Del Vaglio di Eratostene e della illustrazione fattane da Samuele Horsley negli atti della R. Società di Londra

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Bartolomeo Veratti

1859 Indice:Del vaglio d'Eratostene.djvu Saggi/Matematica matematica Del Vaglio di Eratostene e della illustrazione fattane da Samuele Horsley negli atti della R. Società di Londra Intestazione 16 maggio 2008 100% Matematica

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DEL VAGLIO DI ERATOSTENE


E DELLA ILLUSTRAZIONE FATTANE


DA SAMUELE HORSLEY


negli atti della r.società di londra


MEMORIA


DEL PROF. CAV. BARTOLOMEO VERATTI


letta alla r. accademia


nell’adunanza del 29 Aprile 1858



Fra gl’illustri matematici antichi de’ quali il nome e la fama, più che le opere ed i trovati, siano a noi pervenuti, havvi Eratostene. Egli escogitò un metodo per rinvenire i numeri primi sceverandogli da’ composti, che egli medesimo, o i posteri, appellarono Vaglio o Crivello (Κόσκινον); ed è tuttavia conosciuto sotto il nome di Vaglio di Eratostene.

Il Montucla per darne conto si prevalse di un’apposita dissertazione dell’inglese Samuele Horsley, come dell’unico fra i moderni che avesse posto in chiara luce il metodo del matematico greco. Ed all’Horsley parimente rimandano i moderni francesi compilatori del Dizionario delle Matematiche.

Ma questo metodo di Eratostene non ci è pervenuto descritto da lui medesimo; e solo ce lo hanno tramandato Nicomaco e Boezio nelle opere loro aritmetiche. Il dotto inglese, che assai poco conto faceva di questi antichi scrittori, li accusò di avere svisato il vero metodo di Eratostene; e si accinse a ricomporlo nella sua primitiva purezza.

[p. 4 modifica]Fino a qual punto sarà giusta la sua censura, e sarà meritata per parte sua la lode d’avere ristaurato quel metodo? Questa ricerca è l’oggetto della Memoria presente.

Nicomaco e Boezio asseriscono che il Vaglio d’Eratostene serviva a doppio uso: a conoscere cioè i numeri veramente primi; ed anche a conoscere quelli che fossero soltanto primi fra di loro. — L’Accademico inglese sostiene che questo secondo oggetto non poteva essere raggiunto col metodo d’Eratostene; che perciò questi non se lo propose nemmeno.

Determinare se due numeri siano primi rispettivamente fra di loro, è, dic’egli, un problema assai facile: ed Euclide lo scioglie colle tre prime proposizioni del settimo libro de’ suoi Elementi. Il problema difficile era di determinare se un qualunque numero dato fosse primo o composto assolutamente. Questo solo problema, come difficile, meritava dunque, secondo il Signor Horsley, che la gran mente di Eratostene se ne occupasse.

Inoltre.... ma invece di accennare abbreviando, sarà meglio riferire per intero le parole dell’Horsley1. «Nicomaco propone di fare tali segni sopra i numeri composti, che mostrino tutti i divisori di ciascuno. Per questa circostanza, e per le ripetute indicazioni di Nicomaco e del suo commentatore Giovanni Grammatico (che trovasi manoscritto nella biblioteca Saviliana ad Oxford), si sarebbe condotto ad immaginare che il Vaglio di Eratostene fosse qualche cosa di più di quello che il nome suo importa, vale a dire un metodo di stacciare i numeri primi dalla massa indistinta di tutti i numeri sì primi, come composti; e che, in un modo o in un altro, esibisse tutti i divisori d’ogni numero composto, e similmente mostrasse se [p. 5 modifica]due o più numeri composti fossero o no primi fra di loro. Io ho parecchie ragioni di credere che di ciò non si trattasse. Ne indicherò le principali il più brevemente possibile; perchè la materia non è sì importante da giustificarmi se trattengo minutamente intorno ad essa la Reale Società.

