Il Circolo Pickwick/Capitolo 37

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Onorevolmente giustifica l'assenza del signor Weller, descrivendo una soireé alla quale egli intervenne invitato. Riferisce inoltre come il signor Pickwick gli affidasse un mandato particolare di somma delicatezza ed importanza

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Charles Dickens - Il circolo Pickwick (1836)
Traduzione dall'inglese di Federigo Verdinois (1904)
Onorevolmente giustifica l'assenza del signor Weller, descrivendo una soireé alla quale egli intervenne invitato. Riferisce inoltre come il signor Pickwick gli affidasse un mandato particolare di somma delicatezza ed importanza
Capitolo 36 Capitolo 38

— Signor Weller,— disse la signora Craddock, la mattina stessa di quel giorno così pieno d’avventure, — c’è una lettera per voi.

— Curiosa questa, — rispose Sam.— Temo che qualche cataclisma abbia dovuto accadere, perchè non mi ricordo di nessuno nel numero delle mie conoscenze che sia capace di scriverne una.

— Ci sarà stato qualche caso straordinario, — osservò la signora Craddock.

— Molto straordinario deve essere stato per riuscire a cavare una lettera da uno dei miei amici; non meno di una convulsione naturale, come osservò il signore pigliato dai nervi. Non può essere del genitore, visto che il genitore non scrive che lo stampato perchè ha studiato sui cartelloni delle cantonate. Davvero che non so capire di dove questa lettera abbia potuto venire.

Così dicendo, il nostro Sam fece quel che fanno moltissimi quando sono incerti intorno allo scrittore di una lettera; guardò al sigillo, poi davanti, poi di dietro, poi di lato, e finalmente alla soprascritta; e come ultima risorsa pensò che avrebbe anche potuto guardar di dentro e cercar così d’indovinare qualche cosa.

— È scritta su carta dorata, — disse Sam spiegandola, — con un suggello di cera verde fatto con l’ingegno d’una chiave. Orsù, decidiamoci.

E con un viso pieno di gravità il signor Weller lesse lentamente quanto segue:

"Una scelta compagnia dei domestici di Bath presenta i suoi complimenti al signor Weller, e vorrebbe avere il piacere della sua compagnia questa sera, in uno sguazzo all’amichevole consistente in un cosciotto di montone lesso coi soliti condimenti di obbligo. Lo sguazzo sarà in tavola alle nove e mezzo precise."

Questo invito era incluso in un’altra letterina che diceva così:

"Il signor John Smauker, il signore che ha avuto il piacere d’incontrare giorni fa il signor Weller a casa del comune amico signor Bantam, si permette di accludere al signor Weller il qui unito invito. Se il signor Weller vuol venire dal signor John Smauker alle nove, il signor John Smauker avrà il piacere di presentare il signor Weller.

"Firmato: JOHN SMAUKER."

La busta era diretta al signor Weller senza nome presso il signor Pickwick; ed in parentesi nell’angolo sinistro si leggevano le parole campanello n. 3, come istruzione al portatore.

— Bè, — disse Sam, — questa sì ch’è nuova davvero. Non ho mai inteso dire che un cosciotto di montone lesso si chiamasse uno sguazzo. Vorrei proprio sapere, se fosse arrostito, come lo chiamerebbero.

Senza però fermarsi dell’altro per risolvere questo punto, Sam si presentò al signor Pickwick e domandò ed ottenne licenza per tutta la sera. Fornito di questo permesso e del chiavino, Sam Weller uscì un po’ prima dell’ora fissata e si avviò un passo dopo l’altro a Queen Square, dove non sì tosto arrivato ebbe la soddisfazione di vedere il signor John Smauker con la testa incipriata appoggiata ad un lampione, fumando un sigaro in un bocchino d’ambra.

— Come state, signor Weller?— disse il signor Smauker, con una mano toccandosi graziosamente il cappello e con l’altra facendo un saluto pieno di condiscendenza. — Come state, caro?

— Ma! una discreta convalescenza, — rispose Sam. — E voi come ve la passate, collega?

