Elogio funebre di Carlo Felice I di Savoia (Marongiu Nurra)/Elogio funebre

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Elogio funebre di Carlo Felice I di Savoia

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Note
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Speranza e timore quanto più muovono il cuor dell’uomo, tanto più lo dilatano e lo ristringono, a misura che l’una o l’altro gli opposti affetti ne regge: e se fia che l’evento disiato a quella risponda, giubilo tosto il comprende, laddove s’addolora e languisce quando a questo tien dietro la sorte temuta.

Tale lo stato era de’ nostri cuori pel giro di due lune. Caldi voti al Dio delle misericordie salivano accompagnati dalla gemebonda voce de’ Leviti (1) e de’ Monaci, de’ prodi Figli di Marte, degli Alunni di Temide e d’Astrea, e vieppiù del popolo che co’ suoi sospiri parea già quell’Angelo di conforto, che dovesse a gran possa sospendere il divin braccio ultore delle comuni colpe. Ma, oh Dio! qual fu egli mai il nostro disinganno? Il Cielo non esaudì i nostri prieghi pel fine che la passione dell’uomo si proponeva: e dispose nella grande ampiezza [p. 4 modifica]di sua sapienza in quel modo, che, non sapendo il bene ed il male che ci rinfranca e ci affligge, noi pendessimo dall’Arbitro altissimo delle cose.

Quel pio Monarca, quel Padre affettuosissimo de’ Sardi Carlo Felice I di Savoja più non è. Qual annunzio fatale, qual voce tristissima di lutto occupa la Città! I sacri bronzi col lugubre rimbombo universale rompono le lagrime de’ fedelissimi suoi sudditi, e, confondendosi coll’eco mestissima del comun gemito, rappresentano agli incliti Sassaresi la più deplorabile perdita del migliore dei Re. Ora intendo, venerando Senato dei Leviti, illustri Magistrati, nobili Signori, dotti Accademici, ragguardevolissima Udienza, la causa che vi guida a questo Tempio santo, la pietà vostra singolare, la vostra gratitudin sincera, propagin vetusta di più vetusta pianta, donde i Monarchi d’Icnusa spiccavan mai sempre i più bei frutti di sudditizia fedeltà. Per la qual cosa, a sì nobile scopo, l’illustre Corpo di questa Città fedelissima alle mie più penose cure volle aggiugner questa gravissima di pianger con lugubri accenti sulla funerea mole (*), che la sua pietà, la sua invariabile riconoscenza fa sorgere in questo dì per li solenni tributi di suffragio all’augusta [p. 5 modifica]grand’Anima del suo Padre. Grande invero è l’incarco, grande la mia insufficienza. Però mi conforta il pensiero, che voi benignamente mi permettete che io parli più per cuore che per arte, più seguendo i vostri affetti che cercando nuovi pensieri: perocchè la novità in sì fatto genere di dire riuscirebbe inseparabile dall’ombre tetre d’un falso encomio, del che non potrebbe sapermi grado la candidezza de’ vostri animi usata a pregiare i fatti più che ad immaginarli. Quindi riflettendo all’eccelse prerogative di cui era fornito l’augusto Defunto, io ravviso in lui l’individuo carattere di un Re Pio, Benefico, e Giusto. Se tale assunto mi sarà dato di mostrarvi, spero di rendere alla real memoria che onoriamo quell’omaggio di gratitudine, che non sa non tributare una Città fedele e riconoscente.

