Il cappello del prete/Parte prima/VIII

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VIII. - Il cappello

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VIII.


Il cappello.


Quattro o cinque giorni dopo il terribile fatto che abbiamo raccontato, don Antonio, il parroco di Santafusca, stava in giardino tutto occupato a dar da bere alle sue rose, e rimproverava le signore formiche, che si mostravano troppo indiscrete verso un uomo, che avrebbe potuto adoperare contro di loro il fuoco e lo zolfo.

Prete Cirillo dormiva silenziosamente nella sua cisterna sotto il mucchio dei mattoni.

Il bellissimo sole del mattino, passando in mezzo al fogliame del pergolato, riempiva il viale e la persona del vecchio parroco di macchie d’oro tremolanti come tante fiammelle.

Ne’ suoi robusti settantanni, don Antonio godeva la gioia della brezza mattutina. Il mattino è la giovinezza del giorno, una giovinezza che torna ogni giorno, mentre l’altra, ahimè, una volta passata non ritorna più. [p. 87 modifica]

Tuttavia il buon vecchietto, che sentiva stillare sui capelli d’argento la fresca rugiada de’ suoi fiori, pensava che nell’amor di Dio si è sempre giovani abbastanza, e che il cuore dei buoni non invecchia.

Così pensava, coll’innaffiatoio in mano, quando venne Martino a corsa a dire che Salvatore era caduto sulla strada preso da un gran male. Corresse don Antonio giù verso la villa coll’olio santo, se pure c’era tempo ancora. Corresse di qua, mentre egli correva di là a suonare la campana.

Don Antonio lasciò in fretta le formiche, corse in chiesa, prese il suo tricorno per ripararsi dal sole, intascò la stola e il vasetto dei sacri unguenti e, come gli permettevano le gambe, scese verso la villa preceduto da alcuni contadini, che avevano aiutato a portare Salvatore in casa.

Il poveretto era proprio agonizzante. Un secondo colpo era caduto a rompere un’esistenza già sconquassata. Salvatore abitava nella villa una cameruccia a terreno, che nei tempi antichi aveva servito di muda agli uccelli. Pochi stracci, un vecchio canterano, un paio di sedie, un pagliericcio, formavano tutta la sua ricchezza. A capo del letto pendeva il vecchio fucile, che da dieci anni non aveva ucciso un uccellino. La ruggine se lo mangiava silenziosamente.

Il moribondo non mormorò che poche parole inconcludenti; ma don Antonio, pensando che [p. 88 modifica]s’era confessato l’anno prima e che d’allora in poi il meschino non aveva avuto nemmeno la volontà di peccare, lo assolse «in articulo mortis», lo benedisse, e gli chiuse gli occhi «in vitam aeternam, amen».

Martino rimase a custodire il morto in compagnia del procaccio comunale.

— Ecco un uomo arrivato al suo porto, — diceva fra sè stesso il vecchio piovano, ritornando verso la canonica.

E mentre andava pensando al modo di fargli un poco di funerale e alle parole che doveva scrivere al barone per dargli la ingrata notizia, venendo su molle molle per lo stretto sentiero, vide sul terreno l’ombra del suo cappello sbattuta dal sole e si fermò. Girò un poco il capo per far giocare l’ombra in terra e gli parve che non fosse l’ombra solita, voglio dire quella che da tanti anni lo accompagnava nelle sue passeggiate al sole.

La differenza era nelle tese. Mentre di solito il suo largo triangolo colle ali distese come una vela al vento riempiva dell’ombra sua quasi tutto il viottolo, dando l’immagine d’un uccellaccio che traversi colle ali stanche un braccio di mare, questa volta l’uccellaccio aveva qualche cosa in sè di più svelto, di più aggraziato, pareva insomma il figliuolo del primo.

Non sapendo come spiegare lo strano fenomeno, don Antonio si levò il triangolo dal capo e vide ch’era avvenuto uno scambio. Non era più [p. 89 modifica]il vecchio cappello dall’antico pelo, dagli orli corrosi, dalle rosse ammaccature, ma un fior di cappellino nuovo fiammante di zecca, coi nastrini di seta, la fodera di seta azzurra come la mozzetta dei monsignori, un vero cappello da monsignore.

— Come va questa faccenda? — esclamò don Antonio. — Io ho letto nelle sacre carte che un corvo portò un pane al profeta Elia; ma non ho mai letto che Dio mandasse anche i cappelli nuovi ai poveri preti.

Il più bello si è che il cappellino pareva fatto a pennello pel suo capo, come se veramente la mano di Dio avesse presa la misura.

Non sapendo come spiegare il mistero, ma sicuro in cuor suo che lo scambio era avvenuto nella stanza del morto, non disse nulla per il momento a Martino; ma quando tornò per il funerale, girò gli occhi intorno, e vide che veramente il suo cappello d’antico pelo era rimasto sopra una sedia in un angolo e che egli aveva preso il nuovo d’in sul canterano, dove vedevasi ancora il segno nella polvere.

La coscienza avrebbe voluto che egli lasciasse il nuovo al suo posto senza cercar altro e ripigliasse il suo; ma sul punto di uscire col morto, fosse distrazione, fosse una cattiva suggestione dello spirito malvagio, che trionfa di più quando può conquistare una coscienza delicata, fatto sta che il buon prete prese ancora il nuovo e lasciò il vecchio sulla sedia. [p. 90 modifica]

— Questo non è rubare, — diceva la coscienza, mentre il funerale si avviava al camposanto, — perchè non si ruba nulla ad un povero morto, prendendogli il cappello. Laggiù, sotto la terra, non c’è pericolo di pigliare un colpo di sole. E poi io devo ben pagarmi in qualche modo di questo funerale. Salvatore non lascia indietro che il suo cane, e se aspetto che paghi per lui quel vecchio libertino del suo padrone, sto fresco. Resta a vedersi, — mormorava la coscienza incontentabile e schizzinosa, — resta a vedersi se il cappello era proprietà di Salvatore o non si trovasse per caso nella cameretta, o se egli l’avesse ricevuto in consegna. D’altra parte io lascio in luogo del nuovo il mio usato, e quando il padrone del primo si sarà accorto del cambio, potrà venire alla canonica a reclamare.

Acquietata la coscienza in questo pensiero, ne parlò la stessa sera a Martino, l’ex-cappuccino, che era fine nel risolvere i casi di coscienza: e anche costui trovò naturale che don Antonio usasse di un cappello che in fondo era di nessuno. Per togliersi tuttavia anche le ultime pagliuzze dalla coscienza, il prete non lesinò sui suffragi e recitò una messa da morto indirizzata tutta a sollievo della povera anima di Salvatore.

E si tenne il cappello.

Salvatore era morto senza poter dire come questo si trovasse nella sua stanza.

Avrebbe potuto dirlo il suo cane, che, [p. 91 modifica]andando secondo l’abitudine sua a raspare nelle paglie della stalla, l’aveva trovato in un cantuccio e l’aveva portato al padrone, come usava fare cogli storni a caccia.

Ma i cani non parlano.