— Non c’è malaccio, via.

— Ah! voi vi affaticate troppo. Io ve lo dicevo non va bene così, non va bene non vi lasciate trasportare da cotesto vostro ardore impaziente.

— Non è tanto questo, signor Weller, come il vino cattivo. Ho paura di avere un po’ ecceduto, vedete.

— Ah ah, gli è proprio così? un brutto malanno cotesto.

— Eppure, la tentazione, capite, signor Weller.

— Ah, sicuro, sicuro!

— Immerso nel vortice della società, vedete,— aggiunse il signor Smauker con un sospiro.

— Una cosa da far paura, questo è certo!

— Ma non c’è che fare, se il vostro destino vi slancia nella vita pubblica e vi dà una carica pubblica, capite, vi dovete aspettare di essere esposto a certe tentazioni da cui gli altri sono assolutamente liberi, caro signor Weller.

— Precisamente quel che diceva mio zio, quando aprì al pubblico un’osteria; ed aveva un monte di ragioni, perchè in meno di tre mesi tanto bevve che se n’andò a smaltir la sbornia nell’altro mondo.

Il signor John Smauker parve vivamente offeso da questo ardito parallelo tra la sua persona e l’oste defunto; ma siccome il viso di Sam era perfettamente impassibile, ci pensò meglio e tornò a mostrarsi affabile.

— Sarà forse meglio se ci avviamo,— disse il signor Smauker, consultando un oriuolo di rame che giaceva nel fondo di una tasca profondissima della sottoveste e veniva tratto a galla per mezzo di una fettuccia nera cui era attaccata una chiave di rame.

— Non dico di no,— rispose Sam,— altrimenti il lesso ce lo fanno diventar stracotto, e lo sguazzo è bello che rovinato.

— Avete bevuto le acque, signor Weller?— domandò il compagno, mentre camminavano verso High Street.

— Una volta sola.

— Che ve ne pare, eh?

— Hanno un certo gusto tutt’altro che gustoso, ecco.

— Oh,— disse il signor John Smauker,— non v’è forse piaciuto il gusto ferruginoso.

— Non me n’intendo molto di cotesto. Mi è sembrato che avessero un gran sapore di ferro scaldato.

— E gli è proprio questo il ferruginoso, signor Weller.— osservò il signor John Smauker in aria di compassione.

— Bè, se gli è proprio questo, è una gran parola che non dice nulla, mi pare a me. Può darsi, ma siccome di chimica non m’intendo punto punto, così non saprei.

E qui, con grande orrore del signor John Smauker, Sam Weller incominciò a fischiare.

— Domando scusa, signor Weller, — disse il signor John Smauker che quel suono sconvenientissimo metteva alla tortura, — volete appoggiarvi al mio braccio?

— Grazie, troppo buono, non voglio privarvene, — rispose Sam.— Ho una certa mia abitudine di ficcarmi le mani in tasca, se per voi fa lo stesso.

E così dicendo unì l’atto alla parola e si mise a zufolare molto più forte di prima.

— Di qua,— disse il suo nuovo amico, molto sollevato nel voltar che fecero per una via traversa,— tra poco ci siamo.

— Davvero?— fece Sam, niente affatto turbato dalla vicinanza dei più eletti domestici di Bath.

— Sì. Non vi impensierite però, signor Weller.

— Oh no!

— Vedrete delle livree bellissime, signor Weller; e troverete forse che alcuni di quei signori se ne stanno un po’ troppo sulla loro, sapete, ma poi dopo un poco si rabboniscono e non è più nulla.

— Troppa bontà, — rispose Sam.

— E sapete, — riprese il signor Smauker con un’aria di protezione sublime,— siccome siete nuovo, sapete, forse sulle prime vi tratteranno un po’ male.

— Non saranno però molto crudeli, eh?

— No, no, — rispose il signor Smauker, tirando fuori la sua testa di volpe e pizzicandovi dentro da gran signore. — C’è di quei birbaccioni fra noi, sapete, che quando gli viene la celia in punta di lingua, l’hanno da dire; ma non ci dovete badare, non ci dovete badare.

