Il Circolo Pickwick/Capitolo 15

Da Wikisource.
Nel quale si dà un fedelissimo ritratto di due persone di qualità, ed una accurata descrizione di un pubblico asciolvere in casa loro e sulle loro terre; il quale asciolvere mena al riconoscimento di un'antica conoscenza ed al principio del capitolo appresso

../Capitolo 14 ../Capitolo 16 IncludiIntestazione 14 agosto 2010 75%

Charles Dickens - Il circolo Pickwick (1836)
Traduzione dall'inglese di Federigo Verdinois (1904)
Nel quale si dà un fedelissimo ritratto di due persone di qualità, ed una accurata descrizione di un pubblico asciolvere in casa loro e sulle loro terre; il quale asciolvere mena al riconoscimento di un'antica conoscenza ed al principio del capitolo appresso
Capitolo 14 Capitolo 16


Il primo giorno di viaggio e le avventure della prima sera con le relative conseguenze Al signor Pickwick rimordeva un po’ la coscienza per aver trascurato più del dovere i suoi amici del Paone; ed ei si disponeva appunto ad andar da loro il terzo giorno dopo l’elezione, quando il suo fedele domestico gli pose in mano un biglietto di visita, sul quale era stampato

SIGNORA LEO HUNTER

Caverna

, Eatanswill

— La persona aspetta, — disse Sam laconicamente.

— Vuol me cotesta persona? — domandò il signor Pickwick.

— Voi proprio; e nessun altro mi cava la sete, come disse il segretario particolare del diavolo, quando si portò via il dottor Fausto.

— È un signore?

— Se non lo è, gli somiglia, — rispose Sam.

— Ma questo biglietto è di una signora, — disse il signor Pickwick.

— Che però mi è stato dato da un signore, — rispose Sam, — e ora aspetta in salotto e dice che vi vuol vedere, dovesse anche aspettare tutto il giorno.

Il signor Pickwick, udendo questa determinazione, discese subito in salotto, dove trovò un uomo dall’aspetto grave, che si levò in piedi di scatto in vederlo entrare, e disse col più profondo rispetto:

— Il signor Pickwick, suppongo?

— Precisamente.

— Concedetemi, signore, l’alto onore di stringervi la mano; permettetemi, signore, che io la stringa, — disse l’uomo grave.

— Volentieri, — disse il signor Pickwick.

Il forestiero strinse la mano che gli veniva porta e continuò:

— La vostra fama, signore, è giunta fino a noi. Il rumore della vostra discussione archeologica è pervenuto all’orecchio della signora Leo Hunter, — mia moglie, signore; io sono il signor Leo Hunter.

E si fermò, quasi aspettando che il signor Pickwick fosse sopraffatto da questa rivelazione; ma, vedendolo che rimaneva perfettamente calmo, proseguì:

— Mia moglie, signore, la signora Leo Hunter, va superba di potere annoverare fra le sue conoscenze tutti coloro che per le loro opere e pel loro ingegno hanno conquistata la celebrità. Permettetemi, signore, di porre nella parte più cospicua di questa lista il nome del signor Pickwick e quelli dei suoi soci, membri del Circolo che s’intitola da lui.

— Sarò lietissimo, — rispose il signor Pickwick, — di far la conoscenza di questa signora.

— E voi la farete, signore, — disse l’uomo grave, — Domani mattina, signore, noi diamo un pubblico asciolvere — una festa campestre — a un gran numero di celebrità. Spero bene, signore, che la signora Leo Hunter avrà il piacere di vedervi alla Caverna.

— Obbligatissimo. Tutto mio il piacere, — rispose il signor Pickwick.

— La signora Leo Hunter ne dà spesso di queste feste. "Feste dell’ingegno e sbocchi delle anime" come con molto sentimento ed originalità scrisse un poeta in un sonetto sui banchetti della signora Leo Hunter.

— Era anche questi un uomo celebre per le sue opere e il suo ingegno? — domandò il signor Pickwick.

— Tal era, signore, — rispose l’uomo grave; — tali sono tutte le conoscenze della signora Leo Hunter; è la sua ambizione, signore, di non averne altre delle conoscenze.

— È un’ambizione nobilissima, — disse il signor Pickwick.

— Quando comunicherò alla signora Leo Hunter che questa osservazione è sfuggita dalle vostre labbra, ella, o signore, ne sarà orgogliosa. Voi, se non erro, avete un compagno vostro, che ha dato alla luce dei graziosissimi versi.

— Il mio amico Snodgrass ha una grande inclinazione per la poesia, — rispose il signor Pickwick.

