Della natura delle cose/Libro terzo

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Tito Lucrezio Caro - Della natura delle cose (I secolo a.C.)
Traduzione dal latino di Alessandro Marchetti (1717)
Libro terzo
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DI TITO

LUCREZIO CARO

DELLA NATURA DELLE COSE.

LIBRO TERZO.

O tu, che in mezzo a così buje e dense
     Tenebre d’ignoranza erger potesti
     D’alto saver sì luminosa lampa,
     Di nostra vita i comodi illustrando,
     5Io seguo te: te della Greca Gente
     Onore, e de’ piè miei fissi i vestigj
     Imprimo, ove tu già l’orme segnasti;
     Non per desio di gareggiar, ma solo
     Per dolce amore, onde imitarti agogno:
     10Che come può la rondinella a prova
     Cantar co’ cigni del Caistro? O come
     Ponno agguagliar le smisurate forze
     De’ Leoni i Capretti? e con le membra
     Molli ancor per l’etade e vacillanti
     15Vincer nel corso le veloci Damme?

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     Tu di cose inventor; tu Padre sei;
     Tu ne porgi paterni insegnamenti:
     E qual succhiar da tutti i fiori il mele
     Soglion le pecchie entro le piagge apriche;
     20Tal io dalle tue dotte inclite carte
     Gli aurei detti delìbo ad uno ad uno,
     Aurei, e di vita sempiterna degni.
     Che non sì tosto a sparger cominciossi
     Il tuo parer, che dagli Dei creata
     25Delle cose non sia l’alma natura,
     Che dalle menti ogni timor si sgombra:
     Fuggon del Mondo le muraglie, e veggio
     Pe ’l Vuoto immenso generarsi il tutto;
     De’ sommi Dei la maestà contemplo,
     30E le sedi quietissime da venti
     Non commosse giammai; nè mai coverte
     Di fosche nubi, o d’atri nembi asperse,
     Nè violate da pruine, o nevi,
     O gel; ma sempre d’un sereno e puro
     35Etere cinte, e d’un diffuso, e chiaro,
     E tranquillo splendor liete, e ridenti.
Natura in oltre somministra all’uomo
     Ciocchè gli è d’uopo, e la sua pace interna
     Non turba in alcun tempo alcuna cosa;
     40Nè più si mira a’ danni nostri aperto
     L’Inferno, e scritte di sua porta al sommo
     L’acerbe note di colore oscuro:

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     „Lasciate ogni speranza, o voi, ch’entrate.
     Nè può la terra proibir, che tutte
     45Non si mirin le cose, che pe’l Vano
     Ci si fan sotto i piedi, ond’io rapirmi
     A te mi sento da cotal divino
     E diletto, e stupor, che la natura
     Sol per tuo mezzo in cotal guisa a tutti
     50D’ogni parte svelata omai si mostri.
     E perchè innanzi abbiam provato a lungo,
     Quali sian delle cose i primi semi,
     E con che varie forme essi pe ’l Vano
     Per se vadano errando, e sian commossi
     55Da moto alterno, e come possa il tutto
     Di lor crearsi, omai par, che dell’anima
     Dichiarar la natura, e della mente
     Ne’ versi miei si debba; e il rio timore
     Delle squalide rive d’Acheronte
     60Cacciarne affatto, il qual dall’imo fondo
     Turba l’umana vita, e la contrista,
     E sparge il tutto di pallor di morte;
     Nè prender lascia alcun diletto intero.
Perchè quantunque gli uomini sovente
     65Dican, che più son da temersi i morbi
     Del corpo, e della vita il disonore,
     Che le tartaree grotte; e che ben sanno,
     Che l’essenza dell’anima consiste
     Nel sangue, e che non han bisogno alcuno

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     70Di mie ragioni, a te di quindi è lecito
     Dedur che molti per ventosa, e vana
     Ambizion di gloria, ed a capriccio
     Van di quel millantandosi, che poi
     Non approvan per vero: essi medesmi
     75Esuli dalla Patria, e dal commercio
     Degli uomini cacciati, e sozzi, e laidi
     Per falli enormi, a tutte le disgrazie
     Finalmente soggetti il viver bramano;
     E dovunque infelici il piè rivolgono,
     80Fanno esequie dolenti, e nere vittime
     A’ Numi inferni del profondo Tartaro
     Sol per placargli in sagrificio offriscono;
     E sempre in volto paurosi, e pallidi
     Ne’ duri casi lor, nelle miserie
     85Alla religion l’animo affissano.
     Nè dubbiosi perigli è d’uopo dunque
     A gli uomini por mente, e nell’avverse
     Fortune, chi desia, che i loro interni
     Sensi gli sian ben manifesti e conti;
     90Poichè allor finalmente escon le vere
     Voci dell’imo petto, e via si toglie
     La maschera, e scoperto il volto appare.
     In somma l’avarizia, e degli onori
     L’ingorda brama, è, che i Mortali sciocchi
     95Sforza a passar d’ogni giustizia il segno;
     E d’ogni empio misfatto anche talvolta

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     I compagni, i ministri, e notte, e giorno
     Durare intollerabili fatiche
     Sol per salir delle ricchezze al sommo,
     100E potenza acquistar, scettri, e corone.
     Or queste piaghe dell’umana vita
     Dal timor della morte hanno in gran parte
     Cibo, e sostegno, che la fama rea,
     E il disprezzo, e lo scherno, e la pungente,
     105E sconcia povertà disgiunte affatto
     Par, che sian della dolce, e stabil vita,
     E che sol della morte avanti all’uscio
     Si vadan trattenendo; onde i mortali,
     Mentre da van terror sforzati, e spinti
     110Tentan lungi fuggirsi, al civil sangue
     Corrono, e stragi accumulando a stragi
     Raddoppian le ricchezze: empj, e crudeli
     De’ fratelli, e del padre i funerali
     Miran con lieto ciglio, e de’ congiunti
     115Di sangue odian le mense, e n’han sospetto,
     Per lo stesso timor nel modo stesso
     L’aver Questi possente avanti a gli occhi,
     Que’ da tutti stimato, e riverito,
     Gli macera d’invidia, e in essi imprime
     120Desio di gloria immoderato ardente:
     Par lor, che nelle tenebre, e nel fango
     Sian convolti i lor nomi. Altri perisce
     Di folle aura di fama, o d’insensate

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     Statue invaghito, e l’odio della vita,
     125E del Sole, e del giorno appo i mortali
     Co’l timor della morte è misto in guisa,
     Che ancidon se medesmi, e dentro al petto
     Se ne dolgono intanto; e non rammentansi,
     Che sol questa paura è delle noje
     130L’origin prima: questa è, che corrompe
     Ogni onesto pudor: questa i legami
     Spezza dell’amicizia; e questa in somma
     Volge sossopra la pietade, e tosto
     Dalle radici la divelle e schianta.
     135Conciossiacchè già molti hanno tradito
     E la Patria, e i parenti, e i genitori
     Sol per desio di non veder gli orrendi
     Templi sagrati al torvo Re dell’Ombre.
     Poichè siccome i fanciulletti al bujo
     140Temon fantasmi insussistenti e larve;
     Sì noi tal volta paventiamo al Sole
     Cose, che nulla più son da temersi
     Di quelle, che future i fanciulletti
     Soglion fingersi al bujo, e spaventarsi.
     145Or sì vano terror, sì cieche tenebre
     Scuoter bisogna, e via scacciar dall’animo
     Non co’ bei rai del Sol, non già co’ lucidi
     Dardi del giorno a saettar poc’abili
     Fuorchè l’ombre notturne, e i sogni pallidi;
     150Ma co’l mirar della natura, e intendere

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     L’occulte cause, e la velata immagine.
L’animo adunque, entro del quale è posto
     Della vita il consiglio, ed il governo,
     E che spesso da noi mente si chiama,
     155Prima dich’io, che nulla meno è parte
     Dell’uom, che sian le mani, i piedi, e gli occhi
     Parti d’ogni animale, ancorchè grande
     Schiera di Saggi abbia creduto, e scritto,
     Che dell’animo il senso entro una parte
     160Certa luogo non abbia, e solamente
     Sia del corpo un tal abito vitale,
     Detta Armonia da’ Greci, il qual ne faccia
     Viver con senso, benchè in parte alcuna
     Non si trovi la mente. E quale appunto
     165Sovente alcun sano vien detto, e pure
     Non è la sanità parte del corpo;
     Tal dell’animo nostro il senso interno
     Non han locato in una certa parte;
     Nel che parmi, che molti abbiano errato
     170Troppo altamente; poichè spesso accade,
     Che nell’esterno il corpo egro, e dolente
     Ne sembra, allor che d’altra parte occulta
     Pur la mente festeggia; ed all’incontro
     V’ha chi d’animo è afflitto, e in tutto il corpo
     175Lieto pur n’apparisce: in quella guisa
     Che duol talora a qualche infermo un piede,
     Mentre la testa alcun dolor non sente.