— Mi proverò alla meglio per sopportare quest’alluvione di talento, — rispose Sam.

— Bravissimo,— disse il signor Smauker riponendo la sua testa di volpe ed alzando la propria, — non vi lascerò mica solo, non dubitate.

Erano intanto arrivati ad una bottega di fruttivendolo, dove il signor Smauker entrò seguito da Sam, il quale nell’andargli dietro si permise una serie dei più strani e sperticati visacci, e fece altre varie dimostrazioni di trovarsi in uno stato invidiabilissimo d’interna allegrezza.

Attraversata la bottega del fruttivendolo, e posati i cappelli sulle scale nel piccolo corridoio del fondo, entrarono in un salottino; e qui la scena si svelò in tutto il suo splendore alla vista del signor Weller.

Sopra un par di tavole unite nel mezzo di questo salottino si stendevano tre o quattro tovaglie di varie epoche di lavatura, aggiustate in modo da parere una sola tovaglia per quanto la circostanza poteva permettere. Sulle tovaglie erano disposti dei coltelli e delle forchette per sei o otto persone.

C’erano dei coltelli rossi, altri verdi, alcuni altri gialli; e siccome tutte le forchette erano nere, la combinazione dei colori faceva davvero un bellissimo effetto. Delle scodelle per un egual numero d’invitati stavano a scaldarsi accanto al camminetto; e gli stessi convitati vi si scaldavano davanti, fra i quali il più massiccio pareva essere un pezzo di omaccione con indosso un soprabito scarlatto dalle lunghe falde, brache color di fuoco, e cappello con la coccarda, il quale se ne stava con le spalle alla fiamma e pareva essere entrato in quel punto; poichè oltre al tenere in capo il suo cappello, portava in mano una mazza maiuscola, quale appunto i gentiluomini del suo mestiere sogliono elevare in una posizione obbliqua sull’alto delle carrozze.

— Smauker, bambino mio, qua la zampa,— disse il gentiluomo dal cappello con la coccarda.

Il signor Smauker intrecciò la punta del dito mignolo in quella corrispondente dell’omaccione scarlatto, e disse di essere molto contento di vedergli così buona cera.

— Me lo dicono tutti che son colorito parecchio, e anche questa è una maraviglia. Sono andato attorno seguendo la nostra vecchietta due ore al giorno per tutta questa quindicina, e se una contemplazione continua di quell’arruffio di gonnelle vecchie e cenciose ch’essa si fa per di dietro non basta a gettarvi per tutta la vita in uno stato di assoluta ipocondria, voglio che mi si levi la mia quindicina.

A questo, l’eletta brigata rise cordialmente; e un convitato in sottoveste gialla e cappello incerato, bisbigliò ad un suo vicino in brache verdi che stasera Tuckle stava di buon umore.

— A proposito,— dlsse il signor Tuckle,— Smauker, bambino mio, voi...

Il resto della frase fu versato particolarmente nell’orecchie del signor Smauker.

— Ah, sicuro, me ne scordavo, — disse questi.— Signori, il mio amico signor Weller.

— Mi dispiace di privarvi del fuoco, Weller, — disse il signor Tuckle con un cenno familiare. — Spero che non abbiate freddo, Weller?

— Nemmeno per ombra, Bragia, — rispose Sam.— Un gran freddoloso dovrebbe essere chi sentisse freddo avendo voi di faccia. Voi fareste risparmiare i carboni se vi metteste a dirittura nel camminetto nell’anticamera di un ufficio pubblico.

Siccome questa risposta pareva contenere un’allusione piuttosto personale alla livrea scarlatta del signor Tuckle, questo signore assunse per un momento un’aria maestosa; ma a poco a poco facendosi da parte sorrise con un certo sforzo e disse che po’ poi la non era cattiva.

— Obbligatissimo per la vostra buona opinione, signore, — rispose Sam. — C’intenderemo un po’ per volta, vedrete. Ne proveremo qualcun’altra di qui a poco.