— Anche la signora Leo Hunter, signore. Ella adora la poesia, la idolatra; potrei anzi affermare che tutta l’anima sua vi è abbarbicata. Ha pubblicato anche lei delle composizioni pregevolissime. Vi sarà forse accaduto di leggere la sua Ode alla rana morente, signore.

— Ma.... non mi pare, — disse il signor Pickwick.

— Ciò mi sorprende, signore, — esclamò il signor Leo Hunter. — Produsse una immensa sensazione. Era firmata con un L e otto asterischi, e comparve la prima volta in un giornale di mode. Cominciava così:

Poss’io mirarti asmatica e giacente

A pancia sotto, o povera innocente,

Senza un sospir dolente ?

Poss’io mirarti, e non soffrir, morente

Tu testè così sana,

O rana, o rana!

— Bellissimo! — disse il signor Pickwick.

— Che grazia! — esclamò il signor Leo Hunter, — che semplicità!

— Certamente, — disse il signor Pickwick.

— La strofa seguente è anche più commovente. Volete che ve la dica?

— Volentieri.

— Suona così, — disse l’uomo grave, sempre più gravemente:

Dimmi, quai fieri demoni sfrenati

In forma di monelli scostumati

Con grida ed ululati

Gli stagnanti piacer t’hanno furati?

Qual turba insana?

O rana, o rana!

— Molto bene espresso, — disse il signor Pickwick.

— Splendido, signore, splendido. Ma voi la sentirete dalla stessa signora Leo Hunter. Non c’è che lei per farne valere tutte le bellezze. Domani mattina la declamerà in costume.

— In costume!

— Da Minerva. Ma appunto dimenticavo.... è una colazione in costume.

— Ah, perbacco, — esclamò il signor Pickwick, dando un’occhiata alla propria persona, — ma non mi par possibile....

— Non vi pare, non vi pare! — interruppe il signor Leo Hunter. — Salomone Lucas, l’ebreo in Via Grande, ne ha delle migliaia di costumi. Pensate, signore, quanti caratteri adattati voi potete scegliere: Platone, Zenone, Epicuro, Pitagora, tutti fondatori di circoli.

— Cotesto lo so, — disse il signor Pickwick, — ma siccome io non posso venire a competenza con questi grandi uomini, non oserei indossare i loro costumi.

L’uomo grave si raccolse tutto pensieroso per qualche istante.

— Riflettendovi meglio, — disse poi, — io non so se alla signora Leo Hunter non farebbe più piacere che i suoi ospiti vedano un uomo della vostra fama nel costume che gli è proprio anzi che in quello di un altro. Oserei quasi garentirvi una eccezione in favor vostro, signore; sì, sono anzi certo di poterlo garentire da parte della signora Leo Hunter.

— In tal caso, — disse il signor Pickwick, — sarò lietissimo di accettare il grazioso invito.

— Ma io abuso del vostro tempo, o signore, — disse ad un tratto l’uomo grave. — Io so quanto esso è prezioso. Non vi tratterrò più oltre. Posso dunque dire alla signora Leo Hunter ch’ella può aspettare con fiducia voi e i vostri egregi amici? Buon giorno, signore; io sono orgoglioso di aver fatto la conoscenza di un personaggio così eminente — prego, signore, non vi scomodate; non un passo, non una parola.

E senza dar tempo al signor Pickwick di negare o affermare o ringraziare, il signor Leo Hunter gravemente si allontanò.

Il signor Pickwick prese il cappello e si recò al Paone; ma il signor Winkle l’avea prevenuto ed avea già comunicata la notizia della festa in costume.

— Ci va anche la signora Pott, — furono le prime parole con le quali egli salutò il suo condottiero.

— Davvero? — disse il signor Pickwick.

— In costume di Apollo, — rispose il signor Winkle. Soltanto Pott fa qualche obbiezione per la tunica.

— Ha ragione, ha pienamente ragione, — esclamò con enfasi il signor Pickwick.

— Senza dubbio; si metterà invece una sottana di raso bianco con lustrini dorati.

— Sarà un po’ difficile in tal caso di capire che costume sia il suo, non vi pare? — domandò il signor Snodgrass.

— Ma no, ma no, — rispose sdegnosamente il signor Winkle. — E la lira non la contate per niente?

— È vero, non ci pensavo, — disse il signor Snodgrass.

— Io mi vestirò da brigante, — venne su il signor Tupman.

— Come! — esclamò il signor Pickwick trasalendo.

— Da brigante, — ripetette tranquillamente il signor Tupman.