Che la pietà, la Religione sia la base, sulla quale fermo ed immobile possa reggersi un Trono, e per cui non ha da paventare il rovescio o all’impetuoso rumore delle folgori di guerra od al muto insidiar di popoli irrequieti, è una verità tanto antica, quanto è antica l’origine dei Monarchi. «Per me regnano i Regi, scriveva il Savio inspirato dal Dio degli eserciti, ed i Legislatori ordinano il giusto: per me i Principi comandano, ed i Giudici [p. 6 modifica]amministrano la giustizia». Cotal massima impressa, cred’io, nell’ancor giovane cuore di Carlo Felice produsse quegli slanci ammirabili del suo animo a Dio e alla pietà in guisa, che deliziandosi egli d’una conveniente istruzione scientifica tra lo studio della Storia universale, che non ometteva, e di cui a tempo sapeva dar dei saggi, prese con ardenza di genio a svolger le vite dei Santi, a ponderarle, ed attinger da esse i più sicuri principj a garantirsi in tempo dagli allettamenti del vizio, a formarsi rispettosissimo verso l’augusto Genitore (2), amabile verso i popoli, e caro a Dio pel corredo delle più belle primizie d’onestà e d’onore: e mi pare d’udirlo l’avventuroso Principe all’esempio degli augusti grand’Avi porger lieto al Cielo quel fervido priego del più saggio dei Re: «Dammi, o Signore, la sapienza, che sorregge il tuo Trono». Da sì amena scienza illuminato, non vi ha dubbiezza, che svegliato progredisse nell’esercizio frequente dei doveri di Religione, nelle pratiche di cotidiane meditazioni, fino a procacciarsi il glorioso titolo di Carlo Felice il Pio. Ma nessuno forse prevedea che tal Principe dovesse un tempo regnare, e aprirsi più largo il campo a provar con opre le più luminose la sua verace pietà, in [p. 7 modifica]guisa, che nel suo carattere ricopiasse i pregi dell’Eroe insieme, dell’onest’uomo, e del Cristiano.

Giusti decreti della divina Sapienza sempre adorabili! Quest’augusto rampollo veniva fin d’allora serbato a gloria della Religione, a benefizio dei popoli, innalzando sul Trono paterno e fermando nella memoria dei secoli la sua pia grandezza. E tale avvenne in verità. Carlo Felice rappresentava in questo Regno i Germani Augusti (3) in tempi di varia sorte, e non tardò guari a mostrare in effetto a’ Sardi la sola pietà che sosteneva l’altezza dei suoi pensieri, non dissimile a quella che un dì sfavillò nei Daviddi e nei Giosia: perciocchè somma prudenza d’un Regnante stimava il temere Iddio, che è il Regnator più grande che regna dall’alto sopra i Monarchi del Mondo, e che solo può esaltare ed umiliare i Troni. Con tal principio infatti vedeva egli vibrarsi dalla Maestà divina sulla sua persona un raggio di quella gloria, che meritamente sovranità s’appella, e che dovea costituirlo qual Padre tra i figli, restringendo la propria vita al principale scopo di poterli felicitare, senza il quale la sua pietà riusciva un’illusione.