1.o Nella serie naturale dei numeri dispari, 3, 5, 7 ecc. ogni numero è divisore di alcuni di quelli che seguono. Dunque, se noi dovessimo avere segni per tutti li diversi divisori di ciascun numero composto, noi dovremmo avere un segno diverso per ogni numero dispari. Dunque dovremmo avere tanti segni, o sistemi di segni, quanti numeri; ed io non vedo che sia possibile trovare segni più compendiosi dei soliti caratteri numerici. E, tale essendo il caso, sarebbe impossibile praticamente (impracticable) condurre una Tavola, quale la propone Nicomaco, e i suoi commentatori l’hanno abbozzata, ad una lunghezza sufficiente per riuscire di uso, per rispetto alla moltiplicità dei divisori d’alcuni numeri ed alla confusione che ne proverrebbe. (Il numero 3465 p. e. non ha meno di 22 diversi divisori). Si stenta a supporre che Eratostene potesse passar sopra a quest’ovvia difficoltà, sebbene Nicomaco non vi abbia fatta attenzione. Dunque Eratostene non intendeva di costruire una Tavola siffatta.

2.o Eratostene non potea non accorgersi che il determinare se due o più numeri siano primi o composti in relazione fra di loro, si può fare in ogni caso più facilmente col metodo diretto dato da Euclide, che non col metodo del Vaglio. Ed egli non potea pensare di applicare questo metodo ad un problema, al quale altro metodo era meglio adattato.

Finalmente, Eratostene non poteva imaginarsi che il metodo del Vaglio dovesse essere applicato a trovare tutti i divisori possibili d’ogni dato numero composto, perchè egli non poteva ignorare il modo assai più facile di ciò [p. 6 modifica]fare, che si fonda sopra due ovvii teoremi, che non gli potevano essere ignoti.

Questi teoremi sono i seguenti:

1.o Se due numeri primi si moltiplicano fra di loro, il prodotto non ha altri divisori, che i due primi fattori.

2.o Se un numero primo moltiplica un numero composto, e parimente moltiplica uno dopo l’altro tutti i divisori di questo numero composto, i numeri prodotti dalle moltipliche di questi divisori saranno divisori del numero prodotto colla prima moltiplicazione. Ed il numero prodotto colla prima moltiplicazione non avrà altri divisori fuorchè i due fattori, i divisori del fattore composto, ed i numeri fatti moltiplicando separatamente questi divisori pel fattore primo.

Il metodo per trovare tutti i divisori d’ogni numero composto, dato dal Newton nella Arithmetica Universalis, e dal Maclaurin nel suo Trattato di Algebra, può essere dedotto da queste proposizioni, come agevolmente scorgerà ogni matematico. Infatti questo metodo richiede che il minimo divisor primo sia trovato previamente: e se accada che il minimo primo divisore sia un numero grande, siccome non è possibile assegnarlo per mezzo di un metodo generale, sarebbe molto tedioso l’investigarlo con ripetuti tentativi. Una tavola pertanto dei numeri dispari ne’ quali ciascuno de’ composti avesse notato sopra di se il suo minimo primo divisore sarebbe di molta utilità. Ma il progetto di Nicomaco di costruire una tavola nella quale ogni numero composto avesse scritti di sopra tutti i suoi divisori è ridicolo e assurdo per riguardo alle insuperabili difficoltà che ne colpirebbero l’esecuzione.»

Ma la malagevolezza d’una impresa non la rende nè ridicola, nè assurda: e ridicolo più tosto si fa chi ardisca dichiarare assurdo un problema senza dimostrarne l’intrinseca ripugnanza. Nè può sfuggire a chicchessia che delle tre ragioni addotte dall’Horsley soltanto la prima, la quale si [p. 7 modifica]fonda sopra la pratica impossibilità di formare una Tavola conforme al suggerimento di Nicomaco, si presenta con un valore obbiettivo. Le altre due sono per così dire ragioni subbiettive: ed inoltre son tali che solo potrebbero valere ove si quistionasse se il metodo esposto da Nicomaco fosse o no degno d’un ingegno felice ed acuto.

Ma finchè si cerchi solo il fatto storico se il metodo di Eratostene fosse quale ci è stato narrato da Nicomaco e da Boezio, affatto inutile è la ricerca se esso sia il metodo più semplice e più commendevole. In tutte le cose e in tutte le scoperte il massimo della semplicità e dell’eleganza, raro è che si trovi di primo slancio. E il facile est inventis addere si verifica ancora qui.

Si cerca storicamente qual fosse il metodo inventato da Eratostene: e se Eratostene diè il nome di Vaglio ad un metodo che poteva servire al raggiungimento di due fini, cioè a trovare non solo i numeri assolutamente primi, ma ancora quelli primi relativamente. Che se, per servire a questo doppio oggetto, il metodo riesce più complicato e laborioso di quello che occorrerebbe per raggiungere un solo scopo; e se potevasi senza danno trascurare uno di questi fini, per conseguire il quale si aveano altri mezzi; ciò vorrà dire soltanto che si potea semplificare l’invenzione d’Eratostene. E la lode d’averla condotta a maggiore semplicità, è giustamente meritata dall’Horsley.

