Il Dio dei viventi/VIII

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Parte VIII

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VII IX

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Poi ripartì senza neppure salutare i servi che non solo scusarono ma trovarono giusto il suo triste umore: non si può ridere nè essere espansivi tre giorni dopo la morte improvvisa di un fratello.

Ed egli se ne andava tirandosi sul viso il cappuccio contro i raggi del sole, [p. 40 modifica]poichè voleva stare ben chiuso nel suo scuro dolore.

I servi però dal basso della vigna videro ch’egli sebbene l’ora fosse quella del ritorno invece di avviarsi al paese andava in là verso i monti; forse incontro al figlio o forse addirittura a visitare anche lui la proprietà del fratello. Dopo tutto i morti son morti e ai vivi Dio stesso comanda di vivere e di fare il proprio dovere.

Zebedeo non sapeva veramente se era Dio a ordinargli di andare verso la proprietà del fratello: in principio non era stata questa la sua intenzione, e anche adesso si avviava con mala voglia spinto da una irrequietudine nervosa e sopratutto dal desiderio di incontrarsi con Bellia e rifare la strada assieme.

Questo Bellia era un ragazzo di sedici anni che aveva ancora la spensieratezza innocente dei bambini e nello stesso tempo già qualche cosa di maturo, di assennato: dava un senso di gioia a starci assieme, e il padre quando era con lui si sentiva ringiovanire. [p. 41 modifica]

— Eppoi bello! — pensava con tenerezza orgogliosa. — Alto sottile diritto e liscio come un fusto di pioppo: e gli occhi gli ridono di lontano, nel viso pulito come quello di una fanciulla.

Intanto camminava. Il sole era ancora alto ma già in declino verso l’occidente: le ombre si allungavano, lo scintillare delle foglie e dei giunchi si faceva più vivo, l’aria più odorosa.

S’avvicinavano i monti con le loro cataste di massi granitici simili a enormi rovine; le ombre al calare del sole si allungavano tutte in su tentando di arrampicarsi verso le cime.

Adesso il passaggio era popolato di greggie e di armenti, per la vicinanza del fiume il quale mostrava il suo gomito d’argento tra il monte e il principio della valle.

Laggiù era la proprietà del morto, di grande valore appunto perchè confinava con quel corso d’acqua che non veniva meno neppure dopo le lunghe siccità estive e spesso anche invernali. [p. 42 modifica]

Per arrivare più presto Zebedeo lasciò la strada principale e prese un viottolo fra due muricce ricoperte di rovi; un viottolo pericoloso lungo il quale i malfattori usavano assalire e depredare i viandanti: egli non aveva mai per questo esitato ad attraversarlo; solo adesso quel senso d’angoscia che non lo abbandonava più gli stringeva forte il cuore: gli pareva di aver nemici, adesso, lui che non ne aveva avuto mai, e che lo aspettassero in agguato dietro le muricce.

Due occhi infatti scintillano attraverso la siepe; brilla la punta di un pugnale e più in qua la bocca di un fucile: idiota che sei, Zebedeo, è il sole al tramonto che fa questi scherzi.

E lo stridere degli uccelli, il fischio del merlo, lo zirlo dei primi grilli pare lo irridano con la loro musica spensierata; tutta la natura ride e anche il più umile stelo e anche l’erba velenosa danzano al vento del tramonto: ogni cosa si gode la sua gioia, anche le ombre salgono verso le cime per sparire il più tardi possibile, e [p. 43 modifica]tu solo, o uomo, ti rodi coi tuoi denti stessi il cuore. Il nemico è dentro di te mentre lo credi dietro la siepe; e tutto questo perchè ti sei dimenticato che Dio vuole si viva giorno per giorno come gli uccelli dell’aria e gli steli dei campi.