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Ma giungeva il tempo in cui si ravvisava opportuna la scelta d’una dolce Compagna, con la quale dividesse le delizie non meno che le cure del Regno, e all’esempio di lei avvalorasse i sentimenti di Religione. Perciò egli prese la mano della più pia, della più amabile Principessa, Maria Cristina di Borbone Infanta delle Sicilie, quella pietosissima Regina che oggi tempra l’amarezza del suo cuore con un largo sovvenimento ai poveri dell’Isola. Però sdegnando Carlo Felice la pietà inoperosa che riesce più fiate grave a sè stessa e inutile alla società, e giudicando meglio il fondo della virtù dai frutti luminosi di essa, propone ed eseguisce un’opera nel Duomo di Cagliari, per cui la maggior gloria di Dio prende incremento, e la sua gran Madre santissima in ispezieltà s’onora (4): di cui l’immagine, che tanto amava in vita, ossequiava pure coi più teneri baci pria che rendesse lo spirito al suo Fattore. Ed oh momento d’eterna consolazione! la moribonda face degli usati affetti pareva sprigionar tutt’a un tempo quell’amore, che non dovea più a lungo riscaldar la fredda salma, e s’accendeva quasi per prodigio, e moriva per diritto di natura. Inoltre simulacri i più eleganti, che direste [p. 9 modifica]capolavoro del genio di Fidia, cappelle di ricchi marmi, e quant’altro può tendere a far più splendido il divin culto illustrano per lui i sacri Templi (5). Quindi sapeva che una pietà vera non si può sostener costante senza la base dell’umiltà: perciò non ebbe a piccol merito il consociarsi all’illustre Congregazione del Monte di Pietà, che anzi divenne generoso protettore e socio d’un’altra detta di S. Efisio. E il suffragio perenne instituito per l’anime amabili degli estinti Principi Germani (6) in questa nostra Città, e in quella vicina d’Alghero, non è un monumento della fede più viva, della tenera compassione, che allor fassi più grande quando in cuor di un gran Principe annida? Imperocchè una fede pura è la causa e il sostegno costante della sincera pietà, la quale sviluppandosi in un cuore spazioso e potente, cose sempre più grandi e più ammirevoli tenta. E qui mi sia dato il riflettere, che all’udire un giudizio immaturo di straniero pensatore, pel quale dovean trasferirsi agli aviti sepolcri le auguste spoglie mortali, rispondeva il pio Re: Non fia mai che a sì fedeli Città io tolga quei pegni Reali che tanto amavano. La divina volontà li condusse in seno all’amor di quei popoli, e vi [p. 10 modifica]staranno a memoria perpetua. E il novello Tempietto, eretto non ha guari presso il porto di Torres, non è un effetto delle religiose sue cure a pro di quella gente da mare? Egli ne accordava gran parte di mezzi all’instanza dell’esimio Prelato (7), desiderando di propagarvi la divozione alla gran Madre di Dio detta della Consolata, al quale scopo spediva colà il dono d’un eccellente quadro. E il rifiorimento nelle due principali Città del Regno di quella celebre Compagnia (8), che, alla pietà ed al buon costume aprendo l’antica via, rapidamente cospira alla felicità temporale ed eterna de’ sudditi, non fu dessa un’opera che basterebbe sola a provar l’assunto? Cotesta colonna del Santuario ben comprendeva egli essere un forte appoggio anche al Trono, tanto più bersagliata, quanto più resiste immobile nel sostenerlo. Peccato che il mondo politico non intenda ancor bene la forza di questa verità! l’avrebbe fuor di dubbio voluta intendere e praticare chi male un tempo la dispregiava. O voi che giudicate la Terra, pensate una volta a far morire nella testa degli empj l’esecrando giudizio che sul vostro potere essi formano! Bruciate le venefiche radici in mezzo al cuore con la fiamma degli Esercizj dell’Eroe di Manresa, [p. 11 modifica]se non volete che l’amara pianta pulluli orgogliosa in faccia alle vostre Reggie! Carlo Felice l’intese, anzi fu in lui una cosa sola intendere e provvedere. Fortunato chi toglierà ad imitarlo in questa bella parte di sua pietà! Non parlo del compimento dell’erezione d’una nuova Diocesi (9), alla quale pensava già l’augusto Antecessore: tuttavia egli pose le prime sue cure a stabilirvi un Apostolo capace ad instruire, a soffrire, ed a reggere alla durezza delle fatiche che quel nascente campo evangelico presentava. Oltrechè, salito sul Trono de’ suoi grand’Avi con eccelso applauso delle più alte Potenze d’Europa, per la sua pietà restituì la calma nel Principato subalpino: per la qual cosa scriveva un gran politico: Un sì e un no bastò per liberare il Piemonte dal deplorabile abisso dell’anarchia. E in verità quel prodigioso di Carlo Felice, pel quale posponeva il suo riposo a quello dei popoli, derivò dall’intima rassegnazione al divin