Il dottor Antonio/XXIV

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Capitolo XXIV

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Giovanni Ruffini - Il dottor Antonio (1855)
Traduzione dall'inglese di Bartolomeo Aquarone (1856)
Capitolo XXIV
XXIII XXV


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CAPITOLO XXIV.

Nuove insperate.


Il delirio di Lucy durante il fatale tumulto, le dolorose vicende di speranza e di disperazione per le quali dovette passare durante i giorni della settimana seguita alla catastrofe, — che a lei parvero infiniti, — la progressiva prostrazione del suo cuore, tornando vuoto ogni tentativo per accertarsi del fato di Antonio; — tutto questo lasciamo all’immaginazione del Lettore. Il descrivere quella condizione sarebbe impresa straziante e inutile. Chi può dipingere al vivo un’agonia d’aspettazione e di terrore come la sua? Qualunque parola non può ritrarne se non imperfettissimamente il vero. Finchè c’era stata alcuna cosa a fare — finchè c’erano state nuove vie di informazioni a tentare — finchè ci fu alcun esercizio di attività, il corpo e lo spirito di Lucy si sostennero mirabilmente. Ma quando fu esaurito ogni mezzo a sua disposizione — quando ogni inchiesta, ogni ricerca possibile fu fatta — quando non le rimase se non incrociar le mani sul petto, e dire a sè stessa: — «Antonio è morto, altrimenti lo avrei veduto o mi avrebbe mandato le sue nuove,» — allora la fragil persona e l’animo entusiasta le caddero del pari. Anche in questa crisi le cure amorevoli del perduto Antonio circondarono il letto di Lucy. La Hutchins, rimasta a sè stessa e alla sua responsabilità, spedì immediatamente a prendere il medico di cui Antonio le aveva lasciato l’indirizzo; [p. 299 modifica] e il quale, per l’assiduità e l’abilità, si mostrò degno della fiducia in lui riposta.

Per dieci interi giorni la vita e la ragione di Lucy penderono da un filo. Sopravvenne poi un miglioramento quasi impercettibile, e con esso alcuni intervalli di consapevolezza; durante i quali Lucy s’immaginò di vedere una figura moventesi quietamente nella camera che somigliava in modo strano a Speranza. Naturalmente non era; e come poteva esserlo? Aveva ad essere un’immaginazione. In questi ultimi giorni Lucy aveva veduto strane cose e tante persone! Pure quella visione non la lasciava come le altre — le stava attorno con una pertinacia che le faceva battere il cuore rapidissimamente. Non parlava, ma osservavala con piacere manifesto; e Lucy giunse a riguardarla senza alcuna maraviglia; forse s’immaginava di stare ancora all’osteria con suo padre, o all’Albergo della Posta di Mentone; e il lieve mormorìo di nomi talvolta sentito dalle sue labbra, pareva indicasse quell’illusione. Povera Lucy! Tanto aveva la testa confusa e offuscata la vista.

Una notte, in sul tardi, svegliossi dopo alcune ore di sonno confortante, e colle idee straordinariamente chiare. Incontrandosi collo sguardo in due occhi neri veglianti su di lei amorosamente, come al dì di una volta, subitamente domandò sotto voce: — «Siete voi, Speranza?» — «Dio vi benedica, mia cara, cara padrona, è proprio la vostra Speranza;» e l’affettuosa creatura le si prostrò innanzi sulle ginocchia, premendo sulle sue labbra la scarna mano che le era stesa. — «Eccomi qui, e qui mi sto per non lasciarvi mai più. Ma voi non dovete parlare, nemmeno una parola.» E la gentile creatura, accomodandole i cuscini, volse in altra parte la pallida faccia di Lucy. Questa chetamente si sottomise, nè chiese alcuna spiegazione; era sollevata e tranquilla per avere a lato l’umile amica sua italiana. O mirabile potenza dell’affetto, che benedice ed è benedetto!

