Dalle dita al calcolatore/XIII/10

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10. Applicazioni al settore educativo

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[p. 239 modifica]10. Applicazioni al settore educativo

Una delle prime aree ad essere investita dal nuovo ciclone è stata quella della formazione: fin dalla seconda guerra mondiale, alle forze armate si era posto il problema di addestrare rapidamente e a basso costo i numerosi operatori che dovevano prestare servizio su apparati tecnologicamente avanzati, come radar, sonar, ecc.; anche i serventi dell’artiglieria contraerea dovevano imparare metodi di tiro piuttosto complessi e sofisticati.

Per l’addestramento di tutto questo personale erano state messe a punto teaching-machines derivate dalle tabulatrici e basate sulla impostazione pedagogica behavioristica. Con la comparsa degli elaboratori, di macchine capaci cioè di modificare il proprio comportamento in base alle risposte ottenute, sembrò essere arrivato il trionfo della impostazione pedagogica che le aveva sostenute, e vari gruppi di ricerca si misero a realizzare programmi di “apprendimento” con questo indirizzo.

Tra i numerosi prodotti che comparvero fin dagli anni cinquanta ricorderemo i simulatori di volo, calcolatori utilizzati per simulare il comportamento di un aereo in volo attraverso la proiezione di opportune immagini su alcuni schermi, e il movimento della “cabina di pilotaggio” mediante stantuffi comandati dall’elaboratore. Il primo simulatore di volo risalente al [p. 240 modifica]periodo bellico era gestito da una tabulatrice. Nel 1951, con la costruzione di “Wirlwind”, si ebbe la realizzazione del primo simulatore di volo completamente controllato da un calcolatore. I simulatori di volo computerizzati si sono imposti come mezzi di addestramento, e ancora oggi vengono gestiti con computer molto sofisticati. Da alcuni anni è anche comparsa una serie di programmi per personal che simulano in maniera abbastanza realistica il comportamento di un aereo da turismo in volo su alcune regioni reali.

Altro programma di questa categoria, approntato negli anni cinquanta e nei primi anni sessanta, è PLATO, un blocco di unità che dovrebbero insegnare all’utente tutto lo scibile umano.

Lo schema concettuale su cui si fonda PLATO consiste nel premiare le risposte giuste e nel disincentivare le risposte sbagliate ad una serie di quesiti su un argomento assegnato. Programmi simili furono utilizzati ampiamente nelle università americane degli anni sessanta, ma a causa degli scarsi risultati che si conseguirono furono abbandonati dal settore della formazione, ma conservano invece la loro validità nel campo dell’addestramento.

A dire il vero, gli studi pedagogici, specie in Europa, avevano superato l’impostazione behavioristica già da alcune decine di anni, ma i programmi venivano realizzati da specialisti di informatica le cui conoscenze pedagogiche erano abbastanza approssimative. Questo stato di cose conobbe negli anni settanta una trasformazione radicale dovuta a due fatti: da un canto la comparsa dei nuovi linguaggi di programmazione e di macchine sempre più economiche permetteva anche a specialisti in pedagogia di avvicinarsi ai calcolatori; dall’altro, si constatò la possibilità di ottenere risultati molto validi mettendo a disposizione di alcuni ragazzi dei terminali. I ragazzi così coinvolti si interessavano attivamente al nuovo “gioco”, arrivando a [p. 241 modifica]sviluppare nuovi programmi. Questa esperienza, condotta in alcuni college statunitensi, convinse vari pedagogisti di quel paese, della validità dell’approccio “non direttivo” nell’attività educativa.

Una frase di Seymour Papert, allora direttore del dipartimento di educazione dell’M.I.T., riassume questa inversione di rotta: “In molte scuole oggi l’espressione — istruzione con l’ausilio dell’elaboratore — significa che l’elaboratore è usato per insegnare al bambino. Si potrebbe dire che l’elaboratore è usato per programmare il bambino. Nella mia visione delle cose il bambino programma l’elaboratore, e così facendo acquista nello stesso tempo, il senso di padroneggiare un elemento della più moderna e potente tecnologia, e stabilisce un contatto intimo con alcune delle più profonde idee della scienza, della matematica e dell’arte di costruire modelli intellettuali” (25a).

Viene cioè recepito quanto ormai era stato scoperto dalla pedagogia da parecchio tempo: non l’ascoltare enunciazioni ma il realizzare prodotti validi è la base di una corretta e valida formazione. Bisogna anche dire che la straordinaria diffusione dei calcolatori porta a supporre che il processo iniziato con la comparsa di LOGO sia destinato ad avere effetti assolutamente imprevedibili proprio sullo sviluppo delle capacità di comprensione della realtà, nelle persone che vi saranno maggiormente coinvolte.

LOGO è un linguaggio di programmazione destinato ai bambini, e permette la realizzazione di programmi semplici e spettacolari, ma anche notevolmente complessi, essendo organizzato per sostenere una struttura logica ad albero, propria dei linguaggi di programmazione più avanzati.

Altra caratteristica di LOGO è la “geometria della tartaruga”, uno strumento concettuale che permette a bambini molto piccoli e quindi privi di conoscenze matematiche sofisticate di gestire la costruzione di figure sullo schermo.