Il ritorno di Ulisse/Secondo atto

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Secondo atto

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Primo atto Terzo atto

[p. 48 modifica]SECONDO ATTO [p. 49 modifica]

Nella Reggia di Ulisse. L’aula ove siedono i Proci. In alto, in fondo, una porta centrale esterna con due colonne, a cui danno alcuni scalini. A destra una porta interna con scalini; a sinistra un grande camino. Contro la parete di fondo, a destra e a sinistra della porta centrale, un’arca di cedro e un letto conviviale. Alcuni letti conviviali1 sono sparsi per la sala. Attraverso la porta esterna si vede un cortile colonnato e solatio. Armi e corazze appese alle pareti.

Euriclea e alcune ancelle stanno stendendo delle nitide pelli sui seggi.

E’ sera, il giorno dopo il primo atto. [p. 50 modifica]

SECONDO ATTO

EURICLEA
Presto, chè i Proci saran qui fra poco!
Sapete solo ciondolare oziosa-
mente per casa dietro i moscerini!
MELANTO
E tu sei sempre di cattivo umore,
e mai ci lasci vivacchiare in pace.
EURICLEA
Zitta Melanto! O svergognata ganza
dei Proci infesti! O la tua lingua frena
o diró tutto al gagliardo Ulisside!
Ah! In questa casa non c’è più che mali!
Mangiano ancelle e Proci i beni al figlio
e in casa sua fan da padroni! Ancelle,
stendete bene le pelli sui seggi!

(Un silenzio. Continuano a preparare. Euriclea diventa sempre più di cattivo umore e fa ogni tanto dei gesti di stizza, e dice delle frasi monche, come seguendo un lungo ragionamento interno.)


PRIMA ANCELLA
Eh! senza pelli siederà qualcuno!
Sempre, o nutrice, maledici i Proci

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e poi li curi come i tuoi padroni.
EURICLEA
Non è per loro, è per l’onor d’Ulisse.
Perchè nessuno deve dir che l’alta
reggia d’Ulisse è abbandonata e cade.
SECONDA ANCELLA
Dove hai posto le grandi anfore d’oro?
Ctesippo ha detto che voleva bere
in quelle d’oro!
EURICLEA
                            E Ctesippo non beva!
Se gli vien sete cerchi bere altrove!...
Chi lo trattiene?... L’anfore più grandi
Son per il Re... Le tireró dall’arca
solo al ritorno del sagace Ulisse!
LA SECONDA ANCELLA
Ulisse è morto, e Ctesippo avrà il regno.
E’ bello, grande, forte, scaltro. ricco,
giovane e acuto più di tutti i Proci.
MELANTO
Acuto? O pazza, se vedessi Eurimaco!
PRIMA ANCELLA
Eurimaco! Se guardi Anfimedonte!
SECONDA ANCELLA
Ctesippo è bello come il sole!
TERZA ANCELLA
E’ più bello Antinoo.

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SECONDA ANCELLA
Ma Ctesippo è più forte!
TUTTE LE ANCELLE
— Eurimaco! — Ctesippo! — Anfimedonte! —
EURICLEA
Tacete, uccelli di sventura!
LA SECONDA ANCELLA
                                                  E’ meglio,
nutrice, un solo Re, che tanti Proci.
Tu l’hai pur detto. Son troppi, oramai.
Ed ogni giorno se ne aggiunge un altro.
LA PRIMA ANCELLA
Ctesippo no sicuro. E’ molle e debole
come dell’erba vincida, e mi fa
pensare ai ragni. Non saprebbe certo
vincere i Proci e governare il regno.
EURICLEA
Sí, ma Ctesippo è il più scaltro dei Proci!

(entra Penelope)


PENELOPE
Di chi parlavi, buona balia?
EURICLEA

(alle ancelle)


                                                  Andate!

(le ancelle escono)


Chiacchieravamo, al solito, dei Proci.
PENELOPE
O me infelice! Non ho più la pace

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da quando i Proci han forzata la casa!
Se mi ricordo i trapassati giorni
delle mie nozze col prudente Ulisse
mi sale ancora un lento pianto agli occhi!
EURICLEA
Tu piangi sempre e ingrossi sempre il branco,
ed ogni giorno c’è una bestia e un pianto.
E ogni giorno un amatore. E’ poco
tempo ch’è giunto Polibo di Samo.
Tu, che sei stata donna d’Odisseo!
PENELOPE
Di che ti lagni? Non son’io, ma è Polibo,
che s’è ficcato dentro il branco a forza!
EURICLEA
Giochi con lui come con una palla
che più l’avventi e più forte rimbalza!
PENELOPE
L’ultimo — spero — caccerà gli antichi...
EURICLEA
E il figlio, intanto, rischierà la vita.
PENELOPE
Oh! Non toccarmi Telemaco! E’ il mio
sogno! E m’è caro più delle pupille!
Non vedi tu che l’ho difeso, quasi
ora per ora, da quando era bimbo!
E sono stata per lui madre e padre
e ancella e nonna e dolce sorellina,
perchè nessuno gli prendesse il cuore,