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     In oltre allor che per le membra serpe
     La placida quiete, e giace effuso,
     180E privo d’ogni senso il grave corpo,
     È pure in noi qualche altra cosa intanto,
     Che s’agita in più modi, e che in se stessa
     Ricever può d’ogni allegrezza i moti,
     E le noje del cor vane, e fugaci.
185Or acciocchè tu sappia anco, che l’alma,
     Abita nelle membra, e che non puote
     Dalla sola Armonia reggersi il corpo,
     Pria convienti osservar, che spesso accade,
     Che gran parte del corpo altrui vien tolta;
     190E pur dentro alle membra ancor dimora
     La vita, e l’alma: e pe ’l contrario spesso
     Non sì tosto fuggiro alcuni pochi
     Corpi di caldo, ed esalò per bocca
     Il chiuso spirto, che le vene, e l’ossa
     195Lascia prive di se l’alma, e la vita.
     Onde tu possa argomentar da questo,
     Che non di tutti i corpi in tutto eguali
     Son le minime parti, e che non tutte
     La salute sostentano egualmente;
     200Ma che i semi del tiepido vapore,
     E quei dell’aura, a conservar la vita
     Viepiù son atti. Entro del corpo adunque
     È lo spirto vitale, e il caldo innato,
     Che lascia al fin le moribonde membra

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     205Rigide, e fredde, e si dilegua e sfuma:
     Onde poichè dell’animo, e dell’alma
     La natura è dell’uom quasi una parte,
     Dì pur, che il nome d’Armonia fu tratto
     Dal canoro Elicona, o d’altro luogo,
     210Ed a cosa applicato, che di propria
     Voce avea d’uopo. Or che si sia di questo,
     Tu no ’l curar; ma gli altri detti ascolta.
L’anima dunque, e l’animo congiunti
     Son fra di loro, ed una sola essenza
     215Si forma d’ambedue; ma è del corpo
     Quasi capi il consiglio, il qual da noi
     Vien detto animo, e mente, e questi in mezzo
     Del core è posto, poichè quindi esulta
     Il sospetto, il timor; qui l’allegrezza
     220Molce: qui dunque ha pur l’animo il seggio.
     L’altra parte dell’anima è diffusa
     Per tutto il corpo, e della mente al moto
     Si muove anch’ella, ed ubbidisce al cenno,
     Ma sol per se piace a se stesso, e seco
     225Gode l’animo, allor che nulla il corpo
     Perturba, e l’alma; e come gli occhi, e ’l capo
     Sovente in noi lieve dolore offende,
     Mentre che l’altre membra angoscia alcuna
     Non sentono; in tal guisa anco alle volte
     230Lieta, o mesta è la mente, ancorchè l’altra
     Parte dell’alma per le membra sparsa

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     Non provi novità. Ma se commosso
     L’animo è poi da più gagliarda tema,
     Veggiam, che tutta per le membra a parte
     235L’alma è di ciò: tosto un sudor gelato,
     Un esangue pallore occupa il corpo;
     Balbutisce la lingua, e fioche e mozze
     Dal petto escon le voci, abbacinati
     Gli occhi in terra conficcansi; l’orecchie
     240Sentonsi zufolar; sotto i ginocchj
     Fiacche treman le gambe, e il piè vacilla.
     Vedesi al fin, che per terror di mente
     Spesso l’uom s’avvilisce; onde ciascuno
     Può di quindi imparar, che unita e stretta
     245È l’anima con l’animo, e che tosto
     Ch’ella è spinta da lui, sferza e commove
     Le membra: e ciò senz’alcun dubbio insegna,
     Che l’essenza dell’animo, e dell’anima
     Incorporea non è: ch’ove tu miri,
     250Ch’ella porge alle membra impulso, e moto;
     Che nel sonno le immerge, il volto muta,
     E l’uom tanto a sua voglia affrena, e volge;
     Nè senza tatto di tai cose alcuna
     Far si può mai, nè senza corpo il tatto,
     255Mestiero è pur, che di corporea essenza
     Si confessin da noi l’alma, e la mente.
     L’animo in oltre è sottoposto a tutti
     Gli accidenti del corpo, e dentro ad esso

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     Partecipa con noi d’ogni suo danno:
     260Dunqu’è mestier, che per natura anch’egli
     Corporeo sia mentre nel corpo immerso
     Può da corporei dardi esser piagato.
Or, che corpo sia l’animo, e di quali
     Semi formato in chiari detti esporti
     265Vo’, se attento m’ascolti. Io dico adunque
     Pria, ch’egli è sottilissimo, e composto
     D’atomi assai minuti; e se tu forse
     Come ciò vero sia, d’intender brami,
     Quindi intendere il puoi. Nulla più ratto
     270Far si vede giammai di quelle cose,
     Che la mente propone, e ch’ella stessa
     A far comincia: più veloce adunque
     Corre per se medesima la mente
     D’ogni altra cosa, che veder co’ gli occhi
     275Si possa; ma di semi assai rotondi,
     E minuti convien, che sia formato
     Quel, ch’è mobile tanto, acciocchè spinti
     In picciolo momento abbiano il moto.
     Che se l’acqua si move, e per tantino
     280Di momento si mesce, ondeggia, e scorre,
     Ciò fa, perchè il suo corpo è per natura
     D’atomi molto piccioli e volubili
     Contesto; ma se l’oglio, o ’l visco, o ’l mele
     Più tenaci han le parti, e men veloce
     285L’umido innato, e viepiù tardo il corso,

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     Questo avvien lor, perchè la lor materia
     Stretta è fra se con più gagliardo laccio;
     Nè di tanto sottili, e sì rotondi
     Atomi è fatta, e così lisci e mobili.
     290Conciossiachè sospesa aura leggiera
     Può di molli papaveri un acervo
     Sforzar co ’l soffio a dissiparsi affatto;
     Ma non può già per lo contrario un mucchio
     O di pietre, o di dardi. Adunque quanto
     295I corpi son più lievi, e più minuti,
     E più lisci, e più tondi, essi altrettanto
     Son più facili a moversi; ma quanto
     Son più gravi all’incontro, e più scabrosi,
     Essi altrettanto han più fermezza in loro.
300Dunque perchè da noi già s’è provato,
     Che la mente dell’uomo è mobilissima,
     Mestier sarà, che i suoi principj primi
     Molto piccioli sian, lisci, e rotondi:
     Il che se bene intenderai, saratti
     305D’utile non mediocre, ed opportuno
     Dar potrà lume a molte cause occulte.
     Ma di che tenue, e sottil seme ell’abbia
     L’essenza intesta, e da che picciol luogo
     Contenersi dovria, se in un sol gruppo
     310S’unisse, a te palese anco da questo
     Certamente farassi. Osserva l’uomo
     Tosto che della morte acquista, e gode

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     La sicura quiete, e che dell’alma
     Si fuggìo la natura, e della mente;
     315E nulla dal suo corpo esser limato
     Veder potrai nella figura esterna,
     Nulla nel peso: ogni altra cosa intatta
     Ne conserva la morte, eccetto il senso
     Vitale, e ’l vapor caldo. Adunque è forza,
     320Che di semi assai piccioli contesta
     Sia tutta l’alma per l’interne viscere,
     Per le vene, e pe’ muscoli, e pe’ nervi.
     Poichè quantunqu’ella s’involi affatto
     Dal corpo, non per tanto illesa resta
     325D’intorno a lui la superficie esterna;
     Nè pur gli manca del suo peso un pelo:
     Qual se dal vino, o dal soave unguento
     Sfuma lo spirto, e si dissolve in aura;
     O d’altro corpo si dilegua il succo,
     330Che non sembra però punto minore
     O di mole, o di peso; e ciò succede
     Sol perchè molti piccioli, e minuti
     Semi i succhi compongono, e l’odore
     Comparton delle cose a tutto il corpo.
     335Dunque voglia, o non voglia, è pur mestiero,
     Che l’essenza dell’animo, e dell’alma
     Si confessi da te fatta di semi
     Piccioli assai; mentre in fuggir dal corpo
     Della sua gravità nulla non toglie,

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     340Nè già creder si dee, che tal natura
     Semplice sia; poichè un sottile spirto
     Misto con vapor caldo a’ moribondi
     Dal petto esala, e il vapor caldo a forza
     Trae seco d’aria qualche parte, e mai
     345Non si trova calor, che, in se mischiato
     Aere non abbia: poichè rara essendo
     La sua natura, è necessario al certo,
     Che fra gli atomi suoi molti principj
     D’aria siano agitati. Or dunque omai
     350Della mente, e dell’alma abbiam trovato
     Tre varie essenze; e pur tre varie essenze
     Non son bastanti a generare il senso.
     Conciossiachè capir nostro intelletto
     Non può giammai, come di queste alcuna
     355Basti a produrre i sensitivi moti,
     Che a più cose applicar possan la mente.
D’uopo fia dunque aggiungere una quarta
     Natura; e questa totalmente è priva
     Di nome, nè di lei si trova al mondo
     360Più nobil cosa; o di più tondi semi.
     Questa pria per le membra i sensitivi
     Moti distribuisce; e perchè fatta
     E d’atomi assai piccioli, si move
     Pria d’ogni altra natura: il caldo quindi,
     365Quindi dell’aura l’invisibil forza
     Riceve il moto, e quindi l’aere, e quindi

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     Si mobilita il tutto, il sangue scorre,
     Senton tutte le viscere, e concesso
     È finalmente all’ossa, e alle midolle
     370Il diletto, il dolor; nè questo, o l’acre
     Infermità può penetrarvi mai
     Senza che il tutto si perturbi in guisa,
     Che luogo al viver manchi, e che dell’alma
     Fugga ogni parte pe’ meati occulti
     375Del nostro corpo; ancorchè spesso accaggia,
     Che restino interrotti i movimenti
     Quasi al sommo del corpo, e sia bastante
     L’uomo in tal caso a conservarsi in vita.
Or mentre io bramo di narrarti appieno
     380Come sian fra di lor queste nature
     Mescolate nel corpo, ed in qual modo
     Abbian forza e vigor, me ne ritragge
     La povertà della Romana lingua.
     Ma pur, com’io potrò, sommariamente
     385Dirolti: poichè de’ principj i corpi
     Trascorron l’un con l’altro uniti in guisa,
     Che alcun non se ne separa, nè mai
     Crear si può per interposto spazio
     Un diverso poter, ma quasi molte
     390Potenze sono in un sol gruppo unite;
     E qual degli animai l’interne viscere
     Han tutte un certo odore, un cerco caldo,
     Ed UN certo sapore; e pur veggiamo,

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     Che di queste tre cose una sol cosa
     395Non per tanto si crea; tale il calore,
     E l’aere, e la virtù cieca del vento
     Fan tra lor misti una natura sola
     Con quella per se mobile energia,
     Che lor comparte i movimenti, ed onde
     400Fin per entro alle viscere si crea,
     Prima che altrove, il sensitivo moto.
     Posciachè tal natura affatto occulta
     È senza dubbio alcuno, e più riposta
     Cosa di questa immaginar non puossi
     405Da noi; perch’ella stessa alma è dell’alma:
     E qual dentro alle membra, e in tutto il corpo
     Stassi misto ed occulto, e della mente,
     E dell’alma il vigor, perchè di semi
     Tenui, e piccioli è fatto; in simil guisa
     410Questa tale energia priva di nome
     È di corpi assai piccioli, e sottili
     Creata anch’ella, e sta nel corpo ascosa
     Alma di tutta l’alma, e signoreggia
     In tutto il corpo. Or in tal modo è d’uopo,
     415Che l’aura, e l’aere, e’l vapor caldo insieme
     Misti sian per le membra, e ch’altri ad altri
     Stian più sopra, o più sotto; acciochè possa
     Farsi di tutti un sol composto, e ’l foco
     Distintamente, e l’aura, e l’energia
     420Dell’aere non ancida, e sciolga il senso.

