Il Novellino/Parte seconda/Novella XIII

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Novella XIII - Pandolfo d'Ascari devene Stratico a Salerno, toglie moglie, e con singulare tratto è carnalmente cognosciuta

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Novella XIII - Pandolfo d'Ascari devene Stratico a Salerno, toglie moglie, e con singulare tratto è carnalmente cognosciuta
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NOVELLA XIII.




ARGOMENTO.


Pandolfo d’Ascari viene Stratico a Salerno, tolle moglie e male la tratta in letto: un giovine s’innamora di lei, fa fare una forma virile, e al modo di spada la porta a lato: la famiglia de la Corte lo menano dinanzi al Podestà, e presente la moglie son discoperte l’arme: lo Stratico si turba, e dà bando al giovine: la novella se divolga, ed egli per dolore ne more, e la moglie gode con lo amante.


ALLO ECCELLENTE SIGNOR BERNARDO SANSEVERINO CONTE DI LAURIA.1


ESORDIO.


Et si insino a qui a scrivere sono indugiato, eccellente e virtuosissimo signore mio, non è per altro rimaso se non che la materia che per adrieto ho [p. 163 modifica]pertrattata non solo poco piacere ma fastidio e rincrescimento penso te averia nell’animo generato. Dunque per fuggire il già detto inconveniente col tempo ho trovata a lo scrivere maniera che non dubito la tua accostumata umanità sempre sarà verso di me benivola e grata; onde leggerai la beffa e non senza grandissimo danno sostenuta per un nostro Stratico più d’alcun altro geloso, dove chiaramente giudicarai quanto è pericolosa e matta impresa de andare de povere armi guarnito, e con debile forza a combattere con la venenosa vipera che ad ogni gran procella resiste: e certo malagevolmente le inespugnabili rocche debellar si ponno per quelli a cui e polvere e pietre insieme vengon meno. E benché a te non accade il consiglio, imperò che di quanto ad artegliaria bisogna te trovi ottimamente guernito, nondimeno non te deve esser discaro avere di ciò documento, per sapere nel futuro provedere, e massime per la instabilità de la fortuna, a tal che come al detto Stratico non te intervenga.


NARRAZIONE.