A questo punto la conversazione fu interrotta dall’arrivo di un signore vestito d’arancio, e accompagnato da un altro vestito di rosso con una estensione notevole di calze. Scambiati che furono i saluti amichevoli, il signor Tuckle accennò all’opportunità della cena, e la cena ad unanimità di voti fu servita in tavola.

Il fruttivendolo e la moglie portarono dunque un cosciotto lesso di montone con salsa di capperi, radici e patate. Il signor Tuckle prese il suo posto a capotavola e gli sedette di fronte all’altra estremità il signore arancio. Il fruttivendolo si mise un par di guanti di castoro per passare i piatti e si piantò dietro la seggiola del signor Tuckle.

— Harris!— chiamò il signor Tuckle in tono di comando.

— Signore! — rispose il fruttivendolo.

— Vi siete messo i guanti?

— Signor sì.

— Levate dunque il coperchio.

— Signor sì.

Il fruttivendolo obbedì con grande dimostrazione di umiltà, e ossequiosamente porse al signor Tuckle il trinciante: nel quale atto, gli accadde per disgrazia sua di sbadigliare.

— Che significa ciò?— esclamò con molta asprezza il signor Tuckle.

— Domando perdono, signore,— rispose tutto compunto il fruttivendolo, — non l’ho mica fatto a posta; sono andato molto tardi a letto stanotte.

— Vi dirò schietto quel che ne penso di voi, Harris, — disse il signor Tuckle con aria solenne; — voi siete una bestia.

— Spero, signori,— disse Harris,— che non vorrete essere troppo severi con me, signori. Io vi sono obbligatissimo, signori, per la protezione di cui mi onorate, ed anche per le vostre raccomandazioni, signori, quando c’è bisogno di un aiutante per servire in tavola. Spero, signori, che sarete contenti di mc.

— No, niente affatto, — disse il signor Tuckle. — Tutt’altro.

— Noi vi teniamo per un briccone sbadataccio,— aggiunse il signore arancio.

— E per un ladro, — rincalzò il signore in brache verdi.

— E per un furfante matricolato, — conchiuse il signore porporino.

Il povero fruttivendolo s’inchinò umilissimamente a tutti questi graziosi epiteti cui lo faceva segno lo spirito di una tirannia minuscola; e quando ciascuno, per fare sfoggio della propria superiorità, ebbe detto la sua, il signor Tuckle procedette a scalcare il cosciotto ed a servir la compagnia.

Era appena incominciata questa bisogna importantissima della serata, quando la porta fu spinta di fuori ed un altro signore in abito turchino e bottoni di stagno fece la sua comparsa.

— Contro le regole,— esclamò il signor Tuckle.— Troppo tardi, troppo tardi!

— No, no, proprio non ho potuto, — rispose il nuovo arrivato. — Me n’appello alla compagnia... un’avventura galante, capite... un appuntamento al teatro.

— Oh, oh, davvero? — domandò il signore arancio.

— Proprio, proprio, parola d’onore. Avevo promesso di andare a prendere la più giovane delle nostre signorine alle dieci e mezzo, e proprio la è una ragazza così aggraziata e sopraffina che proprio non m’ha dato il cuore di mancare. Senza offesa alla compagnia, signori, ma una sottana, signori, una sottana è irresistibile.

— Comincio a sospettare che gatta ci covi, — osservò Tuckle mentre il nuovo venuto prendeva il suo posto accanto a Sam. — Ho notato una o due volte che la ragazza vi si appoggia forte sulla spalla quando monta o scende dalla carrozza.

— Via, via, Tuckle, ti prego! Proprio non istà bene. Posso anche aver detto a qualche amico che la era una creatura divina ed avea rifiutato una o due proposte di matrimonio senza nessun motivo apparente, ma... no, no, no, Tuckle... in presenza di estranei poi... non istà bene, proprio non istà bene. Delicatezza, mio caro amico, delicatezza.

E l’uomo turchino, tirandosi su il colletto e aggiustandosi le rivolte, accennò col capo e con gli occhi come se molto più avrebbe potuto dire se avesse voluto e se non gliel’avesse impedito la sua qualità di uomo d’onore.