— Voi non volete mica intendere, — disse il signor Pickwick fissando l’amico con una occhiata di solenne severità, — voi non volete mica intendere, signor Tupman che sia vostra intenzione di mettervi una giacca di velluto verde con dietro una faldettina di due pollici?

— Tale è appunto la mia intenzione, signore, — rispose con calore il signor Tupman. — E perchè no, di grazia?

- Perchè, signore, — disse il signor Pickwick abbastanza eccitato, — perchè voi, signore, siete troppo vecchio.

— Troppo vecchio! - esclamò il signor Tupman.

— E se questo non bastasse, signore, — proseguì il signor Pickwick, — siete anche troppo grasso.

— Signore, — disse il signor Tupman rosso come un tacchino, — signore, voi m’insultate!

— Signore, — rispose il signor Pickwick nello stesso tono, — sarebbe doppio insulto il vostro a mio riguardo il solo mostrarvi in mia presenza vestito di una giacca di velluto verde con una coda di due pollici.

— Signore, — disse il signor Tupman, — voi siete un insolente!

— Signore, — rispose il signor Pickwick, — e voi pure.

Il signor Tupman si avanzò di uno o due passi e gettò al signor Pickwick un’occhiata fulminea. Il signor Pickwick ricambiò l’occhiata, concentrata nel fuoco delle sue lenti, e gli uscì calda dalla bocca una violenta parola di sfida. I signori Snodgrass e Winkle stavano a guardare, pietrificati davanti a una tale scena tra due uomini di quella fatta.

— Signore, — disse il signor Tupman dopo una breve pausa e parlando con voce bassa e cupa, — voi mi avete chiamato vecchio.

— È vero, — disse il signor Pickwick.

— E grasso.

— Ve lo ripeto.

— Ed insolente.

— Tal siete!

Vi fu una pausa spaventevole.

— Il mio attaccamento alla vostra persona, signore, — disse il signor Tupman con voce tremante dall’emozione e rimboccandosi con mano febbrile i polsini della camicia, — è grande.... molto grande... ma su cotesta persona io debbo prendere sommaria vendetta.

— Avanti, signore! — rispose il signor Pickwick. — Stimolato dal calore stesso del dialogo, l’uomo eroico si pose subito in una certa guardia da paralitico, che i due astanti presero in buona fede per atteggiamento di difesa.

— E che! — esclamò il signor Snodgrass, ricuperando ad un tratto la facoltà della parola, di cui l’intensità dello stupore l’aveva privato, e cacciandosi tra i due contendenti a rischio di toccarne per conto proprio da destra e da sinistra. — E che! voi, signor Pickwick, con gli occhi del mondo sopra di voi! voi, signor Tupman, che con noi tutti partecipate al lustro del suo nome immortale! Via, signori, vergognatevi!

Le insolite rughe che uno sdegno momentaneo aveva solcato sulla fronte chiara ed aperta del signor Pickwick si spianarono a poco a poco alle parole dell’amico, come le linee tracciate dalla matita si dileguano sotto l’azione carezzevole della gomma. Tutta la sua fisonomia avea ripreso la benigna espressione che l’era propria, prima ancora che il signor Snodgrass conchiudesse la sua apostrofe.

— Sono stato vivace, — disse il signor Pickwick, — troppo vivace, Tupman, qua la mano.

Il signor Tupman strinse la mano dell’amico e si rischiarò in volto subitamente.

— Anch’io sono stato vivace, — disse.

— No, no, — interruppe il signor Pickwick; — la colpa è stata tutta mia. Vi metterete la giacca di velluto verde?

— No, no, — rispose il signor Tupman.

— Sì, ve la metterete per amor mio, — insistette il signor Pickwick.

— Bene, bene, me la metterò, — disse il signor Tupman.

Fu stabilito in conseguenza che i signori Tupman, Winkle e Snodgrass avrebbero tutti e tre indossato dei costumi di fantasia. E così il signor Pickwick dallo stesso calore dei suoi buoni sentimenti fu trascinato a dare il suo consenso ad una cosa contro la quale protestava il suo sano criterio; nè si sarebbe potuto escogitare una prova più efficace della dolcezza del suo carattere, quand’anche gli eventi ricordati in queste pagine fossero stati del tutto immaginari.