Ma se poi si cerchi quale fu precisamente il metodo che Eratostene escogitò e fece di pubblica ragione, trattandosi di cosa di fatto, pare che si debba cercare prima di tutto nelle antiche memorie; e che un documento antico, e un’antica tradizione, abbiano (nella mancanza di un apposito scritto di Eratostene) maggior valore che non tutti i raziocinii metafisici.

Ora la notizia del Vaglio di Eratostene fu tramandata ai posteri unicamente da Nicomaco e da Boezio: ed entrambi raccontano che esso serviva a quel doppio uso. — Lecito [p. 8 modifica]era dunque all’accademico inglese asserire quel metodo meritevole d’essere semplificato: ma non eragli lecito negare che così fosse venuto trovato ad Eratostene. L’autorità di uno scrittore nella narrazione di un fatto non si distrugge cercando di screditarlo come poco profondo nella scienza. E la fede che si attribuisce alla narrazione di un fatto non dipende dalla stima che si faccia della dottrina del narratore: chè altro è la sincerità di un testimone, ed altro la perizia di un esperto. Ma l’accademico inglese non si tenne vincolato a questi canoni di critica, punto più che ad un sentimento di gratitudine; essendo poi alla fine Nicomaco e Boezio i soli che di quel Vaglio abbiano fatta una descrizione. Egli si libera del peso della loro autorità, come narratori, ed insieme da quello della riconoscenza, parlandone così: «Eratostene, la cui maestria in ogni ramo di filosofia e di letteratura de’ suoi tempi rese tanto famoso il suo nome fra i Saggi della scuola Alessandrina, fu inventore di un metodo indiretto, col quale si può costruire una siffatta Tavola, e condurla ad una grande lunghezza in breve tempo, e con poca fatica. Questa straordinaria ed utile invenzione è al presente, io credo, poco o nulla conosciuta: essendo descritta soltanto da due scrittori, letti di rado, e da essi poi anche oscuramente; da Nicomaco Gerasino, superficiale scrittore (shallow writer) del 3o o del 4o secolo, che sembra essere stato condotto alle speculazioni matematiche, non tanto da qualche genio per esse, quanto dalla tenerezza pei misteri della filosofia pitagorica e platonica; e da Boezio, il cui trattato sopra i numeri non è altro che un compendio del miserabile lavoro di Nicomaco (of the wretched performance of Nicomachus).»

La sola delle ragioni dell’Horsley che potesse essere presa a calcolo nella presente quistione storica, sarebbe quella della impossibilità pratica di costruire una tavola di numeri quale è descritta da questi autori. E qui, senza pretendere che il dotto inglese si provasse a costruirla, pare che almeno [p. 9 modifica]avrebbe dovuto andar più a rilento nel sentenziarla impraticabile ed assurda, ponendo mente che era già stata fatta. Ma a lui pare stasse troppo a cuore di regalare ad Eratostene un proprio metodo, ovvero di nobilitare la propria invenzione col bel nome di Eratostene, per darsi fastidio della obbiezione: non essere impossibile ciò che pure è fatto ed esiste. — È degna d’essere veduta la maniera colla quale egli si toglie d’imbarazzo.

