Il Canzoniere (Bandello)/Le Rime Estravaganti/XXIX - Rapido Po, che con le torbid'acque

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Le Rime Estravaganti
XXIX - Rapido Po, che con le torbid'acque

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Le Rime Estravaganti
XXIX - Rapido Po, che con le torbid'acque
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XXIX.


Rapido Po, che con le torbid’onde1
     Superbo vai tra l’arenose rive,
     Dove le stanche già sorelle dive
     Piangendo diventaro alberi e fronde;
     5Altiero fiume, che da le profonde

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     Grotte de ’Alpi, che d’intorno bagna
     Il ligustico mar, tumido sorgi,
     E mormorando tra i lombardi campi
     Trebbia e Ticino, con l’antico nome
     10Di bellicosi vampi
     Teco al viaggio tuo guidando scorgi,
     Dove fra gli altri, come
     È fra le stelle il Sole,
     Con le madide chiome
     15L’onorato tuo Mincio t’accompagna,
     Sin là ’ve al mar il tuo tributo porgi:
     O re dei fiumi, in queste piaggie sole
     Odi le mie parole.
     Tra quelle ombrose querce Melibeo
     20Pensoso stava, il suo gregge pascendo
     Come solean già i pastor, sedendo
     Tra i bei colli di Menalo e Liceo;
     E dicea con dolor acerbo e reo:
     — O Eridano mio, i nostri armenti
     25Non han più, nè li tuoi, securo un loco,
     Chè giù da gli alti monti è già venuto
     Chi accende fiamme in le tue mandre, e fura
     E per gridare ajuto
     È de’ nostri pastori ognun già roco.
30Deh! se già sepoltura
     Fosti al figliuol del Sole,
     Allor ch’ebbe paura
     Il mondo d’andar tutto in fiamme ardenti
     Smorza con l’acque tue quest’altro fòco.
     35O re de’ fiumi, in queste piagge sole
     Odi le mie parole.
     Ecco, tra i nostri pascoli discesi
     Fieri apri, aspri orsi, e per diverse rupi2
     La notte scender ululando lupi,
     40Che versan gli occhi di spavento accesi:
     Anzi (chi fia che ’l creda?) i’ ho già intesi
     Con voce umana orribile chiamarsi;
     E menzogna non è che in lor sian l’alme
     Dei ladron che son morti in queste selve;
     45Ed odonsi al silenzio della luna

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     Mugghiar più strane belve,
     Chè nè al fuggir nè al star l’animo valme.
     Quando fie mai, fortuna,
     Che veggia, allor che, il sole
     50Calando, l’aere imbruna,
     Le pecorelle mie la sete trarsi
     Su queste rive, e con l’usate salme
     Tornarsi a casa; e in queste piagge sole
     S’odon le mie parole?
55Quando fie mai che ’l bel volto di tauro
     O re de’ fiumi, le tue amate ninfe,
     Ti spargano di latte e chiare linfe,
     Coronando di fior le corna d’auro?
     E i tuoi pastor di mirto e verde lauro
     60Adornino le mandre, e a gli alti abeti
     Vaghi sospendan le zampogne e gli archi?
     E di teneri agnelli sacrifizio
     Ti facciano, con preghi e voce umile,
     Ch’a l’estivo solstizio
     65Nel tuo gonfio ondeggiar gli argini varchi
     Perchè a l’usato ovile,
     Mentre ha men forza il sole,
     Finchè ritorni aprile,
     Possano starsi, e poi tornarsi lieti
     70A le campagne aperte e ameni parchi?
     O re de’ fiumi, in queste piagge sole
     Odi le mie parole. —
     Così diceva; e tra verdi arboscelli
     Giacèa, fra l’erbe la mia Mencia all’ombra,3
     75Qual chi di dolce sonno l’aura ingombra
     Col mormorar de’ limpidi ruscelli.
     Sparsi le aveva Zefiro i capelli
     Per quel candido collo e per la fronte;
     E tremar si vedean soavemente
     80Le marmoree mammelle entro al bel velo,
     D’arder d’amor côr freddi, aspri e selvaggi:
     Quando, svegliata, al cielo
     Volse i begli occhi con splendor sì ardente,
     Che dier lume i bei raggi
     85U’ non passava il sole

