Dalla Terra alla Luna/Capitolo IX

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Capitolo IX

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Jules Verne - Dalla Terra alla Luna (1865)
Traduzione dal francese di C. o G. Pizzigoni (1872)
Capitolo IX
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LA QUISTIONE DELLE POLVERI.


Rimaneva da trattarsi la quistione delle polveri. Il pubblico aspettava con ansia l’ultima decisione. La grossezza del proiettile, la larghezza del cannone erano date; quale sarebbe la quantità di polvere necessaria per dare l’impulso? Questo agente terribile, i cui effetti però sono in potere dell’uomo, stava per essere chiamato a rappresentare la sua parte in proporzioni inusate.

Comunemente si sa, e si ripete volentieri, che la polvere fu inventata nel quattordicesimo secolo dal monaco Schwartz, che pagò colla vita la sua grande scoperta. Ma ormai è quasi provato che questa storia dev’essere collocata fra le leggende dell’età di mezzo. La polvere non è stata inventata da nessuno; essa viene direttamente dai fochi greci composti al più di esca, di zolfo e di salnitro. Solamente, da quel tempo, tali misture, che non erano se non misture fondenti, si sono trasformate in misture detonanti. [p. 76 modifica]Ma se gli eruditi conoscevano perfettamente la falsa storia della polvere, pochi rendonsi conto della sua potenza meccanica. Ora ciò è quanto vuolsi sapere per comprendere l’importanza della quistione sottoposta al Comitato.

Così un litro di polvere pesa circa due libbre1 (900 grammi); infiammandosi, esso produce quattrocento litri di gaz; questi gaz, resi liberi e sotto l’azione di una temperatura portata a duemila e quattrocento gradi, occupano lo spazio di quattromila litri. Dunque il volume della polvere sta ai volumi dei gaz, prodotti dalla sua deflagrazione, come uno sta a quattromila. Che si giudichi allora della spaventevole forza d’espansione dei gaz quando sono compressi in uno spazio quattromila volte troppo ristretto.

Ecco ciò che sapevano perfettamente i membri del Comitato quando l’indomani entrarono in seduta. Barbicane diede la parola al maggiore Elphiston, che era stato direttore delle polveri durante la guerra.

«Miei cari colleghi, disse il chimico illustre, comincerò dalle chiare cifre che ci serviranno di base. La palla da ventiquattro, di cui ci parlava ieri l’altro l’onorevole J. T. Maston, in termini così poetici, non viene scacciata dalla bocca da fuoco che da sedici libbre di polvere.

- Siete certo della cifra? domandò Barbicane.

- Assolutamente certo, riprese il maggiore. Il cannone Armstrong non esige che settantacinque libbre di polvere per un proiettile di ottocento [p. 77 modifica]libbre, e la Columbiad Rodman richiede soltanto centosessanta libbre di polvere per mandare la sua palla di mezza tonnellata. I fatti da me esposti non possono essere messi in dubbio, perchè li ho rilevati io stesso dai processi verbali del Comitato d’artiglieria.

- Benissimo, rispose il generale.

- Ebbene! riprese il maggiore, ecco la conseguenza che vuolsi dedurre da tali cifre, e cioè: la quantità della polvere non aumenta col peso della palla; e però se occorressero sedici libbre di polvere per una palla da ventiquattro, o, con altre parole, se pei cannoni comuni si adopera una quantità di polvere del peso di due terzi quello del proiettile, tale proporzione non è costante. Calcolate, e vedrete che per le palle di mezza tonnellata, invece di trecentotrentatre libbre di polvere, questa quantità è stata ridotta a centosessanta soltanto.

- Che cosa volete inferirne? domandò il presidente.

- Se spingete la vostra teoria all’estremo, mio caro maggiore, disse J. T. Maston, giungerete a tal punto che, quando la palla avrà un certo peso, non adopererete un solo granello di polvere.

- All’amico Maston piace di scherzare anche sulle cose serie, replicò il maggiore; ma si rinfranchi; io proporrò tosto delle quantità di polvere che soddisferanno il suo amor proprio d’artigliere. Soltanto mi preme di constatare che durante la guerra, e per i più grossi cannoni, il peso [p. 78 modifica]della polvere è stato ridotto, dopo l’esperienza fatta, al decimo del peso della palla.

- Non v’ha nulla di più esatto, disse Morgan. Ma prima di stabilire la quantità di polvere necessaria per dare l’impulso, ritengo che sarà bene intendersi in merito alla qualità.

- Noi ci serviremo della polvere a grossi grani, rispose il maggiore, la sua deflagrazione è più rapida di quella del polverino.