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e col prestesto d’essergli maestro
mirasse al trono e al cuore della madre.
EURICLEA
Ma perchè, allora...
PENELOPE
                                    Non si tratta qui
di dargli un padre, ma di salvar tutti.
EURICLEA
Ma per salvarti tu intessi la tela,
poi la dipani. E cosí attiri i Proci
e poi li cacci!
PENELOPE
                          Avrai ragione, balia...
EURICLEA
Sei troppo acuta per una vecchietta
semplice e ignara. E non capisco bene.
PENELOPE
Le circostanze m’hanno resa astuta.
EURICLEA
Ah! Per gli Dei, se fossi meno astuta
in casa tua non ci sarebbe un uomo!
PENELOPE
Parli da saggia, ma non sai: l’amore
forza le porte di chi le asserraglia,
e non si ferma quando sono aperte.
Tutti quei Proci, contro cui mi affanno
e che non amo, m’han forse salvato

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da un solo amore. E’ più funesto ancora
un vero amore!
EURICLEA
                            E diradano intanto
i beni tuoi come le mosche ai freddi.
PENELOPE
Quello che importa era salvare il regno
al mio figliolo ed il mio cuore a Ulisse.
EURICLEA
Credi che puoi continuar sempre il gioco?
PENELOPE
Il gioco cambia e non è più lo stesso...
E facilmente si puó seminare
fra cento Proci la discordia, e un branco
di cento Proci non vale un sol cuore.
EURICLEA
E che farebbe? E che direbbe Ulisse?
PENELOPE
Ulisse? Tu non lo conosci Ulisse!
Li ammazzerebbe con uno starnuto.
Ah! quello sí fu veramente un uomo
simile ai Numi! Oh! Non potrai negare
ch’egli è fecondo in fini accorgimenti
come nessuno degli Achei. Ma quando
mi sorrideva, di’, nutrice. Quando
mi sorrideva! Ma te ne ricordi?
Ah! Quel sorriso fine fine! E come
capiva quello che tenevo in cuore,

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anche quand’io non lo capivo! E’ strano
vero, nutrice, sentir dire a un altro
ció che tu stessa non capisci bene?
Ah! Questi qui non han mai visto nulla!
Se tiro l’amo, abboccan sempre l’esca
senza fiatare. Ulisse no! Rideva
tranquillamente, se inventavo qualche
particolare... Oh! piccolezze! Ed io
l’avrei baciato tutta la mia vita,
quel suo sorriso! E poi faceva il padrè
ed il marito, e mi sembrava molto
grave, ma invece gli ridevan gli occhi...
Ed io cercavo di sentirmi un piccolo
piccolo piccolo animale, ai piedi
di quel tremendo cacciator, vestito
orribilmente di pennacchi e spade!
Quando eravamo tutti uniti, innanzi
al focolare, mi piaceva stare
accoccolata e prendergli le gambe
e poi parlargli come una bambina...

La voce di Polibo
(dal cortile)


Regina son qui...
PENELOPE

(correndo alla porta)


                             Polibo!

La voce di Polibo
(dal cortile)


                                             E solo!
PENELOPE
Ah! Cosí fosse!

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EURICLEA
                              Ma che dici?

La voce di Polibo
(dal cortile)


                                                              E allora
cosa faresti?
PENELOPE
                          Ti allontanerei
col fuoco del mio sguardo corrucciato,
e con parole ingiuriose.

La voce di Polibo
(dal cortile)


                                        E’ poco,
non me ne andrei!
EURICLEA
                                 Non è cosí citrullo!
PENELOPE
Io ti farei cacciare dai miei servi
e bastonare, e ti farei capire
che la mia casa è sacra ed inviolabile.

La voce di Polibo
(dal cortile)


O Numi! E’ proprio così la padrona!
PENELOPE
Credi tu forse che un uomo qualunque
possa succedere a Ulisse?

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La voce di Polibo
(dal cortile)


                                              Non credo.
EURICLEA

(fremente)


Padrona mia, ma tu l’attiri invece
di ricacciarlo! Torna giù e sta zitta,
e non mostrarti, e non verrà nessuno!

La voce di Polibo
(dal cortile)


Regina, vengo. Non mandarmi via.
Mostrarti vo’ che non son come tutti
gli altri e son degno...

(Polibo compare sulla porta)


PENELOPE A EURICLEA
                                     Vattene! Non sai!
EURICLEA

(furiosa)


Io me ne vado! Ma che strana donna!
Poi mi dirà che non li puó soffrire!

(esce)


POLIBO

(estasiato)


Che luccicore! I tuoi capelli sono
d’oro colato e come il chiaro sole!
Le tue pupille sono come il mare!
PENELOPE
Me l’han già detto tutti, uno per uno.

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POLIBO
Non mi beffare. Guardo a te, Regina,
come il nocchiero alla velata terra
nella tempesta. Ebbro di te m’aggiro
per la campagna lagrimando in cerca
d’un po’ di pace; e mi dilania il cuore,
avviticchiato com’edera a quercia,
l’ombra del tuo malizïoso riso!
Non mi guardare: entrano in me quegli occhi
come, a notte, nel bosco, entra, curioso
il brivido degli astri taciturni!
PENELOPE

(lusingata, benchè non lo lasci parere)


Polibo, siedi. M’hai parlato bene
— ed a me piace chi mi parla bene.
E non pensare al mio sorriso, e dimmi
riguardo a me che voglion fare i Proci.
Cercan d’avere la regina o il regno?
Ed anche tu vuoi la regina o il regno?
POLIBO
Che dici? Io solo amo te sola. I Proci
voglion averti e non amarti. Un tempo
anch’io cercai di non amarti. E come
i Proci bere senza più pensare.
Sete di pace, era la mia! Ma il vino
non mi sazió che una fallace sete!
Ma fammi un cenno e cacceró Antinóo,
cacceró i Proci... o moriró. Morire
pensando: «forse piangerà» m’è dolce.