Il signor Leo Hunter non avea mica esagerato le risorse del signor Salomone Lucas. La sua guardaroba era largamente fornita — molto largamente; — non era forse classica a stretto rigore, nè affatto nuova, nè conteneva un qualunque costume fatto precisamente secondo la foggia di un’epoca determinata. Ogni cosa però era più o meno ornata di lustrini; e che di più grazioso dei lustrini? Si potrebbe osservare ch’essi non sono fatti per figurare alla luce del giorno, ma nessuno ignora che luccicherebbero di sicuro, quando vi fossero dei lumi; e nulla vi può essere più chiaro di questo, che se la gente che dà dei balli in costume li dà di giorno, e gli abiti non figurano come figurerebbero di sera, la colpa è tutta della gente che dà il ballo, e non punto da attribuirsi ai lustrini. Tale fu lo stringato raziocinio del signor Salomone Lucas; e persuasi da siffatti argomenti, i signori Tupman, Winkle e Snodgrass si impegnarono a mettersi indosso dei costumi che il gusto e la esperienza di lui raccomandava loro come adattatissimi all’occasione.

Una carrozza, presa a nolo all’albergo, avrebbe portato i Pickwickiani, mentre un calesse ordinato per la medesima destinazione avrebbe contenuto la coppia Pott trasportandola sulle terre della signora Leo Hunter; le quali, secondo il signor Pott, quasi per delicata riconoscenza dell’invito ricevuto, avea con piena fiducia profetizzato nella Gazzetta d’Eatanswill "avrebbero presentato una scena incantevole e svariata, un bagliore di beltà e d’ingegni, una splendida e profusa ospitalità, e soprattutto, temperato dal gusto più squisito e sapientemente armonizzato, lo sfoggio più ricco, al cui paragone le favoleggiate ricchezze della Terra Incantata d’Oriente sarebbero sembrate avvolte in tanti colori tristi ed oscuri, come doveva esser l’animo di quell’essere splenetico ed anormale che andava spargendo la sozza bava della sua invidia sui preparativi fatti dalla virtuosa e distintissima signora, davanti al cui altare quest’umile tributo di ammirazione veniva offerto." Quest’ultima frase conteneva un sarcasmo pungentissimo contro l’Indipendente, il quale non avendo ricevuto alcuno invito al ballo, avea per quattro numeri di fila messo in canzonatura tutta la faccenda, servendosi dei suoi caratteri più grossi e con tutti gli aggettivi in lettere maiuscole.

Venne il mattino. Era un ameno spettacolo contemplare il signor Tupman in pieno costume di brigante, con una giacchetta strettissima che gli si stirava sulle spalle e sul torso facendolo somigliare ad un guancialetto per gli spilli; la parte superiore delle gambe coperta di calzoni di velluto, e l’inferiore avvolta in quelle intricate fasciature a cui tutti i briganti sono peculiarmente attaccati. Era un vero piacere veder la sua faccia ingenua ed aperta spuntar fuori dal largo colletto della camicia con una incredibile terribilità di baffi posticci e arricciati, ed ammirare il suo cappello a cono, ornato di nastri d’ogni colore, ch’egli era costretto a portar sul ginocchio, visto che non era possibile trovare una carrozza che potesse permettere ad un uomo di portare quel cappello tra la propria testa ed il fondo dell’imperiale. Non meno gioviale e simpatico era l’aspetto del signor Snodgrass in tunica e mantello di raso azzurro con calzoni e scarpe di seta, ed in capo un elmetto greco: il qual costume, come tutti sanno (e se non lo sanno tutti, lo sapeva egregiamente il signor Salomone Lucas), è stato sempre il costume regolare, autentico ordinario dei Trovatori dai più remoti tempi fino alla loro finale scomparsa dalla faccia della terra. Tutto ciò era grazioso, ma era poi men che nulla paragonato allo schiamazzo del popolino quando la carrozza si avanzò dietro il calesse del signor Pott, il qual calesse si arrestò alla porta del signor Pott, la quale porta si aprì, e scoprì al pubblico il signor Pott vestito da ufficiale di giustizia russo, con un tremendo knout nella destra, come per significare con sottile allegoria l’autorità rigorosa e potente della Gazzetta d’Eatanswill, e le terribili scudisciate che essa somministrava ai nemici della pubblica cosa.

— Bravo! — gridarono insieme i signori Tupman e Snodgrass dal corridoio, quando videro passare quell’allegoria vivente.

— Bravo! — fece eco la voce del signor Pickwick.

— Oh, oooh! viva Pott! — gridò il popolino.

E in mezzo a questi saluti, il signor Pott, sorridendo con quella specie di blanda dignità che dimostrava abbastanza com’egli avesse coscienza del suo potere e sapesse come esercitarlo, montò nel calesse.