[p. 136 modifica]

     E’ nell’animo poi certo altro caldo,
     Ch’ei piglia nello sdegno, allor che ferve,
     E che per gli occhi torvi incendio spira:
     V’è del freddo timor compagna eterna
     425Molt’aura sparsa atta a produr nel corpo
     L’orror di morte, e concitar le membra:
     Ed evvi ancor quel placido e quieto
     Stato dell’aria, che dall’uom si gode
     Nel cor tranquillo, e nel sereno volto;
     430Ma viepiù di calor si trova in quelli,
     Che di cor son crudeli, ed iracondi
     D’animo, e facilmente ardon di sdegno:
     Qual sovra ogni altra cosa è la possanza,
     E il furor degl’indomiti Leoni,
     435Che gemendo e mugghiando orribilmente
     Squarcian tal volta il petto, e più non ponno
     In lor capir di sì grand’ira il flutto.
     Ma le timide Cerve han più ventosa,
     E più fredda la mente, e per le viscere
     440Concitan viepiù presto aure gelate,
     Che fan sovente irrigidir le membra.
     Al fin d’aria più placida, e tranquilla
     Vive il Gregge arator, nè mai soverchio
     Dell’ira il turba la sfumante face,
     445Di caligine cieca ombre spargendo;
     Nè mai dal telo del timor trafitto
     Gelido torpe; ma nel mezzo è posto

[p. 137 modifica]

     Fra paurosi Cervi, e Leon fieri.
     Tale anch’è l’uman Germe; e benchè molti
     450Siano egualmente di dottrina adorni,
     Restan però nella natura impresse
     Di qualunque alma le vestigie prime.
     Ne già creder si dee, che la virtude,
     Siasi quanto esser voglia eccelsa e grande,
     455Sveller possa giammai dalle radici
     Dell’uomo i vizj; e proibir, che Questi
     Più facilmente non trascorra all’ire;
     Quei dal freddo timor più presto alquanto
     Assalito non venga; e più del giusto
     460Non sia quell’altro placido, e clemente:
     Anzi è mestier, che in altre cose cose assai
     Degli uomini fra lor sian differenti
     Le nature, e diversi anco i costumi;
     Che dipendon da quelle. E s’io non posse
     465Di tai cose spiegar le cause occulte,
     Nè tanti nomi di figure imporre,
     Quanti d’uopo sariano a quei principj,
     Onde sì gran diversità di cose
     Nasce nel mondo, io per me credo almeno
     470Di potere affermar, che i naturali
     Primi vestigj, che non puote affatto
     Discacciar la ragion, sì lievemente
     Restino impressi in noi, che nulla possa
     Vietare all’uom, che placida, e tranquilla,

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     475E degna degli Dei vita non viva.
Così fatta natura è sparsa adunque
     Pe ’l corpo, e ’l custodisce, e lo conservar
     Poichè l’anima, e ’l corpo han le radici
     Sì strettamente avviticchiate insieme,
     480Che impossibil mi par, che possan l’une
     Dall’altre esser divelte, e che il composto
     Ratto a morte non corra. E quale appunto
     Mal si può dall’incenso estrar l’odore
     Senza ch’ei pera, e si corrompa affatto;
     485Tal dell’alma, e dell’animo l’essenza
     Mal diveller si può dal nostro corpo
     Senza ch’ei muoja, e si dissolva il tutto:
     Così fin dall’origine primiera
     Create son d’avviluppati semi
     490Le predette nature, ed han comune
     Fra lor la vita; nè capir si puote,
     Come nulla sentir possano i corpi
     Dalle menti divisi; o pur le menti
     Separate da i corpi: ond’è pur d’uopo,
     495Che di moti comuni, e quinci, e quindi
     Per le viscere a noi s’accenda il senso.
In oltre non si genera, nè cresce
     Mai per se stesso il corpo; e d’alma privo
     Tosto s’imputridisce e si corrompe.
     500Poichè quantunque il molle umor dell’acque
     Perda spesso il sapor, che gli fu dato,

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     Nè per ciò sia distrutto, anzi rimanga
     Senz’alcun danno; non per tanto i corpi
     Non son bastanti a sofferir, che l’alma
     505Si parta, e gli abbandoni; ma convulsi
     Muojon del tutto, e fansi esca de’ vermi.
     Poichè fin da principio, anco riposti
     Nelle membra materne, e dentro all’alvo
     Hanno i moti vitali in guisa uniti,
     510E scambievoli i morbi il corpo, e l’alma,
     Che non può l’un dall’altra esser diviso
     Senza peste comun. Tu quindi adunque
     Ben conoscer potrai, che se congiunta
     La causa è di salute, è d’uopo ancora,
     515Che unita sia la lor natura, e l’essere.
     Nel rimanente poi, se alcun rifiuta,
     Che senta il corpo; e crede pur, che l’alma
     Sparsa per ogni membro abbia quel moto,
     Che senso ha nome, egli per certo impugna
     520Cose veraci, e manifeste al senso,
     Che chi mai potrà dire, in che consista
     Del corpo il senso, altri che il senso istesso,
     Che sol n’addita, e ne fa noto il tutto?
Nè qui fia chi risponda: il corpo privo
     525D’anima resta anco di senso ignudo;
     Posciach’egli, oltre a ciò, molte altre cose
     Perde, senz’alcun dubbio, allor che lunga
     Età l’opprime, e lo converte in polve.

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Ma l’affermar, che gli occhi oggetto alcuno
     530Veder non ponno, e che la mente è quella
     Che rimira per lor, come per due
     Spalancate finestre, a me per certo
     Difficil sembra, e che il contrario appunto
     Degli occhi stessi ne dimostri il senso:
     535Massime allor che per soverchia luce
     Ne vien tolto il veder de’ rai del Sole
     L’aureo fulgor; perchè da’ lumi i lumi
     Son talvolta oscurati. Or ciò non puote
     Alle porte accader, che gli usci aperti,
     540D’onde noi riguardiamo, alcun travaglio
     Non han giammai. Ma se i nostr’occhi in oltre
     Ci servon d’usci, ragionevol parmi,
     Che traendogli fuor, debba la mente
     Meglio veder senza le stesse imposte.
     545Nè qui ricever dei per cosa vera,
     Benchè tal la stimasse il gran Democrito,
     Che del corpo, e dell’alma i primi semi
     Posti l’un presso all’altro alternamente
     Varie faccian le membra, e le colleghino.
     550Poichè non sol dell’anima i principj
     Son di quelli del corpo assai minori;
     Ma lor cedon di numero, e più rari
     Son dispersi per esso; onde affermare
     Questo solo potrai, che tanti spazj
     555Denno appunto occupar dell’alma i semi

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     Quanti bastano a noi per generare
     I moti sensitivi entro alle membra:
     Poichè talvolta non sentiam la polve,
     Nè la creta aderente al nostro corpo,
     560Nè la nebbia notturna, nè le tele
     De’ ragni, allor che nel gir loro incontro
     Vi restiamo irretiti, nè la spoglia
     De’ suddetti animai, quando su ’l capo
     Ci casca, nè le piume degli uccelli,
     565Nè de’ cardi spinosi i fior volanti,
     Che per soverchia leggerezza in giuso
     Caggion difficilmente: e non sentiamo
     Il cheto andar degli animai, che repono,
     Nè tutti ad uno ad uno i segni impressi
     570In noi dalle zanzare. In cotal guisa
     D’uopo è, che molti genitali corpi
     Movansi per le membra, ove son misti,
     Pria che dell’alma gli acquistati semi
     Possan disgiunti per sì grande spazio
     575Sentire, e martellando urtarsi, unirsi,
     E saltare a vicenda in varie parti.
Ma viepiù della vita i chiostri serra,
     E più ne regge, e signoreggia i sensi
     L’animo in noi, che l’energia dell’alma.
     580Conciossiachè dell’alma alcuna parte
     Non può per alcun tempo, ancorchè breve,
     Riseder senza mente entro alle membra;

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     Ma compagna la segue agevolmente,
     E fuggendo per l’aure il corpo lascia
     585Nel duro freddo della morte involto.
     Ma quegli, a cui la mente illesa resta,
     Vivo rimane, ancorchè d’ogn’intorno
     Abbia lacero il corpo. Il tronco busto,
     Benchè tolte gli sian l’alma, e le membra,
     590Pur vive, e le vitali aure respira,
     E dell’alma in gran parte orbo restando.
     Se non in tutto, non per tanto in vita
     Trattiensi, e si conserva; appunto come
     L’occhio ritien la facoltà visiva,
     595Quantunque intorno cincischiato, e lacero,
     Finchè gli resta la pupilla intatta;
     Purchè tu l’orbe suo tutto non guasti,
     Ma tagli intorno al cristallino umore,
     E solo il lasci: conciossiachè farlo
     600Anco il potrai senza timore alcuno
     Dell’esterminio suo. Ma se corrosa
     Fia la pupilla, ancorchè sia dell’occhio
     Una minima parte, e tutto il resto
     Dell’orbe illeso, e splendido rimanga,
     605Tosto il lume tramonta, e buja notte
     N’ingombra. Or sempre una tal lega appunto
     Tien congiunti fra lor l’animo, e l’alma.
Or via, perchè tu, Memmio, intender possa,
     Che son degli animai l’alme, e le mensi