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PENELOPE
Bada che i Proci sono molti e forti!
POLIBO
L’amore mi farà simile a un nume!
PENELOPE

(alzandosi)


Sei coraggioso e il coraggio mi piace.
Fa’ come vuoi. Forse ameró il tuo forte
cuore se torni vincitore, e vinto
ti piangeró. Polibo addio; che i numi
pensino a te nella solenne prova.

(Penelope esce. Polibo ricade accasciato sulle pelli. I Proci entrano nel cortile. Si sentono e intravedono giocare gridando e lanciando i dischi pesanti e gli agili giavellotti)


UNA VOCE
Ctesippo forza!
UN’ALTRA VOCE
                             Anfimedonte gioca!
UN’ALTRA VOCE
Non l’hai colpito!
UN’ALTRA VOCE
                                Andiamo a pranzo!
VOCI CONFUSE
                                                                     Ho fame!
Entriamo dentro! — Lascia i dischi e i dardi!

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— Entrate pure, e s’imbandisca il pranzo. —
Andiamo! — Andiamo! — Hai detto bene, araldo!

(entrano i Proci, seguiti da Telemaco, da Eumeo e da Femio; è ultimo Iro il Pitocco. Invadono la stanza rumorosamente, posando i mantelli. Le ancelle cominciano a portare le carni e i fanciulli pocillatori versano nei calici il vino. I Proci prendon dalla tavola delle rose e dell’edera e si incoronano. Comincia leggermente a imbuiare)


EURIMACO

(dando una coppa a Iro)


Bevi pitocco!
UN ALTRO DEI PROCI
                      Bevi qui!
UN ALTRO DEI PROCI
                                            Una coppa
di vino, tieni!
UN ALTRO DEI PROCI
                        Ubriacalo!
IRO

(sghignazzando)


                                             Ah! Principi!
Io ve ne avverto! Non è mica facile!
ANTINOO
Ma se sei già completamente fradicio!

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IRO

(bevendo)


E’ molto poco pel mio grande stomaco!
AGELAO
Iro è briaco tutto il giorno! Dategli
da bere!
UN ALTRO DEI PROCI
          Vino!
ANTINOO
                            E ci farà schiantare!
IRO

(bevendo)


Il mio destino è sempre stato ridere
quando c’è gente e piangere da solo!
Il vino è buono, ve lo garantisco.
Ah! Ah! Mi sento un po’... sí... traballare!
EUMEO
Non ci credete! egli fa finta d’essere
cosí briaco per scroccarvi a bere,
e divertirvi!
IRO

(bevendo)


                    Non è vero! Io sono
ebbro da mane a sera!
EUMEO
                                       E pur dicevi
che ubriacarti era cosa difficile!
IRO
E non badarci, vecchio scimunito!

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Mi saró contraddetto! Io dico e faccio
sempre le cose più contrarie! Ancora
un po’ di vino! E che vuol dire? Il mondo
è pieno zeppo di contraddizioni!
Io per esempio, che alle volte, o Proci,
mi sento forte come un toro e spesso
sono più vile di una femminucciola!
ANTINOO
Sei coraggioso contro le formiche!
IRO
Oh, dici bene! Quando trovo un essere
un po’ più forte, oh! me la sento battere
la tremarella nella pancia! E ciondola
la mia persona come un cencio mezzo!
Ma mica sempre sono cosí vile!

(entra Ulisse vestito da mendicante, e si sofferma un momento sulla soglia)


(Ha in mano il remo e guarda lungamente la sala, come per ricordarsi. E scruta i Proci con occhio indagatore)


ULISSE

(parlando quasi tra sè)


L’atrio... La corte... Le colonne... I servi...
Tutto lo stesso... Hanno cambiato l’armi
delle pareti.
TELEMACO

(a Ulisse)


                        Oh! fatti avanti, vecchio!
ANTINOO

(voltandosi)


Il mendicante addormentato!

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CTESIPPO
                                                    Oh! vecchio,
dimmi, di dove sei?
ULISSE

(posa sopra l’arca il remo)


                                Nacqui nel mare
e il mio destino è andare verso il mare!
UNO DEI PROCI
Figlio di Teti, vieni qua!
IRO
                                             Ricordo:
T’ho visto un giorno in bocca a un pescecane!

(I Proci ridono rumorosamente)


ULISSE
Io sono vecchio e tutti i mali ho visto
che sono al mondo; e le tristezze e i pianti.
Vent’anni fa qui sono già venuto.
ANTINOO
O vecchio pazzo, testa di citrullo,
hai visto arar la spiaggia il pazzo Ulisse?
ULISSE
Sedeva sullo scranno ove tu siedi.
Nè insolentiva mai gli ospiti vecchi.
ANTINOO
Taci, pulcioso pitocco! Non sai
che in questa casa il Re sono io?

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ULISSE

(scattando)


                                                            No! Sono...