- Senza dubbio, replicò Morgan; ma è molto maligna, e finisce col danneggiare l’anima dei cannoni.

- Benissimo! ciò che è sconveniente per un cannone destinato a fare un lungo servizio non lo è per la nostra Columbiad. Non abbiamo alcun pericolo d’esplosione, e bisogna che la polvere si infiammi istantaneamente, affinchè l’effetto meccanico sia completo.

- Potrebbesi, disse J. T. Maston, fare parecchi luminelli, in modo da metter il foco su diversi punti ad un tempo.

- Senza dubbio, rispose Elphiston, ma ciò renderebbe la manovra più difficile. Insomma, io ritorno alla mia polvere a grossi grani, che sopprime queste difficoltà.

- Sia, rispose il generale.

- Per caricare la Columbiad, riprese il maggiore, Rodman adoperava una polvere a grani grossi come castagne, fatta con carbone di salice semplicemente torrefatto in caldaie di ghisa. Questa polvere era dura e lucente, non lasciava alcuna traccia sulla mano, conteneva in grandi pro [p. 79 modifica]porzioni idrogeno ed ossigeno, esplodeva istantaneamente, e quantunque assai maligna, non danneggiava sensibilmente le bocche da fuoco.

- Ebbene! mi sembra, rispose J. T. Maston, che non dobbiamo esitare, e che la nostra scelta è fatta.

- A meno che non preferiate la polvere d’oro, replicò il maggiore ridendo, ciò che gli meritò un gesto minaccioso dell’uncino del suo suscettibile amico.

Fino allora Barbicane erasi tenuto estraneo alla discussione. Lasciava parlare ed ascoltava. Al certo aveva un’idea sua, per cui si accontentò di dire semplicemente:

«Ora, amici miei, quale quantità di polvere proponete?

I tre membri del Gun-Club si guardarono l’un l’altro per un istante.

«Dugentomila libbre, disse infine Morgan.

- Cinquecentomila replicò il maggiore.

- Ottocentomila libbre, esclamò J. T. Maston.

Questa volta Elphiston non osò accusare il suo collega di esagerazione. Infatti si trattava di mandare fino alla Luna un proiettile del peso di ventimila libbre e di dargli una forza iniziale di dodicimila iardi al minuto secondo. Un momento di silenzio seguì la triplice proposta fatta dai tre colleghi.

Infine fu rotto dal presidente Barbicane.

«Miei coraggiosi camerata, diss’egli con voce tranquilla, io parto dal principio che la resistenza del nostro cannone costrutto colle volute condi [p. 80 modifica]zioni è illimitata. Io sorprenderò l’onorevole J. T. Maston dicendogli che si mostrò pauroso ne’ calcoli, e proporrò di raddoppiare le sue ottocentomila libbre di polvere.

- Un milone e seicentomila libbre! esclamò J. T. Maston alzandosi di botto.

- Nè più nè meno.

- Ma allora bisogna far ritorno al mio cannone lungo mezzo miglio.

- È chiaro, disse il maggiore.

- Un milione e seicentomila libbre di polvere, riprese il segretario del Comitato, occuperanno uno spazio di ventiduemila piedi cubici2 circa; ora, siccome il nostro cannone non ha che una contenenza di cinquantaquattromila piedi cubi3, sarà riempiuto a metà, e l’anima non sarà più lunga bastantemente perchè lo sviluppo dei gaz dia al proiettile un impulso sufficiente.

Non v’era nulla da replicare. J. T. Maston diceva il vero. Tutti guardarono Barbicane.

«Tuttavia, rispose il presidente, questa quantità di polvere mi persuade. Ma figuratevi! un milone e seicentomila libbre di polvere produrranno sei miliardi di litri di gaz. Sei miliardi! mi capite?

- Ma allora come si farà? domandò il generale.

- È cosa semplicissima: bisogna ridurre tale enorme quantità di polvere conservandole però nello stesso tempo uguale potenza meccanica.

- Benone! ma con qual mezzo?

- Ve lo dirò, rispose semplicemente Barbicane. [p. 81 modifica]I suoi interlocutori lo divorarono cogli occhi.

«Nulla è più facile infatti, egli riprese, che di ridurre questa massa di polvere ad un volume quattro volte meno considerevole. Voi conoscete tutti la sostanza che costituisce i tessuti elementari dei vegetali, e che si chiama la cellulosa.

- Ah! esclamò il maggiore, vi comprendo, mio caro Barbicane.

