Discorsi sopra la prima Deca di Tito Livio/Libro terzo/Capitolo 15

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Libro terzo

Capitolo 15

../Capitolo 14 ../Capitolo 16 IncludiIntestazione 1 agosto 2011 75% Storia

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Che uno e non molti
sieno preposti ad uno esercito,
e come i più comandatori offendono.

Essendosi ribellati i Fidenati, ed avendo morto quella colonia che i Romani avevano mandata in Fidene, crearono i Romani, per rimediare a questo insulto, quattro Tribuni con potestà consolare de’ quali lasciatone uno alla guardia di Roma, ne mandarono tre contro ai Fidenati ed i Veienti: i quali, per essere divisi infra loro e disuniti, ne riportarono disonore, e non danno: perché, del disonore, ne furono cagione loro; del non ricevere danno, ne fu cagione la virtù de’ soldati. Donde i Romani, veggendo questo disordine, ricorsono alla creazione del Dittatore, acciocché un solo riordinasse quello che tre avevano disordinato. Donde si conosce la inutilità di molti comandadori in uno esercito, o in una terra che si abbia a difendere; e Tito Livio non lo può più chiaramente dire che con le infrascritte parole: «Tres Tribuni potestate consulari documento fuere, quam plurium imperium bello inutile esset, tendendo ad sua quisque consilia, cum alii aliud videretur, aperuerunt ad occasionem locum hosti».

E benché questo sia assai esemplo a provare il disordine che fanno nella guerra i più comandatori, ne voglio addurre alcuno altro, e moderno ed antico, per maggiore dichiarazione della cosa.

Nel 1500, dopo la ripresa che fece il re di Francia Luigi XII, di Milano, mandò le sue genti a Pisa per ristituirla ai Fiorentini; dove furono mandati commessari Giovambatista Ridolfi e Luca di Antonio degli Albizi. E perché Giovambatista era uomo di riputazione, e di più tempo, Luca al tutto lasciava governare ogni cosa a lui: e s’egli non dimostrava la sua ambizione con opporsegli, la dimostrava col tacere, e con lo straccurare e vilipendere ogni cosa, in modo che non aiutava le azioni del campo né con l’opere né con il consiglio, come se fusse stato uomo di nessuno momento. Ma si vide poi tutto il contrario; quando Giovambatista, per certo accidente seguito, se n’ebbe a tornare a Firenze; dove Luca, rimasto solo, dimostrò quanto con l’animo, con la industria e col consiglio, valeva: le quali tutte cose, mentre vi fu la compagnia, erano perdute. Voglio di nuovo addurre, in confermazione di questo, parole di Tito Livio; il quale, referendo come, essendo mandato da’ Romani contro agli Equi Quinzio ed Agrippa suo collega, Agrippa volle che tutta l’amministrazione della guerra fosse appresso a Quinzio, e’ dice: «Saluberrimum in administratione magnarum rerum est, summam imperii apud unum esse». Il che è contrario a quello che oggi fanno queste nostre republiche e principi di mandare ne’ luoghi, per amministrargli meglio, più d’uno commessario e più d’uno capo: il che fa una inestimabile confusione. E se si cercassi le cagioni della rovina degli eserciti italiani e franciosi ne’ nostri tempi, si troveria la potissima essere stata questa. E puossi conchiudere veramente, come egli è meglio mandare in una ispedizione uno uomo solo di comunale prudenzia, che due valentissimi uomini insieme con la medesima autorità.