(si frena)


Bada, c’è un figlio!
TELEMACO

(inquieto a Eumeo)


                                 Dagli una bisaccia
e dentro pane, carne e un po’ di vino.

(Eumeo gli porta la bisaccia)


ULISSE
Grazie, pastore.
ANTINOO
                          Ma chi ci ha portato
questo figuro? O che ci mancan forse
i paltonieri vagabondi in questa
isola?
EURIMACO
         Eumeo ce l’ha condotto.
ANTINOO
                                                     Eumeo?
Guardiano famosissimo di porci,
perchè ci porti tutti i tuoi mendichi?
Se vivi sempre fra porci e pitocchi,
non c’è ragione che ci viva anch’io.
Ricorda bene di non farlo un’altra
volta! Ora ha avuto pane, vino e carne,
che se ne vada per il suo cammino!
EUMEO
O re dei Proci tu non dici bene!

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Se vivo tra maiali e mendicanti,
e mi rifiuti i mendicanti, sempre
benevolmente tu mi prendi i porci!
TELEMACO
Ospite sei della mia casa, Antinoo.
Ed io ti invito a dargli un po’ di pane
e un calice ricolmo di liquore.
ANTINOO
Voi siete matti. Gli daró codesto
sodo sgabello e che se lo rimastichi,
se ha denti buoni!

(alza lo sgabello in aria, Iro approva)


                              E starà più lontano
un’altra volta!
ULISSE
                          Oh! Per il tuo destino
ti converrebbe che stessi lontano
un’altra volta! Ma pensaci bene,
pensaci bene! O quella tua risata
potrà figliare lagrime di sangue!

(si volge intorno ai Proci, a Antinoo)


Tu ridi? E schiatti? Ah! ben lo vedo! Tutti
vi contorcerete! E vi consiglio, Proci,
di singhiozzare e supplicar gli Dei!
ANTINOO
Non mi seccare!
ULISSE

(lasciandosi andare)


                            E tu non insultarmi!

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Perchè son vecchio e forestiero, e sono
pitocco qui, come sei tu pitocco,
e sono Re come sei Re.
TELEMACO

(inquietissimo)


                                    Sta’ calmo!
EURIMACO

(guardando Ulisse fissamente)


Proci... Badate... Non ha più cervello...
Il vecchio è pazzo!

(si mette a ridere)


                                                      Oh! non tenete conto
di ció che dice!
ULISSE

(riprendendo un tono umile)


                          A chi è precipitato
nella miseria la vergogna nuoce,
l’orgoglio nuoce. Anch’io fui ricco, un tempo,
ed ebbi case grandi e immensi campi
e ricevetti mendicanti e sempre
li rimandai con la bisaccia piena.
Ma sono vecchio e senza forza, ormai,
e senza orgoglio, e chineró la testa.
Voi mi cacciate, e mi guardate male,
io ben lo vedo — e non potrà giovarvi!
Chè forse il male renderà del male!
Che Giove padre, re dei supplicanti,
vi faccia molle e generoso il cuore.

(va con la bisaccia da uno all’altro. Cade qualcosa nel sacco. I Proci ridono e si divertono, ascoltandolo come se dicesse cose senza senso)

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UNO DEI PROCI
Siate gentili con il vecchio pazzo!
ULISSE

(a uno dei Proci)


Hai l’aria buona, tu, meglio degli altri!
Da quanto tempo vivi con i Proci?
AGELAO
Un anno solo!
ULISSE
                         Ah! Un anno solo, e il tuo
nome?
AGELAO

(dandogli un pezzo di pane)


                Agelao!
ULISSE
                            Voglio cantar le lodi
del nome tuo per tutto il vasto mondo!
AGELAO
Canta un po’ meglio, perchè hai poca voce!
ULISSE

(a un altro)


E tu, lo vedo, sei di Rodi.
DEMOPTOLEMO
                                             O vecchio
rincitrullito, sono di Dulichio!
ULISSE

(mostrando meraviglia)


Ah! sei tu quello di Dulichio! Il primo

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venuto, il grande che rischió di vincere
questa battaglia e di sposar Penelope?
DEMOPTOLEMO
Sei proprio pazzo. E dici di sapere
tutte le cose! Non è forse un mese
che sono venuto! Quanto all’altra cosa...
Non c’è che dire... le son molto caro!
ANTINOO

(a Ulisse)


Pensi a cantare un poema sui Proci,
che ci domandi senza tregua e nomi
e storia e terra? Perchè vuoi sapere
tanti ragguagli sulla vita nostra?
CTESIPPO

(gli porge un bicchiere rovesciandogliene metà in faccia)


Beviti bevi, il frutto della vigna;
ma bevi, dico! e bagna il gorguzzole,
bevi col naso, bevi con le orecchie
mettiti bene questo gusto in pancia.
UN ALTRO

(dandogli un pezzo di carne)


Insacca! E’ rossa e grassa più di te!
EURIMACO

(dandogli del pane)


E’ tondo e liscio come la tua zucca!
Io sono pio, ti aiuteró: vorresti
servire ne’ miei campi? Ti darei
un letto e cibo quanto puoi gonfiare,

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e tu ti metteresti in mezzo agli alberi,
e serviresti col tuo cranio lucido
a spaventare gli uccellini! Oh! non
accetti? Vedo: sei un vagabondo
e preferisci rimpinzarti a scrocco.
ULISSE
Se si facesse, Eurimaco, una gara;
chi più lavora — quando il giorno allunga
a primavera, con le falci in mano
in una prateria, sino alla notte
senza mangiare, e non mancasse l’erba,
o bisognasse reggere gagliardi
e rossi bovi d’anni e forza eguali,
e date quattro ripide bubulce
da maciullare col pesante aratro;
o nella guerra con la spada in mano
e la celata, tu vedresti il mio
vigor e l’occhio, e i muscoli, e il coraggio
di questo cuore, e tu non oseresti
gettarmi in faccia l’importuna fame.