L’uomo turchino dai capelli biondi, dal colletto inamidato, era una specie di lacchè così franco e pronto, con una faccia così impudente e sicura, che attirò alla bella prima l’attenzione di Sam; ma quando incominciò a discorrere e a rivelarsi a quel modo, Sam si sentì più che mai disposto a coltivare la sua conoscenza; sicchè si cacciò subito nella conversazione con caratteristica indipendenza.

— Alla vostra salute, signore, — disse Sam. —Mi piace assai la vostra conversazione. La trovo davvero graziosa.

A questo l’uomo turchino sorrise come ad un complimento cui fosse abituato; ma nel tempo stesso guardò con compiacenza a Sam, e disse che sperava di fare più intima conoscenza, perchè senza complimenti ei gli pareva aver tutto il fare di un bravissimo ragazzo, proprio l’uomo che gli andava a genio.

— Troppo buono, — disse Sam. — Che bella fortuna è la vostra!

— Cioè?

— Quella signorina, eh! Sa apprezzare il merito, ecco. Ah, ah, vedo, vedo!

Il signor Weller strizzò un occhio, e crollò il capo di qua e di là in una maniera molto lusinghiera per la personale vanità del signore turchino.

— Temo,— disse questi,— che siate un gran furbo, caro signor Weller.

— No, no. Ve lo lascio a voi cotesto. Gli è più dalla parte vostra che dalla parte mia, come disse il signore che stava dalla parte destra del muro del giardino all’uomo che stava dall’altra parte, quando vide venire il bufalo.

— Via, via, signor Weller, sarà forse che i miei modi le avranno fatto un po’ d’impressione.

— Non mi pare che ne potessi far di meno.

— E voi ne avete qualcuna dello stesso genere per le mani?— domandò il fortunato uomo turchino, cavando uno steccadenti dal taschino della sottoveste.

— Non precisamente, — rispose Sam. — Non ci sono ragazze nella casa dove sto io, altrimenti con una di loro mi sarei messo, questo si capisce. Stando le cose così, io non credo di poter scendere più sotto di una marchesa. Potrei anche adattarmi con una ragazza ricca che non fosse titolata, se pigliasse per me una gran cotta, non altrimenti.

— È naturale, signor Weller. Non ci si può scomodare, capite. E noi sappiamo, noi che siamo uomini di società, che una bella uniforme presto o tardi deve fare il suo effetto sulle donne. In fatti poi, sia detto a quattr’occhi, questa è la sola cosa per cui val la pena di entrare al servizio.

— Giustissimo. Questo è quel che dico anch’io.

A questo punto del dialogo amichevole, furono situati intorno dei bicchieri, e ciascuno dei convitati ordinò quel che gli piaceva meglio prima che l’osteria accanto si chiudesse. Il signore turchino e il signore arancio, che erano i damerini della brigata, si fecero venire del grog freddo: ma per tutti gli altri la bevanda favorita fu il ginepro e l’acqua inzuccherata. Sam chiamò il fruttivendolo "furfantaccio svergognato" e ordinò un gran vaso di ponce — le quali due cose, a quanto parve, lo innalzarono di molto nell’opinione della eletta compagnia.

— Signori,— disse l’uomo turchino con un’aria della più consumata galanteria, — un brindisi alle signore; andiamo, via!

— Udite, udite! — gridò Sam,— alle giovani padroncine!

Qui una voce chiamò all’ordine, e il signor John Smauker, siccome quegli che avea presentato il signor Weller, volle fargli osservare che la parola di cui s’era servito non era parlamentare.

— Che parola?— domandò Sam

— Padroncine, signor mio, — rispose il Signor Smauker con un fiero cipiglio. — Non si riconoscono qui di queste distinzioni di caste.

— Oh, oh, benissimo,— disse Sam;— allora correggo l’espressione e le chiamerò quelle care creature, se Bragia me lo permette.