Emerse allora dalla casa la signora Pott, la quale sarebbe sembrata molto somigliante ad Apollo se non fosse stata in gonnellino, accompagnata dal signor Winkle, il quale col suo giubbettino rosso non poteva essere preso che per un cacciatore, se non avesse avuto una egual somiglianza con un postiglione. Ultimo di tutti, venne il signor Pickwick, che i monelli applaudirono con lo stesso entusiasmo, figurandosi forse che i suoi calzoni e le uosa fossero degli avanzi di una remota età; e poi le due carrozze si mossero verso le terre della signora Leo Hunter, col signor Sam Weller appollaiato in serpe di quella che conteneva il suo illustre padrone.

Le grida di gioia degli uomini, delle donne, dei ragazzi, delle fanciulle e dei bambini, che stavano raccolti per assistere all’entrata degli invitati coi loro travestimenti, raggiunsero il delirio, quando comparve il signor Pickwick portando a braccetto da una parte il Brigante e dall’altra il Trovatore. Nè mai s’udirono così alte acclamazioni come quelle che salutarono gli sforzi del signor Tupman per fissarsi in capo il suo cappellone a pan di zucchero, affine di entrare in giardino in pieno carattere.

I preparativi erano tanto larghi e splendidi da rispondere trionfalmente così alle profezie dell’illuminato Pott intorno alla Terra Incantata come alle maligne insinuazioni del rettile Indipendente. Le terre misuravano più che una moggiata e mezza ed erano tutte piene di gente! Non s’era mai visto tanto abbagliamento di bellezza, di eleganza e di letteratura. C’era la signorina che faceva la poesia nella Gazzetta d’Eatanswill, vestita da sultana e appoggiata al braccio di un giovane che faceva le riviste critiche del giornale e che era molto acconciamente vestito da feldmaresciallo, meno gli stivali. C’erano a stormi di questi genii, e qualunque persona ragionevole si sarebbe recato a grande onore l’incontrarli. Ma c’era anche di meglio; cioè una mezza dozzina di eleganti venuti da Londra — autori, veri autori che avevano scritto dei libri e poi gli aveano fatti stampare — ed erano visibili, e andavano attorno, e si muovevano quasi che fossero degli uomini come tutti gli altri e sorridevano e dicevano anche parecchie scioccherie, certo con la delicata intenzione di rendersi intelligibili alla gente comune che li circondava. C’era inoltre una banda musicale in cappelloni di carta dorata; quattro cantanti più o meno italiani nel costume del loro paese, e una dozzina di camerieri presi a nolo, anch’essi nel Costume dei loro paesi — un costume abbastanza sudicio. E soprattutto e finalmente c’era la signora Leo Hunter in costume di Minerva, che riceveva gli invitati, traboccante di orgoglio e di soddisfazione per aver fatto incontrare e messo insieme in sua presenza tante distinte individualità.

— Il signor Pickwick, signora, — annunziò un domestico, mentre l’uomo insigne si avvicinava alla dea, tenendo il cappello in mano e il Brigante e il Trovatore a braccetto.

— Chi? dove? — esclamò la signora Leo Hunter trasalendo con un atto drammatico di grata sorpresa.

— Qui — disse il signor Pickwick.

— Ed è possibile ch’io abbia la fortuna di vedere il signor Pickwick in persona! — balbettò commossa la signora Leo Hunter.

— Lui stesso, signora, — rispose il signor Pickwick, inchinandosi profondamente. — Chiedo licenza di presentare i miei amici, — il signor Tupman — il signor Winkle — il signor Snodgrass — all’autrice della Rana spirante.

Pochi sanno, meno quelli che l’hanno provato, quanto sia difficile impresa inchinarsi in calzoni di velluto verde, giacca stretta e cappello a cono, o in mantelletta di raso azzurro e calze di seta bianca o in giubbettino rosso e stivaloni a tromba, tutta roba che non fu mai fatta per chi la indossa e che gli è stata adattata senza il più lontano riguardo alle dimensioni relative della sua persona e del costume. Non si videro mai dei contorcimenti simili a quelli di cui di cui diè spettacolo il signor Tupman sforzandosi di parer disinvolto e grazioso, nè più ingegnosi atteggiamenti di quelli dei suoi travestiti amici.

— Signor Pickwick, — disse la signora Leo Hunter, — esigo da voi la promessa che non vi muoverete dal mio fianco per tutto il giorno. Vi sono qui centinaia di persone ch’io debbo assolutamente presentarvi.

— Sono confuso della vostra gentilezza, o signora, — rispose il signor Pickwick.