(giunge dinnanzi ad Antinoo. Allora gli tende la bisaccia, lo guarda e tace. Tutti fanno silenzio e aspettano)


ANTINOO

(sghignazzando)


Ah! Ah! Credi di avermi intimorito
coi tuoi discorsi? Ma non mi conosci?

ULISSE


Mi sembri il primo degli Achei. Mi neghi
un vecchio tozzo e un calice di vino?

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A un re si addice di mostrarsi largo.
lo la tua fama spargerò nel mondo.
ANTINOO
Vattene, o cane! Non ho mai veduto
un paltoniere così svergognato!
ULISSE

(facendo un passo indietro)


Oh! La persona è ben più decorosa
dell’anima che chiude; e non vorrei
se fossi te, vedere andar la mia
anima ignuda. E chi potrà pensare
che sai donare un grano del tuo sale,
quando mi neghi un briciolo di pane,
non tuo, ma d’altra e ben fornita mensa?
ANTINOO
Pezzente! Io credo che non uscirai
da questa casa con le membra sane!

(afferra lo sgabello e glielo tira sopra l’omero. Ulisse saldo come una montagna, non muove costa, cova nel cuore taciturno la vendetta)


ULISSE

(posando la bisaccia e risedendo sulla soglia)


Se i mendicanti hanno propizi i Numi
e le tremende Eumenidi, la morte
ti colga prima delle nozze, Antinoo!
TELEMACO
Basta, Antinoo! Frena la cieca furia!

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EUMEO

(a Telemaco)


Figlio, che fai? Non ti ribelli? Io fuggo
gli empi, saluto la Regina, e torno
al branco mio, miglior di questo branco!

(esce)


TELEMACO
Aedo Femio, rasserena i cuori
col tuo cantare, dolce come il miele.
CTESIPPO
O Femio, dicci una canzone!
ANTINOO

(brusco)


                                               E’ tempo
che tu ci canti. Alzati in piedi e parla!
FEMIO

(alzandosi)


Se voi volete canterò qualcosa;
ma questa sera non ho punta gioia
nel caro cuore, e quella ci riscalda
quando cantiamo i carmi conviviali.
Senza la gioia sono come un’arpa
arrugginita che a tentarla, allenta
un cupo suono, lungo e malinconico.
ANTINOO
Femio, secondo me, s’è innamorato!
I PROCI

(ridendo)


— E’ innamorato! — Ma canta lo stesso! —
Trova la gioia in un bicchier di vino!

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— Dagli da bere! — Dategli da bere!
— Un calice di vino! — Ancora! — Un altro
calice! — Bevi! — Fatti caldo il cuore!

(Femio beve lungamente poi afferra la cetra e incomincia)


FEMIO
Muse dilette, datemi la forza del canto. Io son come
un’anfora vuotata. E il liquido aspetto da voi.
     Datemi forza, o Muse. E voi coronate le chiome
     giovanili di rose. Bevete, ridete, o beati
Proci, e non ascoltate. Perchè io canto solo per me
e sono un po’ ubriaco e ho molta tristezza nel cuore.

C’era un Eroe dal corpo gagliardo, e dall’agili mem-
                                                                                     [ bra
e dalla bionda chioma, che stava in un’isola ricca
     di giovani e di biade. E l’alba rideva felicemente
      al suo risvegliare e il vespro era dolce per
                                                                                [ lui —
o vespero dolcissimo! in cui risuonavano i flebili
cori delle fanciulle, ed egli tornava alla casa
e ritrovava il suo bambino che stava giocando
con la sua cara donna in mezzo alla corte quadra-
                                                                          [ ta! —
     Proci, vuotate i calici! Sentite soltanto confusa-
     mente attraverso il vitreo tinnire; son molto
                                                                     [ ubriaco,
e mi gira la testa e ho tanta tristezza nel cuore!
Ma ti sei perso, eroe! Perchè sei partito, per dove?

Ah! Tu sei stato come un’onda nel mezzo del mare,
un’onda che il destino respinge alla terra ed uccide
     miseramente, sopra gli scogli aguzzati dai colpi!

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     Tu sei partito; e l’onda più grande, più grande di tutti
i flutti che mai fossero gonfiati nel mare dal fato
si è aperta al cuore contro la più grande delle montagne!
Datemi forza, o muse, e voi coronate le chiome
giovanili di rose, bevete! Ma non ascoltate!
     Hai lasciato una mala fortuna alla casa de’ tuoi.
     Piangono gli infelici... Lasciate che pianga anche questo
povero cuore ebbro di vino e di cupo rimorso,
Fatemi singhiozzare! Io sono già vecchio, ormai.