volere, cui aveva sempre impresso nella sua anima e nel cuore. Eh! sia benedetto il giorno in cui lo pronunciò! giorno nel quale rinacque la speranza, la consolazione, lo splendore, la gloria del Sardo Regno e d’Italia. Imperocchè qual novello Mosè [p. 12 modifica]portava egli in seno i suoi sudditi, occupato costantemente dalla grata premura di beneficarli e renderli tranquilli e felici. E chi mai di noi il vide e ’l parlò, che non si sentisse vinto dalla paterna sua tenerezza? che non l’udisse produrre nuovi pensieri a procurarci nuovi beni, e portare sempre alto trionfo dell’intatta Religione dei Sardi? Non eran però questi i primi esempj dell’eminente pietà de’ Reali di Savoja. Da quel grand’albero santo, i cui rami (10) accrebber tanto lustro alla Religione, conobbero gli Stati della Dora e del Po di dover cogliere alla loro felicità frutti immarcescibili per conservare la più favorevole sorte nelle vicende dei tempi. Ma qui non è uopo che io m’accinga a dirvi l’opere gloriose, delle quali oggi menano alto vanto quei fedeli popoli, tra i quali viverà eterna la pietà di tal Monarca. Altre penne più felici, che abbondano nell’illustre Accademia subalpina, renderanno giustizia ad un merito sì eccelso. Sol vi dirò in breve, ch’Egli avea tanto radicata in suo cuor la pietà, che, richiesto all’occasione di dispensar le grazie sovrane, i meriti di cotesta gran virtù bilanciava sì, che a questi non sapeva ricusare alcun favore. Onde considerando [p. 13 modifica]pre la Religione come il sostegno del Trono, la cercava prima d’ogni cosa eziandio nei magistrati, negl’impiegati, negli uomini da guerra, a’ quali ordinava con sommo calore lo stretto adempimento ai doveri di Religione, e volle che anche le guardie fisse di ciascun luogo piegasser le ginocchia sul suolo al segno della Salutazione angelica. Perciocchè aveva Egli per matura esperienza imparato, che senza Religione gli esecutori della Legge pervertivano il buon regime, ed il valore militare degenerava in furore, ossia in impeto cieco che non può tenere stabile l’imperio. Quel Dio infatti, che ai sudditi comanda d’ubbidire ai Re, vuole altresì che i Re facciano quanto possono perchè i sudditi ubbidiscano a Dio. Quindi Carlo Felice non cessava d’inculcare con eccitamenti caldissimi l’osservanza del divin culto nei dì festivi, e il gran rispetto a quanto avea di sacro. Egli non permise mai, che i Ministri del Santuario si confondessero cogli altri nell’ammetterli ai consueti cerimoniali, ravvisando in loro l’altezza del carattere che li dovea distinguere, pel quale insegnava ai popoli di doversi rispettare. Laonde somma era la protezione e venerazione ch’Ei mostrava alla Chiesa, e specialmente al Capo visibile di lei, [p. 14 modifica]al quale nei recenti turbamenti portati al Campidoglio offriva con incomparabile amore quei mezzi di quiete che poteva fargli godere nei pacifici suoi Stati. Molte cose eziandio direi di quell’ammirabile pazienza esercitata da lui nel corso ben lungo della penosissima infermità che lo rapì all’amor nostro per unirlo a quello del suo Creatore: ma la profonda rassegnazione ch’Egli ebbe sempre al voler divino ci fa capire abbastanza, e gli affettuosi rapimenti verso Gesù sacramentato, ver la sua gran Madre Maria speciale protettrice della Reggia, e il bel sereno dell’ingenuo sembiante contrassegno dell’uomo giusto: sicchè il suo transito era, cred’io, il compensamento eterno che Dio faceva delle sue sofferenze e della singolare pietà. Tanta invero era la dolcezza con cui guardava la morte, che non perdeva la maestà della parola, nè l’affliggeva il morire quanto il non vivere per servire il suo Dio. Oh morte! hai forse rapito al mondo preda più bella? No: dorme sì Egli nella polvere coi Grandi della terra, ma vive la sua pietà nei nostri cuori, e l’opre sue annunzieranno ai posteri ch’Ei fu Pio. Mi sembra pertanto bastare d’avervi provato quello che io di provare intendea coi fatti a noi [p. 15 modifica]ben noti e a nostro grand’esempio diretti, senza che mi permetta uno sfoggio di vana eloquenza, acciocchè libera e vestita del suo natio candore meglio la verità s’appalesi. Poichè qual pensiero più giusto a magnificare un uomo, di quello che nasce dalla grata ricordanza dell’opre luminose di lui? Ed infatti quando la Religione s’imprime nell’animo dei sudditi dalla norma che ne addita la pia condotta del Monarca, è sempre più toccante ed efficace: e non v’ha dubbio che anche Iddio si mostri molto più onorato dai fedeli quando questi hanno sott’occhio il modello cristiano de’ lor Sovrani: perchè essi formano i costumi dei popoli, e diventano felici od infelici a misura che li guidano al sentier del Cielo, o che da questo permettono di traviare.