Ma quale agente misterioso aveva condotto Speranza al letto di Lucy, nel momento appunto che si aveva maggior bisogno di lei? Un agente molto semplice e naturale: Speranza era l’ultimo legato cortese che Antonio aveva potuto lasciare a Lucy. Egli la comprendeva tanto a fondo, da conoscere per istinto quello che l’avrebbe meglio confortata avvenendo qualche male; nel qual caso sarebbe stata una consolazione per Lucy, aver seco persona con cui potesse parlar di lui, e in cui fosse sicura di trovar simpatia. Però egli aveva tosto scritto in fretta quelle poche linee alla moglie di Battista; dicendole che se, [p. 300 modifica]entro una settimana dopo ricevuta la lettera, non sentisse altra notizia di lui, s’imbarcasse immediatamente per Napoli; ove giunta si sarebbe recata all’albergo nominato nella sua, e vi avrebbe trovato lady Cleverton. Speranza eseguì letteralmente le istruzioni ricevute, e arrivò a Napoli giusto in tempo da prendere il suo posto di tenera e affezionata governante, a canto al letto della padrona allora inconsapevole. Chi semina benevolenza, benevolenza raccoglie.

Fu lunga e difficile la convalescenza di Lucy. Passarono tre settimane prima che si potesse sedere sul letto; un altro mese prima che fosse capace di alzarsi in piedi per un’ora; e le bisognò il doppio di quel tempo per guadagnar forza bastante a poter sopportare una corsa in carrozza all’aria aperta. Questa prima uscita di casa produsse quasi una ricaduta — la vista delle strade, dei militari, delle donne sorridenti appoggiate al braccio degli amici o de’ mariti, mentre ella si sentiva così desolata e mancante di appoggio — era una prova durissima a sostenere. Molti osservarono quell’apparizione, che cacciava con tanta vivacità gli occhi su di ogni legno che passasse. Quale speranza folle poteva essere la sua? Or divenne evidente, quanto avesse preveduto Antonio chiamando Speranza in Napoli. Chi, fuor di lei avrebbe potuto comprendere e consolar Lucy? E uscendo da lunghi accessi di taciturnità, Lucy talvolta soleva discorrere per ore intere d’Antonio. Speranza sapeva come egli fosse stato buono, virtuoso e nobile; e Speranza poteva comprendere quale amico avesse perduto Lucy. Contrastare al suo dolore! E perchè? Dove avrebbe trovato mai un altro pari a lui? Chi era stato per lei, quel che egli era stato? Lucy aveva diritto e debito di portare il lutto. Non le aveva salvato la vita? Non aveva pensato a lei e al suo bene fino all’estremo? Tal’altra volta ripassava colla mente i suoi casi, e raccontava quello che le era accaduto all’osteria, a Lampedusa, a Taggia, e rideva mentre parlava — di un riso più doloroso del pianto: — e pareva avesse dimenticato l’orribile 15 di maggio, finchè qualche incidente la facesse tacere e le facesse spuntar grosse lagrime sugli occhi. Non erano come le lagrime ordinarie che a poco a poco si accumulano e finalmente traboccano; queste di Lucy sgorgavano a un tratto dalle sue ciglia.

Lucy parlava di Antonio come di un uomo già morto; alludendo talvolta, in modo incerto e debolmente, quasi non le riuscisse di trovar le parole opportune, al come rinvenire la tomba ove era stato sepolto. Ma Speranza non [p. 301 modifica] consentiva che fosse certa la morte di Antonio. Nessun avvocato avrebbe meglio difeso la sua causa di quello che facesse questa donna illetterata. Il suo tatto e la sua penetrazione erano mirabili per sè stesse; e adorabili per chi sapesse che quella intelligenza era figlia di gratitudine.

Supponendo, diceva Speranza, che anche il dottor Antonio non sia riuscito a fuggire, come un uomo così abile avrebbe potuto far di sicuro; perchè non ammettere la probabilità che possa essere prigioniero, invece che morto? Non aveva forse letto nei fogli la «sua padrona cara, cara,» che in quel terribile giorno del 15 maggio, e anche dopo, centinaja di persone erano state arrestate? E quale maraviglia pertanto, che in tanta quantità di persone non fosse ancor pubblicato il nome di uno? Tutto era per il meglio; chè non essendo stato menzionato, eravi maggior probabilità che potesse uscir di prigione senza essere sottoposto a giudizio. Un giorno o l’altro «la padrona» avrebbe veduto che Speranza aveva ragione. Il dottor Antonio non era uomo da perdersi in quel modo ridicolo. La signora sapeva ch’egli era uno degli amici del Re, il quale un giorno o l’altro avrebbe domandato che fosse stato di lui, e allora, ricercandone in tutte le prigioni si sarebbe ritrovato.