Sono molto cambiato, guardate! C’è fango qui. Fango
anche sulla mia testa. E non mi potrebbe conoscere
     il mio signore, sotto la veste insozzata di fango!
     Un’ombra è scesa in voi! Ma Femio dovrebbe cantare.
Ma sí, Femio dovrebbe portarvi nei cuori ove giace
l’ombra, il calore della letizia, la bionda letizia.

Ma Femio ha tanta voglia di piangere come un fanciullo!
ANTINOO
Basta, per Giove!
EURIMACO
                            Ubriacone!
CTESIPPO
                                                      Piange
come un bambino!

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EURIMACO
                              E racconta scemenze!
ANTINOO
Dagli da bere. Fallo diventare
ebro come il pitocco!
CTESIPPO
                                    E’ veramente
ebro, perch’è più lucido dell’acqua!
EURIMACO
Ci ha già seccati con i suoi languori!
ANTINOO

(piano a Ctesippo e a Eurimaco)


Io vi propongo d’eccitare il nostro
Iro a cacciar coi pugni il mendicante!
Sarà un agone in fede mia superbo!
Un pazzo che combatte un ubriaco!
CTESIPPO E EURIMACO
Ha detto bene! Iro! Vien qua!

(Iro si avvicina)


ANTINOO

(dandogli da bere)


                                                    L’hai visto
quel mendicante?
IRO
                            Sí, l’ho visto! E’ come
un altro mendicante!
ANTINOO
                                  Ascolta! Abbiamo

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deciso di smezzar le parti in due;
e d’ora innanzi ti daremo solo una metà!
IRO
                Dici davvero?
ANTINOO
                                            E forse
se ci diverte gli daremo tutto,
ed a te niente! E te ne andrai se prima
non l’hai saputo cacciar via di casa!
IRO

(ubriaco fradicio, si precipita contro Ulisse)


Allora, per gli Dei, l’espello subito!
Sgombera, o vecchio! Sgombera, ti dico!
Quella è la porta! Se no ti ghermisco
per una gamba e ti trascino fuori!
Non vedi che m’ammiccano con gli occhi
i Proci? Sgombra, chè mi fa vergogna,
di maltrattarti e di pigliarti a pugni!
ULISSE
Buon uomo, io non ti faccio nessun male,
non c’è ragione di mandarmi via.
Io non ti invidio se ti danno molto;
e tu non invidiar quel che mi danno.
In questa casa c’è posto per me
e tu mi sembri un mendicante, come
son io, che gira. Non forzarmi a usare
i pugni o forse, benché vecchio, il grugno
ti farò tutto sanguinante.

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IRO
                                          Oh! Poveri
noi! Che mulino di chiacchiere è questo
vecchio affamato! E mi sembra una sguattera
di settant’anni! Una lezione voglio
dargli! E schizzargli tutti i denti fuori
dalle mascelle, come s’usa fare
ai porci che distruggono le biade.
Fargli gonfiare e nereggiar le palpebre,
e dargli un pugno sodo nello stomaco
per cui farà, disteso a terra, i rantoli
più divertenti, e un calcio nelle coglie
che gli farà venire in uggia Venere.
ANTINOO

(ai Proci)


Questa è una bazza che non ci è toccata
da molto tempo!
I PROCI
                           Dagliene davvero! —
Caccialo via! — Che non ci secchi più!
— Addosso a Iro! — Addosso al vecchio! — Addentalo
come un mastino! — Dàgli sotto!
ANTINOO
                                                            Proci!
Qui sopra il fuoco ci son due pancette
di capra, piene d’adipe e di sangue.
Il vincitore le potrà pigliare
e siederà sempre con noi a tavola, e l’altro, via!
I PROCI
                      Bene! Cosí facciamo!

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ULISSE
Io sono vecchio, principe, e non giusta
è questa zuffa con un uomo giovine.
Pure la fame mi costringe. Or voi
giurate che se vincerò, nessuno
aiuterà con la gagliarda mano
il vinto ad atterrare il vincitore.
TELEMACO
Se il cuor ti basta ad azzuffarti, vecchio,
tu non devi temere altri che il tuo
nemico. E questi non ti toccheranno,
ospite sei della mia casa. E i Proci
giurano!

(tutti acconsentono)


ULISSE
             E allora fatti avanti, eroe!

(si mettono a torso nudo)


(Iro si rifugia presso Antinoo)


ANTINOO

(a mezza voce, a Iro)


Iro, se questo malandato vecchio
pieno di guai, vince la zuffa, io giuro
che dal tiranno ti farò mandare
Echèto. E sai, ti strapperà le orecchie
e il naso, e in pasto ti darà ai mastini!

(trascinano Iro nel mezzo e si alzano tutti, facendo un semicerchio. Penelope, non vista, compare sulla soglia della porta laterale, con due ancelle, e guarda)

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I PROCI
— Iro, mi sembri un botolo che trema
ed ansa, al freddo, sotto il nembo, e sbatte
sui magri fianchi la coda. — Coraggio,
ora mi sembri tu la vecchia sguattera! —
Ma fatti avanti! Non tremare! — Avanti!
— Avanti!

(Iro, spinto dagli incitamenti, ridiventa baldanzoso e fa un passo verso Ulisse. E l’eroe, con un solo pugno fortissimo sulla mascella, lo fa ruzzolare sotto gli sgabelli. I Proci ridono a crepa pancia)


                    Non ci ritornare!
T’ha steso a terra con un solo pugno!
— Ma che bel pugno! — Chi l’avrebbe detto! —
— Un vecchio curvo! — Un mendicante! — Un pazzo! —
— E’ stramazzato come fosse un fico!
— Sembrava rotto e tremolante. — Il pugno
che gli ha appioppato è un pugno da gigante!