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     610Natìe non pur, ma sottoposte a morte,
     Io vo’ seguire ad ordinar condegni
     Versi della tua vita, e da me cerchi
     Lungo spazio di tempo, e ritrovati
     Con soave fatica. Or su fra tanto
     615L’un di questi due nomi all’altro accoppia;
     E quand’io, verbigrazia, esser mortale
     L’alma t’insegno, a creder t’apparecchia,
     Che tale anco è la mente, in quanto l’una
     Fa congiunta con l’altra un sol composto:
     620Pria, perchè già la dimostrammo innanzi
     Di corpi sottilissimi e minuti,
     E fatta di principj assai minori
     Di quelli, onde si forma il chiaro e liquido
     Umor dell’acqua, o pur la nebbia, o il fumo;
     625Poichè nell’esser mobile d’assai
     Vince tai cose, e per cagion più lieve
     È sovente agitata; anzi talvolta
     Commossa è sol da simulacri ignudi
     In lei dall’acqua, o dalla nebbia impressi,
     630O pur dal fumo: il che succede allora
     Che noi sopiti in placida quiete
     Veggiam per l’aere atri vapori, e fumo
     D’ogn’intorno esalar sublimi Altari;
     Posciachè tali immagini per certo
     635Formansi in noi. Or se tu vedi adunque,
     Che rotti i vasi in ogni parte scorre

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     Impetuosa l’acqua, e via sen fugge,
     E fumo, e nebbia si dissolve in aura,
     Ben creder puoi, che l’anima, e la mente
     640Si distrugga, e perisca assai più presto,
     E che in tempo minore i suoi principj
     Sian dissipati, allor che una sol volta
     Rapita dalle membra si diparte.
     Conciossiachè se ’l corpo, il qual ad essa
     645Serve in vece di vaso, o perchè rotto
     Sia da qualche percossa, o rarefatto
     Per mancanza di sangue, omai bastante
     A frenarla non è, come potrai
     Creder, che vaglia a ritenerla alcuno
     650Aer, che la circondi? Egli del nostro
     Corpo è più raro; e con più forte laccio
     Stringer potralla, ed impedirle il corso?
In oltre il senso ne dimostra aperto
     Nascer la mente in compagnia del corpo,
     655E crescer anco, ed invecchiar con esso.
     Poichè siccome i piccioli fanciulli
     Han tenere le membra, e vacillante
     Il pargoletto piè; così veggiamo,
     Che dell’animo lor debole e molle
     660È la virtù. Ma se crescendo il corpo
     S’augumenta di forze, anco il consiglio
     Maggior diviene, e della mente adulta
     Più robusto è il vigor. Se al fin crollato

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     E’ dagli urti del tempo, e vecchio omai
     665Langue il corpo, e vien meno; e se le membra
     Perdon l’usate posse, anco l’ingegno
     Zoppica, e delirando in un sol punto
     E la lingua, e la mente il tutto manca.
     Dunqu’è mestier, che tutta anco dell’alma
     670La natura si dissipi, qual fumo
     Per l’aure aeree; poichè nasce, e cresce
     Co ’l corpo, e per l’etade al fin diventa,
     Com’io già t’insegnai, debole, e fiacca.
S’arroge a ciò, che se veggiamo il corpo
     675Soggetto a gravi morbi, e a dure ed aspre
     Fatiche, anco la mente alle mordaci
     Cure è soggetta, alle paure, al pianto.
     Per la qual cosa esser del rogo a parte
     Ancor l’è d’uopo; anzi sovente accade,
     680Che mentre il nostro corpo infermo langue,
     L’animo vagabondo esce di strada;
     Poichè spesso vaneggia, e di se fuori
     Parla cose da pazzi; ed è talvolta
     Da letargo durissimo, e mortale
     685Sommerso in alto, e grave sonno eterno:
     Cade il volto su ’l petto, e fissi in terra
     Stan gli occhi, ond’egli o le parole udire,
     O conoscer i volti omai non puote
     Di chi standogl’intorno, e procurando
     690Di richiamarlo in vita, afflitto, e mesto

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     Bagna d’amare lagrime le gote.
     Ond’è pur d’uopo il confessar, che l’alma
     Perisce anch’ella; mentre in lei penètra
     Il contagio de’ morbi. E il duolo, e ’l morbo
     695Ambi del rogo a noi sono architetti;
     Come di molti l’esterminio insegna.
     In somma per qual causa allor che l’acre
     Violenza del vino ha penetrato
     Dell’uomo il corpo, e per le vene interne
     700E’ diffuso l’ardor, tosto ne segue
     Gravezza nelle membra? Il piè traballa,
     Balbutisce la lingua, ebra vaneggia
     La mente, nuotan gli occhi, e crescon tosto
     E le grida, e i singhiozzi, e le contese
     705E tutto ciò che s’appartiene a questo.
     O perchè ciò se non perchè la forza
     Violenta del vino entro lo stesso
     Corpo anco l’alma ha di turbar costume?
     Ma tutto quel, che da cagione esterna
     710Turbar si puote, ed impedir, ne mostra,
     Che s’egli fia da più molesto incontro
     Urtato, perirà restando affatto
     Della futura età priva in eterno.
     Anzi sovente innanzi a gli occhi nostri
     715Veggiamo alcun da repentino morbo
     Cader, quasi da fulmine percosso:
     Lordo ha il volto di bava; e geme, e trema,

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     Esce fuor di se stesso, i nervi stende,
     E si crucia, ed anela, ed incostante
     720Dibatte, e stanca in varie guise il corpo;
     Poichè del morbo la possanza allora
     Per le membra distratta agita e turba
     L’alma: e spuma, qual onda in salso mare,
     Se Borea il fiede impetuoso, ed Austro,
     725Gorgoglia e bolle: il gemito s’esprime
     Sol perchè punte dal dolor le membra
     Fan, che scacciati dalle voci i semi
     Escan per bocca avvilupati insieme:
     Nasce il deliro poi, perchè l’interna
     730Virtù dell’alma, e della mente allora
     Si turba, e com’io dissi, in due divisa
     Vien sovente agitata, a quinci e quindi,
     Dallo stesso velen sparsa, e distratta.
     Ma se il fiero accidente omai si placa,
     735E l’altro umor del già corrotto corpo
     Ne’ ripostigli suoi fugge e s’asconde;
     Prima allor vacillando in piè si rizza,
     E quindi in tutti appoco appoco i sensi
     Riede, e l’alma ripiglia. Or questa dunque,
     740Mentre chiusa è nel corpo, avrà da tanti,
     Morbi travaglio, e fia distratta, e sparsa
     In così varie, e miserande guise,
     E creder vuoi, che la medesma possa.
     Priva affatto del corpo all’aer aperto

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     745Viver fra i venti, e le tempeste, e i nembi?
     Perchè in oltre sanar con medic’arte
     Si può la mente, come il corpo infermo,
     E sedarne i tumulti, anco da questo
     Apprender puoi, ch’ella è soggetta a morte;
     750Poich’è mestier, che aggiunga parti a parti,
     E l’ordin cangi, o dell’interna somma
     Qualche cosa detragga ognun, che piglia
     A variar la mente, o qualunque altra
     Corporea essenza trasmutar procura.
     755Ma possibil non è, che l’immortale
     Cangi sito di parti, o nulla altronde
     Riceva, o perda del suo proprio un pelo;
     Poichè qualunque corpo il termin passa
     Da natura prescritto all’esser suo,
     760Questo è sua morte, e non è più qual era.
L’animo adunque, o sia da morbo oppresso,
     O da medica man restituito
     Nel primiero vigor, chiaro ne mostra,
     Com’io già t’insegnai, d’esser mortale;
     765Talmente par, ch’alla ragion fallace
     S’opponga il vero, e le interchiuda affatto
     Di rifugio e di scampo ogni speranza,
     E con doppio argomento il falso atterri.
     Spesso in somma veggiam, che appoco appoco
     770Perisce l’uomo, e perde il vital senso
     A membro a membro. Pria l’ugna, e le dita

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     Livide fansi, i piè quindi, e le gambe
     Muojono, e scorre poi di tratto in tratto
     Per l’altre membra il duro gel di morte.
     775Or se dell’alma la natura adunque
     Si divide in più parti, e nello stesso
     Tempo non è sincera, ella si debbe
     Creder mortale; e se tu forse stimi,
     Ch’ella se stessa in se possa ritrarre,
     780E le sue parti in un sol gruppo unire;
     E che per questo ad un ad un le membra
     Perdano il vital senso, erri, e vaneggi.
     Poichè ciò concedendo, il luogo almeno,
     In cui s’unisce in sì gran copia l’alma,
     785Avria senso maggior. Ma questo luogo
     Non si vede giammai; perchè stracciata,
     Come già dissi, e lacerata in molte
     Parti fuor si disparge, e però muore.
     Anzi se pur ne piace omai supporre
     790Per vero il falso, e dir, che possa insieme
     L’alma aggomitolarsi entro alle membra
     Di quei, che moribondi a parte a parte
     Perdono il senso; non per tanto è d’uopo,
     Che mortal si confessi: e poco monta,
     795Ch’ella per l’aere si disperga, o ch’ella
     Ritirando in se stessa ogni sua parte
     Stupida resti, e d’ogni moto priva;
     Mentre già tutto l’uomo il senso perde

[p. 150 modifica]

     Più, e più d’ogn’intorno, e d’ogn’intorno
     800Meno, e meno di vita omai gli avanza.
     Aggiungi, che dell’uomo una tal parte
     Determinata è l’animo, e in un luogo
     Certo risiede; in quella guisa appunto,
     Che fan gli occhi, e l’orecchie, e gli altri sensi,
     805Che governan le membra: onde siccome
     E le mani, e l’orecchie, e gli occhi, e il naso
     Separati da noi sentir non ponno,
     Nè lungo tempo conservarsi in vita;
     Così non può per se medesma, e priva
     810Del corpo esser la mente, e senza l’uomo
     Che le serve di vaso, e di qualunque
     Altra natura immaginar tu possa
     Più congiunta con lei; perch’ella al corpo
     Con forte laccio è saldamente unita.
     815Finalmente e dell’animo, e del corpo
     Le vivaci energie sane e robuste
     Godon congiunte i dolci rai del Sole;
     Che priva delle membra, e per se sola
     Non può la mente esercitare i moti
     820Vitali; ed all’incontro orbe dell’alma
     Non pon le membra esercitare i sensi.
     Ma qual se tratto dalla testa un occhio
     Lungi ’l getti dal corpo, egli non vede
     Nulla per se, tal separate ancora
     825Dall’uom l’alma, e la mente oprar non ponno