«Prima che io entri nel mio soggetto (così egli) debbo prendermi la libertà di fare qualche osservazione sopra una certa Tavola, che in mezzo ad altre cose attribuite ad Eratostene, è stampata alla fine della bella edizione di Arato pubblicata ad Oxford nel 1672, ed è ornata del titolo di Κόσκινον Ἐρατοσθένους. Essa contiene tutti i numeri dispari dal 3 fino al 113 inclusivamente, distribuiti in piccole cellette, con sopra in ogni celletta tutti i divisori d’ogni numero composto; ed i numeri primi sono distinti, per quanto dura la tavola, per non avere sopra di se nessun divisore. Questa Tavola è stata copiata probabilmente o da un Commento greco dell’Aritmetica di Nicomaco, che si conserva fra i manoscritti di Mr. Selden nella Libreria Bodleiana, nel quale, sebbene il manoscritto sia ora tanto deperito da essere in molti luoghi illeggibile, io trovo chiari vestigi di una tal tavola, che poteva essere più perfetta 100 anni addietro quando fu pubblicato l’Arato d’Oxford; ovvero da un altro Commento tradotto da un manoscritto greco in latino, ed in questa lingua pubblicato dal Camerario, nel quale s’incontra una Tavola della identica forma, che si estende dal numero 3 al 109 inclusivamente. Può essere sufficiente difesa per l’editore di Arato l’avere avuto queste autorità nel pubblicare quella Tavola siccome Vaglio d’Eratostene; specialmente per essere in una certa misura sostenute da alcuni tratti di Nicomaco medesimo. Ma il Vaglio d’Eratostene era affatto un’altra cosa. [p. 10 modifica]L’editore d’Oxford ha annesso alla sua tavola, per ispiegarne l’uso, alcuni passi staccati scelti da lui dal testo di Nicomaco, e dal Commento sopra di questo attribuito a Giovanni Grammatico.... Ma sopra quali principj e con quale regola debba essere costrutta quella Tavola, non è ivi spiegato. È chiaro che per segnare i numeri composti, è necessario conoscere quali siano tali. E senza una regola per distinguere i numeri primi dai composti, la quale sia indipendente da qualunque tavola in che debbano essere controdistinti da un segno, è impossibile giudicare se la tavola è giusta nella parte che ne sia fatta, e di estenderla più oltre se ciò sia richiesto. Ora, si è la Regola con che distinguere i numeri primi dai composti, e non già una Tavola costrutta non sappiam come, che fu inventata da Eratostene, e ad essa l’autore diè il nome di Vaglio per l’uso suo, e per la natura della operazione, la quale procede (come vedremo) per una graduale eliminazione dei numeri composti dalla serie aritmetica 3, 5, 7, 9, 11 ecc. continuata all’infinito. Io ho pensato necessario di premettere queste riflessioni per rimovere il pregiudizio, il quale, per essere nelle mani di tutti la bella e stimabile edizione di Arato, ho temuto che alcuno aver possa concepito, essere quella male accozzata tavola (ill-contrived table), opera inutile di qualche monaco dei secoli barbari, il tutto della invenzione del grande Eratostene, e per giustificar me medesimo da qualunque possibile sospetto di aver tentato di mietere l’altrui seminato.»

Quest’ultima accusa io non vorrò muovere al certo al dotto accademico inglese. Ma non parlando per ora della forza logica del raziocinio da lui qui esposto, non so tacere che egli volea dire assurda, ridicola, e praticamente impossibile una Tavola che presentasse tutti i divisori dei numeri. Ma egli medesimo cogli occhi suoi ha veduta fatta questa Tavola non fattibile; e piuttosto che ammettere esser [p. 11 modifica]esser possibile e fattibile ciò che è stato fatto, crede di trarsi d’impaccio col dire che essa alla fine non è che l’opera di qualche Monaco de’ secoli barbari.

Convien dire che fra i diritti del Clero Anglicano, al quale apparteneva l’Horsley, vi fosse, almeno a’ tempi di questo, anche quello di riguardare come non esistente qualunque cosa fosse provenuta dalle mani dei Monaci, se la R. Società di Londra credette di accogliere puramente e semplicemente fra gli atti proprj questa curiosa ragione.

Passiamo ora a guardare più da presso l’operazione e la teoria del Vaglio. In ordine alla quale l’Horsley si prende cura di avvertire ch’ei la esporrà secondo le idee proprie, non tenendosi obbligato ad uniformarle a quelle di Nicomaco, ch’ egli è persuaso essere erronee in molte parti. Al greco aritmetico egli concede soltanto alcune osservazioni circa le relazioni de’ numeri dispari fra loro, le quali «sono certamente sue proprie, perché prive d’importanza in se medesime e del tutto estranee al proposito. Io ometto (prosegue l’Horsley) tutto questo, ed avendo stabilito ciò che reputo essere stata la genuina teoria del metodo di Eratostene, purgata dalle adulterazioni di Nicomaco, ne deduco una operazione di grande semplicità, che scioglie il problema in quistione con meravigliosa agevolezza, e la quale per essere la più semplice che sembri potere essere prodotta da quella teoria, io non ho veruno scrupolo nell’adottarla come la originale operazione del Vaglio, sebbene dissimile da quella che si trova in Nicomaco.»

Quid dignum tanto feret hic promissor hiatu?

