 9 modifica] Per i bibliofili, o meglio per i bibliomani, non manca l’epigramma, ed è questo:

20.   C’est elle! Dieu que je suis aise!
Oui, c’est la bonne édition;
Voilà bien, pages douze et seize,
Les deux fautes d’impression
Qui ne sont pas dans la mauvaise.17

graziosa sestina di Pons de Verdun (Contes et poésies, 1807, pag. 9), di cui Scribe ha fatto un couplet del vaudeville Le Savant (a. II. sc. 4).

Parlando del libro non si può dimenticare nè l’ammonimento del Petrarca:

21.   Libri quosdam ad scientiam, quosdam ad insaniam deduxere18

(De remediis utriusque fortunae, dial. XLIII: De librorum copia.).
nè la celebre frase ughiana

22.   Ceci tuera cela.19

(Victor Hugo, Notre-Dame de Paris, lib. V, chap. 1.).
le quali parole chiudono il cap. I, e sono commentate a profusione nel successivo, di cui formano il titolo:
Ceci tuera cela. Le livre tuera l’édifice.

Dai libri è breve il passo alle biblioteche, delle quali, come dei musei, scrisse il Tommaseo che vi è «un so che di vivente, più che l’Amadriade nella pianta, e la Naiade nella fonte», e un classico latino aveva detto:

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23.   Illi quorum immortales animae in locis iisdem (in bibliothecis) loquuntur.20

(Plinio il Vecchio, Hist. Natur., lib. XXXV, cap. 2.).

La più antica delle biblioteche delle quali ci abbia conservato notizia la storia, ci ha pure dato un motto notissimo:

24.   Medicina animi (Ψυχῆς Ἰατρεῖον).21

iscrizione che, secondo narra Diodoro Siculo (Biblioth. histor., lib. I, 49, 3) stava sull’ingresso della biblioteca del re Osimandia di Egitto e di cui si ricordò certamente Federigo il Grande quando sul vecchio edificio della Biblioteca Reale di Berlino (compiuto nel 1780 e ora sostituito da altro più ampio) fe’ porre le parole: Nutrimentum spiritus. Dai latini ci scese l’altra sentenza:

25.   Si hortum in bibliotheca habes, deerit nihil.22

(Cicerone, Epistolæ ad familiares, lib. IX, ep. 4, a Varrone.).

E con questo ha fine questo primo paragrafo, che serve d’introduzione all’opera. Innanzi di presentare al lettore il resto, devo avvertirlo di ciò che veramente avrei dovuto dir prima, cioè che non cerchi in questa raccolta frasi paremiologiche delle quali nè la storia nè la letteratura possono additarci l’autore. Questa è una raccolta di citazioni, e non di proverbi. Ed i proverbi non sono soltanto nelle lingue volgari, ma anche nel latino, tanto dell’età classica, quanto della bassa latinità. Non vi si troveranno perciò, come non si trovano nel Büchmann nè in altri repertorii simili, adagi del genere di questi: Excusatio non petita, accusatio manifesta, Si non caste saltem caute, Do ut des, In cauda venenum ecc. Essi avrebbero di troppo aumentata la mole di questo volume; e

26.               .... Dominedio ci salvi
da i libri troppo lunghi e da i poemi!

[p. 11 modifica]come scrisse Lorenzo Stecchetti (cioè Olindo Guerrini) nella ode A Felice Cavallotti (in Nova Polemica).

Essi al più potranno essere soggetto di un altro libro, al quale penseremo in seguito, non ora:

27.   Di libri basta uno per volta, quando non è d’avanzo.

poichè, potranno mancare gli editori, ma non gli autori e i libri da pubblicare:

28.   Faciendi plures libros nullus est finis.23

Note

  1. Vedi Quintiliano, Instit. orat., V, 11, 41: “Ea quoque, quæ vulgo recepta sunt, hoc ipso, quod incertum auctorem babent, velut omnium fiunt, quale est: Ubi amici, ibi opes: et, Conscientia mille testes: et apud Ciceronem, Pares autem, ut est in vetere proverbio, cum paribus maxime congregantur.„ ― Vedi anche a pag. 25, nelle osservaz. al num. 78.
  2. 1.   L’esattezza delle citazioni è una virtù assai più rara che non si pensi.
  3. 2.   Ce ne sono dei buoni, alcuni sono mediocri, ma i più sono cattivi.
  4. 3.   Parole alate.
  5. 4.   Capita per le frasi popolari lo stesso che alle cambiali in circolazione: perchè esse abbiano tutt’il loro valore, ci vuole una buona firma che le avalli.
  6. 5.   Ottiene la generale approvazione chi unisce l’utile al dolce, dilettando e istruendo al tempo stesso il lettore.
  7. 6.   Chi è solito di dire frasi spiritose, ha cattivo carattere.
  8. 7.   Preferii rinunziare ad un amico anzichè ad un motto.
  9. 8.   La lettera uccide, mentre lo spirito vivifica.
  10. 9.   Questo libro, il più bello che sia uscito dalla mano dell’uomo, dappoichè l’Evangelo non ha origine umana.
  11. 14.   Non esserci libro tanto cattivo, che non potesse in qualche parte giovare.
  12. 15.   Anche i piccoli libri hanno il loro destino.
  13. 16.   Un libro è un amico che non inganna mai.
  14. 17.   Tale è la sorte disgraziata di ogni libro prestato: perduto spesso, sciupato sempre.
  15. 18.   Andate dai venditori.
  16. 19.   Di Tommaso Maioli e de’ suoi amici.
  17. 20.   È lei! O Dio, come sono felice! Sì, è l'edizione buona; ecco infatti a pag. 12 e 16 i due errori di stampa che non sono in quella cattiva.
  18. 21.   I libri fecero diventare dotti alcuni, altri pazzi.
  19. 22.   Questo ucciderà quello.
  20. 23.   Coloro (gl'illustri scrittori) dei quali le anime immortali parlano nelle biblioteche.
  21. 24.   Medicina dell'anima.
  22. 25.   Se presso alla biblioteca ci sarà un giardino, nulla ci mancherà.
  23. 28.   I libri si possono moltiplicare all'infinito.