Guerra dei topi e delle rane/Canto terzo
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I
Eran le squadre avverse a fronte a fronte,
E de le grida bellicose il suono
Per la valle eccheggiava e per lo monte;
Rotava il Padre un lungo immenso tuono,
E con le trombe lor mille zanzare
De la pugna il segnal vennero a dare.
II
Strillaforte primier fattosi avanti,
Leccaluom percotea d’un colpo d’asta.
Non muor, ma su le zampe tremolanti
Il poverino a reggersi non basta:
Cade; e a Fangoso Sbucatore intanto
Passa il corpo da l’uno a l’altro canto.
III
Volgesi il tristo infra la polve, e more:
Ma Bietolaio con l’acerba lancia
Trapassa al buon Montapignatte il core.
Mangiapan Moltivoce per la pancia
Trafora e lo conficca in sul terreno:
Mette il ranocchio un grido, e poi vien meno.
IV
Godipalude allor d’ira s’accende,
Vendicarlo promette, e un sasso toglie,
L’avventa, e Sbucator nel collo prende:
Ma per di sotto Leccaluomo il coglie
Improvviso con l’asta, e ne la milza
(Spettacol miserando) te l’infilza.
V
Vuol fuggir Mangiacavoli lontano
Da la baruffa, e sdrucciola ne l’onda;
Poco danno per lui, ma nel pantano
Leccaluomo e’ traea giù de la sponda,
Che rotto, insanguinato, e sopra l’acque
Spargendo le budella, orrido giacque.
VI
Paludano ammazzò Scavaformaggio:
Ma vedendo venir Foraprosciutti,
Giacincanne perdessi di coraggio;
Lasciò lo scudo e si lanciò ne i flutti.
Intanto Godilacqua un colpo assesta
Al buon Mangiaprosciutti ne la testa.
VII
Lo coglie con un sasso; e per lo naso
A lui stilla il cervello, e l’erba intride.
Leccapiatti al veder l’orrendo caso,
Giacinelfango d’una botta uccide;
Ma Rodiporro, che di ciò s’avvede,
Tira Fiutacucine per un piede.
VIII
Da l’erta lo precipita nel lago;
Seco si getta, e gli si stringe al collo;
Finchè nol vede morto, non è pago.
Se non che Rubamiche vendicollo:
Corse a Fanghin, d’una lanciata il prese
A mezzo la ventresca e lo distese.
IX
Vaperlofango un po’ di fango coglie,
E a Rubamiche lo saetta in faccia
Per modo che ’l veder quasi gli toglie.
Crepa il sorcio di stizza, urla e minaccia;
E con un gran macigno al buon ranocchio
Spezza due gambe e stritola un ginocchio.
X
Gracidante s’accosta allor pian piano,
E al vincitor ne l’epa un colpo tira.
Quel cade, e sotto la nemica mano
Versa gli entragni insanguinati e spira.
Ciò visto Mangiagran, da la paura
Lascia la pugna, e di fuggir procura.
XI
Ferito e zoppo, a gran dolore e stento,
Saltando, si ritragge da la riva;
Dilungasi di cheto e lento lento,
Finchè per sorte a un fossatello arriva.
Intanto Rodipane a Gonfiagote
Vibra una punta, e l’anca gli percote.
XII
Ma zoppicando il ranocchione accorto
Fugge, e d’un salto piomba nel pantano.
Il topo, che l’avea creduto morto,
Stupisce, arrabbia, e gli sta sopra invano,
Chè del piagato re fatto avveduto,
Correa Colordiporro a dargli aiuto.
XIII
Avventa questi un colpo a Rodipane,
Ma non gli passa più che la rotella.
Così fra’ topi indomiti e le rane
La zuffa tuttavia si rinnovella:
Quando improvviso un fulmine di guerra
Su le triste ranocchie si disserra.
XIV
Giunse a la mischia il prence Rubatocchi,
Giovane di gran cor, d’alto legnaggio;
Particolar nemico de’ ranocchi;
Degno figliuol d’Insidiapane il saggio;
Il più forte de’ topi ed il più vago,
Che di Marte parea la viva imago.
XV
Questi sul lido in rilevato loco
Postosi, a’ topi suoi grida e schiamazza;
Aduna i forti, e giura che fra poco
De le ranocchie estinguerà la razza.
E da ver lo faria; ma il padre Giove
A pietà de le misere si move.
XVI
Oimè, dice agli Dei, qui non si ciancia:
Rubatocchi, il figliuol d’Insidiapane,
Si dispon di mandare a spada e lancia
Tutta quanta la specie de le rane;
E ’l potria veramente ancor che solo:
Ma Palla e Marte spediremo a volo.
XVII
Or che pensiero è il tuo? Marte rispose:
Con gente così fatta io non mi mesco.
Per me, padre, non fanno queste cose,
E s’anco vo’ provar, non ci riesco:
Nè la sorella mia, dal ciel discesa,
Faria miglior effetto in quest’impresa.
XVIII
Tutti piuttosto discendiamo insieme.
Ma basteranno, io penso, i dardi tuoi.
I dardi tuoi che tutto il mondo teme,
Ch’Encelado atterraro e i mostri suoi,
Scaglia de’ topi ne l’ardita schiera;
E a gambe la darà l’armata intera.
XIX
Disse; e Giove acconsente, e un dardo afferra:
Avventa prima il tuon, ch’assordi e scota
E trabalzi da’ cardini la terra;
Indi lo strale orribilmente rota;
Lo scaglia; e fu quel campo in un momento
Pien di confusione e di spavento.
XX
Ma il topo, che non ha legge nè freno,
Poco da poi torna da capo, e tosto
Vanno in rotta i nemici e vengon meno.
Ma Giove, che salvarli ad ogni costo
Deliberato avea, gente alleata
A ristorar mandò la vinta armata.
XXI
Venner certi animali orrendi e strani,
Di razza sopra ogni altra ossosa e dura:
Gli occhi nel petto avean, fibre per mani,
Il tergo risplendente per natura,
Curve branche, otto piè, doppia la testa,
Obliquo il camminar, d’osso la vesta.
XXII
Granchi son detti: e quivi a la battaglia
Lo scontraffatto stuol non prima è giunto
Che si mette fra’ sorci, abbranca, taglia,
Rompe, straccia, calpesta. Ecco in un punto
Sconfitto il vincitor; la rana il caccia,
E quelli onde fuggia, fuga e minaccia.
XXIII
A’ granchi ogni arme si fiaccava in dorso:
Fero un guasto, un macello innanzi sera,
Mozzando or coda or zampa ad ogni morso.
E già cadeva il Sol, quando la schiera
De’ topi si ritrasse afflitta e muta:
E fu la guerra in un sol dì compiuta.