— «Se fosse vivo avrebbe trovato modo di farmelo sapere,» persistè a dire Lucy.

— «Ma, signora, come può trovar messaggieri stando in prigione coi ceppi alle mani ed ai piedi? Ma dategli tempo,» concludeva Speranza in aria di piena convinzione; «ah! cara, cara signora padrona, credete pure che la Santa Vergine avrà cura di un uomo buono, buono tanto. Bisogna aver fede.» Al quale consiglio Lucy si apprese tosto. Ella pregò, pover’anima, e fece ogni sforzo per aver pazienza.

La miseria fa conoscere all’uomo degli strani compagni, — talvolta anche degli amici inaspettati. Confidava lady Cleverton di poter avere, per mezzo di Mr. X, il giovane addetto, qualche lume intorno ai prigionieri politici, o uno stato degli uccisi; — e sebbene con poca fiducia di esito favorevole — chè riguardava di mal occhio il suo sedicente cugino, — pure lo mandò a chiamare la mattina del 17 di maggio. Mr. X fu colpito dall’aspetto disfatto di lei; e il tono commosso della voce di lui in parlarle, invece che fargli una richiesta cerimoniosa, la condusse ad abbandonarsegli con confidenza. Gli disse le obbigazioni contratte personalmente col dottor Antonio — quanta stima avesse per lui anche sir John. Fece una bella descrizioncina della [p. 302 modifica] sua vita di medico comunale di Bordighera, — e come lo avesse incontrato in Corte, a braccietto col Re. Raccontò con semplice affetto, come l’avesse lasciata il 15 — non colla furia dello spirito di parte, ma per esporre la sua vita tentando di impedire che il fratello uccidesse il fratello; e, senza accorgersene, tradì il suo pensiero, ch’ella credeva questo Italiano il più buono, il più sapiente e il più nobile degli uomini. Ella aveva pregato Mr. X a recarsi da lei per ajutarla a rintracciare notizie del fato di Antonio. Non aveva ella altro amico in Napoli su cui confidare — voleva egli assisterla?

È un fatto onorevole per la natura umana che bastasse quella richiesta a fare sposare la causa di Antonio a quel giovine vanitoso, col calore con cui avrebbe sposata quella di un suo fratello. Egli si mostrò in tutto quel tristo periodo della storia della nostra eroina, il più disinteressato e discreto e servizievole amico. Esisteva nel cuore del giovine gentiluomo, benchè coperta di molta lega convenzionale, una miniera d’oro, la quale, a mostrare la sua ricchezza, non aspettava che l’occasione. Mr. X si era affaticato molto, ma indarno, per aver qualche indizio del fato di Antonio. Aveva adoperato ogni mezzo ufficiale, e fuor d’uffizio, fornitogli dalla sua condizione, o indicatogli dai gentili consigli del suo capo. Aveva costretto tutti i suoi conoscenti napolitani, alti e bassi, a contribuire, consapevolmente o a loro insaputa, al suo fine; egli si era fatto degli amici negli uffiziali dell’esercito, negli agenti di Polizia, negli impiegati di ogni classe e di ogni colore; — e tutto ciò con una abilità, una perseveranza e una prudenza, che non fu delusa mai una sola volta. Aveva di più, durante la lunga malattia di Lucy, mantenuto con abilità diplomatica una corrispondenza quasi quotidiana con sir John, affine di tranquillare il buon vecchio, il cui medico aveva proposto indefinitamente il viaggio di lui a Napoli.