Qualche dubbio ebbe forse a sorgere nell’animo del signore dalle brache verdi sulla legalità di quell’appellativo di Bragia dato al presidente; ma siccome tutto il resto della compagnia pareva molto più sollecito dei propri diritti che dei diritti del sullodato presidente, la questione non fu sollevata. L’uomo dal cappello con la coccarda tossì un poco e guardò fiso a Sam; ma probabilmente pensò bene di non fiatare altrimenti, per timore di averne la peggio.

Dopo un breve silenzio, un signore con un soprabitone ricamato che gli scendeva fino ai talloni e con una sottoveste della medesima stoffa che gli manteneva calda metà delle gambe, agitò con grande energia la sua bevanda e di scatto sorgendo in piedi con uno sforzo violento, disse di volere esporre alcune sue osservazioni alla compagnia; al che il compagno dal cappello con la coccarda espresse la sicurezza che la compagnia sarebbe stata lietissima di udire qualunque osservazione piacesse all’uomo in soprabitone di manifestare.

— Io sento, o signori, una grande delicatezza nel farmi avanti, — incominciò l’oratore, — avendo la disgrazia di essere cocchiere ed essendo soltanto ammesso in queste onorevoli riunioni come membro onorario; ma io mi sento in dovere, o signori, — mi sento, diciamo così, tirato per la briglia — di manifestare una dolorosa circostanza, venuta a mia cognizione; una circostanza, diciamo così, accaduta nella circonferenza della mia rimessa. Signori, il nostro amico Whiffers (tutti gli occhi si volsero all’uomo arancio), il nostro amico Whiffers ha dato le sue dimissioni.

Un profondo stupore colpì l’uditorio. Ognuno guardò in viso al compagno, tornando poi ad alzar gli occhi verso il cocchiere che teneva la parola.

— La vostra sorpresa è naturale, o signori, — riprese il cocchiere. — Io non mi permetterò di dire le ragioni di questa perdita irreparabile pel servizio; ma pregherò invece il signor Whiffers di esporle da sè per edificazione ed esempio dei suoi amici ed ammiratori.

Approvata calorosamente la proposta, il signor Whiffers si spiegò. Disse che senza dubbio avrebbe desiderato di continuare a riscuotere l’onorario cui appunto aveva rinunziato. L’uniforme era estremamente ricco e dispendioso, le donne della famiglia abbastanza piacenti, e i doveri inerenti alla carica non erano — ei doveva riconoscerlo— troppo gravi, visto che il servizio principale da lui richiesto era che stesse quanto più poteva a guardar dalla finestra, in compagnia di un altro gentiluomo che s’era anch’egli dimesso. Egli avrebbe desiderato di risparmiare alla compagnia il penoso e disgustoso particolare che stava per esporre, ma visto che una spiegazione gli si chiedeva, non gli rimaneva altra alternativa che di constatare, a fronte levata e sicura e in termini schietti e precisi, che gli si voleva imporre di mangiare della carne rifredda.

È impossibile farsi un’idea del disgusto che questa rivelazione destò nel cuore degli ascoltatori. Alte grida di vergogna, miste ad esclamazioni, a gemiti ed a fischi, si levarono confusamente per un buon quarto d’ora.

Il signor Whiffers aggiunse ch’ei temeva potesse in certo modo quell’oltraggio attribuirsi alla propria sopportazione e alle sue disposizioni conciliatrici. Si ricordava così in confuso di aver consentito una volta a mangiare del burro salato, ed in un’altra occasione, essendosi subitamente ammalato uno della casa, egli aveva a tal segno dimenticato la propria dignità da portare una cesta di carboni fino al secondo piano. Confidava che questa franca confessione delle sue colpe non gli avrebbe scemata punto la stima degli amici; e sperava, se mai ciò fosse avvenuto, che la prontezza nel risentirsi dell’ultimo oltraggio inflitto ai suoi sentimenti lo avrebbe pienamente riabilitato al loro cospetto.