L’udiste Pio: ora vel mostrerò Benefico.

La beneficenza è figlia della pietà, virtù che trovandosi altamente fisse nel cuor di un Re formano il più bel carattere che mai possa immaginarsi di grandezza sovrana. Nei trascorsi secoli si leggon fulminati dall’anatema terribile dei posteri quei genj devastatori, che anelando alle rapine, al sangue, non portarono altro elogio sui loro avelli che d’aver turbato la pace dei popoli, e poi [p. 16 modifica]conquistato un Impero, la cui oppressione e miseria spremevan le lagrime dei buoni. Altramente dirassi dai più tardi nipoti del secolo di Carlo Felice I. Egli non visse in mezzo a noi, che per diffondere a larga mano i tesori della sua beneficenza. E chi prestò asilo ai poveri mendici, de’ quali parte per la somma inedia periva lungo le vie di Cagliari, parte alla violenza d’un morbo pestifero cedeva tra le più dure angoscie? Ahi! spettacolo tristissimo per un cuor benefico che sentiva in sè stesso l’acerbo patimento della languente umanità, ed avrebbe richiamato, se possibil era, a sfogar su di sè la terribile vendetta del Dio sdegnato, purchè salva restasse quella porzion diletta de’ suoi sudditi! Ei non consentì mai di separarsi da mezzo a quella Città, comecchè imminente il fatal pericolo per l’augusta Persona, finchè il Ciel pietoso non trattenne gli effetti dello sdegno cui le colpe comuni destavano. Oh beneficenza sorprendente! carità ammirabile! Che se un semplice cittadino si fosse in tal modo predistinto, bastava per doverlo scrivere nel libro degli annali della patria: e un Principe reale, già prossimo allora ad impugnar lo scettro, non dovrà Egli sì caro tenersi, che l’adorato nome di lui alcun [p. 17 modifica]tempo non cancelli dai Sardi cuori? Ma qui non cessa l’animo benefico del nostro Padre amoroso e Re. Destinava i più periti Alunni d’Esculapio, apriva i tesori degli antidoti salutari a costo d’egregie spese, onde strappare dal serpeggiante morbo quelle vittime spiranti, che giacevan disperate nei miseri abituri. E già mi pare d’udirli a sclamare quegli avanzi risparmiati dal divin furore: Benedetto il dì che portò alla luce il nostro real Benefattore! benedetto il legno che il condusse a questi lidi! benedetta l’aria che respira in mezzo a noi! Ma per render perenne la sua beneficenza reale ordinava già delle leggi sanitarie (11), che tenendo rimoto il formidabil pericolo d’una comunicazion epidemica, assicurava in tal maniera la pubblica salute: siccome da poi pose anche la mente di propagar nel Regno il salutare innesto del vaccino (12), onde gran parte almeno d’individui venisse a campare lo sterminio del vajuolo. Cotesti tratti benefici qual altro Giuseppe del suo popolo stendeva eziandio a voi, Cittadini Sassaresi, in quell’anno appunto d’indigenza estrema, per cui vedemmo quasi struggersi la plebe, e mancar pel flagello sterminatore l’industre mano all’aratro ed alla vanga. Copiosi erano [p. 18 modifica]allora i suoi soccorsi rispetto a quel poco che traea per la decorosa sua sussistenza: e non era certamente questo il primo atto d’amore benefico che mostrasse a’ nostri Cittadini la verace sua predilezione. Voi lo vedeste il buon Principe giunger lieto a quest’amena Città, ed onorare di sua real presenza quei sudditi, che altro offrir non poteano a sì gran degnazione che la loro fedeltà antica, pegno gloriosissimo della bella Figlia di Torres. Ed oh! quanto Egli allora largheggiava in un coi Germani Augusti verso la misera umanità, lasciando ovunque l’amore il portasse eterne memorie di virtù benefica ed eccelsa! Nè tacer poss’io il costante suo attaccamento ai Sardi, mostrato con generosità sempre grande eziandio di là dei mari, quando spuntò propizia l’aurora a recar la calma in Italia, e quando da noi il divise la stima ch’Egli facea dell’Augusto Germano, quell’adorabile Monarca Vittorio Emanuele, il quale sostenne da forte il Trono per la fedeltà dei Sardi in mezzo alle più terribili scosse della procella del secolo. Carlo Felice rimette generosamente il suo appannaggio a sussidio degli amati suoi Regnicoli, che con tanto più spontanea volontà l’offrivano, in quanto che la beneficenza di lui era senza limiti: e [p. 19 modifica]rinforzati per tal provvidenza i Monti di Pietà, si posero in grado di sollevare i popoli languenti nella miseria. Nè qui s’arresta la vena larghissima de’ suoi benefizj. Corpi religiosi mendicanti, famiglie cadute per avversa sorte, vedove afflitte, pupilli desolati trovavano in lui il Padre benefico, l’esimio Protettore, dal quale alcun non partì mai senza consolazione.