Gli ultimi avvenimenti avevano diminuita di molto l’antipatia avuta prima per quelli ch’egli chiamava per ischerno avvocati; trasportandola invece in gran parte sopra il partito stato innanzi l’oggetto di tutta la sua simpatia. Per un caso l’insurrezione del 15 maggio aveva colto e trattenuto a forza Mr. X in una casa vicina alla barricata di San Ferdinando, ove quel giorno erasi combattuto più disperatamente che altrove. Era però stato testimone degli atti feroci commessi dalla soldatesca. Egli aveva veduti fucilati a dozzine uomini che avevano deposte le armi e domandavano grazia; — aveva veduti padri, madri, mogli e fanciulli ginocchioni, spietatamente [p. 303 modifica] trucidati; — aveva vedute crudeltà tanto brutali, che i capelli gli si erano rizzati sul capo. La virile generosità che trovavasi nel suo naturale, si rivoltò a quello spettacolo, e solo la certezza che sarebbe stata esemplarmente castigata una condotta così esecrabile, tenne la sua indignazione dentro i limiti. Ma quando vide lodati e premiati nella Gazzetta Ufficiale gli autori di atti così orrendi; quando seppe da persona d’autorità incontrastabile, che il Re dal verone del Palazzo Reale non aveva cessato colle parole e coi gesti d’istigare le truppe all’eccidio; d’eccitare gli artiglieri, che uffiziali umani e eccellenti cercavano ritenere, eccitarli a servirsi dei loro pezzi di campagna; — quanto sentì e vide tutto ciò, l’anima sua rivoltossi contro il partito cui era stato fino a quell’ora esclusivamente favorevole. Una causa difesa a quel modo, non era quella ch’egli aveva preso a sostenere.

Erano già corsi sei mesi; nè la povera Speranza più sapeva quali nuove lusinghe porgere (lusinghe, ahimè! che neppur ella più nutriva) alla sua infelice padrona. Il lutto di lei diveniva ogni giorno più profondo; quando alcune poche righe di carattere ignoto, mutarono d’improvviso il lutto in gioja inesprimibile. Alla porta di lady Cleverton era stata lasciata una lettera, che diceva: — «Il vostro amico è vivo, ma in prigione. Se avete persona della cui fedeltà siate sicura — badate, dico sicura — mandatela da me e avrà altre particolarità. Mi troverà posdomani a sera a Porta Romana presso la barriera di Capo-di-Chino. Tenga per segno un fazzoletto bianco in mano. Nemmeno l’aria che respirate dee sospettare che siavi alcuna relazione fra me e voi. Colla stretta osservanza di queste precauzioni, avrete una probabilità di servire utilmente in qualche modo il vostro amico in avvenire. Ogni mio atto e ogni mio passo è invigilato dalla Polizia.»

Egli era vivo! — Oh, sia ringraziato Iddio, egli era vivo! Che importava che fosse prigioniero? — Ella aprirebbe a forza le porte della sua prigione; — ella aveva credito e influenza? — ella scriverebbe in Inghilterra; — i Ministri farebbero qualcosa per la vedova di lord Cleverton; — ella pregherebbe tanto, solleciterebbe tanto, che nessuno avrebbe cuore di darle un rifiuto; anche suo padre aveva amici potenti, ed egli avrebbe indotto il Governo inglese ad interporsi. Sì, ella avrebbe trovato modo di strappare Antonio dalle ugne del tiranno. Ahi! povera, generosa Lucy!

Il suo fedele alleato, il Diplomatico, si recò a sua richiesta al luogo di convegno, e trovò un signore di età [p. 304 modifica]matura, che l’aspettava. Cominciò a raccontargli quello che noi già sappiamo; cioè, che un distaccamento di soldati aveva sorpreso alle spalle, e preso fra due fuochi la barricata ove Antonio stava curando i feriti. Il signore seguitò a dire, come i soldati non dessero quartiere, e come Antonio, abbattuto da un colpo di baionetta, dovette la vita alla prontezza di spirito con cui egli aveva fatto il morto. I morti, e fra esso il Dottore, erano stati accatastati su un carro, e indi trasportati in un corpo di guardia vicino per esservi ritenuti sino a sera. La soldatesca era tanto infuriata, che Antonio non aveva altro mezzo che di continuare a fare il morto; e solo a notte tarda, quando veniva portato alla sepoltura con i morti, non gli restò altra alternativa che di farsi seppellire, o di dar segno di vita. Voleva una parte degli uomini di scorta, fargli tosto subire la sorte degli altri cadaveri; ma alcuni più umani vi si opposero; e il nostro eroe ferito fu alloggiato nella prigione di Santa Maria Apparente, la quale, per sua buona sorte, trovavasi sulla via del lugubre convoglio. Una settimana fu lasciato in compagnia di comuni delinquenti, e poi trasferito in Castel dell’Uovo e posto in segreta. In quel primo luogo di carcere, Antonio non aveva mai cessato di gemere e di lamentarsi della sua ferita — fortunatamente leggiera, e di chiedere per amor di Dio un chirurgo che la curasse almeno una volta, — ma parlava al vento. Nè le sue pietose preghiere al nuovo carceriere del Castello ebbero miglior successo; era proprio come pregasse le mura di pietra della sua carcere. Un giorno, con voce vicina a venir meno, domandò un confessore; dichiarando che si sentiva morire. Il secondino rispose che poteva liberamente morirsene, quando e come avesse voluto, ma non avrebbe avuto confessore. La spiegazione di que’ gemiti, lamenti e preghiere, stava nel pensiero onde era assorbita l’anima di Antonio; nel pensiero di trovar modo per far sapere a Lucy che egli era vivo. Sperava trovare un chirurgo, o un confessore abbastanza cristiano da portare un tal messaggio a lei. E tale ansiosa apprensione non gli lasciava luogo a temer per sè.