Egli ragiona così:

«Eccetto il 2, nessun numero pari si è primo; dunque ogni numero primo, tranne il 2, sarà incluso nella serie de’ numeri dispari nell’ordine loro naturale, estesa all’infinito. Ma ogni numero non primo è multiplo di qualche numero primo, come dimostrò Euclide (Elem. 7, prop. 33). Dunque la serie predetta conterrà i numeri primi, ed i [p. 12 modifica]loro multipli. Questi multipli poi si seguono, in questa serie, a distanze regolari; e così si ha il modo di distinguerli facilmente e di levarli via. Ed in vero fra il 3 ed il suo primiero multiplo 9, si trovano due numeri non multipli di 3. Fra 9 e il prossimo multiplo di 3, cioè il 15, altri due se ne incontrano non multipli di esso 3. E di nuovo fra il 15 e l’altro prossimo multiplo di 3, che è 21, cadono altri due numeri non multipli di 3, e così via discorrendo. Ancora fra 5 e il prossimo suo multiplo 15, stanno quattro numeri non multipli di 5: e così altri quattro si trovano fra 15 e 25 che è il successivo multiplo di 5, e così seguitando. Parimente fra ogni pajo di multipli del 7, come si trovano nell’ordine loro naturale in questa serie, si frappongono sei numeri che non sono multipli di 7. Ed universalmente fra ogni due multipli di un qualunque numero n, come essi stanno nell’ordine loro naturale nella serie, si trovano n-1 numeri che non sono multipli di n.

Di qui si deriva l’operazione. I termini tutti che seguono il 3 si contano a tre a tre ed ogni terzo numero si cancella; così rimangono cancellati tutti i multipli di 3. Il primo numero susseguente al tre, che non sia cancellato, è 5. Si cancelli il quadrato di 5; e dopo questo contando per cinque tutti i termini seguenti, si cancelli ogni quinto numero, se non fosse già stato cancellato prima fra i multipli del 3. E così saranno cassati tutti i multipli di 5. Parimente si cancella il quadrato di 7, e contando a sei a sei i numeri che gli vengon dopo, si cancella ogni settimo numero, che non fosse stato cancellato nelle precedenti cancellazioni..... E così si continua fino a che il primo numero non cancellato che ci si presenta dopo quello i cui multipli sono stati cancellati immediatamente prima, sia tale che il suo quadrato superi l’ultimo e maggior numero al quale sia estesa la serie. I numeri che rimangono non cancellati sono tutti i numeri primi, eccetto il 2, che si presentano [p. 13 modifica]nella naturale progressione dei numeri dall’1 al limite della serie. Per limite della serie io intendo il numero ultimo e più grande, al quale siasi creduto conveniente di estendere la serie.»

Così l’Horsley; al quale non può negarsi essere facile e semplice assai l’espediente di cancellare i numeri composti; e cancellati che siano una volta, non darsene più pensiero nelle successive cancellazioni. Ma sarà permesso osservare che nè Nicomaco nè Boezio lasciarono scritto che l’operazione di Eratostene fosse di una meravigliosa agevolezza, e richiedesse poco tempo e poca fatica. E poi ancora, che la meravigliosa facilità di questa operazione è per altro alligata alla condizione che si prenda per limite alla serie un numero non troppo alto. Chi fosse sì indiscreto o curioso da volere i numeri primi che si trovano fra l’uno e il milione; o anche solo quelli che passino le tre o quattro cifre, potrebbe trovare che non è poi sì lieve la fatica, nè sì corto il tempo che vi debba impiegare.

Risovveniamoci ancora che l’accademico inglese ha rimproverato a Nicomaco di aver cercata una Tavola senza una regola che servisse antecedentemente a distinguere i numeri che doveano essere contradistinti in essa Tavola; e che ha biasimata e trascurata, come inutile lavoro d’un qualche Monaco del medio evo, la Tavola, che per essere venuta da tali mani egli ha per non fatta e per non fattibile, e assurda e ridicola.

Il principio che servirà a costruire la Tavola sarà quello stesso che è stato applicato dall’Horsley. Questo principio, non invero coi termini dell’Algebra moderna, e così non nominando n, ed n-1 , ma con vocaboli equivalenti, era già formulato da Nicomaco e da Boezio.

Questo principio, che pare indubitato essere stata l’anima del metodo d’Eratostene, applichiamolo alla serie dei numeri dispari: ma non al modo dell’Horsley, per cancellare i multipli, e non pensarvi più sopra; ma sibbene scrivendo [p. 14 modifica]o di sopra o di sotto ad essi li numeri primi che li dividono. E fatto ciò col primo numero, facciamolo anche col secondo, poi col terzo, poi col quarto, e in somma finchè arriviamo ad un numero il cui multiplo successivo si trovi fuori del limite a cui siasi voluto circoscrivere la serie assunta.