Erasi accostumato quasi ogni anno il nostro Principe degli Ursini2 mandarci Stratico tra sorte de [p. 164 modifica]animali, che più in governare e pascuar pecore che in podesteria si avriano de gran lunga saputo adoperare: ove tra gli altri vi mandò un marchisano, Pandolfo d’Ascari nominato, il quale non solo era avaro, come è già costume dei marchisani, ma misero fuor di modo. Costui menando seco di molti famigli disordinati, e male in ordine di arnesi, e nova foggia di uomini in mascare contrafatti, pure tra più onorevoli e famosi per averne avuta buona derrata fu un suo assessore canuto, il quale ancora che molto attempato fosse, pure averla molto meglio saputo ordinare o tramare una tela in telaro, che assai poco di leggi avesse avuto notitia. Cominciato adunque lo Stratico con gran braveria ad esercitar l’officio, e mandando i soliti bandi, vietando lo andar di notte, il portare dell'armi, e altre assai ordinationi, avvenne che quantunque lui e tutti i suoi famigliari fossero come è detto mal forniti di armi da offendere gli uomini, pure, per quel che dopo fu a ciascun manifesto, fu scoperto per malissimo adagiato di quell'arme e istrumenti che al servigio de le donne si adoperano; e non ostante quello, come la sua disavventura volse, una certa infermità nel suo piccolo e genital membro gli sopravenne, per medicamento de la quale i medici in tal maniera il conciarono, che non ostante che bifurcato gli remanesse, gliene avanzò si poco che per nulla saria da essere stato giudicato. Il che essendo pur guarito, ancorché omai vecchio ed impotente fosse, non restò di non cercare con ogni istantia e sollecitudine di pigliar moglie; ed innamoratose di una giovene genoese di assai nobil parentato e di somma bellezza, la quale di quei prossimi dì si era da un monastero [p. 165 modifica]partita, dove il padre per povertà l'avìa monacata, e ben che il Ministro e tutto el collegio fratesco facessero ogni loro sforzo per non perdere la degna preda, pur veduto colei del tutto disposta a prima morire che per alcun tempo in monastero ritornare, e cognoscendo finalmente vana lor fatica, convertito il dolore in massima rabbia, la escomunicarono pubblicamente, non possendosì contro quella altrimente vendicare. De che lo innamorato Stratico non avendo riguardo al poco potere di soa debile natura, alla gioventù della donna, né ad essere stata monaca, che non poco era da ponderare, così povera e senza nulla per alcuni messi3 che al dirupo el confortavano per moglie se la pigliò. E con gran festa a casa menatasela e onorevolmente vestitala, ancor che l'animo, come esser suole costume dei vecchi, gli crescesse in maniera che di far le meraviglie minacciava, per la prima notte le forze per tal modo li venner meno che solo in mordere e basciare la sua mirabil prova fu convertita; al che quantunque lui allegasse certe ragioni favolose in suo favore, pur la giovene come pratica conobbe con quanta pessima vita avea la soa giovanezza da trapassare. Lo Stratico ancorché tardi accorgendosi che i basci non solo non giovano, ma più tosto a la donna erano come un gittar de lardo sul fuoco, e che ancor che a lui venesse meno la biada, a la cavalla non scemava l'appetito, si deliberò senza resparagno alcuno adoperare, così male in ordine come si trovava, quel poco istrumento che gli era avanzato, il quale era di sì raro e minimo valore che alla affamata gola e [p. 166 modifica]appetito de la donna altro non era che un pasto de sparvieri ad un famelico ed arrabbiato lupo. E dimorando de continuo in questo amaro stato, avvenne che di costei s’innamorò un dottore legista della nostra città, giovane bello e virtuoso e di assai onorevole famiglia; ed avendo per varii modi tentata ogni via per entrarle nel core, e poco giovatogli per la strana cautela del gelosissimo marito, propose darsene pace, e rimettersi de tutto a beneficio di fortuna. E in quesito stando, consigliatosi con un giovine del nostro populo, gli occorse fare una notevole beffa al Stratico, e in soa presentia fare accorta la moglie di che arme fosse ben guarnito per soccorrere ai soi maggiori bisogni. E vedendo di continuo gli sbirri de la Corte andare d’intorno togliendo l’arme a chi la portava, e lo menavano dinanzi a lo Stratico prigione, il quale continuamente con la bella moglie in camera dimorava; mandato il popolano secretamente ad un maestro lignaiuolo, e fatta fare una forma virile oltre la natural misura grossa e ben formata, e quella fatta colorire e appropriare che quasi di vera carne parea, e a la coda fatto acconciare un manico di spada, e postala dentro un lungo fodero, a lato ce l’appiccoe. Dove con altri suoi compagni si pose a passeggiare innanzi a la famiglia de la Corte, da li quali essendo visto come famelici e vaghi di preda, subito intorniando li dissero: Dacci questa arma, e vieni al Stratico a pagar la pena del bando. Il giovine lietissimo negò volerli l'arme dare, ma che volentieri volea andare dinanzi al Stratico ad allegare per qual cagione la portava: li quali postoselo in mezzo, e con gran furia menatolo nel palagio, e de brigata intrati in [p. 167 modifica]camera, lo Stratico con la moglie giocando a scacchi e in presenza del canuto giudice trovarono. Al tumulto de li quali il Stratico alzata la testa, e veduto il giovine armato, lasciato subito il giuoco, che altro che un bascio non v’andava, credendo forsi fare con lui un bon provento, in piedi levatosi così disse: Con quale autorità o da che prosuntione te movi tu a portar arme proibita, che niuno di questa città per nobile che sia presumisse portarla? Il giovine con piacevole viso rispose: Messere, queste non sono arme da nocere agli uomini, anzi è un certo voto fatto per un gentiluomo. Al Stratico parendo che costui il beffasse, e