— Prima di tutto, ecco le mie bambine; le avevo quasi dimenticate, — disse Minerva additando astrattamente una coppia di ragazze, delle quali l’una poteva avere un venti anni e l’altra qualche cosa di più, e che portavano dei costumi molto giovanili, sia per parer più giovani, sia per far parere più giovane la mamma; del che il signor Pickwick non c’informa precisamente.

— Sono bellissime, — disse il signor Pickwick, mentre le due bambine si allontanavano dopo la fatta presentazione.

— Somigliano moltissimo alla mamma, signore, — disse il signor Pott maestosamente.

— Ah, cattivo che siete! — esclamò la signora Leo Hunter, dando un colpettino scherzoso col ventaglio sul braccio del direttore. (Minerva con un ventaglio!)

— Ma in effetto, mia cara signora Hunter, — disse il signor Pott, — voi sapete benissimo che quando il vostro ritratto fu esposto alla Mostra della R. Accademia, l’anno passato, tutti domandarono se era il vostro o quello della vostra seconda figliuola; perchè vi somigliavate tanto che non c’era modo di distinguervi.

— Ebbene, posto che sia così, che bisogno avete voi di ripeterlo davanti alle persone? — domandò la signora Leo Hunter, somministrando un secondo colpettino al leone dormiente della Gazzetta d’Eatanswill.

— Conte, conte! — chiamò forte la signora Leo Hunter verso un signore dalle larghe fedine e in uniforme straniera, che appunto si trovava a passare.

— Ah! folere me? — disse il conte voltandosi.

— Voglio presentare l’una all’altra due persone distintissime, — disse la signora Leo Hunter. — Signor Pickwick, son lietissima di presentarvi al conte Smorltork.

Ed aggiunse in fretta ed a bassa voce:

— Sapete, il famoso straniero, che va raccogliendo materiali per la sua grande opera sull’Inghilterra — hem! — conte Smorltork, il signor Pickwick.

Il signor Pickwick salutò il conte con tutta la reverenza dovuta a un così grand’uomo, e il conte cavò di tasca il suo portafogli.

— Che dire foi, signora Hunter? — domandò il conte, sorridendo graziosamente a Minerva tutta compiaciuta; — Pig Vig o Big Vig, come voi chiamare? avvocato, eh? penissimo, fedo, fedo. Big Wig — e il conte stava appunto registrando nel suo portafogli il signor Pickwick come un membro del foro, che derivasse il nome dalla professione esercitata, quando la signora Leo Hunter lo fermò.

— No, conte, no. Pick-wick.

— Ah, ah, fedo, fedo. Peek, nome, Weeks, cognome; pene penissimo. Peek Weeks. Come star foi, Weeks?

— Benissimo, grazie, — rispose il signor Pickwick con l’usata affabilità. — È molto che vi trovate in Inghilterra?

— Molto, molto lungo, quindici ciorni, più assai.

— E vi trattenete qui?

— Un settimana.

— Avrete molto da fare, — disse sorridendo il signor Pickwick, — per raccogliere in così breve tempo tutti i materiali di cui abbisognate.

— Ah, ah, — fece il conte, — io già afer tutti raccolti.

— Davvero! — esclamò il signor Pickwick.

— Feteteli qui, tutti, — rispose il conte battendosi con la mano la fronte. — Grande folume a casa, pieno di appuntamenti, musica, pittura, scienza, poesia, politica, tutto, fi tico, tutto.

— La parola politica, signore, — disse il signor Pickwick, — comprende in se stessa uno studio difficilissimo di notevole estensione.

— Ah! — esclamò il conte, ricorrendo di nuovo al suo portafogli, — pelle parole per cominciare capitolo. Capitolo quarantasette, Politica. La parola politica sorprende da se stessa....

E l’osservazione del signor Pickwick fu subito registrata con quelle maggiori variazioni ed aggiunte che erano suggerite al conte Smorltork dalla esuberanza della sua fantasia e dalla imperfetta conoscenza della lingua.

— Conte, — disse la signora Leo Hunter.

— Signora Hunter, — rispose il conte.

— Vi presento anche il signor Snodgrass, amico del signor Pickwick, e poeta.

— Un momento, — esclamò il conte, tirando fuori il portafogli. — Parte, Poesia, capitolo, Amici letterari, signor Snowgrass. Penissimo. Presentato a Snowgrass, gran poeta, amico di Peek Weeks, dalla signora Leo Hunter, il quale afere scritto altri pei versi, come chiamare? Rana, ah sì, Rana cospirante, penissimo, molto pene.

