Cronica delle cose occorrenti ne' tempi suoi/Libro primo/3

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Libro primo - Capitolo 3

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Le discordie tra’ Guelfi sono cagione ch’essi si riconcilino co’ Ghibellini. Ambedue le parti ottengono a paciaro ed arbitro un Legato della Chiesa (...-1279, 1280).

Nell’anno dalla incarnazione di Cristo MCCLXXX, reggendo in Firenze la parte guelfa, essendo scacciati i Ghibellini, uscì d’una piccola fonte uno gran fiume, ciò fu d’una piccola discordia nella parte guelfa una gran concordia con la parte ghibellina. Ché, temendo i Guelfi tra loro, e sdegnando nelle loro raunate e ne’ loro consigli l’uno delle parole dell’altro, e temendo i più savi ciò che ne potea advenire, e vedendone apparire i segni di ciò che temeano (perché uno nobile cittadino cavaliere, chiamato messer Bonaccorso degli Adimari, guelfo e potente per la sua casa, e ricco di possessioni, montò in superbia con altri grandi, che non riguardò a biasimo di parte, ché a uno suo figliuolo cavaliere, detto messer Forese, dié per moglie una figliuola del conte Guido Novello della casa de’ conti Guidi, capo di parte ghibellina), onde i Guelfi, dopo molti consigli tenuti alla Parte, pensarono pacificarsi co’ Ghibellini che erano di fuori. E saviamente concordarono ridursi con loro a pace sotto il giogo della Chiesa, acciò che i legami fussono mantenuti dalla fortezza della Chiesa: e celatamente ordinorono, che il Papa fusse mezo alla loro discordia. Il quale, a loro petizione, mandò messer frate Latino, cardinale, in Firenze, a richiedere di pace amendue le parti. Il quale giunto, domandò sindachi di ciascuna parte, e che in lui la compromettessono; e così feciono. E per vigore del compromesso sentenziò, che i Ghibellini tornassono in Firenze con molti patti e modo; e accordò tra loro li ufici di fuori; e al governo della città ordin= XIIII cittadini, cioè VIII Guelfi e VI Ghibellini; e a molte altre cose pose ordine, e pene ad amendue le parti, legandoli sotto la Chiesa di Roma. Le quali leggi e patti e promesse fe’ scrivere tra le leggi municipali della città.

La potente e superba famiglia degli Uberti, sentenziò stesse alcuno tempo a’ confini, con altri di loro parte: e dove fussono le loro famiglie, godere i loro beni come gli altri; e a quelli che sostenessono lo incarico de’ confini, fusse dato dal Comune, per ristoro del suo esilio, alcuni danari il dì ma meno al non cavaliere che al cavaliere.