La stretta separazione dei prigionieri politici da ogni umano consorzio, meno quello del carceriere, non era per la sola sicurezza delle loro persone, ma sì col fine e coll’intento, in molti casi riuscito, di pregiudicare alle loro facoltà mentali, e indebolirne la resistenza. La fermezza d’animo di Antonio non si smarrì mai: e la sua ferita guarì presto, senz’altra medicina fuorchè acqua fresca. Sei settimane dopo il suo trasferimento in Castello, fu portato [p. 305 modifica]all’esame innanzi al Giudice Inquisitore. Quivi come sempre preoccupato della rimembranza di Lucy, rifiutò ognora rispondere a qualunque domanda, se non gli fosse prima permesso di comunicare con un Consultore legale. Mandato e rimandato, minacciato e lusingato, Antonio persistette nel suo silenzio. Il combattimento fra giudice e prigioniero durò quattro mesi interi; ma Antonio alla fine la spuntò. Gli fu assegnato un Consultore, quello stesso che scrisse poi la lettera anonima a lady Cleverton, e che ora dava queste minute notizie al Diplomatico. Antonio era stato fortunato. Quest’uomo di legge, timido per natura, e ancor più timido per la difficoltà de’ tempi, e per esser aggravato da numerosa famiglia, tuttavia era uomo onesto e liberale; coscienzioso abbastanza nei doveri della sua professione, da posporre ogni personale riguardo al vantaggio e alla salvezza del cliente.

Il Diplomatico, come era stato convenuto fra lui e lady Cleverton, alluse alla possibilità di ottenere l’interposizione della diplomazia estera, e accennò anche non si sarebbe badato a qualunque somma pur di trovar modo di evasione. — «Guardatevi dal tentar mezzi di tal sorta,» disse l’avvocato sottovoce e grandemente impaurito. «Un tentativo di fuga andrebbe infallibilmente a vuoto, e non servirebbe che ad aggravare la condizione del vostro amico, di già pericolosa abbastanza, ve lo assicuro io. Troverete agevolmente carcerieri e satelliti di prigione, facili a lasciarsi corrompere; ma dentro una mezz’ora avranno denunziato il corruttore alla polizia. Non vi provate, per amor di Dio! Non avete idea della corruzione di questo paese infelice. Le fetide e sucide tane che servono di prigione, sono abitate da una specie di demoni sotto forma umana, rifiuto di galere che si pregiano di essere spie e traditori. Quanto all’intervento diplomatico non sostenuto dalle fiancate dei vostri vascelli, peggio che inutile: servirebbe solo ad aumentar l’ira e a fare del prigioniero una preda disputata. Non abbiamo che un solo ausiliario sicuro — il tempo. — Il tempo maturerà gli eventi, e chi sa se questi non condurranno seco di forza una mutazione nella politica di questo Governo! Molto dipende dall’esito della nuova campagna che si dice prossima fra la Sardegna e l’Austria, — molto dall’attitudine dell’Inghilterra e della Francia. Correrà assai lungo tempo, prima che possa aver luogo il giudizio del vostro amico e de’ suoi coaccusati. L’Istruzione, colla qual parola intendo la procedura preliminare sul fatto del 15 maggio, è appena cominciata, nè promette di terminar così presto. Intanto abbiamo per noi i casi della [p. 306 modifica]vita: quello che è oggi in cima, può non esservi più domani; e può occorrere qualcosa che ponga un termine alle persecuzioni politiche. In ogni caso, colla pazienza guadagneremo una cosa: che le passioni bollenti adesso, si saranno raffreddate. Il miglior consiglio che io posso dare a voi e a lady Cleverton e a tutti quelli che desiderano il bene del dottor Antonio, è di starvi quieti e portar la maschera della indifferenza. Sento che molti Inglesi hanno cessato di andare a Corte, dopo il fatal 15 di maggio. Voi non dovete far così. Fate anzi che nessuno sospetti la vostra disapprovazione al Governo. Andate a Corte, frequentate tutti i Circoli ufficiali, sentite maltrattare e calunniare i prigionieri senza neppur muover ciglio. Guardate e osservate quanto succede. Così sarete in caso di darmi utili informazioni. Questo è l’unico modo per cui ora possiate servire il vostro amico. Io non mancherò di far quanto posso, e vi farò sapere ogni circostanza meritevole della vostra attenzione.»