(Ulisse afferra Iro per le spalle e lo scaraventa fuori della porta)


ULISSE
Comincia tu, povero ubriacone,
vecchio zimbello! T’è meglio partire
oggi malconcio che domani ucciso!
ANTINOO

(che si volta e vede Penelope)


Dei! La regina!

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I PROCI
                          — La Regina!
POLIBO
                                                            Siediti!

(fa per portarle un sedile)


ANTINOO
(porgendone un altro)
Regina! No, siediti qui!
EURIMACO

(c. s.)


                                           No, siedi
sul mio!

(si trovano tutti insieme con i tre sedili e si guardano biecamente)


PENELOPE
             Tornate ai vostri posti! Io resto
per un minuto.

(volgendosi a Telemaco)


                        Non ti riconosco;
o figlio mio! Tu ch’eri tanto ricco
di senno, ancora giovinetto, hai perso
ogni prudenza, ogni giustizia! In casa
tua, nella casa del divino Ulisse
si oltraggia malamente un forestiero.
— Tutto m’ha detto il buon pastore Eumeo! —
e tu sopporti senza ribellarti?
Dunque non temi i posteri? E non sai
che la tua fama sarà maculata
eternamente?

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TELEMACO
                    Ma che posso fare
qui, tutto solo e senz’aiuti, in mezzo
ad una turba che mi vuol far male?
EURIMACO
Figlia d’icario, se t’avesser vista
tutti gli Argivi di Mecene e d’Argo
banchetterebbe una ben più temibile
turba di Proci a questa ricca tavola,
sino dall’alba. Perchè non v’ha donna
che ti somigli per bellezza e senno.
PENELOPE
Eurimaco, bellezza e senno, tutto
m’han rapito gli dei, quando gli Argivi
sciolser per Troia, e con gli Argivi Ulisse.
Ma più non spero, e siete troppo forti,
Proci, e v’annunzio: Ora è venuto il giorno
delle mie nozze. Ulisse aveva un grande
arco tagliato in salice divino.
Per gioco egli soleva conficcare
dodici pali, simili ai puntelli
di nave, nella corte colonnata,
e li passava con l’acuta freccia.
Domani all’alba vi farò portare
l’arco e il turcasso dell’Eroe: se qualche-
d’uno di voi sa trapassare i dodici
anelli in fila, lo farò mio sposo,
lasciando questa casa, ove i ridenti
anni passai della mia prima vita,
e che rimpiangerò persino in sogno.
Ma non si guardan più l’usanze antiche,

[p. 82 modifica]

chi pretendeva ad una donna, o Proci,
dava ogni giorno a lei vittime pingui
e grandi doni e non mutava, a tavola,
le sue ricchezze in odoroso fumo.
POLIBO
Penelope ha ragione! Araldo, corri
alla mia casa ed apri l’arche e prendi
il più bel peplo!
ANTINOO

(a un altro fanciullo)


                            E corri tu, fanciullo
e torna qui con il più bel gioiello!
TUTTI I PROCI
Ha detto bene! — Andiamo a prender doni!
— Andiamo! — Andiamo! — Le darò un monile
d’oro che all’ambra è maritato! — Un peplo
le donerò, con sette fibbie d’oro
fermate da ricurvi dardiglioni! —
POLIBO

(ad Antinoo)


Tu non sei degno di donarle niente!
ANTINOO

(ridendo)


Perchè?
POLIBO
             La insidii falsamente il giorno
e ordisci morte contro il figlio a notte.
ANTINOO
Menti, per Giove!

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POLIBO
                             Ah! Non potrai negarlo!
ANTINOO
M’invidi, forse! E vuoi sfogar la rabbia:
oggi la donna avrà interrotto il tuo
interminato balbettio d’amore!
POLIBO
Non t’ho invidiato mai!
ANTINOO
                                      Torna nel letto
d’una tua schiava che lo voglia aprire,
ma non guardare a una regina illustre!
POLIBO
Taci, Antinoo! Tu ti sei già commisto
con una schiava della tua regina!
EURIMACO
Un Dio gli ha messo la calunnia in cuore.
TUTTI I PROCI
— Polibo taci! — E bada bene! — Antinoo,
cacciagli in gola le menzogne! — Antinoo,
sfrattalo via! — Caccialo come un cane
tignoso! — Dàgli un colpo sulla zucca!
ANTINOO

(scagliandosi contro Polibo)


Ah! maledetto. Ora ti strozzo!
POLIBO
Ho il collo
                 largo e non temo!

(si avanza contro Antinoo)

[p. 84 modifica]

TELEMACO

(separandoli a forza)


                              Rispettate questa
casa, e cessate! Viene già la sera,
e il fuoco serpe per le vostre vene,
e il fumo sale nella vostra testa!
PENELOPE
Andate! E’ tardi; è già calato il sonno!
POLIBO
Andiamo, sí!
ANTINOO
                        Vieni con me!
POLIBO
                                     Prepara
la spada!
UNO DEI PROCI
                    Andiamo alla spiaggia!
UN ALTRO
                                                            Alla spiaggia!
C’è già la luna e non si vede il sangue!
ANTINOO

(uscendo)


Sí! Ma il tuo sangue si farà più nero!