turbatissimo con una mano pigliatolo per petto e con l’altra pigliato il manico de la fenta spada, per traerla fuori de la vagina adoperava ogni sua prova; lui da l’altro canto tenendo forte, Messere, diceva, non me fate ingiuria, coteste non sono arme, lasciatemi andare per li fatti miei, se non me ne aiuterò dal sindacato.4 Il Stratico ognora più d’ira infiammandosi, deliberò totalmente volerla, e fattosi aiutare da'suoi famigli, e trattala finalmente fuori, e veduto il fiero bestiolo da la donna e da tutti, al quale si sarebbe [p. 168 modifica]numerata ogni venuzza quando è nel suo furore più acceso, cominciorono a fare le maggiore risa che mai in lor vita facessero. Del che lo Stratico non poco iratose di aver trovato il contrario di quanto cercava, subito s’immaginò come tal fatto in vero era processo, e tutto stordito tenendo in mano pur stretto il novo vessillo, nol sapea lassare, né tenerlo onesto parendogli, ma in sé tornato, e deliberatosi agramente il giovine de le falsificate arme punire, rivoltosi al giudice, Capa,5 disse, quid videtur vobis? Il montone rispose in lingua canina: Messere, in verità costui sarebbe degno d’aspero e rigido castigamento, ma de jure longobardo non gli possamo fare nulla. Il Stratico che tardi s’era accorto che il suo assessore era una bestia, deliberatosi per lui medesimo voler in tutti i casi isperimentare ciò che di tal atto fosse stato cagione, al giovine voltatosi disse: In fé di Dio tu non ti partirai di qui che a tuo mal grado me dirai di ciò tutto il conveniente. Il giovine vedendo che la fortuna di passo in passo a riuscirli il disegno el favoreggiava, senza aspettare tempo a la risposta disse: Messere, dopo che pure sapere il volete, io vel dirò con reverentia de Madonna che è qui. Non sono ancora molti dì passati che al cotal dottore legista una fiera e pericolosa infermità del suo secreto membro gli sopravenne; al quale niuno argomento di medico non valendo, ed essendone quasi disperato, ebbe ricorso ultimamente a quello che tutti li fedeli cristiani deveno avere, e cosi fece voto a questi nostri miraculosi santi martiri Ciro e Joanni, ogni anno una volta appiccare una statua de cera a [p. 169 modifica]misura, nè più nè meno de sua grossezza, dinanzi li loro devotissimi corpi, per li meriti de li quali è divenuto sano come fosse mai. E volendo el suo voto mandare ad effetto, né trovando in questa città maestro alcuno che'l voglia o sappia fare, gli è stato bisogno far scolpire la presente forma a la soa somigliante, e commettere e pregare a me che la porti in Napoli, e qui ad un singolare maestro mio amicissimo la faccia in cera formare: onde parendomi disonesto portarla discoverta, l’avea acconciata al modo di spada come voi vedete. Ecco dunque il gran male che io ho fatto, se di ciò si merita punitione, sia col nome di Dio che io sono per riceverla apparecchiato. La donna che fra questo mezzo avea visto il brando e contemplato, e per fermo tenendo che vero fosse quanto colui del suo amante aveva riferito, convertitosi il primiero riso in profondi sospiri, considerandolo molto difforme dal suo continuo stimulo, con rabbia disse: Messere, toglietevi prego quella miseria di mano e lasciate andar costui con Dio, e torniamo a fornire il nostro gioco. Il Stratico de grande ira acceso, cognosciuto non posserlo con giustitia punire, e che quanto più con lui parlava più di novo l’offendeva, furiosamente gittato in terra il non nocevole stromento, e dopo a lui rivolto disse: Toimiti dinanzi ladroncello da forca, malvagia e pessima generation che voi siete; ma questo e pejo me sta bene, imperò che essendone fatto accorto che non vi venisse, attento che i Salernitani ingannarono il diavolo, non dovea di ciò voler vedere la prova; ma alla mia fé non me ingannerete più, che me n'andarò altrove. Or vattene pur tu con la toa mala ventura, e fra due ore abbi [p. 170 modifica]sgombrata questa città, che altrimenti per rubello te farò pigliare. Il giovine vedendo il fatto in parole terminato, e aver ottimamente l'amico servito, curatosi poco del resto, ripigliata l’arme da terra, ringraziata la Corte, da loro si partì; e data una volta per tutte le piazze e Seggi de la città, con colore de querelarsi dell’esilio, in ogni lato la successa istoria ricontava non senza grandissime risa e festa degli ascoltanti. E doppo a Nola al detto signor Principe andatosene in presentia de tutti soi cortesani e d’altre genti, con l'arma in mano, del suo marchisano Stratico, e con la cagione insieme pontualmente gli raccontoe: de la quale fatta grandissima festa, per maniera piaciutagli che più e più volte volle gli fosse a pieno populo ricontata; e al giovine concessa grazia de repatriarsi, non solamente nella città se ritornò, ma col detto favore con altri suoi compagni continuamente l’arme portava, a li quali niuno degli sbirri presumea toglierle dubitando sempre del primiero inganno. Il Stratico accorgendosi esser già favola del volgo divenuto, fu non meno dell’essere condotto a Salerno pentito che di aver mogliera giovene pigliata, onde per questo, e forse per esser da soverchia gelosia stimulato, prima che l’ufficio fornisse, di permutarse a Sarno di grazia gli fu concesso; dove essendo, o per antica passione, o per nova fatica, o che pur altro il causasse, in brevi dì infirmando si mori. La moglie con poco dolore, senza figliuoli e con assai ricchezze rimasta, alla sua paterna casa tornò; e ricordandosi del longo e fervente amore del dottore e del figurato uccello il quale lui vivo in gabbia tenea, vedendosi libera e donna [p. 171 modifica]di sè medesima, con discreta e cauta maniera a sè introdottolo, nè curando altrimente rimaritarsi, con grandissimo piacere fin che vissero parimente il lor perduto tempo ristorarno.