Queste notizie riportate dal Diplomatico, di molto calmarono l’esaltate speranze di Lucy. Ma i dettami della prudenza e dell’esperienza contrastavano troppo colla sua febbrile impazienza di vedere Antonio; l’uomo che predicava pazienza e tempo, stando un amico in prigione per accusa capitale, non poteva non essere accusato di tiepidezza. Tuttavia ella accettò il consiglio di andare a Corte e di mescolarsi alla società. Quando si trovò a poter giudicare da sè del tono generale dell’opinione nutrita verso i prigionieri; — quando sentì quotidianamente uomini educati e onorevoli trattati come assassini; — quando, scandagliato su di ciò il rappresentante d’una grande Potenza, rispose: che non avendo influenza alcuna sulle risoluzioni del Ministero napolitano, non poteva affacciare una domanda, la quale, secondo ogni probabilità, non sarebbe stata punto curata; — quando Lucy fu certa di questo, allora, solo allora consentì a riconoscere la prudenza di chi avevale raccomandato e pazienza, e fiducia nell’azione del tempo.

Non molto di poi vennero al Diplomatico nuove notizie. Erano: — Che un manoscritto di Antonio era stato preso in casa di un coaccusato — il Memoriale scritto in Palermo — nel quale era detto: «esser venuta l’ora per gli onesti amici della libertà e dell’indipendenza di formare una sacra falange.» Dietro ciò il Dottore era stato esaminato; e dal tenore delle domande fattegli, pareva molto probabile che contro di lui sarebbe stata diretta accusa di esser uno de’ fondatori di quella Società segreta, a cui si stava facendo allora il processo preparatorio.

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Un’altra comunicazione del Consultore di Antonio, l’ultima che occorra ricordare, era diretta a confermare la supposizione precedente. Antonio doveva essere processato, come uno degli autori della Società segreta dell’Unità Italiana. L’epoca del giudizio sarebbe dipesa dalla piega degli affari politici — dentro e fuori d’Italia.

Passò il tempo, e maturarono gli avvenimenti; — ma niuno di questi valse a migliorare la sorte dei prigionieri politici. La disfatta dei Piemontesi a Novara, la conquista della Sicilia per l’esercito napolitano; la ristaurazione di Pio IX nel dispotismo, ricondotto in Vaticano dalle bajonette francesi; l’occupazione delle Legazioni e della Toscana per gli Austriaci; e finalmente la caduta dell’eroica Venezia; sono i fatti più importanti nell’Iliade di mali nello spazio di pochi mesi accumulati sopra la sfortunata Penisola. La reazione si aggirava strisciando per tutto, fuor che in Piemonte. Questo Stato era invero una splendida eccezione. Quivi la lealtà e il buon senso del giovine Re, la lealtà e il buon senso del popolo, erano riusciti a mantenere la pubblica libertà e la privata sicurezza. A Napoli era il rovescio della medaglia. Quivi per il Governo era l’ora di raccoglier la messe di sangue seminata il 15 di maggio.