E il conte intascò il portafogli, e con una serie di profondi inchini si allontanò, pienamente soddisfatto di aver aggiunto così importanti informazioni alla raccolta delle sue note.

— Uomo maraviglioso questo conte Smorltork, — disse la signora Leo Hunter.

— Filosofo profondo, — disse Pott.

— Un ingegno limpido e forte, — soggiunse il signor Snodgrass.

Un coro di astanti fece eco alle lodi prodigate al conte Smorltork, e, con un sapiente crollar di capi gridò unanimamente: "È vero, è vero! "

Siccome l’entusiasmo pel conte Smorltork saliva sempre più alto, quel coro di ammiratori avrebbe potuto intuonar le sue lodi fino al termine della festa, se i quattro cantanti non si fossero messi in fila davanti a un piccolo melo, per darsi aria pittoresca, e non avessero cominciato a cantare le loro canzoni nazionali, la cui esecuzione non pareva presentare grandi difficoltà, visto che tutto il segreto stava in questo che tre dei cantanti grugnivano mentre il quarto miagolava. Compiuta questa parte interessantissima del trattenimento fra le acclamazioni generali, si fece avanti un ragazzo e si diè a intrecciarsi coi piuoli di una seggiola, a saltarvi di sopra, a passarvi di sotto, a ruzzolare con essa o intorno ad essa, ed in somma a fare ogni cosa meno che sedervisi sopra; e poi si fece cravatta delle gambe avvolgendosele al collo, e poi mostrò all’evidenza quanto sia facile ad un essere umano rassomigliare ad un rospo gigantesco, tutte le quali gesta riempirono di diletto e di ammirazione i numerosi spettatori. Dopo di ciò, fu udita la voce della signora Pott cinguettare una romanza, il che era molto classico e caratteristico perchè Apollo era egli stesso un compositore, e i compositori sono raramente in grado di cantare in modo intelligibile la musica propria o quella di qualunque altro. Seguì al canto la recitazione declamata da parte della signora Leo Hunter della sua famosa ode sulla Rana spirante, della quale fu chiesto il bis, e si sarebbe anche chiesto il ter, se la maggior parte dei convitati, che pensavano esser tempo oramai di mangiar qualche cosa, non avessero osservato la sconvenienza enorme di abusare siffattarnente della cortesia della signora Hunter. E così, quantunque la signora Leo Hunter si dichiarasse dispostissima a recitar di nuovo la sua ode, non ci fu modo che gli amici cortesi e solleciti la volessero sentire; ed aperte che furono le porte della sala dei rinfreschi, tutta la gente pratica della cosa e della casa, vi si precipitarono dentro; essendo abitudine della signora Leo Hunter di spiccare dei biglietti d’invito per cento e preparare la colazione per cinquanta, o in altri termini, di dare il pasto ai suoi leoni particolari, lasciando che gli animali inferiori pensassero da sè a provvedersi.

— Dov’è Pott? — domandò la signora Leo Hunter, ricordandosi appunto dei suddetti lioncini.

— Eccomi, — rispose il direttore dall’altro capo della sala, — lontano da ogni speranza di pasto, a meno che non facesse qualche cosa per lui l’ospite Minerva.

— Non volete venir qui?

— Oh, vi prego, non badate a lui, — disse la signora Pott con la sua voce più carezzevole, — voi vi date un gran fastidio inutile, signora Hunter. State benissimo costì, non è così, caro?

— Sì, amore, — rispose lo sciagurato Pott con un tetro sorriso. Povero knout! La mano muscolosa che lo brandiva con forza gigantesca contro i nemici della cosa pubblica era paralizzata sotto lo sguardo della imperiosa signora Pott.

La signora Leo Hunter volse intorno un’occhiata di trionfo.

Il conte Smorltork era tutto assorto nel prendere i suoi appunti sul contenuto dei piatti; il signor Tupman faceva gli onori dell’insalata a varie leonesse, con una grazia squisita di cui nessun brigante ha mai dato l’esempio; il signor Snodgrass essendo riuscito a tagliar fuori il giovane articolista che tagliava libri ed autori per la Gazzetta d’Eatanswill, era tutto accalorato in una conversazione sentimentale con la signorina che faceva la poesia; e il signor Pickwick per conto suo si andava guadagnando le simpatie di tutti. Nulla pareva mancare a render completa l’eletta brigata, quando il signor Leo Hunter — il cui ufficio in queste occasioni era di dare un occhio alla gente che andava e veniva e di parlare ai personaggi spiccioli — annunziò ad un tratto:

— Mia cara, c’è qui il signor Fitz-Marshall.