3, 5, 7, 9,
3 
11, 13, 15,
3 
5 
17, 19, 21,
3 
7 
23, 25,
5 
27,
3 
29, 31, 33
3
11

35,
5 
7 
37, 39,
3 
13 
41, 43, 45,
3 
5 
47, 49,
7 
51,
3 
17 
53, 55,
5 
11 
57,
3 
19 
59, 61

63,
3 
7 
65,
5 
13 
67, 69,
3 
23 
71, 73, 75,
3 
5 
77,
7 
11 
79, 81,
3 
83, 85,
5 
17 
87, 89, 91,
7 
13 ,
93
3
31

95,
5 
19 
97, 99,
3 
11 
101, 103, 105,
3 
5 
7 
107 109, 111,
3 
37 
113, 115,
5 
23 
117
3
13

119,
7 
17 
121,
11 
123,
3 
41 
125,
5 
127, 129,
3 
43 
131, 133,
7 
19 
135,
3 
5 
137, 139

141,
3 
47 
143,
11 
13 
145,
5 
29 
147,
3 
7 
149, 151, 153,
3 
17 
155,
5 
31 
157, 159,
3 
53 
161
7
23

In questo breve saggio avendo preso per limite della serie il 161 abbiamo adoprati per divisori i soli numeri primi fino al 53; perchè i successivi ci avrebbero condotti fuori del limite a cercare i primi loro multipli.

La fatica di costruire questa tavola non è stata maggiore di quella che avrebbe importato la semplice cancellazione proposta dall’Horsley; ma non solo abbiam trovato per esclusione i numeri assolutamente primi (unico oggetto cui serva opportunamente, secondo l’Horsley, questa operazione) ma abbiamo ancora il modo di conoscere i primi relativamente. Imperocchè se confrontiamo p. es. 35 e 39, numeri composti, [p. 15 modifica]vediamo non aver essi alcun divisore comune, e per ciò essere primi fra di loro. Che è appunto ciò che Nicomaco e Boezio ci avean detto ottenersi col Vaglio d’Eratostene.

Che poi, potendosi conseguire anche con altri metodi una tal cognizione, sia assai meno importante questa parte del metodo d’Eratostene, questa è cosa da concedere a dirittura; ma non è ragione che valga a vituperare o come ignoranti o come menzogneri quegli antichi che, tanto più vicini alla età di Eratostene, ci tramandarono contezza della invenzione di lui.

Nel saggio che ho dato circa l’operazione del Vaglio ho preso, come l’Horsley, la serie dei numeri dispari, non tanto per aver esso fatto così, quanto perchè così fecero Nicomaco e Boezio. E certo che ciò basta pienamente all’uopo di rintracciare i numeri primi assolutamente. Ma primi relativamente esser possono un pari e un dispari. E perciò io inclino a credere che in origine l’operazione d’ Eratostene fosse fatta sopra la serie naturale dei numeri 1, 2, 3, 4, 5... e solo in appresso fosse semplificata, riducendola alla serie dei dispari. E a farmi credere così, oltre l’intrinseca verisimiglianza, me lo persuade ancora un periodo di Nicomaco (ommesso da Boezio), sebbene assai involuto ed oscuro forse per non esserne sincera la lezione. Nè l’assumere la serie dei numeri naturali complicava di troppo l’operazione che rimaneva pur sempre abbastanza spedita. Quella prima semplificazione poi doveva condurre a negligere affatto la ricerca dei numeri primi fra di loro, col mezzo di questo Vaglio, e ridurlo alla semplicità vagheggiata ed ottenuta dall’Horsley.

Quella fatica alquanto maggiore che si impieghi poi nello scrivere tutti i divisori primi (dacchè basta notare questi; e Nicomaco e Boezio non dissero, ciò che fa loro dire l’accademico inglese, doversi notare tutti quanti indistintamente i divisori), reca non leggero compenso a chi non una serie dei numeri primi, cominciando dai più piccoli, volesse fare; [p. 16 modifica]ma volesse invece cercare i numeri primi che si trovino fra due numeri dati.