E per verità, osservando che a cotal classe d’individui abbisognava un ricovero ed una instruzione insieme che in appresso potesse lor giovare all’acquisto d’una competente sufficienza per vivere, instituiva già l’orfanotrofio, ove un buon numero di giovani vengono addestrati in alcune arti utili, ed erigeva eziandio un più capace asilo alle orfanelle. Non sono pur da preterire le doti non mediocri che spesse fiate assegnava a molte pudibonde vergini, onde potersi ritirare ne’ santi chiostri a’ quali anelavano, a fine di conservare a Dio il giglio di loro onestà. E che mai significano quei sospiri rotti da assidue preci e seguiti da un fonte di lagrime, che partendo dai caldi lor petti salgon pieni di vita al trono della misericordia? È questa la bella gratitudine di quelle vittime, che la pietà e la beneficenza di [p. 20 modifica]Carlo Felice poneva sull’ara del Crocefisso pria che cedessero al poter di Satanno. O anima fortunata, se pur lieve pena ritarda il tuo volo in seno a Dio, deh! accogli lieta il soave ristoro che ti porgon gratissimi tanti cuori, quanti ne guidasti a salute. Però è d’uopo riflettere che la beneficenza d’una sì grand’anima non veniva ristretta al solo sollievo della languente umanità: perciocchè riguardando tutti i rapporti che potean influire al maggior ben dello stato, l’estendeva eziandio alla protezione delle scienze, dell’amena letteratura, de’ letterati, e delle arti.

Infatti, rispetto alle prime, non vedemmo noi venir di là dei mari parecchi nostri giovani concittadini, i quali abilitati alla conveniente instruzione pei sussidj del benefico Re, cuoprono al presente alcune Cattedre della nostra illustre Accademia? Non la vedemmo noi questa famosa madre di tanti dotti Sardi prender lustro novello per l’erezione d’una nuova Cattedra utilissima (13), e pel nuovo Regolamento di pubblica instruzione? E voi, Padri delle gravi scienze e delle arti belle, non riceveste un rinforzo al tenue compenso di vostre fatiche? Eh! Signori, non si leggeva nel cuore di sì gran Monarca altro che beneficenza, e tanto bastava a fugare il [p. 21 modifica]timor panico che si volea nunzio ben triste di più tristi eventi. Egli in cambio ci spediva pure un pegno del suo amore nel ritratto di sua reale Persona, che in magnifica tenuta conserviamo nell’Aula accademica. Tuttavia non sono questi soli i benefizj impartiti alla fedeltà de’ Sassaresi. Larghi sopperimenti per sostener l’annona, aumento di redditi per occorrere alle spese utili, tutti sono benefizj del Re Carlo Felice. Ora vediamo in breve in che protesse l’amena letteratura. E primieramente avrebbe molto da occuparsi chi togliesse a descrivere il Gabinetto Anatomico, ed il bellissimo Museo di Storia Naturale e d’Antiquaria, ch’Egli lasciava in Cagliari fornito di molti e rari monumenti della più pregevole antichità, pel quale nutriva una propensione singolare, dimodochè sarà sempre un pegno delle sue generose largizioni quanto presenta di più raro e di più grande. Ma di quella letteratura io specialmente intendo, che, giovando pel rifiorimento dell’agricoltura, serviva insieme di stimolo all’intelletto dei Sardi per progredire in questa o in altra parte di studio, onde maggior lustro ne traessero a sè stessi ed alla nazione. Ed ecco aperto il varco ad un ampio elogio, che richiederebbe altro [p. 22 modifica]tempo ed altra penna meno occupata e più felice della mia. Voi m’intendete, che io vo’ darvi un cenno rapidissimo della reale Società Agraria ed Economica. Cotesto stabilimento ebbe anche vita mercè della beneficenza di Carlo Felice. Ei ne fu institutore e fautore generoso. I suoi copiosi soccorsi accrebbero non poco i mezzi a condurre l’opera allo stato in cui trovasi di floridezza. Se non che a qual pro tanti bei lavori di cotesta Società, se non si occorreva al mezzo d’insegnar a leggere i fanciulli di contado, affinchè in progresso di tempo attingesser dai medesimi i lumi opportuni a perfezionar l’arte di coltivare i campi? Il provvido Re volgeva il pensiero a quest’oggetto non poco interessante. Laonde ordinava per tale scopo che in ciascun locale del Regno s’instituisse una scuola normale (14), alla quale non la semplice lettura soltanto, ma la Calligrafia, i rudimenti della santa Fede Cattolica, della Storia Sacra, e ’l Catechismo Agrario si debbano imparare. Oltrechè a’ letterati eziandio era gran Mecenate e tra parecchi altri ad un Genio di squisita letteratura ben noto alla Repubblica letteraria, del quale io non saprei tacere l’incomparabile merito senza sopprimere la prova più bella del mio [p. 23 modifica]assunto. Egli si deve in parte al generoso cuore di Carlo Felice, che conobbe in tempo l’altezza de’ pensieri, la vastità della mente, la sagacità dell’ingegno, e, quel che in lui ha di splendido, la pendenza benefica pel vero merito dei Sardi. Prese il gran Re non mediocre cura di sì nobile Genio, ed ei corrispose fedelissimo alle concepite speranze, che riprendono anche oggi tanto più valida forza, quanto è maggiore il suo impegno di rendersi immortale alla patria.