— Oh finalmente! — esclamò la signora Leo Hunter, — quanto s’è fatto desiderare. Fate posto, prego, per lasciar passare il signor Fitz-Marshall. Dite al signor Fitz-Marshall, mio caro, di venire subito qui perchè io lo sgridi del suo ritardo.

— Vengo, mia cara signora, vengo, — gridò una voce,— all’istante — gran folla — sala piena — molto piena — impresa faticosa.

Al signor Pickwick caddero di mano il coltello e la forchetta. Saettò un’occhiata attraverso la tavola al signor Tupman, che s’era anch’egli lasciato scappar di mano forchetta e coltello, e pareva che stesse lì lì per sprofondarsi nel pavimento.

— Ah, ah! — gridava la voce, mentre l’individuo che la possedeva s’apriva un passaggio attraverso gli ultimi venticinque Turchi, Ufficiali, Cavalieri, e Luigi XIV, che lo dividevano ancora dalla tavola, — stiratura perfetta — patentata — nemmeno una grinza nel soprabito dopo tanto spremere — buona occasione per farmi stirare la biancheria — ah, ah! non è cattiva l’idea — curiosa però farsela stirare addosso — curiosa e faticosa anche — molto faticosa.

Con queste frasi a sbalzi, un giovane vestito da ufficiale di marina si accostò alla tavola e presentò agli attoniti Pickwickiani l’identico aspetto e le fattezze del signor Alfredo Jingle.

— Oh, oh! — esclamò Jingle. — Smemorato — il postiglione che aspetta i miei ordini — chi non ha giudizio abbia gambe — vado e vengo.

— Mandiamo subito il domestico, signor Fitz-Marshall, o anche ci va mio marito! — disse la signora Leo Hunter.

— No, no — fo da me — torno subito — due soli minuti, — rispose Jingle, e disparve così dicendo fra la folla.

— Permettete, signora, ch’io vi domandi, — disse il signor Pickwick alzandosi tutto conturbato, — chi è questo giovane e dove dimora?

— È un signore molto ricco, — rispose la signora Leo Hunter, — del quale voglio assolutamente che facciate la conoscenza. Anche il conte sarà lietissimo di essergli presentato.

— Va bene, va bene, — disse in fretta il signor Pickwick; — ma la sua residenza....

— Alloggia all’Albergo dell’Angelo a Bury.

— A Bury?

— Sì, a Bury Saint-Edmunds, a qualche miglio di qua. Ma voi non ci lasciate mica, signor Pickwick, voglio sperarlo; non posso ammettere, signor Pickwick, che vogliate andar via così presto.

Ma prima ancora che la signora Leo Hunter finisse di parlare, il signor Pickwick s’era tuffato nella folla ed era uscito in giardino, dove di lì a poco fu raggiunto dal signor Tupman che avea tenuto dietro all’amico suo.

— Non ne faremo nulla, — disse il signor Tupman. — Egli è partito.

— Lo so, — disse il signor Pickwick, — ed io lo seguirò.

— Seguirlo! e dove?

— All’Albergo dell’Angelo a Bury, — rispose in tono concitato il signor Pickwick. — Che possiamo noi sapere se egli non ha qui trovato qualche nuova vittima dei suoi inganni? Già una volta egli ha ingannato un uomo egregio, e ne fummo noi stessi causa innocente. No, Tupman, egli non lo farà più, per quanto è da me. Lo smaschererò, non dubitate. Sam, dov’è il mio domestico Sam?

— Presente, signore, — rispose il signor Weller sbucando da un cantuccio isolato, dove s’era trattenuto in animata discussione con una bottiglia di Madera, sottratta un paio d’ore prima alla tavola imbandita. — Il domestico è qui. Superbo del titolo, come disse lo Scheletro Vivente, quando lo facevano vedere nella baracca.

— Seguitemi all’istante, — disse il signor Pickwick. — Tupman, se mi fermo a Bury, potete raggiungermi. Ve ne scriverò due righe. Addio per ora.

Ogni rimostranza fu vana. Il signor Pickwick era nervoso ed esaltato, e il suo proposito era incrollabile. Il signor Tupman fece ritorno ai suoi compagni; e di lì ad un’ora aveva affogato ogni memoria recente del signor Alfredo Jingle, o Fitz-Marshall che fosse, in una contradanza inebbriante e in una bottiglia di sciampagna. Il signor Pickwick, in questo mentre, seduto col suo fedele domestico sull’imperiale di una diligenza, andava accorciando di minuto in minuto la distanza che lo separava dalla buona ed antica città di Bury Saint-Edmunds.