L’indirizzo del signor Whiffers fu accolto con un grido di ammirazione e con un brindisi entusiastico al martire interessante. A questo il martire ringraziò, e propose che si bevesse alla salute del nuovo amico, il signor Weller — col quale egli non aveva la fortuna di essere intimamente legato, ma che era l’amico del signor John Smauker, e questa era una efficace lettera di raccomandazione in qualunque società di gentiluomini e dovunque. Per tali ragioni egli sarebbe stato disposto a bere con tutti gli onori alla salute del signor Weller, se gli amici suoi avessero in quel momento bevuto del vino; ma siccome, per semplice amore di varietà, andavano gustando degli spiriti, e siccome il vuotare un bicchiere per ogni brindisi avrebbe potuto portare qualche inconveniente ei veniva a proporre che gli onori fossero sottintesi.

Alla, conclusione di questo discorso, ciascuno bevve un sorso nel proprio bicchiere in onore di Sam; e Sam, dopo avere empiti e vuotati due colmi bicchieri di ponce in onore di sè stesso, espresse le sue grazie in questa forma:

— Obbligatissimo a tutti quanti, compagni ed amici, — (e così dicendo andava agitando il suo ponce con la massima, disinvoltura) — per cotesto vostro complimento; il quale, venendo da voi, mi confonde. Ho inteso molto parlar di voi come corporazione, ma vi dirò che non avrei mai pensato di trovare delle persone così brave e per bene. Spero soltanto che vi terrete di conto e che non comprometterete nemmeno un briciolo della vostra dignità, che è una bellissima cosa, a vedere, quando si va fuori al passeggio, e mi ha sempre riempito di allegrezza fin da quando ero un ragazzo tanto fatto che arrivavo appena a metà della mazza ferrata del mio rispettabilissimo amico Bragia, qui presente. In quanto alla vittima dell’opposizione vestita di color mattone, tutto ciò che posso augurarmi si è di vederlo in un posto com’egli si merita; nel qual caso non ci sarà più il caso che lo si disturbi di nuovo con la carne rifredda.

E Sam tornò a sedere con un sorriso di soddisfazione in mezzo alle tumultuose approvazioni di tutta la brigata, che a questo punto si sciolse.

— Non ve n’andate mica però, caro collega? — disse Sam al suo amico Smauker.

— Non ne posso far di meno,— rispose Smauker,— l’ho promesso a Bantam.

— Ah, bravissimo, questo è un altro par di maniche. Sarebbe forse capace di dimettersi, se lo fate aspettare. E voi, Bragia, ve n’andate voi pure?

— Pur io, sì, — rispose l’uomo dal cappello con la coccarda.

— E vi lasciate indietro tre quarti di un vaso di ponce! Via, via, tornate a sedere.

Il signor Tuckle non seppe resistere a questo invito. Posò il cappello e il bastone che in quel punto aveva preso, e disse che solo un bicchiere l’avrebbe bevuto per amore della buona compagnia.

Siccome il signore turchino dovea fare per tornare a casa la stessa via del signor Tuckle, si lasciò anch’egli persuadere a trattenersi. Quando il ponce fu quasi terminato, Sam fece venire delle ostriche dalla bottega del fruttivendolo; e l’effetto di quello e di queste fu così esilarante, che il signor Tuckle, armato della sua mazza e con in capo il cappello, ballò una danza marinaresca fra i gusci sparsi sulla tavola, mentre il compagno turchino gli faceva l’accompagnamento sopra un ingegnoso strumento musicale composto di un pettine avvolto in un pezzo di giornale. Finalmente, finito il ponce — e quasi finita anche la notte — se ne uscirono insieme per accompagnarsi l’un l’altro alle case loro. Il signor Tuckle non appena si trovò all’aria aperta, fu preso da una voglia prepotente di coricarsi sul lastrico; a Sam sembrò un vero peccato il contraddirlo e lo lasciò fare a modo suo. E siccome il cappellone con la coccarda si sarebbe probabilmente sciupato lasciandolo lì, Sam con molta prudenza lo cacciò e lo calcò in capo del compagno turchino; quindi, messagli in mano anche la mazza, lo appoggiò contro il suo portone, tirò il campanello e tranquillamente pigliò la via di casa.