Rispetto poi alle arti, e specialmente a quella della pittura, nessuno ignora che s’apriva in Roma una scuola per alcuni giovani Sardi, dalla quale sortiron dei Genj sublimi, che avvicinavan l’esattezza dei Classici: così del pari alla bella Torino si spedivan degli allievi regnicoli affine d’apparare l’arte di tessere i panni, di lavorare a perfezione il ferro, e costrurre alcune macchine di legno utilissime sì per l’agricultura che per qualunque altro uopo. Ma le cure sovrane si dilatano assai più quando trattasi di felicitare un Regno, la cui popolazione scemava sempre con tanto maggior sensibilità, quanto più impedito era il traffico tra i remoti abitatori dell’Isola. Ed eccomi giunto a quel passo, pel quale la [p. 24 modifica]beneficenza di Carlo Felice sale al sommo grado di gloria, dimodochè può dirsi di lui senza tema d’esagerare, che Iddio gl’impartiva come a Salomone una vastità di cuore immensurabile com’è l’arena che sta nel lido del mare. Egli propone e fa eseguire in men quasi d’un lustro l’apertura della strada centrale che conduce da un capo all’altro del Regno, e per tal opera, oltre d’aver impiegato i sussidj offerti per suo trattenimento, largheggiava pure dall’erario privato. Di qual natura sia un tanto bene, voi l’intendete meglio di quello che io vel possa esprimere. A Carlo Felice riserbava Iddio cotal magnanimità di pensieri e di forze, onde ripristinar un’opera, che soltanto videro i nostri antenati all’epoca fastosa dei Romani. Oh Padre! oh Re! oh Uomo beneficentissimo, e degno dell’immortalità de’ secoli! A te piacque che la felicità dei Sardi agguagliasse la grandezza delle tue cure. L’ospite passeggiere e il trafficator regnicolo ti colmerà di tante benedizioni quante fiate batterà consolato e sicuro quella via reale. Qui, dirà, la mia vita era in periglio: e quanti non caddero vittima di questo formidabil fiume? Permetta Iddio che tal s’apra al benefico Padre il sentier di Paradiso!

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Ma la vostra sofferenza, o Signori, ora pare mi richiami a dirvi quanto vi ho promesso della Giustizia di un Monarca sì benefico. Figlia della Pietà è anche la Giustizia, senza la quale non fia vero che un Re possa mostrarsi fedele all’adempimento de’ doveri sovrani. Cotesta virtù, che trae l’origine dal Cielo, viene per tal ragione infusa nel cuore dei Regnanti da quella divina Provvidenza che tutto regola e regge. E siccome ha per sorella indivisibile la Pace, perciò cantava bene il Re Profeta, che ambedue queste belle figlie di Dio si danno il mutuo bacio d’amore per consolidare la buona armonia dei popoli. Per la qual cosa il Re Carlo Felice I non volle mai esser sì giusto, che la sua giustizia non inspirasse nei suoi sudditi la pace e l’accordo comune degli animi, pel quale alcun turbamento infausto non venisse a lacerare altra fiata la bianca veste delle Alpi. Pertanto tralasciando qui le prove a noi notissime che rilucono in tante belle sue leggi, e singolarmente in quel suo Codice di giustizia del quale la storia patria non tacerà l’alto merito, io non dirò come gli Allobrogi rendeva indenni, i quali, pria che la fedeltà, i beni cedevano alla violenza degli oppressori: come alle Chiese decretava [p. 26 modifica]di restituirsi l’antico avere: come antichi voti scioglieva alla gran Madre di Dio emessi: come alcune diocesi ristabiliva di là delle Alpi: come a ciascuno insomma curava con esimia diligenza di rendere il suo. Ma toccherò rapidamente un fatto solo, che di per sè stesso convince a qual sublime entità giungesse la retta Giustizia di un Re.