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     Là nei più folti faggi;
     E sospirando, verso l’orizzonte
     Mandò pur fuor quella voce dolente:
— Ahi! dove sei ascoso, o almo sole,
     90Per queste piagge sole?
     Ahi! dove sei ascoso, o almo sole,
     Che il perso gregge a’ tuoi smarriti rai
     Sen va gridando in tenebrosi guai?
     Ahi! dove sei ascoso, almo mio sole?
     95E con le chiome sparse oggi si dole
     La tua Tarpeia, e avvolta, in nera gonna
     Con quegli occhi di fuoco i sette colli
     Empie d’orror, e grida ad alta voce:
— Perchè mi avete abbandonata, o Dei?
     100Perchè da l’alto, atroce
     Mio mal, da l’alte mie ruine e crolli
     Fuggite? Ah! dove sei
     Tu che sembravi un sole?
     Che veder mi solei
     105Reina de le genti, e al mondo donna
     Di quanto vedi ove più in ciel t’estolli? —
     Ahi! dove sei ascoso, o almo sole,
     Da queste piagge sole?
Chi regge. Apollo mio, guarda chi regge
     110Le pecorelle tue: un pastor losco,
     Che perso à già nel bel paese tosco
     Il suo negletto e mal guidato gregge!4
     Guarda che persa è la tua antiqua legge,
     Antico Palestin: vedrai te avanti
     115Tronche le piante ove posar solca
     La bella vigna nostra, o in pace o in guerra.
     Vedrai la sposa tua, che in su l’aurora
     Giace deserta in terra,
     Fenduto il manto che d’intorno avea,
     120E scalza ad ora ad ora
     Si muore. Ahi! perso il sole,
     Tu perderai ancora
     E la nave e le reti e pesci quanti
     Hai preso mai nel mar di Galilea.
     125Ahi! dove sei ascoso, o almo sole,

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     Da queste piagge sole!
Con l’arme sole del pastor d’Esperia,
     Se non fea il tuo sangue il veder scemo,
     Potuto avresti, ingrato Polifemo,
     130Cavarlo fuor di questa vil miseria.
     O d’ogni nostro mal forma e materia,
     Quanto da quei che ti lassar le chiavi,
     Da sì alta quercia tralignar ti mostri! — 5
     Tu il vedi, alma Gonzaga, in Montefeltro.
     135Dimanda or dov’è il pan di che norristi
     Questo arrabbiato veltro,
     Questa fiera nemèa, questi due mostri:
     Sol perchè non fuggisti
     Indietro, irato sole,
     140Da’ scellerati e tristi
     Auspici? Ahi mondo, che sanar pensavi
     Con medico sì vile i dolor nostri!
     Orbo mondo, se falli, il Cielo il vuole;
     Ch’egli è oscurato il sole.
     145Oscura è Cinzia; alza Atteon in alto
     Le corna; e va trescando la stuprata
     Figliuola di Sion là ’ve l’armata
     Con così chiaro ed onorato salto
     Plebe salì sovra l’altre arme tanto.
     150Apri la maestà del sacro volto,
     Tevere, fuor de’ muscosi antri, ed odi
     Gridando andar tra le sue rive il Reno:
     — Diva Ippolita mia, che non sei meco?6
     Tu dal mio bel sereno
     155Sei lunge, e tu, Sardanapalo, il godi. —
     Piangon le rive seco;
     E tu tel vedi, o sole;
     E tu il sostieni, o cieco,
     Vôto d’ogni valor, mondo: sì involto
     160T’ha questa Babilonia in sì bei nodi!
     Orbo mondo, se falli, il Cielo il vuole;
     Ch’egli è oscurato il Sole.

Note

  1. V. 1. «Stampata in Appendice dal Barotti, esclusa dal Molini, nell’edizione del 1824, accolta tra i Versi alla patria, di Lirici italiani dal secolo XIV al XVIII ma solamente come attribuita a Ludovico Ariosto».
  2. V. 38. Apri, «Latinismo non registrato».
  3. V. 74. «Nell’oscurità grande di questa Canzone il barlume che viene da queste due parole, potrebbe destar sospetto che l’autore di essa fosse di patria mantovano. E qual fosse in Mantova il poeta abile a scriverla e avente ancora cagioni non lievi di sdegno contro il “pastor losco che sedeva in que’ tempi„ agli eruditi è già noto». — La Mencia riporta senz’altro il pensiero al Bandello; però dall’insieme del componimento si potrebbe anche ricavare che Mencia significhi non la donna amata dal nostro poeta, ma sia personificazione poetica dalla regione tutta del Mincio.
  4. V. 112. «Allusione al rivolgimento politico avvenuto in Firenze nel mese di maggio 1527».
  5. V. 133. «Giulio II. Il poeta mostra in più modi la sua affezione verso le due famiglie che signoreggiano Urbino».
  6. V. 153. «Ippolita pronipote di Ludovico Sforza e moglie di Alessandro Bentivoglio, ne’ suoi dì lodatissima. Il diva e il mia farebbero pensare al Bandello, che di lei fu amante poetico e iperbolico encomiatore». La cosa sarebbe notevole anche perchè ci consentirebbe l’identificazione della donna adombrata sotto il nome di Mencia nella gentildonna Ippolita Bentivoglia, alla quale l’intero Canzoniere bandelliano potrebbe, del resto, convenire. E il mistero della Mencia sarebbe così svelato. Due frasi ricorrono qui (v. 8, v. 16) «ligustico mar» e «re dei fiumi» che il Bandello usa identiche son. I delle Rime estravaganti, v. 9 e in Canzone CII, v. 24, in quest’ultimo luogo parlando a lungo del Po. Ma sono accenni troppo lievi e generici per inferirne una prova. Già nel Petrarca troviamo, come qui nel v. 1: «Rapido fiume, che d’alpestre vena», Canz., CCVIII, v. 1; e, per concetto analogo: «Po, in tue possenti e rapide onde», ivi, CLXXX, vv. 1-2.