[p. 151 modifica]

     Nulla; poichè mischiate, e per le vene,
     E pe’ nervi, e per le ossa, e per le viscere
     Trovans’in tutto il corpo, e i primi semi
     Non ponno in varie parti a lor talento
     830Lungi saltare: onde ristretti insieme
     Creano i moti sensiferi, che poscia
     Dopo morte a crear non son bastanti,
     Poichè più non gli frena il freno stesso;
     Che corpo insieme, ed animal sarebbe
     835L’aer per certo, se frenar se stessa
     L’anima vi potesse, e far quei moti,
     Che pria nel corpo esercitar solea
     Per opera de’ nervi. Ond’è pur forza,
     Che poichè risoluto ogni coperchio
     840Fia del corpo dell’uomo, e fuor cacciata
     La dolce aura vitale, anco dell’alma,
     E della mente si dissolva il senso;
     Mentre l’istessa causa a due fa guerra.
     Se il corpo in somma tollerar non puote
     845Dell’anima il partir senza che tosto
     S’imputridisca, e d’ogn’intorno spanda
     Alito abominevole ed orrendo,
     Perchè dubbiar, che sin dall’imo fondo
     Sradicata da lui ratta non fugga
     850Sparsa qual fumo l’energia dell’alma?
     Onde per così putrida, e sì grande
     Ruina il corpo variato, e guasto

[p. 152 modifica]

     Perisca affatto. Conciossiachè mossi
     Son da’ proprj lor luoghi i fondamenti
     855Dell’alma, e per le membra esalan fuori,
     E per tutte le vie curve del corpo,
     E per tutti i meati; onde tu possa
     Quind’imparar, che per le membra uscìo
     Divisa l’alma in varie parti, e prima
     860Fu nel corpo medesimo distratta
     Essa da se, che fuor di lui sospinta:
     Anzi mentre che l’anima si spazia
     Ne’ confin della vita, a noi sovente
     Par nondimen, ch’ella perisca oppressa
     865Per qualche causa, e che dal corpo esangue
     Si dissolvan le membra, e quasi giunto
     All’estremo suo dì languisca il volto:
     Come suole accader, quando svenuti
     Cascan gli uomini in terra, allor che ognuno
     870Trema insieme, e desia di ritenere
     L’ultimo laccio alle mancanti forze.
     Poichè allor della mente ogni vigore
     Si squassa, e seco ogni virtù dell’alma
     Stranamente si crolla, e con lo stesso
     875Corpo ambedue s’indeboliscon tanto,
     Che dissolverle affatto omai potrebbe
     Causa poco più grave. E nondimeno
     Dubiterai, che finalmente uscita
     L’anima fuor del corpo all’aria aperta,

[p. 153 modifica]

     880Debole e stanca e di ritegno priva
     Non sol non duri esternamente intatta,
     Ma nè pur si conservi un sol momento?
     Conciossiachè non sembra a i moribondi
     Di sentire accostar l’anima illesa
     885Al petto, indi alla gola, indi alle fauci;
     Ma par lor, che perisca in un tal sito
     A lei prefisso: in quella guisa appunto
     Che sa ciascun di noi, ch’ogni altro senso
     Nella propria sua parte si dissolve.
     890Che se pure immortal fosse la mente,
     Essa giammai non si dorria morendo
     D’esser disciolta dal mortal suo laccio;
     Anzi con volar via libera e sciolta
     Goder dovrebbe di lasciar la veste:
     895Qual gode di depor l’antica spoglia
     L’angue già vecchio, e le sue corna il cervo.
     In somma perchè mai non si produce
     Dell’animo il consiglio o nella testa
     O nel dorso, o ne’ piedi, o nelle mani?
     900Ma sempre sta tenacemente affisso
     In quel sito medesmo, in cui natura
     Da prima il collocò; se pur non sono
     Prescritti i luoghi, ove ogni cosa possa
     Nascere, e nata conservarsi in vita?
     905Sì tutti i corpi han le lor sedi, e mai
     Non suol per entro alle pruine algenti

[p. 154 modifica]

     Nascere il fuoco, e tra le fiamme il ghiaccio
In oltre se dell’anima l’essenza
     A morte non soggiace, e può sentire
     910Separata dal corpo, a quel, ch’io stimo,
     Forza sarà, ch’ella si creda ornata
     De’ cinque sentimenti; e noi proporre
     Possiam, che l’alme per l’inferno errando
     Vadano; onde i Pittori, ed i Poeti
     915Ne’ secoli primieri in cotal guisa
     L’alme introdusser d’ogni senso ornate.
     Ma non posson per se, prive dell’alma,
     O le mani, o la lingua, o il naso, o gli occhi,
     O l’orecchie goder vita, nè senso,
     920Nè per se ponno i sensi, e senza mani,
     E senza lingua, e senza orecchi, e senza
     Occhi, e naso goder senso, nè vita:
     E perchè il senso esser ne mostra il senso
     Comune a tutto il corpo, ed ognun vede,
     925Che animale è il composto, egli è pur d’uopo,
     Che se questo con subita percossa
     Vien ferito nel mezzo in guisa tale,
     Che restin separate ambe le parti,
     E diviso, e stracciato anco dell’alma
     930Sia co ’l corpo il vigore, e quinci, e quindi
     Senz’alcun dubbio seminato, e sparso.
     Ma ciò che si divide, ed in più d’una
     Parte si sparge, per se stesso nega

[p. 155 modifica]

     D’esser dotato di natura eterna.
935Fama è, che pria nelle battaglie era uso
     L’oprar carri falcati, e che da questi
     Spesso di mista uccision fumanti
     Sì repente solean l’umane membra
     Tronche restar, che già cadute in terra
     940Tremar parean, benchè divise affatto
     Dal restante del corpo, ancorchè l’animo,
     E dell’uom l’energia nulla sentisse
     Per la prestezza di quel male il duolo,
     Sol perchè tutto allor l’animo intento
     945Era in un con le membra al fiero Marte,
     Alle morti, alle stragi, e di null’altro
     Parea, che gli calesse, e non sapea,
     Che le ruote, e le falci aspre, e rapaci
     Gli avean pe ’l campo strascinata a forza
     950Già con lo scudo la sinistra mano:
     Ne s’accorge talun, mentre in battaglia
     Salta a cavallo, e furioso corre,
     D’aver perso la destra. Un altro tenta
     D’ergersi, ancorchè d’uno stinco affatto
     955Privo, mentre nel suolo il piè morendo
     Divincola le dita, e il capo in terra
     Tronco dal caldo, e vivo busto al volto
     Mostra segni vitali, ed apre gli occhi,
     Finchè dell’alma ogni reliquia esali.
     960Anzi se mentre il minaccevol serpe

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     Sta vibrando, tre lingue, a te piacesse
     Di tagliar con la spada in varie parti
     La lunga coda sua, veder potresti,
     Che ciascuna per se di fresco incisa
     965S’attorce, e sparge di veleno il suolo,
     E con la bocca egli medesmo indietro
     Cerca la prima parte, e ’l dente crudo
     Vi ficca in guisa, che pe ’l duolo acerbo
     Cruciata l’impiaga, e con l’ardente
     970Morso l’opprime. Or direm noi, che in tutte
     Quelle minime parti un’Alma intiera
     Si trova? Ma da ciò segue, che molte
     Anime siano in un sol corpo unite:
     Dunque divisa è pur quella, che sola
     975Fu prima, onde mortale, e l’alma, e ’l corpo
     Stimar si dee, giacchè ugualmente entrambi
     Possono in varie parti esser divisi.
Se l’alma in oltre è per natura eterna,
     E nel corpo a chi nasce occultamente
     980Penetra, e per qual causa altri non puote
     Rammemorarsi i secoli trascorsi,
     Nè delle cose da lui fatte alcuno
     Vestigio ritener? poichè se tanto
     La virtù della mente in noi si cangia,
     985Che resti affatto ogni memoria estinta
     Delle cose operate, al creder mio,
     Ciò dalla morte omai lungi non erra,

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     Sicchè d’uopo ti fia dir, che perisce
     L’alma di prima, e che all’incontro quella,
     990Ch’or nel corpo dimora, or si creasse.
     Aggiungi, che se in noi l’animo è chiuso
     Poi che ’l corpo è perfetto, allor che nasce
     L’uomo, e che pria ne’ limitari il piede
     Pon della vita, in nessun modo al certo
     995Non converria, ch’egli nel sangue immerso
     Co ’l corpo, e con le membra in simil guisa
     Crescer paresse, anzi dovria per se
     Viver solo a se stesso, e quasi in gabbia.
     Onde voglia, o non voglia, è pur mestiero,
     1000Che si credan da noi l’alme, e le menti
     Natìe non pur, ma sottoposte a morte.
     Posciachè se di fuori insinuate
     Fossero, non potriansi strettamente
     A i corpi unirsi, il che pur mostra aperto
     1005Il senso a noi; mentre connesse in guisa
     Per le vene, pe’ nervi, e per le viscere
     Sono, e per l’ossa, che gli stessi denti
     Son di senso partecipi; siccome
     N’additano i lor mali, e lo stridore
     1010Dell’acqua fredda, e le pietruzze infrante
     Da noi con essi in masticando il pane:
     Nè sì conteste essendo, uscirne intatte
     Potranno, e salve se medesme sciorre
     E da’ nervi, e dall’ossa, e dagli articoli,