Egli sentì nel fondo del suo cuore l’amarezza versata in seno dell’augusto Germano: e volgendo l’occhio sagace all’imminente tempesta portata a distruggere le fiorenti speranze d’Eridano e di Tanaro, assume il titolo di Re: pensa a riparare i disastri: restituisce la calma, e poi, dispersa la nuvola orribile dei mali, rimette al buon Germano quell’istesso Trono, dal quale si ritirava, comecchè volenteroso, pure ripercosso dal fiero lottar della sorte. Però il gran Vittorio sempre a sè stesso eguale con un no molto più grande della sua grandezza iva a riporsi ormai stanco di cure sì gravi. Carlo Felice rispondeva con altrettale grandezza, che giustizia esigeva di risalire a quel Trono, cui un momentaneo scoppio di folgore impensata aveva forse influito a cadere. E per tal cagione s’accendeva con molta placidezza quella gara famosa tra due gran Germani [p. 27 modifica]Augusti, la quale lasciava ai posteri il dubbio, di qual dei due fosse maggior la gloria. Ma Carlo Felice che farà? Religion decide. Ei pensa, che il voler del Cielo esigeva da lui cotal sacrifizio, la sua Pietà l’eccitava ad ubbidire: la Beneficenza a non resistere all’occasione di poterla meglio esercitare: la Giustizia lo reclamava altamente all’uopo che presentava il tempo. Dunque? Bisognava dir sì: e pronunciando Egli quel felicissimo , che tanto fe’ spiccar la sua pietà, soggiungeva: Sia benedetta la divina volontà! mostrando all’istesso tempo con quella religiosa resistenza un’eroica prova di giustizia, la cui spada non gli tremava in mano. Perciocchè frutto della sua intelligenza era la fermezza, cui nel brieve corso di due lustri teneva sempre inalterabile con una condotta uniforme. Egli in fatti qual novello Neemia de’ suoi Stati considerava il retto consultando prima i passi che stimava opportuno di fare: dal che seguì quell’operar franco, quel prevedere accorto, quel provveder risoluto, quel mieter palme senz’armi, quel trionfar senza sangue, in una parola quella mirabile sicurezza del suo governo regolata da un prudente timore cui portava il bisogno, e dai saggi consigli presi a tempo. Con tai mezzi [p. 28 modifica]conciliava Egli l’accrescimento dell’autorità sovrana, ed aumentava la felicità dei sudditi, per la quale gli cedevano il possesso dei lor cuori come a Monarca Pio e Benefico, come a Padre Amoroso e Giusto.

O Anima sempre amabile, che all’aureo scettro il colmo unisci delle più eminenti virtù! E chi non versa largo fiume di lagrime al rammentare le tue geste, l’alta Pietà, l’ampia Beneficenza, e la Giustizia sì placida, che mai non si conobbe divisa dalla clemenza e dalla pace? La requie dell’Eterno e la benedizione dei Sardi riposino sull’augusto tuo cenere! Che se il migliore dei Sovrani ha diritto a spremere il pianto de’ suoi sudditi, qual non sarà, o Signori, l’aspro duolo che discende nei nostri cuori per un colpo sì acerbo, sì deplorabile? Ma ci rimane almeno con che disacerbare il comun dolore: con la speme dell’eterno godimento cui il ciel pietoso gli preparava, poichè spirò Egli qual visse nel santo timor di Dio: col rito funebre che andiamo a sciogliere in suo sollievo: e col lieto pensiero dell’eccelse virtù e del valore del Regnante Carlo Alberto, quell’adorato Principe, che l’augusto Defunto qual pegno dell’ultimo suo amore, or compie il doppio anno, [p. 29 modifica]ci facea conoscere: quel desso, che, ricco erede delle più belle virtù degli Eroi Sabaudi, udiva allora con tenera compassione i lagni de’ poverelli, e che oggi cingendo il real fronte del Sardo Diadema riapre pure a lor conforto la generosa sua mano.

Voi adunque, venerandi Sacerdoti, mentre io cesso d’aggravare l’urna maestosa con silvestri e inodorosi gigli, non tardate d’espiar coi sacri funerei voti la bell’anima di Carlo Felice I il Pio, il Benefico, il Giusto.