Dalle dita al calcolatore/XIV/5

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5. Quali obiettivi?

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[p. 266 modifica]5. Quali obiettivi?

Esiste anche la difficoltà di saper valutare con attenzione non solo l’obiettivo che ci poniamo, ma anche il costo, in termini generali, del suo conseguimento; dobbiamo cioè imparare a valutare se quello che ci proponiamo sia un “buon” obiettivo. La definizione di buon obiettivo è un nodo cruciale, e si presta a moltissime discussioni: sarebbe forse più semplice sostituire il concetto di “buono” con quello, meno ambiguo anche se più prosaico, di “vantaggioso”. Fatto questo, rimane da verificare per chi deve essere vantaggioso un buon obiettivo... Ormai la natura ha sempre più raramente la possibilità di impedire le realizzazioni che supponiamo [p. 267 modifica]dannose. L’unica forza che può opporsi al danno nell’interesse generale è un gruppo di pressione che, utilizzando gli stessi sofisticati strumenti di conoscenza e di comunicazione, sappia promuovere una campagna per ottenere il rispetto dell’ambiente.

Questo gruppo dovrà avvalersi, con altrettanta o forse maggiore intelligenza creativa, degli stessi mezzi di informazione. Sarà utile stabilire alleanze (per tornare al nostro esempio) con i costruttori di ferrovie, con i proprietari dei terreni da espropriare e così via, ma soprattutto sarà necessario che il più alto numero possibile di persone capisca che sta subendo un furto, e solo l’accesso alle fonti delle conoscenze e delle informazioni può consentire lo sviluppo di tale capacità di comprensione.

In sostanza, bisogna ricordare che le macchine servono quelli che ne sanno utilizzare le potenzialità: è chiaro che le ha costruite e pensate il potere, è anche chiaro che, fino ad ora, le ha utilizzate sempre il potere, ma non è detto che sia sempre solo così; inoltre, il potere non è una struttura monolitica perfettamente oliata e accentrata. Nelle nostre società ne esistono parti, più o meno grandi, in ogni gruppo, e queste parti possono essere usate più o meno bene, in varie direzioni, o non essere usate del tutto.

La questione ha ovviamente uno spessore etico e politico, ma anche, una valenza culturale. In fin dei conti, noi non ci troviamo in una situazione molto diversa da quella in cui si trovarono i Sumeri: l’arricchimento tecnico, progressivo e inarrestabile (fino a che punto?), ci pone di fronte al bisogno di fondare una nuova cultura che faccia tesoro delle strutture logiche messe a punto in questi anni di ricerca e predisponga già un apposito spazio per le future acquisizioni.

Un esempio di cosa sia possibile fare, lavorando con un approccio valido, è dato dallo studio e dal dibattito sul cosiddetto “inverno nucleare”.

La capacità di calcolo di alcuni elaboratori, [p. 268 modifica]nemmeno troppo sofisticati, ha permesso a un gruppo di ricercatori di evidenziare elementi del probabile scenario che conseguirebbe a una guerra nucleare tra le superpotenze. Il risultato, ottenuto utilizzando modelli matematici messi a punto per effettuare previsioni meteorologiche, ha provocato un dibattito in tutto il mondo, che ha implicato importanti prese di posizione sia morali sia politiche.

Un altro esempio è dato dall’attività di alcune classi di scuola media, che hanno utilizzato un semplice programma di simulazione, elaborato dal professore di scienze assieme ai ragazzi, per capire cosa sarebbe successo dopo il disastro di Cernobyl. I ragazzi hanno previsto in primavera che in autunno ci sarebbe stato un aumento di concentrazione di radioattività nelle verdure. Questo si è realmente verificato.

Il problema è di capire perché alcune persone decidono di usare il calcolatore in un modo e altre in maniera diversa...

Prima di proseguire, vorremmo sottolineare che, in ogni caso, chi non dispone di questi mezzi non può decidere né di utilizzarli bene, né di utilizzarli male: è semplicemente tagliato fuori dalla possibilità di conoscere, di elaborare e di comprendere ciò che sta succedendo. È cioè un “povero” o, con altra espressione, uno “schiavo”, in quanto è privato del potere di agire sulla realtà. Potrà soltanto reagire sul piano emotivo, e quindi in modo superficiale, a eventi che non riesce affatto a padroneggiare, neppure a grandi linee. Un esempio di reazioni di questo tipo si è avuto nel caso del disastro di Cernobyl: moltissime persone si sono lasciate afferrare dal panico invece di assumere un atteggiamento razionale e consapevole.

Non è certo una novità che i poveri subiscano tale privazione; basti pensare che solo a partire dal secolo scorso si è avuta una pressoché capillare diffusione in Europa della scrittura, che è una tecnica nota da varie migliaia di anni. E si pensi infine che, se tale [p. 269 modifica]esclusione dal potere della conoscenza e dell’informazione è l’aspetto più grave dello stato di povertà nei nostri paesi, in quelli sottosviluppati, invece, essa è la causa primaria di un’umiliante miseria materiale.