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     1015Che se tu forse penetrar ti credi
     L’anima per le membra insinuata
     Di fuori in noi, tanto più dee co ’l corpo
     Liquefatta perir; poichè disfassi
     Tutto ciò che penètra, e però muore.
     1020Conciossiachè divisa al fin si spande
     Pe’ meati insensibili del corpo:
     E’ qual se per le membra è compartito,
     Tosto il cibo perisce, e di se stesso
     Porge ristoro e nutrimento al corpo;
     1025Tal dell’alma, e dell’animo l’essenza,
     Benchè novellamente entri nel corpo
     Intera, nondimen pur si dissolve,
     Mentre il penètra, e che pe’ fori occulti
     Vengon distribuite ad ogni membro
     1030Le sue minime parti; onde si forma
     Quest’altra essenza d’animo, che poscia
     Donna è del corpo, e che di novo è nata
     Di quella, che perìo distribuita
     Già per le membra; onde non par, che l’alma
     1035Priva sia di natal, nè di feretro.
In oltre non rimangono i principj
     Dell’anima nel corpo, ancorchè morto?
     Che se pur vi rimangono, e vi stanno,
     Non par, che giustamente ella si possa
     1040Giudicare immortal: poichè libata
     Fuor se ne gìo parte di se lasciando,

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     Ma s’ella poi dalle sincere membra
     Sen fugge in guisa, che nel corpo alcuna
     Parte di se medesima non lasci,
     1045Onde spirano i vermi entro alle viscere
     Già rance de’ cadaveri, e sì grande
     Numero d’animali affatto privi
     D’ossa, e di sangue in ogni parte ondeggia
     Per le tumide membra, e per gli articoli?
     1050Che se tu forse insinuarsi a’ vermi
     L’anime credi, e per di fuori entrare
     Ignude entro lor corpi; e non consideri,
     Come mille, e mill’anime s’adunino
     In quel corpo medesmo, onde una sola
     1055Già si partìo, ciò nondimeno è tale,
     Che sembra pur, che ricercar si debba,
     E forte dubitar, se l’alme i semi
     Si procaccin de’ vermi ad un ad uno,
     E i luoghi, ove abitar denno, esse stesse
     1060Si vadan fabbricando, o pur di fuori
     Sian ne’ corpi già fatti insinuate.
     Ma nè come operar debbano, o come
     Affaticarsi l’anime, ridire
     Non puossi: conciossiachè senza corpo
     1065Inquiete e sollecite non vanno
     Qua, e là svolazzando a forza spinte
     O dal male, o dal freddo o dalla fame.
     Che per questi difetti, ed a tal fine

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     Par, che più tosto s’affatichi ’l corpo;
     1070E ch’entro a lui dal suo contagio infetto
     L’animo, a molte infermità soggiaccia.
     Ma concedasi pur, che giovi all’alme
     Il fabbricarsi i corpi in quello stesso
     Tempo, che vi sottentrano; pur, come
     1075Debbian ciò fare, immaginar non puossi.
     Esse dunque per se le proprie membra
     Fabbricar non potranno; e non per tanto
     Giudicar non si dee, che insinuate
     Sian ne’ corpi già fatti. Imperocchè
     1080Non potrian sottilmente esser connesse,
     Nè sottoposte per consenso a’ morbi.
     Al fine ond’è, che violenta forza
     De’ superbi leon sempre accompagna
     La semenza crudele, e che de’ padri
     1085Han le volpi l’astuzie, e per natura
     Fuggonsi i cervi, ove il timor gli caccia?
     E l’altre proprietà simili a queste
     Ond’è, che tutte per le membra innate
     Sembrano in noi, se non perchè una certa
     1090Energia della mente in un con tutto
     Il corpo cresce del suo seme, e della
     Propria semenza? che se fosse immune
     Da morte, e corpo variar solesse,
     Permiste avrian le qualità fra loro
     1095Gli animali; e potrebbe alcuna tigre

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     Cani produr, che de’ cornuti cervi
     Paventasser l’incontro; e lo sparviero
     Gli assalti fuggiria della colomba
     Per l’aure aeree timido e tremante,
     1100Pazzo ogni uomo saria, saggia ogni fiera;
     Poichè falso è, che l’anima immortale,
     Come alcun dice, in variando il corpo
     Si cangi: conciossiachè si dissolve
     Tutto ciò che si cangia, e però muore;
     1105Giacchè le parti sue l’ordin primiero
     Mutano; onde poter debbono ancora
     Per le membra dissolversi, e perire
     Finalmente co ’l corpo. E se diranno,
     Che sempre in corpi umani anime umane
     1110Entrin, chiederò loro: ond’è, che possa
     Pazza di saggia divenir la mente?
     Nè prudente giammai nessun fanciullo
     Si trovi, nè puledro adorno in guisa
     Di virtù militar, che possa in guerra
     1115Far prove di se stesso al par d’ogni altro
     Bravo destrier? se non perchè una certa
     Energia della mente in un col corpo
     Cresce eziandio del proprio seme, e della
     Propria semenza. Nè schifar si puote,
     1120Che ne’ teneri corpi anco la mente
     Tenerella non sia: che se pur vero
     Ciò credi, omai che tu confessi è d’uopo,

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     Che l’anima è mortal, mentre si cangia
     Sì fattamente per le membra, e perde
     1125La primiera sua vita, e ’l proprio senso.
     E come in oltre in compagnia del corpo
     Divenuta robusta, al fior bramato
     Giunger dell’età sua l’alma porrebbe,
     Se della prima origine non fosse
     1130Consorte? O come dalle vecchie membra
     Desidera d’uscir? forse paventa
     Chiusa restar nel puzzolente corpo?
     O che l’albergo suo già vacillante
     Per la soverchia età caggia, e l’opprima?
     1135Ma non può l’immortale esser disfatto.
In somma assai ridicolo mi sembra
     Il dir, che siano apparecchiate e pronte
     Ne’ Venerei diletti, e delle fiere
     Ne’ parti l’alme; e che immortali essendo
     1140Sian costrette a guardar membra mortali
     Menti infinite, e guerreggiar fra loro
     Qual prima, o dopo insinuar si deggia;
     Se non se forse han pattuito insieme,
     Che quella, che volando arriva prima,
     1145Anco prima s’insinui, e che di forze
     L’una all’altra giammai lite non mova.
     Gli alberi finalmente esser nell’etere
     Non ponno, nè le nubi entro all’oceano,
     Nè vivo il pesce dimorar ne’ campi,

[p. 163 modifica]

     1150Nè da legno spicciar tepido sangue,
     Nè mai succo stillar da pietre alpine:
     Certo, ed acconcio è per natura il luogo,
     Ove cresca ogni cosa, ove dimori.
     Così dunque per se l’alma, e la mente
     1155Senza corpo giammai nascer non puote,
     Nè dal sangue vagar lungi, o da’ nervi;
     Poichè se ciò potesse, ella potrebbe
     Molto più facilmente, o nella testa
     Vivere, o nelle spalle, o ne’ calcagni,
     1160E nascer anco in qualsivoglia parte
     Del corpo, e finalmente abitar sempre
     Nell’uomo stesso, e nello stesso albergo.
     Onde poichè prefisso i corpi nostri
     Han per natura, ed ordinato luogo
     1165Ove distintamente o nasca, o cresca
     La natura dell’animo, e dell’anima;
     Tanto men ragionevole stimarsi
     Dee, che si possa generare il tutto
     Scevro dal corpo, o mantenersi in vita.
     1170Onde tosto che il corpo a morte corre,
     Mestier sarà, che tu confessi, o Memmio,
     Che ancor l’alma perì distratta in esso.
     Conciossiachè l’unire all’immortale
     Il caduco, e pensar, ch’ei possa insieme
     1175Operar, e soffrir cose a vicenda,
     È solenne pazzia; poichè qual altra

[p. 164 modifica]

     Cosa mai sì diversa, e sè disgiunta,
     E fra se discrepante immaginarsi
     Potria, quanto l’unirsi all’immortale
     1180E perenne il caduco, e fragil corpo,
     E soffrir nel concilio aspre tempeste?
In oltre tutto quel, che dura eterno,
     Conviene o che respinga ogni percossa
     Per esser d’infrangibile sostanza,
     1185Nè soffra mai, che lo penètri alcuna
     Cosa, che disunir possa l’interne
     Sue parti, qual della materia appunto
     Gli atomi son, la cui natura innanzi
     Già per noi s’è dimostra, o che immortale
     1190Viva, perchè dagli urti affatto esente
     Sia, come il vuoto, che non tocco dura,
     Nè mai soggiace alle percosse un pelo:
     O perchè intorno a lui alcuno spazio
     Non sia, dove partirsi, e dissiparsi
     1195Possa; come la somma delle somme
     Fuor di se non ha luogo, ove si fugga,
     Nè corpo, che l’intoppi, e con profonda
     Piaga l’ancida, e però vive eterna.
     Ma nè, come insegnammo, esser contesta
     1200L’alma non può d’impenetrabil corpo:
     Che misto è sempre infra le cose il vuoto:
     Nè però, come il vuoto, intatta vive;
     Poichè corpi non mancano, che sorti

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     Dall’infinito, ed agitati a caso
     1205Possan cozzar con violento turbine
     Questa mole di mente, ed atterrarla,
     E farne in altri modi orrido scempio:
     Nè del luogo l’essenza, e dello spazio
     Profondo manca, ove distrarsi, e spargersi
     1210L’anima possa, e per lo vano immenso
     Spinta da qualunque altra esterna forza
     Finalmente perir. Dunque non fia
     Chiusa alla mente del morir la porta.
Che se forse immortal credi piuttosto
     1215L’anima, perchè sia ben custodita
     Dalle cose mortifere; o perchè
     Tutto quel, che la incontra in qualche modo,
     Pria che le noccia risospinto a forza
     Indietro si ritiri; o perchè nulla,
     1220Che nemico le sia, possa incontrarla,
     Erri lungi dal ver: poich’ella al certo
     Oltre al mal, che patisce, allor che inferme
     Giaccion le membra, è macerata spesso
     Dal pensare al futuro, onde il timore
     1225Nasce, che la maltratta, e le nojose
     Cure, che la travagliano, e rimorsa
     E’ dalle colpe in gioventù commesse,
     Aggiungi in oltre il proprio suo furore,
     E l’obblío delle cose; aggiungi il nero
     1230Torrente di letargo, in cui s’immerge.

