Del riordinamento amministrativo del Regno (Carpi)/III

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III.

Posta in chiaro l’inanità della creazione normale e stabile delle Regioni per soddisfare veleità di singole autonomie, quando restino nella effettiva dipendenza dal Governo, l’immenso pericolo che ne deriverebbe quando sussistessero quali enti morali completi e distinti; addimostrate le prevaricazioni temibili in ambi i casi, discorrerò in breve delle suddivisioni in Provincie e in Circondari.

Se parmi assai difficile la discussione senza passione sull’arduo subbietto delle Regioni, perchè di primo slancio brilla cara a tutti l’idea dell'io collettivo e di avervi una eminente o almeno fulgente parte, non trovo siavi consimile sdrucciolo di errore nel trattare delle minori circoscrizioni. Qui non aureole di antiche reminiscenze storiche che vi faccia guardare attraverso di un prisma che trasmuti la luce, che è il tutto essenziale e vivificante, nei distinti più brillanti [p. 16 modifica] e, alla volgarità, più attraenti colori; qui non sono in giuoco orgogli tradizionali che ci offuscano il retto senso: trattasi semplicemente di vedere se non sia una superfetazione dispendiosa, e di nessuna utilità, altre circoscrizioni territoriali in Circondari, inoltre a quelle per Provincie.

Dopo il Comune, culla e primitiva base del civile consorzio che regge, invigila ed avvalora i primi vagiti della vita economico-politica delle nazioni, si ricerca una istituzione maggiore a cui si rannodino le affezioni e le tendenze omogenee di un dato numero di Comuni, per agire con più efficacia in un’azione collettiva, a moderazione e ad incremento degli interessi dei singoli Comuni per ciò che non sia loro dato di effettuare da soli; istituzione che deve servire di legame intermediario e naturale fra il Comune e lo Stato nell’irradiamento perenne e vicendevole dell’immensa e complicata azione che dà vita, consistenza, sicurezza, e splendore a tutto un popolo. Per ottenere tale risultato conviene che ne sia semplice l’organamento, che consti di elementi che non si elidano per alcun verso, e che non sia reso difficile il disimpegno delle sue feconde attribuzioni con superflue gradazioni di uffici che ne attraversino il libero movimento espansivo, sia verso il potere centrale, sia verso gli enti morali, dei quali deve essere riverbero e luce.

Se l’idea semplice dell’organizzazione sociale è il Comune, la prima idea composta è quell’agglomerazione di Comuni che appo noi suol dirsi Provincia.

Si formarono grado grado nell’assestamento delle umane aggregazioni, per cause fenomenali che è inutile qui esporre, e presero consistenza [p. 17 modifica] dall’uniformità di costumi, di bisogni, di dialetti; cementate da condizioni telluriche e topografiche, contro cui si lotterebbe invano.

Sin qui tutto è naturale perchè è il frutto spontaneo dell’azione del tempo, degli uomini, e delle cose. A quale scopo dunque creare altri enti morali artificiali, parassiti, che non hanno dalla sanzione del tempo ragione naturale di essere, per porli fra il Comune e la Provincia, o fra la Provincia e lo Stato? Sarebbe un aumentare gli attriti, e quindi la macchina governativa ne andrebbe menomata di forza, di celerità e di economia. Qualora per avventura molte Provincie, avessero in date emergenze degli interessi identici a cui provvedere, si associno fra loro come possono farlo i Comuni per ragioni analoghe, associazioni o consorzi che cessano o variano col cessare o variare delle cause occasionali che vi dessero vita.

L’idea di porre il Circondario1 tra il Comune e la Provincia, e quindi la Provincia tra il Circondario e lo Stato, credo che sia un palido omaggio che si inclini a prestare inavvertitamente alle inconcepibili circoscrizioni territoriali del Piemonte in Comuni, Provincie e Divisioni, testè modificate nella forma, ma non nella sostanza. La Divisione comprendeva più Provincie che avevano ragione di esistenza propria, come ora si proporrebbe che le Provincie comprendessero più Circondari, aventi propria esistenza, equivalenti alle Provincie nelle suaccennate Divisioni.

Se non che giova osservare che in nessun’altra parte d’Italia esiste tale forma di [p. 18 modifica] circoscrizione territoriale, di guisa che se il concetto ministeriale dovesse attuarsi converrebbe, come provvisoriamente si è tentato di fare, creare ad arte Circondari entro le Provincie antiche, frastagliandole ad ecclissarne alcune per farne dei Circondari satelliti di nuove Provincie d’improvvisata creazione, quando invece in Piemonte tali subordinate aggregazioni provinciali, ribattezzandi col nome di Circondari, erano nientemeno che tante Provincie costituite da remotissimi tempi con tutti gli elementi di coesione che si richieggono alla salda e non effimera loro esistenza. Da ciò rilevasi che anche dal lato dell’esecuzione materiale s’incorrerebbe in difficoltà gravissime nelle nuove Provincie del Regno, ed in una bisogna nella quale conviene essere assai parchi di nuovi temperamenti. Non sarebbe miglior consiglio di prendere le mosse, in generale, dalla semplicità delle circoscrizioni territoriali degli Stati annessi, per uniformarvi, semplificandole, quelle del Piemonte, anziché complicare quelle per uniformarle a queste?