Il giorno appresso, molto più presto del solito, il signor Pickwick discese a terreno vestito di tutto punto, e suonò il campanello.

— Sam,— disse il signor Pickwick quando il signor Weller ebbe risposto di persona alla chiamata, — chiudete la porta.

Il signor Weller obbedì.

— C’è stato qui stanotte un caso molto disgraziato, Sam, — disse il signor Pickwick,— che ha dato motivo al signor Winkle di temere una qualche violenza da parte del signor Dowler.

— Così ho inteso dalla vecchia da basso,— rispose Sam.

— E mi dispiace di dire, Sam,— continuò il signor Pickwick, con una fisonomia piena di perplessità, — che per timore di questa violenza, il signor Winkle è partito.

— Partito!

— Ha lasciato la casa stamane senza darmene il menomo avviso. E non so dove se ne sia andato.

— Avrebbe dovuto fermarsi qui e battersi, mi pare a me,— disse Sam con un senso di disprezzo.— Non ci vorrebbe mica molto per raddrizzar le gambe a quel Dowler.

— Bene, Sam, — riprese il signor Pickwick, — io posso anche avere i miei dubbi sulla sua gran bravura e sulla sua violenza. Ma comunque la cosa stia, certo è che il signor Winkle se n’è andato. Bisogna trovarlo, Sam, trovarlo e portarmelo qui.

— E supposto che non voglia venire?

— Bisogna farglielo volere, Sam.

— E chi è che ha da far questo?— domandò Sam con un sorriso.

— Voi, — rispose il signor Pickwick.

— Benissimo, signore.

Così dicendo il signor Weller si tolse di là e subito dopo lo si udì che chiudeva la porta di strada. Di lì a due ore tornò con tanta indifferenza come se fosse andato per fare la più semplice commissione, e recò l’informazione che un individuo corrispondente per tutti i versi alla figura del signor Winkle era partito quella mattina stessa per Bristol con la diligenza dal Royal Hôtel.

— Sam,— disse il signor Pickwick stringendogli la mano, — voi siete un bravo ragazzo, un giovinotto impagabile. Bisogna che lo seguiate, Sam.

— Certamente, signore, — rispose il signor Weller.

— Il momento stesso che lo scoprite, scrivetemi senza perder tempo, Sam. Se egli tenta di sfuggirvi, afferratelo, dategli, chiudetelo, fate in somma a modo vostro. Vi do carta bianca, Sam.

— Non dubitate, signore.

— E gli direte ch’io sono eccitatissimo, addoloratissimo, e naturalmente sdegnato della sua strana condotta.

— Sta bene.

— E gli direte anche che se non torna qui, proprio qui, e con voi, ci tornerà con me, perchè andrò io stesso a pigliarlo.

— Gli dirò anche cotesto.

— Credete, Sam, di poterlo trovare? — domandò il signor Pickwick ansiosamente guardandolo in faccia.

— Oh, lo troverò di sicuro se è in qualche parte, — rispose Sam con gran fiducia.

— Benissimo, — disse il signor Pickwick. — Allora più presto partite, tanto meglio.

Con queste istruzioni il signor Pickwick pose una somma di danaro nelle mani del suo fedel servitore, e gli ordinò di partire immediatamente per Bristol sulle traccie del fuggitivo.

Sam cacciò pochi articoli indispensabili in una sacca da notte e si trovò bell’e pronto. Arrivato in fondo al corridoio, si fermò e tornando tranquillamente indietro, sporse il capo per la porta del salotto.

— Signore! — chiamò sommesso. — Che c’è, Sam? — domandò il signor Pickwick.

— Ho bene inteso le mie istruzioni?

— Ma... spero di sì.

— Siamo perfettamente d’accordo per la faccenda del dargli addosso, eh?

— Perfettamente. Assolutamente. Fate quel che vi par necessario. Avete i miei ordini e la mia piena approvazione.

Sam rispose con un cenno d’intelligenza e, ritirato il capo dalla porta socchiusa, partì lieto e col cuore leggiero pel suo pellegrinaggio.