Prendiamo a cagion d’esempio a cercare i numeri primi che siano fra 3400 e 3500; per avere appunto fra le mani quel 3465 che, avendo non meno di 22 divisori, è recato dall’Horsley come esempio, quasi dissi spauracchio, della confusione che rende non praticabile (impracticable) la tavola suggerita da Nicomaco. Troviamo coi metodi consueti i divisori di questo numero. E prendendo quelli che evidentemente non ci conducano a cercare i loro multipli fuori dei limiti dati, e così prendendo i numeri 3, 5, 7, 9, 11, 15, 21.... senz’uopo di altre operazioni, ma applicando la teoria fondamentale del Vaglio, noteremo a destra ed a sinistra il 3 come divisore dei numeri che incontreremo contando a tre a tre, poi il 5 sotto quelli che troviamo contando a cinque a cinque, il 7 sotto quelli che ci si presentano contando a sette a sette; e così via discorrendo. L’avvertenza che i multipli di questi divisori semplici, come 9, 15, 21... vanno a cadere sopra numeri già trovati composti, consiglierà a risparmiare il tempo di notarli essi pure. Avendo fatto ciò, non solo si è operata una prima vagliatura, che ha già eliminato un gran numero di termini riconosciuti composti, ed ha assegnato a ciascuno il minimo suo divisore; ma si è ancora ottenuta la certezza che nessun altro termine della serie data è divisibile pei divisori già applicati. Perciò rimangono da sperimentare gli altri numeri primi. Ed anche ciò si può fare colla certezza di non operare inutilmente, e come a tastoni. Assumendo il numero primo che segue in ordine dopo quelli applicati, che nel caso nostro è il 13, si divida per esso alcuno dei termini non eliminati, per es. il primo che s’incontra. Se per caso il numero preso per divisore lo dividerà esattamente, lo noteremo tanto sotto di lui, quanto sotto li successivi contandoli a 13 a 13, giusta la regola. Ma se, come è facile, non si possa dividere esattamente, ne ricaveremo invece la cognizione del numero più [p. 17 modifica]vicino, nella serie, che sia multiplo del divisore adoprato. Imperocchè la differenza fra il residuo e il divisore aggiunta al dividendo, ovvero la sottrazione del residuo dal dividendo, rende il dividendo medesimo multiplo esatto del divisore. E così, con la regola fondamentale, avremo tutti i multipli di quel divisore successivi o precedenti nella data serie. Continuando così con gli altri successivi inferiori numeri primi, nessun tentativo sarà infruttuoso, perchè indicherà sempre come multiplo di quel numero alcuno dei termini della data serie. E quando si arrivi a divisori che per trovare un loro multiplo ci conducano fuori d’ambo i limiti dati, avremo per finita l’operazione, rimanendoci primi tutti i numeri a cui non si è per tal modo trovato alcun divisore ed avendo gli altri segnato il loro menomo divisore.

La meravigliosa facilità di contare materialmente n-1 termini, è chiaro che sparisce quando n rappresenti un numero alto. L’Horsley non ha parlato di questo caso; ma non è andato più in là di n=11. Ma qui vengono in ajuto quelle osservazioni che l’accademico inglese dichiara di ammettere come certamente di Nicomaco, perchè prive d’importanza in se medesime, e del tutto estranee al proposito. Queste osservazioni, o piuttosto questa osservazione, dacchè si riducono ad una sola, consiste nel por mente che non solo ogni numero primo n è summultiplo di tutti que’ successivi che da lui distano n-1 termini; ma che gli altri fattori che con lui moltiplicati formano ogni suo multiplo, sono costantemente, ed in ordine, ciascuno dei termini della serie dei dispari, cominciando dal primo. Perciò, trovato un numero primo p. es. 3413 senza contare materialmente tanti termini successivi, vedremo col mezzo di facili moltiplicazioni che i multipli di lui sono 3 × 3413, 5 × 3413, 7 × 3413 e così via discorrendo. Il dotto inglese che in una annotazione latina al testo di Nicomaco ha pure tradotta l’osservazione di lui in forma algebrica, avrebbe meglio provveduto al proprio decoro, se invece di vilipenderla nella sua [p. 18 modifica]Memoria, se ne fosso giovato per condurre a maggior perfezione il metodo da lui semplificato 2.

Porrò fine a questa disamina cercando la ragione filologica per la quale fu dato a que’ numeri, che non sono multipli di nessun altro numero, il nome di primi (πρῶτοι), che non è stato cangiato mai. E sebbene un tratto di Boezio potesse far sospettare che fossero appellati così, perché essi non hanno altre parti aliquote fuor di quella che prende nome da essi: come il 3 nel quale si ha dei terzi, il 5 dove [p. 19 modifica]si ha dei quinti, il 7 nel quale non sono che settimi, e così via discorrendo; ma sono poi commensurati dalla sola unità 3; ciò non di meno mi sembra più probabile che fossero detti primi, perchè ciascuno di essi nella infinita serie dei numeri o naturali o dispari, si trova essere il primo delle serie dei molteplici, che si cancellano o altrimenti sono segnati nella operazione del Vaglio di Eratostene.

