Del riordinamento amministrativo del Regno (Carpi)/V

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All’assioma costituzionale — il Re regna ma non governa — si vuole oggidì, con crescente insistenza, aggiungere l’altro — Lo Stato governa ma non amministra. — Il primo assioma va accettato senza restrizioni, salvo il caso della Dittatura che in momenti supremi vuolsi concedere al potere esecutivo; ma, avuto riguardo alle peculiari nostre condizioni, bisogna andare a rilento nell’accettare il secondo in modo assoluto. [p. 24 modifica]

Affinchè non paia che io mi ponga in contraddizione, nel subbietto della scentralizzazione, con quanto esposi in proposito in altri miei scritti, conviene che io qui mi trattenga su alcune considerazioni positive che intimamente ci riguardano in quest’argomento.

In tesi generale le istituzioni sono fatte per gli uomini, e non gli uomini per le istituzioni. I costumi determinano le istituzioni, e non le istituzioni i costumi.

Affinchè nuove istituzioni attecchiscano conviene non solo che siano un portato naturale della temperie complessa di un popolo dato, ma conviene altresì che trovino nei costumi, nell’educazione, nelle tradizioni, nell’indole, e, oserei dire, persino nei pregiudizi della massa delle popolazioni, elementi omogenei al loro sviluppo. Nè tutto questo basta ancora per fare retto giudizio dell’opportunità di dotare, o meno, una nazione di speciali istituzioni come esplicamento di formule generali, di filosofia sociale; ma inoltre fa d’uopo considerare se le condizioni politiche ed economiche sieno loro favorevoli.

Se gli accennati estremi corrispondono al concetto del legislatore, faccia arditamente, mentre egli opera sovra terreno fecondo che gli darà larghi frutti per lieve sforzo; ma se la bisogna corresse altrimenti, conviene procedere con senno e prudenza affinchè l’opera insigne si faccia strada grado grado nelle menti di coloro sui quali deve agire, e per se stessa vi prepari, educando, gli elementi di vita. Quest’Italia che ora sorge maestosa a nuova vita politica, cinta di spine e di allori, e che sdegnosa corre tutt’armata al cimento estremo che deve farla libera e grande, conviene sia studiata parte a parte prima di [p. 25 modifica] risolvere i più grandi problemi dell’interno suo reggimento.

La libertà dei Comuni, e per naturale conseguenza delle Provincie, è certamente il più grande elemento di vigorosa vita che si possa alla Nazione concedere. Questa libertà amministrativa si può essa accordare, nell’epoca attuale, piena ed intiera, esautorando il Governo d’ogni ingerenza che non abbia tratto alla politica, alla armata, alle leggi, ed alle finanze della Nazione? Evvi ragione di dubitarne. Meno poche eccezioni, i Comuni italiani, o, per meglio dire, le masse delle popolazioni italiane, non sono in condizioni morali da reggersi liberamente ed armonicamente da se stesse; hanno mestieri tuttavia per qualche tempo, e fino a che sia fortemente costituita la nostra nazionalità, dell’impulso, dell’iniziativa, dell’ingerenza e dell’azione potente ed efficace del Governo. Questo il desiderio, questi i voti, queste le esigenze di milioni e milioni d’Italiani. Le individualità colte, le intelligenze elette, a buon dritto diranno inconsulti questi desiderii, questi voti, queste esigenze. Ma conviene prendere gli uomini come sono e non come dovrebbero essere; e prendendoli quali sono, per agire in relazione su di essi, si giunge più presto ad atteggiarli ed a farli come devono essere. Osservate la Sicilia: se fosse stata una Colonia Anglo-Sassone, non appena svincolata dalle catene della madre patria si sarebbe costituita ed organizzata da sè stessa mirabilmente. Essa invece, sino dal primo istante, ha sempre invocato ed invoca l’annessione alla gloriosa monarchia italiana, non solo pel generoso, grande e legittimo proposito di concorrere all’unificazione d’Italia, ma perchè una mano [p. 26 modifica] potente la regga, la riorganizzi, l’amministri, la diriga in ogni bisogno!

Percorrete le Romagne, i Ducati, le minori Città ed i Comuni rurali della Toscana, della Lombardia e dello stesso Piemonte, ad onta dei suoi dodici anni di vita libera, e sentirete le stesse invocazioni, le stesse querele, gli stessi pregiudizi; quando non sentono la mano del Governo che li regga, o li stringa, lo accusano di snervato, d’improvvido, di fannullone!

Da ciò si deduca quel che possa essere, ed accadere, tra le incolte masse delle Provincie napoletane, state sinora oppresse dal più abbietto e demoralizzante governo che possa immaginarsi in Europa!

Negli Stati Uniti di America, in Inghilterra, in Olanda, in Svizzera, più lo Stato si ecclissa amministrativamente, e più sorge potente ed altero l’individuo, superbo di sapersi governare da sè, sdegnoso ed intollerante di ogni legame che vincoli la sua libertà d’azione. Tra noi se il Governo si ecclissa anche nelle minime faccende amministrative, come il dovrebbe, l’individuo, in generale, s’impazienta, recalcitra ed incolpa il Governo della propria incuria, della propria imprevidenza. Tutto questo la Dio mercè avrà un termine mercè le libere istituzioni che ci reggono e col rafforzarsi del sentimento della dignità personale che ad un gran popolo costituito non viene mai meno. Ma intanto bisogna avervi considerazione adesso, per non commettere anacronismi, nel presente riordinamento del Regno, che potrebbero essere funesti.

Il cielo mi guardi dal denigrare, per questo, le nostre popolazioni, le quali in mezzo a mille torture seppero conservare ed alimentare sempre [p. 27 modifica] la fiamma ardente dell’indipendenza Nazionale. Che anzi io chiederei, qual altro popolo che il vivace, costante e svegliato popolo d’Italia non sarebbe venuto agli estremi di ogni civile progresso, qualora fosse stato straziato dalle piaghe dolorose che esso ebbe a sopportare?1

Note

  1. Ad onore dei popoli italiani che seppero conservare tanta virtù civile in mezzo a tante cagioni di demoralizzazione, e ad infamia di coloro che tutto fecero per asservirli e invilirli, voglio qui enumerare talune delle piaghe che li dilaniarono: — Dominio e tirannide straniera. — Tirannide di esosi governi domestici. — Dispotismo teocratico. — Mercenari stranieri, lezzo di ogni nazione. — Educazione a scopo di abbrutimento e servilismo, offuscante e depravante l’intelletto, deprimente ogni generosa e patria aspirazione. — Polizie vessatorie, esose, crudeli. — Censura spietata, imbecille, persino sull’inespresso pensiero. — Carceri, patiboli, esigli che colpirono migliaia di generosi decimando le popolazioni. — Sicari e centurioni che insidiavano ogni passo ed ogni patriotico pensiero, cause perenni di spietate vendette. — Permanente occupazione di truppe straniere, strumento di estranea tirannide, e di dispotismo cieco di Principi nostrani. — Se alcuno straniero, di patria o di sentimento, fosse tentato di irridere a qualche nostra debolezza o trascorso, pensi agli insulti atroci da noi patiti, e, se ha cuore, ne andrà pietoso, meravigliato della virtù grande ed eroica del popolo italiano.