[p. 166 modifica]

     Nulla dunque è la morte, e nulla all’uomo
     Appartenersi può, poichè mortale
     È l’alma: e come ne’ trascorsi tempi
     Nulla afflitti sentimmo, allor che il fiero
     1235Annibale inondò d’arme, e d’armati
     Del Lazio i campi, che squassato il tutto
     Da così spaventevole tumulto
     Di guerra, sotto l’alte aure dell’etere
     Tremò sovente, e fu più volte in dubbio
     1240Sotto qual di due popoli dovesse
     Cader l’impero universal del mondo;
     Tale appunto sentir nulla potremo
     Tostochè fra di lor l’anima, e ’l corpo,
     Dell’union de’ quai l’uomo è formato,
     1245Disuniti saranno. A noi per certo,
     Che allor più non saremo, accader nulla
     Più non potrà: non se confuso, e misto
     Fia con la terra il mar, co ’l mare il cielo.
Senzachè, se distratta omai del nostro
     1250Corpo la mente, e l’energia dell’alma
     Sentir potesse, non per tanto a noi
     Ciò nulla apparterrai perchè formati
     Siam d’anima, e di corpo unitamente.
     Nè se l’età future avranno i semi
     1255Nostri raccolti dopo morte, ed anco
     Di novo allo stess’ordine ridotti
     C’hanno al presente, onde ne sia concesso

[p. 167 modifica]

     Novo lume di vita, a noi per certo
     Nulla questo appartien; poi che interrotta
     1260Fu la nostra memoria una sol volta.
     Ed or nulla di noi che fummo innanzi,
     Nè cal, nè punto ne contrista ed ange
     Il pensare a color, che della nostra
     Materia in altra età nascer dovranno.
     1265Poichè se gli occhi della mente fissi
     Del tempo omai trascorse all’infinito
     Spazio, e contempli quanto varj, e quanti
     I moti sian della materia prima,
     Agevolmente crederai, che i semi
     1270Fossero in quello stess’ordine e sito,
     In cui son or molto sovente; e pure
     Non può di questo rammentarsi alcuno,
     Poichè interpose fur pause alla vita,
     E sparsi i moti errar lungi da’ sensi:
     1275Poichè quel, ch’è per essere infelice,
     D’uop’è, che vivo sia nel tempo, in cui
     Possa a mal soggiacere. Or se la morte
     Da questo lo difende, e proibisce,
     Che quelli, in cui ponno adunarsi i mali
     1280Stessi, che noi fan miseri, vivesse
     Ne’ secoli trascorsi, omai ne lice
     Senza dubbio affermar, che nella morte
     Non è, di che temere, e che non puote
     Chi non vive esser mai dolente, e misero;

[p. 168 modifica]

     1285Nè punto differir da quei, che nati
     Unqua al mondo non son quegli, a cui tolta
     Fu da morte immortal vita mortale.
     Onde se vedi alcun, che di se stesso
     Abbia compassion, perchè sepolto
     1290Dopo morte il suo corpo, imputridirsi
     Debba, o da fiamme ardenti esser consunto,
     O dilaniato da rapaci augelli,
     O da fiere sbranato; indi ti lice
     Saper, che non sincero il cor gli punge
     1295Qualche stimolo cieco, ancorch’ei neghi
     Di creder, che sentir dopo la morte
     Si possa alcuna cosa, onde non serba
     Ciò che promette largamente altrui,
     Ne dalla vita se medesmo affatto
     1300Stacca; ma no ’l sapendo, alcuna parte
     Fa, che resti di se: che mentre vivo
     L’uom pensa, che morendo o degli augelli
     Fia pasto il proprio corpo, o delle belve,
     Testo di se medesimo gl’incresce,
     1305Sol perchè non si libera a bastanza
     Dal corpo a gli animai gettato in preda;
     Ma quel si finge, e del suo proprio senso
     L’infetta; e quindi a lui stando presente
     D’esser nato mortal sdegna, e non vede,
     1310Che nella vera morte esser non puote
     Nessun altro se stesso, il qual vivendo

[p. 169 modifica]

     Pianga sè morto, o lacerato, od arso.
     Conciossiachè se mal fosse morendo,
     Che dall’avido rostro, o dall’ingorda
     1315Bocca degli animai si divorasse
     Dell’uomo il corpo, io non intendo il come
     Duro non sia l’esser nel foco ardente
     Arrostite le membra, o soffocate
     Nel mele, o per lo freddo intirizzite
     1320Poste a giacer d’una gelata selce
     Sull’equabile cima, o per di sopra
     Dal grave peso della terra infrante.
     Ma nè l’albergo tuo vago, ed adorno,
     Nè l’amata consorte omai potranno
     1325Accoglierti, nè i dolci e cari figli
     Corrert’incontro, e con lusinghe e vezzi
     Prevenirti ne’ baci, e ’l core, e l’alma
     Di tacita dolcezza inebriarti.
     Più non potrai con onorate imprese
     1330O di mano, o di senno, o in pace, o in guerra
     Esser a te, nè a’ tuoi d’ajuto alcuno.
     Povero te, povero te gridando
     Vanno! un sol giorno, una sol’ora, un punto
     Nemico a’ gusti tuo potrà rapirti
     1335Della vita ogni premio; e taccion solo:
     Nè desiderio alcuno avrai di queste
     Cose, il che se co’ gli occhi della mente
     Molto ben guarderanno, e seguitarlo

[p. 170 modifica]

     Vorrian con detti, omai scioglier se stessi
     1340Potranno e dall’angoscia, e dal timore,
     Venti contrarj alla tranquilla vita.
     Tu, qual da morte addormentato sei,
     Tale al certo sarai nella futura
     Età privo d’affanno, e di cordoglio:
     1345Ma noi vicini al tuo sepolcro orrendo
     Te piangeremo insaziabilmente
     Dal rogo in poca cenere converso;
     Nè l’eterno dolor dal cor profondo
     Tolto mai ne sarà. Chiedere adunque
     1350Deggiamo a questi: che vi sia d’amaro
     Cotanto, se una cosa omai ritorna
     Al sonno, alla quiete? e qual cagione
     Abbia alcun di dolersi, pianger sempre?
     Sogliono ancor, mentre sedendo a mensa
     1355Tengon gli uomini in man coppe spumanti,
     Di ghirlande odorose ornati il crine
     Dirsi di cuor l’un l’altro: è breve il frutto
     Del bere, e ’l già godemmo, e nel futuro
     Forse più no ’l godrem; quasi il maggiore
     1360Mal, che la tomba a questi tali apporti,
     Sia l’esser dalla sete arsi e consunti;
     O dall’arida terra, o da qualunque
     Altro desio miseramente afflitti.
     Ma nè la vita sua, nè se ricerca
     1365Alcun, mentre di par giaccion sopiti

[p. 171 modifica]

     In placida quiete il corpo, e l’alma:
     Conciossiachè in tal guisa a noi pur lice
     Dormir sonno perpetuo, e non ci punge
     Di noi medesmi desiderio alcuno;
     1370E pur dell’alma i primi semi allora
     Non vanno per le membra errando lungi
     Da i sensiferi moti, anzi si desta
     L’uom per se stesso. Molto meno adunque
     Creder si dee, che appartener si possa
     1375La morte a noi, se men del nulla è nulla;
     Poichè più dissipata è nel feretro
     L’union de’ principj, e mai nessuno
     Svegliossi dopo che seguìo la fredda
     Pausa della sua vita una sol volta.
1380Al fin se voci la natura istessa
     Fuor mandasse repente, ed in tal guisa
     Prendesse a rampognare: E qual sì grave
     Causa, o sciocco mortal, ti spinge al duolo?
     Perchè temi la morte, e perchè piangi?
     1385Giacchè se dolce la primiera vita
     Ti fu, nè tutti i comodi di quella
     Scorser quasi congesti in un forato
     Vaso, nè tutti trapassar nojosi;
     Perchè di viver sazio omai non parti
     1390Dal mio convito, e volentier non pigli
     La sicura quiete? e se profuso
     Svanì ciò che godesti, e se la vita

[p. 172 modifica]

     T’offende omai, per qual cagione; o stolto
     Cerchi d’aggiunger più quel, che di novo
     1395Dee malamente dissiparsi, e tutto
     Perire a te nojoso? e non piuttosto
     Fine alla vita, ed al travaglio imponi?
     Conciossiacchè oggimai nulla mi resta,
     Che macchinar per te, nè trovar posso
     1400Cosa, che più ti piaccia. Il mondo è sempre
     Lo stesso, e se per gli anni ancor non langue
     Il corpo tuo; se per vecchiezza estrema
     Non hai le membra affaticate e stanche,
     Sappi, che nondimen ciò che ti resta
     1405Sarà sempre il medesmo, ancorchè vivo
     Stessi ben mille, e mill’etadi, ed anco
     Mai per morir non fossi. E qual risposta
     Dar potrem noi, se non che la natura
     Giusta lite ne move, e il vero espone?
1410Ma chi più del dover s’ange, e lamenta
     D’esser nato mortal, con più ragione
     Non fia sgridato o rampognato in voce
     Viepiù alta, e severa? Asciuga, o stolto,
     Dagli occhi ’l pianto, e le querele affrena;
     1415E se per troppa età vecchio e canuto
     Altri si duol, tu pur godesti i premj,
     Che la vita ne dà, pria che languissi.
     Ma perchè sempre avidamente brami
     D’aver quel, che ti manca; ed all’incontro

[p. 173 modifica]

     1420Sprezzi, qual cosa vil, ciò che possiedi,
     Quindi avvien, che imperfetta, e poco grata
     Ti rassembra la vita; e quindi innanzi
     Che tu possa partir lieto e satollo
     Delle cose del mondo, all’improvviso
     1425Ti sovrasta la morte. Or lascia adunque
     Ciò che più tuo non è, benchè prodotto
     Fosse al tuo tempo, e volentier concedi,
     Ch’altri possegga quel, che indarno omai
     Tenti di posseder. Giusta per certo
     1430Sarebbe al creder mio tal causa, e giusto
     Un sì fatto rimprovero: che sempre
     Cedon l’antiche alle moderne cose
     A viva forza discacciate, e l’una
     Si ristaura dall’altra, e nulla cade
     1435O nel tartaro cieco, o nel profondo
     Baratro. Acciò ne’ secoli futuri
     Gli uomini, gli animai, l’erbe, e le piante
     Crescano, han d’uopo di materia; e pure
     Mestieri è, che ciò segua allor che avrai
     1440Compito affatto di tua vita il corso.
     Dunque non men di te caddero innanzi
     Tai cose, e caderanno. In cotal guisa
     Di nascer l’un dall’altro unqua non resta:
     E fu dalla natura il viver dato
     1445A nessuno in mancipio, a tutti in uso.
Pon mente in oltre, come pria che al mondo

