Il Saggiatore/28

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Capitolo XXVIII

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Or passiamo alla seconda questione di questo secondo essame. "Venio nunc ad motum: quem rectum fuisse Galilæus asserit, ego tamen diserte nego. Ea primum ratio hoc mihi persuadet ut faciam, quam ipse solvere vel nescire se vel non audere, ingenue profitetur: illa enim ratio adeo aperta est, adeoque ad hunc motum dissuadendum efficax, ut, cum forte id maxime vellet, dissimulare tamen eam non potuerit. "Si enim" (verba eius sunt) "solus hic motus cometæ tribuatur, explicari non potest, qui factum sit ut non ad verticem solum magis ac magis accesserit, sed ulterius ad polum usque pervenerit: quare vel præclarum hoc inventum abiiciendum, quod sane haud sciam, vel motus alius addendus, quod non ausim." Ubi mirandum sane est, hominem apertum ac minime meticulosum repentino adeo timore corripi, ut conceptum sermonem proferre non audeat. Ego vero non is sum, qui divinare norim. "

E qui, prima ch’io proceda più avanti, non posso far ch’io non mi risenta alquanto col Sarsi della non punto meritata imputazione ch’egli m’attribuisce di dissimulatore, essendo cotal nota lontanissima dalla profession mia, la qual è di liberamente confessare, come sempre ho fatto, di ritrovarmi abbagliato e quasi del tutto cieco nel penetrare i secreti di natura, ma ben d’esser desiderosissimo di conseguir qualche piccola cognizione d’alcuno di essi, alla quale intenzione niun’altra cosa è più contraria che la finzione o dissimulazione. Il signor Mario nella sua scrittura mai non ha finto cosa alcuna, né ha avuto di mestieri di fingerla, poi che, quanto egli di nuovo ha proposto, l’ha portato sempre dubitativamente e conghietturalmente, né ha cercato di fare ad altri tener per certo e sicuro quello ch’egli ed io per dubbio, ed al più per probabile, abbiamo arrecato ed esposto alla considerazion de’ più intelligenti di noi, per trarne, co ’l loro aiuto, o la confermazione di alcuna conclusion vera, o la totale esclusion delle false. Ma se la scrittura del signor Mario è schietta e sincera, ben altrettanto è piena di simulazioni la vostra, signor Lottario; poi che, per farvi strada alle oppugnazioni, delle 10 volte le 9 fingete di non intendere quel che ha scritto il signor Mario, e dandogli sensi molto lontani dall’intenzion di quello, e spesso aggiungendovi o levandone, preparate ad arbitrio vostro la materia, onde il lettore, prestando fede a quanto voi producete poi in contrario, resti in concetto che noi abbiamo scritte gran semplicità, e che voi acutamente l’avete scoperte e ributtate: il che sin qui si è da me osservato, e nel restante s’osserverà non meno.

Ma venendo al fatto, qual cagione vi muove a scrivere che noi abbiamo sommamente voluto, ma non potuto dissimulare che movendosi la cometa di semplice moto retto, fusse necessario ch’ella andasse sempre verso il vertice, né da quello declinasse già mai? Chi ha fatto avvertito voi di tal conseguenza, altri che l’istesso signor Mario che la scrive? la quale al sicuro a voi avrebbe egli potuto dissimulare, e voi, per vostra benignità, avereste dissimulata la sua dissimulazione. Ma che più? Voi stesso due soli versi di sopra scrivete che io ingenuamente ho confessato di non sapere o non ardir di sciorre cotal ragione da me prodotta, ed accanto accanto soggiungete ch’io massimamente avrei voluto dissimularla: e qual contradizzion è questa, che uno ingenuamente porti e scriva e stampi una proposizione, e sia il primo a portarla e scriverla e stamparla, e che voi poi diciate, lui aver grandemente desiderato di dissimularla ed asconderla? Veramente, signor Lottario, voi siete molto bisognoso che nel lettore sia una gran semplicità ed una piccola avvertenza.

Or veggiamo se in questo detto, dove nulla si trova di nostra simulazione, ve ne fusse per sorte di quella del Sarsi. E certo in poche parole ve n’è più d’una. E prima, per aprirsi il campo a dichiararmi per tanto ignorante geometra che non abbia capito quelle conseguenze che per lor dimostrazione non ricercano maggiore scienza che di alcune poche e tritissime proposizioni del primo libro degli Elementi, egli mi fa dir quello che già mai non s’è detto né scritto; e mentre noi diciamo, che se la cometa si movesse di moto retto, ci apparirebbe muoversi verso il vertice e zenit, esso vuole che noi abbiamo detto ch’ella, movendosi, dovesse arrivare al vertice e zenit. Qui bisogna che il Sarsi confessi, o di non avere inteso quel che vuol dir muoversi verso un luogo, o d’aver voluto con finzione e simulazione attribuirci una falsità. Il primo non credo che possa essere, perché così verrebbe anco a stimare che il dir navigare verso il polo e tirar una pietra verso il cielo importasse che la nave arrivasse al polo e la pietra in cielo: adunque resta ch’egli, dissimulando d’intender il vero scritto da noi, ci attribuisca il falso per poter poi attribuirci le non meritate note. Di più, non sinceramente riferisce egli le presenti parole del signor Mario anco in un altro particolare; poi che dove quello dice, che o bisogna rimuovere il moto retto attribuito alla cometa, o vero, ritenendolo, aggiungere qualche altra cagione dell’apparente deviazione, il Sarsi di suo arbitrio muta le parole "qualche altra cagione" in "qualch’altro moto", per poter poi, fuor d’ogni mia intenzione, tirarmi nel moto della Terra, e qui scriver varie girandole e vanità. Conclude finalmente il Sarsi, non esser di quelli che sanno indovinare; e pure assai frequentemente si getta al voler penetrare gl’interni sensi altrui.