Se nel riordinamento generale del Regno si adottasse in massima il principio di prendere per base di ogni legge e di ogni disposizione generale quelle leggi e disposizioni speciali, più semplici, più logiche, che si trovassero funzionare ottimamente in alcuna delle circoscrizioni che formavano Stati autonomi, ritengo che ce ne troveremmo pur bene. Così le difficoltà sarebbero minori, essendo arduo proposito, e ciclopica impresa quella di volere creare di getto nuove leggi e nuovi organismi amministrativi. Procedendo invece con sapiente ecletismo, prendendo il meglio da tutte le provincie (antichi Stati) d’Italia, in ciascuna delle quali era veramente talun [p. 19 modifica] pregiabile elemento di buona amministrazione, se ne formerebbe un insieme, a vantaggio generale del Regno, così a mio vedere eccellente, da non invidiare l’assetto amministrativo di qualsiasi altra quantunque civile nazione. Oltre a ciò siccome tutto quello che l’opinione pubblica, e la coscienza retta degli uomini speciali hanno giudicato e giudicano ottimo ed attendibile, e più se abbia già ottenuto la sanzione della esperienza, può tenersi per un portato della maturità dei tempi, dei costumi e delle abitudini più generali degli italiani, così faremo o generalizzeremo leggi ed istituzioni che avranno il loro inconcusso fondamento nell’intima natura della nostra peculiare società.

Un altro vantaggio meno avvertito, ma non meno importante si otterrebbe seguendo il sistema che accenno; che generalizzando a tutta la nazione quelle leggi e quelle istituzioni, per le quali i vari gruppi di popoli italiani si sentono tratti anche loro malgrado ad affezionare rispettive autonomie che le comprendevano, vien tolta la precipua ragione di queste tendenze, o per lo meno se ne menomano grandemente i pericoli. Quando si trova nel tutto quello che di meglio si aveva nella parte, con quell’aumento di prosperità, di forza e di potenza, che l’unione delle parti produce sempre in ragione multipla, cessa di per sè ogni onesta ragione di rifuggire in qualunque siasi modo da una completa unificazione. Si prenda adunque, concluderò in questa digressione, il semplice, il logico, l’omogeneo, ed il giusto ovunque si trovi, per sostituirlo al complicato, all’illogico, allo screziato, al meno congruo ovunque fra noi esista, e si eviteranno molte difficoltà e molte recriminazioni. [p. 20 modifica]

Non può credersi che aumentando le ruote e l’addentellamento delle varie funzioni della macchina amministrativa, si giunga a renderne più semplice l’azione e meno penoso l’impulso e il lavoro della forza motrice; tanto più trattandosi di uffici intermedi senza azione propria, uffici che farebbero sempre capo in ultima analisi al potere centrale.

A me parrebbe più razionale e semplice che dopo il Comune, vi fosse la Provincia, tale quale esiste, tale quale si è formata naturalmente nel correre dei secoli, oppure con quelle modificazioni, o diverso riparto territoriale, come meglio fosse gradito alle popolazioni medesime; e dopo la Provincia lo Stato.

Se invece di Provincia si vuol usare l’appellativo di Circondario, ciò poco monta qualora tra esso e lo Stato non vi siano altre istituzioni intermedie che ne complichino le funzioni, e purchè dalla legge sia creato ente morale a guisa delle attuali Provincie. Ove poi il concetto del Circondario implicasse l’idea di dividere alcuna delle vecchie Provincie che si tenessero per troppo vaste od aventi grossi centri popolosi riluttanti all’antica coesione, parmi che, senza ricorrere ad una modificazione radicale di circoscrizione territoriale, si dovesse e potesse operare, in tali casi, come si opera quando una frazione popolosa di un Comune chiede spontanea di erigersi in Comune separato.

Parmi però che tutto questo porterebbe un invertimento di concetti ed una confusione d’idee nelle popolazioni abituate a dare un senso al nome di Provincia diverso da quello che colla nuova suddivisione si verrebbe a stabilire. Come l’appellativo di Circondario, che si volesse [p. 21 modifica] sostituire a quello di Provincia, potrebbe ingenerare l’idea, nelle singole locatità, che si volesse menomare la considerazione e le attribuzioni che aveva la Provincia; parrebbe a molti si volesse, se non altro nella importanza morale, far scadere la Provincia quasi a livello dei Distretti e dei Mandamenti, circoscrizioni meramente giudiziarie ed amministrativamente pressochè nulle. So bene che si raddrizzerebbe in breve correre di tempo ogni falsa idea di degradazione gerarchica; ma non sarebbe miglior consiglio lasciar sussistere l’appellativo di Provincia nel senso in cui attualmente suona, modificando soltanto e migliorando le leggi che vi hanno tratto?

Quante volte nei tempi passati grossi Borghi non si arrovellarono con ingenti sacrifizi pecuniari per ottenere dal potere Sovrano il battesimo di città? Io opino quindi che per la ragione inversa produrrebbe una penosa sensazione, nel caso nostro, il sostituire al nome di Provincia quello di Circondario. Sono innocenti suscettibilità che vanno esse pure rispettate, quando nessuno impellente motivo consiglia di fare altrimenti.

Note

  1. Da non confondersi coi Circondari equivalenti ai Distretti o Mandamenti.