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     Fussimo generati, alcun trascorso
     Secolo antico dell’eterno tempo
     A noi nulla appartenne. Or questo adunque
     1450Specchio natura innanzi a gli occhi nostri
     Pose, acciò quivi un simulacro vero
     Rimiran dell’età, che finalmente
     Dee seguir dopo morte. Ivi apparisce
     Nulla forse o d’orribile, o di mesto?
     1455Forse non d’ogni sonno alto, e profondo
     È più sicuro il tutto? in vita, in vita
     Si patisce da noi ciascun tormento,
     Che l’anime cruciar nel basso inferno
     Credon gli sciocchi. Tantalo infelice
     1460Non teme il grave ed imminente sasso
     Come fama di lui parla e ragiona;
     Ma ben sono i mortali in vita oppressi
     Dal timor degli Dei cieco e bugiardo;
     E paventan ognor quella caduta,
     1465Che lor la sorte appresta; Erra chi pensa,
     Che Tizio giaccia in Acheronte, e sempre
     Pasca del proprio cor l’augel vorace;
     Nè per cercar lo smisurato petto
     Con somma diligenza unqua potrebbe
     1470L’avoltojo trovar cibo, che fosse
     Bastante a saziar l’avido rostro
     Eternamente. E sia quantunque immane
     Tizio, e non pur con le distese membra

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     Occupi nove jugeri, ma tutto
     1475Il grand’orbe terreno; ei non per tanto
     Non potrà sofferir perpetua doglia,
     Nè porger del suo corpo eterno pasto.
     Ma Tizio è quei, che dal rapace artiglio
     D’amor ghermito, e lacerato, e roso
     1480Dal crudo rostro d’ansiosa angoscia;
     E quei, che per qualunque altro desio
     Stracciano ad or ad or noje, e tormenti.
     Sisifo in oltre io questa vita abbiamo
     Posto innanzi a’ nostri occhi, e quello è desso,
     1485Che dal popolo i fasci, e le crudeli
     Securi aver desidera, e si trova
     Sempre ingannato, onde si crucia ed ange:
     Poichè impero bramar, che affatto è vano,
     Nè mai può conseguirsi, e sempre in esso
     1490Durare intollerabili fatiche,
     Questo è voler lo sdrucciolevol sasso
     Portar sulla più erta eccelsa cima
     Del monte alpestre, ond’egli poi si ruoti
     Di novo, e caggia in precipizio al piano.
1495Pascer sempre oltre a ciò l’animo ingrato
     De’ beni di natura, e mai contento
     Non empier, nè saziar la brama ingorda;
     Qual allor che degli anni in se rivolti
     Tornano i tempi, e ne rimenan seco
     1500Varie, e liete vaghezze, e nuovi parti;

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     E pur sazio giammai l’uomo infelice
     Non è di tanti, e così dolci frutti,
     Che la vita gli porge. A quel, ch’io stimo,
     Altro questo non è, che radunare
     1505Acqua in vasi forati, i quai non ponno
     Empiersi mai; come si dice appunto,
     Che a far sian condannate in Acheronte
     Dell’empio re le giovinette figlie.
Cerbero fiera orribile e diversa,
     1510Che latra con tre gole, e il cieco tartaro,
     Che fumo erutta, e spaventosi incendj,
     E le furie crinite di serpenti,
     Ed Eaco, e Minosse, e Radamanto
     Non sono in alcun luogo, e senza dubbio
     1515Esser non ponno; ma la tema in vita
     Delle pene dovute a’ gran misfatti
     Gravemente n’affligge, e la severa
     Penitenza del fallo, e ’l carcer tetro,
     E del sasso Tarpeo l’orribil cima,
     1520I flagelli, i carnefici, e la pece,
     E le piastre infocate, e le facelle,
     E qual altro supplicio unqua inventasse
     Sicilia de’ tiranni antico nido;
     I quai, benchè dal corpo assai lontani
     1525Forse ne sian, pur di temer non resta
     L’animo consapevole a se stesso
     De’ malvagi suoi fatti; e ’l core, e l’alma

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     Sì ne sferza, e ne stimola, e n’affligge,
     Che nell’esser crudel Falari avanza:
     1530Nè sa veder, qual d’ogni male il fine
     Sarebbe, e d’ogni pena; anzi paventa,
     Che viepiù dopo morte aspre e nojose
     Non sian le sue miserie. Or quindi fassi
     La vita degli sciocchi un vivo inferno.
     1535Talvolt’ancor puoi fra te stesso dire:
     Vide pur anco Marzio eterna notte,
     Che di te scellerato assai migliore
     Era per molte cause, e tanto avea
     Dilatati i confini al proprio regno.
     1540Anzi a molt’altri re, duci, signori,
     E capi di gran popolo convenne
     Pur morir finalmente. E quello stesso,
     Che del vasto ocean su ’l molle dorso
     Vie lastricando passeggiò per l’alto
     1545Con le sue legioni, e sovr’all’onde
     Delle salse lagune a piede asciutto
     Insegnò cavalcare, e pria d’ogni altro
     Sprezzo del mare il murmure tremendo,
     Perduto il vital giorno al fin disperse
     1550L’anima fuor del moribondo corpo.
     Polve è già Scipione, alto spavento
     D’Africa, e chiaro fulmine di guerra,
     Non altrimente che un vil servo fosse.
     Aggiungi poi delle dottrine i primi

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     1555Inventori, e dell’arti, e delle grazie:
     Aggiungi delle nove alme sorelle
     I divini compagni. Un solo Omero
     Fu principe di tutti, e pur si giace
     Sopito anch’ei nella medesma quiete,
     1560Che si giacciono gli altri. Al fin Democrito,
     Poi che imparò dalla vecchiezza estrema,
     Che già languian della sua mente i moti,
     Corse incontro alla morte, e ’l proprio capo
     Volontario le offerse; anzi lo stesso
     1565Epicuro morìo, che il germe umano
     Superò nell’ingegno, e d’ogni stella
     Gli splendori oscurò, nato fra noi,
     Qual sole etereo, ad illustrare il mondo.
     E tu temi ’l morire, e te ne sdegni?
     1570Tu, che vivo, e veggente hai quasi morta
     La vita omai? Tu, che nel sonno involto
     La maggior parte dell’età consumi?
     Tu, che dormi vegliando, e mai non resti
     Di veder sogni, e di paura vana
     1575Hai la mente sollecita, e non trovi
     Sovente il male, che ti crucia ed ange,
     Allorchè d’ogn’intorno egro infelice
     Sì gravemente da nojose cure
     Travagliato, ed oppresso, e fra pensieri
     1580Dubbioso ondeggi in mille errori, e mille?
     Ah! che se gl’infelici uomini stolti

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     Drizzasser gli occhi a rimirar quel peso,
     Che sì gli opprime, e manifeste e conte
     Fosser lor le cagioni, onde ciò nasca,
     1585Ed onde ognor tanta, e sì grave alberghi
     Quasi mole di male entro i lor petti,
     Non così viverian, come veggiamo
     Viver molti di lor senza sapere
     Nè pur quel, che si vogliano; nè sempre
     1590Vorrian luogo mutar, quasi potessero
     Da tal peso sgravarsi. Esce sovente
     Un fuor di casa, a cui rincresce omai
     Lo starvi, e quasi subito vi torna;
     Come quello, che fuori esser non vede
     1595Cosa, che più gli aggradi. A tutta briglia
     Caccia questi ’l cavallo, e furioso
     Quasi ajuto apportar debba all’accese
     Mura del suo palagio, in villa corre;
     Ma tocco appena il limitar bramato
     1600Sbadiglia, e dorme, e d’obliar procura
     Ciò che tedio gli reca; e torna in fretta
     Di novo alla città. Fugge in tal guisa
     Se stesso ognun; ma chi non può fuggirsi
     Stassi ingrato a se stesso, e si tormenta,
     1605Sol perchè nota la cagion del morbo
     All’infermo non è: che se mirarla
     Senza velo potesse, ogni altra cura
     Posta in non cale, a contemplare omai

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     Di natura i segreti, e le cagioni
     1610Tutto si volgeria: che non d’un’ora,
     Ma d’infiniti secoli in contesa
     Si pon lo stato, in cui dopo la morte
     Staranno in ogni età tutti i mortali.
     In somma qual malvagia avida brama
     1615Di vita paventar sì fattamente
     Ne’ dubbiosi pericoli ti sforza?
     Certo è il fin della vita: ogni mortale
     D’uopo è, che muoja. In un medesmo luogo
     Sempre oltre a ciò dimorasi, e vivendo
     1620Mai non si gode alcun piacer, che novo
     Si possa nominar. Ma se lontano
     Sei da quel, che desideri, ti sembra,
     Che questo ecceda ogni altra cosa; e tosto
     Che tu l’hai conseguito, altro desio
     1625Il cor ti punge. Un’egual sete han sempre
     Quei, che temon la morte, e mai non ponno
     Saper, che sorte la futura etade
     Appresi, o ciò che portar deva il caso,
     O qual fin lor sovrasti. Ed allungando
     1630La vita, non per tanto alcun non puote
     Scemar del tempo della morte un pelo;
     Nè punto sminuir la lunga etade,
     In cui star gli convien privo di vita.
     Onde ancorchè vivendo un uom godesse
     1635Ben mille, e mille secoli futuri,

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     Non fia nulla però men sempiterna
     La morte, che l’aspetta; e senza dubbio
     Nulla men lungamente avrà perduto
     L’esser colui, che terminò la vita
     1640Questo giorno medesimo, di quello,
     Che già morìo molti, e molt’anni innanzi.