MASUCCIO.


Recordome più volte aver tra savii udito ragionare che i voti che in questo mondo nelle avversità si fanno, e per alcun mancamento satisfar non si ponno, con autorità papale si debbono in altra maniera e forma permutare. Per la qual cagione mi persuado che il dottor legista avendo di ciò dottrina, vedendo che, per essergli da lo Stratico stato interdetto, non avea possuto avere il suo voto in cera per appiccarlo ogni anno una volta innanzi a quelli corpi santi, gli fosse stato dispensato de posserlo in causa pia e in carne viva e vera permutare, come già fece non solo una volta l’anno ma infinite il mese, offerendo quello dentro al sacro tempio de la valle di Josafat, forse per averne nel dì del giuditio più vero testimonio. Ma lasciando il faceto ragionare da canto, dico certamente infelicissimo potersi tener colui che da le ditte due prave infirmità, avaritia e gelosia, si trova inquietato: imperò che oltre lo stimulo che de continuo dentro lo martella, senza possere in esso veruna contentezza regnare, suole molto spesso tra quegl’inconvenienti che più fugge e teme ruinare; nè pare gran maraviglia, attento che tutti i sottili argomenti e ingegni dei ladri sono a cautamente robare chi [p. 172 modifica]ben guarda. E che io dica il vero, oltre le tre raccontate novelle, seguendo in simile tema il mio ragionare, ne mostrarò appresso manifesta esperientia di quel che ad un vecchio ricco avarissimo e fuor di misura geloso intervenne, il quale ad un tempo fu privato di onore, roba, e contentezza insieme, e per la sua gelosia preso come il pesce a l’adescato amo.

Note

  1. Barnaba Conte di Lauria, non Bernardo, dice il Porzio lib. I. cap. XV; e lo pone tra quelli che si congregarono a Melfi, e che oppressa la Congiura furono uccisi nelle prigioni di Castelnuovo.
    Nel processo fatto contro i baroni, pubblicato da S. D’Aloe, sta scritto così: «Die XI ejusdem Mensis Julii 1487 in Castello Novo Neapolis.
    Barnabas de Sancto Severino, comes Laurie cum juramento interrogatus voglia dire la verità ec.
    Dixit che dirà ogni cosa. E primo dice: Dio la perdona alla Contessa di San Severino sua madre che sempre esso profetizzò che sarìa stata la disfactione sua et de ipso deposante con le pratiche teneva e orecchie dava a li homini et messi che mandava lo principe de Salerno e che venevano da Roma, imo deliberao più fiate partirese et andare ad habitare separato da essa, e se lo avesse facto non saria recapitato dove che èe, etc.» Vigliacco accusatore di sua madre, e di suo nipote Antonello principe di Salerno, meritò di morire. Ebbe un figliuolo a nome Bernardo, che era giovanetto a la morte del padre, e non potè essere colui al quale fu dedicata questa novella.
  2. Alfonso I d’Aragona diede a Raimondo Orsini conte di Nola il principato di Salerno, che poi per ribellione di Felice Orsini, fu dato a Roberto Sanseverino Conte di Marsico.
  3. Le edizioni dell'83 e del 92 dicono mesi, che qui non significa nulla.
  4. Sindacato. I nostri Comuni esercitavano diritto di censura su gli atti del loro governatore baronale o regio, e questa censura si chiamava sindacato, e si faceva in fine dell’anno, ed i Comuni erano gelosissimi di questo diritto che ebbero sin dai tempi più antichi, e mantennero sino al 1805. Il cittadino che si sentiva offeso dall’arbitrio del Capitano, o Stratico, o Potestà, o Governatore (diversi nomi dello stesso ufficio in diverse città) si aiutava al Sindacato, andava ai Sindacatori, magistrati municipali che in fine dell’anno chiamavano lo Stratico a render conto del suo arbitrio. Il Boccaccio, non ricordo in quale novella, parla anche del sindacato. Nella raccolta delle nostre prammatiche fatta dal Giustiniani, al titolo de Syndacatu sono molte leggi dal 1477 al 1770. E chi vuol saperne di più consulti il Giustiniani.
  5. Questo Capa non intendo: forse Capo, giudice.