- Questa sostanza, disse il presidente, si ottiene allo stato di purezza perfetta nei diversi corpi, e più specialmente nel cotone, che altro non è se non il pelo dei grani delle piante di cotone. Ora il cotone, combinato con acido azotico a freddo, si trasforma in una sostanza eminentemente insolubile, eminentemente combustibile, eminentemente esplosiva. Alcuni anni or sono, nel 1832, un chimico francese, Braconnot, scoperse questa sostanza ch’egli chiamò Xyloïdine. Nel 1838, un altro francese, Pelouze, ne studiò le diverse proprietà, e infine nel 1846, Shonbein, professore di chimica a Basilea, la propose come polvere da guerra. Questa polvere è il cotone azotico...

- O pirossilo, rispose Elphiston.

- O cotone fulminante, replicò Morgan.

- Non v’è dunque un nome americano da scrivere sotto questa scoperta? esclamò J. T. Maston, spinto da un vivo sentimento d’amor proprio nazionale.

- Nemmeno uno per disgrazia, rispose il maggiore.

- Tuttavia, per soddisfare Maston, riprese il presidente, gli dirò che i lavori di un nostro [p. 82 modifica]concittadino possono aver relazione collo studio della cellulosa, perchè il collodio, che è fra gli agenti principali della fotografia, è semplice pirossilo disciolto nell’etere diluito con alcool, ed è stato scoperto da Maynard, allora studente in medicina a Boston.

- Ebbene! evviva Maynard, evviva il cotone fulminante! esclamò il chiassoso segretario del Gun-Club.

- Io ritorno al pirossilo, riprese Barbicane. Voi conoscete le sue proprietà che stanno per renderlo così prezioso; esso preparasi colla maggiore facilità; s’immerge il cotone nell’acido azotico fumante4 per quindici minuti, poi lo si lava in acqua pura, lo si fa asciugare e tutto è fatto.

- Nulla di più semplice infatti, disse Morgan.

- Inoltre il pirossilo è inalterabile all’umidità, qualità preziosa agli occhi nostri, poichè occorreranno diversi giorni per caricare il cannone; la sua infiammabilità ha luogo a centosettanta gradi, non a dugento quaranta, per cui è tanto subitanea che si può accenderlo sulla polvere comune, senza che questa abbia tempo di pigliar fuoco.

- Ottimamente, rispose il maggiore.

- Soltanto è più costoso.

- E che importa? osservò J. T. Maston.

- Infine comunica ai proiettili una velocità quattro volte superiore a quella della polvere, e aggiungerò anzi che, se vi si mischiano gli otto decimi del suo peso di nitrato di potassa, la sua potenza [p. 83 modifica]espansiva è ancora aumentata in grande proporzione.

- Sarà necessario? domandò il maggiore.

- Non lo credo, rispose Barbicane. E però invece di un milione e seicentomila libbre di polvere, non avremo che quattrocentomila libbre di cotone fulminante, e siccome si possono comprimere senza pericolo cinquecento libbre di cotone in ventisette piedi cubi, questa materia non occuperà che un’altezza di trenta tese nella Columbiad. In tal guisa, la palla avrà più di settecento piedi d’anima da percorrere sotto lo sforzo di 6 milioni di litri di gaz, prima di pigliare il volo verso l’astro della notte».

A questo periodo J. T. Maston non potè contenere la propria commozione: ei si gettò nelle braccia dell’amico suo colla violenza di un proiettile, e al certo l’avrebbe sfondato, se Barbicane non fosse stato costrutto a prova di bomba.

Siffatto incidente diede fine alla terza seduta del Comitato. Barbicane ed i suoi audaci colleghi, ai quali nulla pareva impossibile, avevano sciolto il quesito in complesso del proiettile, del cannone e delle polveri. Una volta fatto il piano, più non c’era che mandarlo ad effetto.

«Semplice particolare, cosa da nulla», diceva J. T. Maston.


Osservazione. In questa discussione il presidente Barbicane rivendica per uno de’ suoi compatrioti l’invenzione del collodio. Con buona licenza del signor J. T. Maston, quest’è un errore proveniente dalla somiglianza dei due nomi.

Nel 1847, Maquard, studente in medicina a Boston, pensò di far uso del collodio nelle cure delle piaghe; il collodio era conosciuto fino dal 1846. Si è ad un francese, elettissimo ingegno, e valente pittore, e poeta, e filosofo, e grecista, e chimico, al signor Luigi Menard, cui è dovuto l’onore di questa grande scoperta.

J. V.

[p. 254 modifica]

Schwartz pagò con la vita la sua grande scoperta.

(Pag. 75).

Note

  1. La libbra americana è di 453 grammi
  2. Un po’ meno di 800 metri cubi.
  3. Duemila metri cubi.
  4. Così chiamato, perchè al contatto dell’aria umida spande un denso fumo bianchiccio.