Così nelle serie  3, 6, 9, 12, 15 ....
5, 10, 15, 20, 25 ....
7, 14, 21, 28, 35 ....
11, 22, 33, 44, 55 ....


i numeri incomposti si trovano sempre e soli essere i primi.




Note

  1. La sua dissertazione trovasi nelle Philosophical Transactions, Vol. LXII, pag. 327 e seg. ed è intitolata, ΚΟΣΚΙΝΟΝ ΕΡΑΤΟΣΘΕΝΟΥΣ, or The Sieve of Eratosthenes. Being an account of his method of finding all the Prime Numbers, by the Rev. Samuel Horsley, F. R. S.
  2. Ecco la nota sua a Nicomaco segnata (p) = Nempe series numerorum imparium 3, 5, 7, 9, etc. infinite protensa cum numeros impares universos contineat, imparis cujusvis multiplices omnes impares necessario complectitur. Esto igitur n numerus quilibet impar. In serie 3, 5, 7, etc. infinite protensa habes numeros omnes n × 3, n × 5, n × 7, etc. Et cum seriei ea Lex sit et Conditio, ut naturali ordine numeri impares sequantur, et minor omnis numerus majorem praecedat, fieri nequit, quin multiplices numeri n eum inter se ordinem servent, ut minor quisque majorem praecedat. Primus igitur erit n × 3, secundus n × 5, tertius n × 7, et universim, n × m eum habiturus est, inter multiplices, locum, quem numerus m in serie. =
    Assai belle ed opportune sono in generale le note dell’Horsley per ridurre a buona lezione, ora coll’ajuto de’ Mss. ed ora col mezzo di critiche congetture, i testi di Nicomaco e di Boezio. E la lode che perciò egli merita sarebbe più pura, se meno arrogante e presuntoso si fosse mostrato nella Memoria che ho abbreviata e disaminata in questo mio scritto.
    In una delle sue note a Boezio, parmi essere alquanto corriva e intemperante la sua critica. Boezio scrive: «.... Modum autem mensionis, secundum ordinem collocatorum, ipsa series dabit. Nam primus quem numerat, secundum primum numerat, idest secundum se; et secundum primus quem numerat, per secundum numerat, et tertium per tertium, et quartum item per quartum....»
    L’Horsley annota: «Pro numerat mallem in utroque loco metitur, ut aliud sit numerare aliud metiri, et sensus sit. «That which the first number [of the Series] counts the first [of its multiples], it measures by the first [of the Series], i. e. by itself. That which it counts the second [of its multiples], it measures by the second [number in the Series].» Sic enim infra legimus de Numero ordine secundo «primum quem numerat secundum primum metitur
    Io non posso convenire con lui nella correzione che propone al testo. Imperocchè nel linguaggio di Boezio sono perfetti sinonimi numerare e metiri: ed egli li va alternando per non istancare l’orecchio colla nojosa ripetizione dell’identico vocabolo. Oltre il fatto d’averli adoprati promiscuamente nell’opera sua, Boezio s’è preso egli medesimo il pensiero d’accertare i lettori di tale sinonimia, scrivendo: «Idem autem dico numerat quod metitur» (Lib. I, cap. 19).
  3. «Primus quidem et incompusitus est qui nullam partem habet, nisi eam quae a tota numeri quantitate denominata sit, ut ipsa pars non sit nisi unitas, ut sunt 3, 5, 7.... In tribus enim una pars sola est, idest tertīa, quae a tribus scilicet denominata est; et ipsa tertia pars unitas.... Dicitur autem primus et incompositus, quod nullus eum alter numerus metiatur, praeter solam, quae cunctis mater est, unitatem.... Primos ergo et incompositos nullus numerus metietur, praeter unitatem solam, quoniam ex nullis aliis numeris compositi sunt, sed tantum ex unitatibus in semetipsis auctis multiplicatisque procreantur. Ter enim unus, 3; et quinquies unus, quinque: et septies unus, 7 fecerunt. Et alii quidem, quos supra descripsimus, eodem modo nascuntur.»
    Boeth. Arithm. Lib. I, cap. 10 (e in altre edizioni cap. 14).