(Polibo ride, e tutti rumoreggiando dirompono fuori)


PENELOPE
Ah! Son partiti finalmente!

[p. 85 modifica]

TELEMACO

(andando alla porta)


                                                  Corrono
via dal cortile... Escono già! Qualcuno
morirà certo. Oh! Sono tanto stanco!

(fa un sospiro)


Vo’ a riposare!

(esce)


PENELOPE
                             Dei bracieri, ancelle!

(le ancelle escono, riportano i bracieri e sparecchiano)


ULISSE

(guardandola fissamente)


E vivi da tre anni in questo branco!
PENELOPE

(con un gesto di rassegnazione)


Nessuno ha osato liberarmi!
ULISSE
                              Sono
tagliati tutti da una sola scure,
e si somiglian come pera a pera.
Polibo no. Polibo fu sincero.
Che dici, tu, di Polibo, regina?
PENELOPE
Non dico niente. Anche se fosse... Oh! solo,
il grande Ulisse, vincerebbe i Proci.
ULISSE

(dopo un momento)


Te ne ricordi più, dimmi, di Ulisse?

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PENELOPE

(alimentando il braciere. Si abbandona un po’ indietro, fantasticando. E dinnanzi agli occhi sognosi le passano come delle antiche visioni dolcissime)


Lo vedo ancora, sulla sponda, — il mare
faceva dondolar la nave nera
e i remi erano già sugli scalmieri —
e si sentiva lo sciacquare e il canto
delle fanciulle lavandare al fonte.
Egli mi disse — Donna, i Teucri sono
gran sagittari e cavalieri egregi
e popoli pugnaci, e Troia è fortemente munita, ond’io non so se i Numi
mi ridaranno la tornata. Onora
mio padre. E quando — e m’indicava il figlio —
sarà già un uomo — e ch’io sia ancor perduto
nel mondo, allora lascia questa casa
e a un altro va che sia per te marito.
Addio! — Parlava con la voce calma
e non tremava, ma chinò la testa.
E si rivolse e contemplò l’alpestre
Itaca, e il monte, e i campi, ed il contorto
olivo e i boschi umbratili, e la folla
che singhiozzava. E poi guardò la nave.
I remi erano già sugli scalmieri,
legati con gli stroppi di bovino
cuoio. Sui banchi, innanzi ai loro scalmi
sedevano i nocchieri taciturni.
Egli salì sulla pedagna, e strinse
forte la barra, si spiegò la vela

[p. 87 modifica]

e il vento portò via la nave nera
come un uccello! E si avvicina ormai
l’infausta notte delle nozze. E Giove
ha spento nel mio cuore ogni letizia.
ULISSE

(segue il discorso di Penelope come appeso alle sue labbra. E’ commosso e si esprime con voce tremante)


Ah! non sei lieta delle nozze! Aspetti
ancora, speri che ritorni Ulisse!
Oppure... oppure lascerai la casa?
PENELOPE

(insospettita)


Vecchio, perchè?... Non ti capisco! Gli occhi
ti sono diventati luccicanti,
e il polso trema!
ULISSE
                            E’ la gran gioia! E’ tanto
tempo, che giaccio, quando vien l’éterna notte
d’inverno, fra l’urlio dei cani
e le ventate! Ora tranquillo siedo
vicino al fuoco, e dell’inverno rido,
e passerò tutta la notte al caldo.
E poi ripenso al mio compagno Ulisse!
Come godrebbe di poter sedere
al posto mio, vicino a te, regina,
nella sua casa, senza più pensieri!
PENELOPE
Piangi!

[p. 88 modifica]

ULISSE
             E’ l’età! Non ci badare!
PENELOPE
                                                        E allora
buon vecchio, dimmi qualche cosa intorno
a quell’Ulisse che ti fa pensare!
ULISSE
Lascia, regina. Sono stanco. E’ troppo
tardi, e non so tenere il pianto, e i miei
occhi, gravati dall’età, si fanno
pesi, e la mente mi si annebbia, e l’ossa
mi fanno male. Ho già sofferto tanto!
Ti narrerò quello che vuoi domani.
PENELOPE
Si vede bene che sei molto stanco,
sali, ed un letto ti darò, di molle
piuma coperto, ove potrai giacere.
ULISSE
Oh no, regina! E’ troppo molle, un letto!
Non posso più dormirci, E’ tanto tempo
che dormo in terra. Manda qua una pelle
e sulla pelle passerò la notte.
PENELOPE
Ti manderò i più delicati velli!

(esce)


(Ulisse aspetta un momento. Poi si alza e va alle pareti. Stacca le armi e le depone cautamente nell’arca. Ma lascia appeso l’elmo antico e la corazza sopra l’arca. Si

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sente lontano l’urlo di Polibo ucciso e un confuso sussurrar di folla che si allontana. Ulisse sorride silenziosamente. Chiude l’arca e si siede vicino a un braciere)


ULISSE

(con voce pacata)


Avete riso troppo oggi. Domani
Iro e il pitocco rideran di voi!








FINE DEL SECONDO ATTO.

  1. I letti conviviali sono come divani divisi in tre parti o seggi che si coprono di pelli e cuscini.