Il giaurro

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George Gordon Byron 1813 1830 Pietro Isola Indice:Poemi (Byron).djvu Poemi Letteratura Il giaurro Intestazione 3 marzo 2011 100% Da definire


Questo testo fa parte della raccolta Poemi (Byron)


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IL GIAURRO




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A


M.RS MARIANNA TURTON.


Eccovi, amabile Britanna la mia versione del Giaurro; degnatevi di accoglierla.

Così un giorno sulle sponde della vostra Isola, additando queste pagine a tal, come Voi, d’anima sensitiva e gentile, potrete dirgli col soave accento della verità.

» Ho udita l’Eco ripetere in tenero idioma, dai monti Ligustici, i canti di Byron: ho veduta la gloria di questo sommo [p. 122 modifica]dell’Inghilterra risplendere sotto il bel cielo di quell’Italia, che egli amò tanto, e che sì dolcemente l’ispirava»

Nè obblierete, io spero, che questi versi vi dedicava un amico leale, e rispettoso.



il traduttore.

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NOTIZIA.


La storia, che questi sparsi frammenti presentano è fondata su circostanze, or meno d’altre volte, in Oriente comuni. Un tempo essa conteneva le avventure d’una schiava, secondo l’uso de’ Mussulmani, gettata nel mare per delitto d’infedeltà, e vendicata da un giovine Veneziano amante di lei; e ciò accadeva quando signoreggiava la Repubblica di Venezia su le sette isole; gli Arnauti erano stati scacciati dalla Morea, che aveano per lunga pezza devastata, dopo che i Moscoviti l’aveano pur anco abbandonata per la diserzione dei Majnoti, ai quali non veniva concesso il sacco di Misìtra. Fu in allora, che sulle traccie d’inaudite crudeltà le desolazione innondò quelle contrade. [p. 124 modifica]

Or sono pochi anni, la moglie di Muchtar Pascià, querelossi di supposta infedeltà del marito, col Padre di lui. Richiesta del nome delle complici fu barbara al segno d’indicare le dodici più vezzose donne di Giannina; prenderle, chiuderle in sacchi, e gettarle nel lago, fu l’opera d’una sol notte. Alla sorte di Frosina, la più bella vittima di quel sagrificio, si riferisce questa Novella, che formò già il soggetto di molte canzoni Greche, ed Arnaute. [p. 124 modifica]

...........................l’opra compiuta; io parto,....
E solo!......

Il Giaurro. C.lo St.a

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IL GIAURRO.


Aura non spira, non si rompe flutto
Sotto l’avèl de l’Ateniese; avello,
Che su la terra ch’Ei fè salva indarno,
Biancheggiar1 primo il rèduce naviglio
5Vede, e il saluta. Oh, quando fia ch’a vita
Novella torni un tanto Eroe! *    *    
*    *    *    *    *    

Bella region! Sorride ivi benigna
Ogni stagion su l’isole felici,
Cui se, da la distante di Colonna
10Cima, tu vedi, in te s’allegra il core,
L’occhio rapito è sì, che dilettosa
N’hai pur la solitudine. S’increspa
Placidamente de l’Egeo la faccia,

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E i molti clivi, e i lor color’ ripete
Dipinti in l’onda lieta, che le rive
15Bagna di questi de l’Eöa marina
Eden beati; e se talor fuggente
Un venticel, del liquido cristallo
Frange l’azzurro, e il fior da l’arbor scuote,
Giulivo, oh come! il navigante invoca
20Ogni soffio gentil che desta, e guida
Il grato olezzo! Su per l’erta, o in grembo
De la valle, la Rosa è quì Sultana2
De l’Usignuol, fanciulla cui da l’alto
Di sue mille canzon volge il concento;
25A quel che narra l’amator, il seno
Schiude la bella, e di rossor si tinge.
Reina del giardin, e sua regina,
La vaga Rosa quì non turbo atterra
Non verno agghiaccia; ogni mattin l’irròra,
30La benedice ogn’aura ed ogni sole;
In più morbido incenso al ciel conversa,
Ogni dolcezza che le dièo natura,
Manda costei; grato e ridente il cielo
Il soave sospiro, e il suo vermiglio
35Quaggiù riversa. Qui d’Està ogni fiore,
Cara ad amor qui ogn’ombra, ed ogni grotta
Che di pace diresti, ma in suo cavo,

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Ospite quasi, il reo Pirata asconde.
Dietro lo scoglio protettor s’appiatta
40L’infida barca ad esplorar se passi
La pacifica prora, e quando il gajo
Liuto del nocchier3 odesi, e l’astro
De la sera sfavilla, allor furtivo
Il notturno ladron, dal fosco lido
45Con insidioso remigar sul misero
Si getta, e il suo cantar volge in lamento.
Strano destin! Là ’ve natura gode,
Per gli Iddii come, schiudere un soggiorno,
Ove ogni incanto, ed ogni grazia aduna
50In fortunato Eliso, ivi si pasce
L’uomo più di sventura, e il dolce loco
Cangia in deserto, e pari a bruto abbietto
Calpesta il fior, ch’a la sua fronte mai
Stilla non chiese, nè a la man fatica,
55Onde sbucciar su la fatata zolla,
E perch’egli non sudi, e non s’affanni,
Volontario germoglia, e dolcemente
Implora sol che non l’uccida!.... Strano
Destin! ’Ve tutto è pace intorno,
60L’orgogliosa passion, ivi più freme,
E ogni tristo desìre, e la feroce
Rapina impera, e di tenèbre sparge

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Il delizioso suol. Così vedresti
Uscirne fuor da lo Tartareo regno,
65Démoni e furie, ad assalir le stelle,
E i serafini, e sugli eterei troni
Starsene vincitor, come esecrati
Vedi or tiranni, conculcar di questa
Terra sacra al piacer l’ameno aspetto.
70Chi la sua fronte su recente salma
Inclina, anzi che vólto il primo die
Sia de la morte, il dì primo del nulla,
De la sventura estremo, e del periglio;
Anzi che stenda Distruzion il dito
75A cancellarne di Beltà che langue,
Anco la traccia; se il celeste, e dolce
Sembiante egli contempla, e del riposo
L’estasi che ancor dura, e inanimati,
Ma pur teneri i vezzi su la smorta
80Placida guancia, ben che trista, e ascosa
La pupilla non arda, e non seduca,
E non pianga, sebben gelido e stretto
Da letale apatìa l’immoto ciglio
Del doloroso, che lo guata, il core
85Di terror empia sì, che quel destino
Ch’un preme, l’altro pur divida e tema;
Se questo ei vegga; oh, sol per questo, pochi

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 Istanti almen, un’ingannevol ora,
Del poter del tiranno ei fia mal certo,
90Tanto il primo socchiudersi de l’occhio
Bello e quïeto è allor, che su vi getta
Morte l’ultimo sguardo.
E il lido è questo,
E questa è Grecia;.... ahi, Grecia dì!....vivente
Grecia non più; amabil pur, ma fredda!
95Bella, ma spenta!.... Oh, chi d’orror non freme,
Ora che spirto in sue leggiadre forme
Più non alberga!.... Grazia, ma di morte
Ha ancor costei, grazia che coll’estremo
Sospir tutta non parte, ed ha bellezza,
100Ma di tal fior terribile, cui tinge
De la tomba il color; raggio di vita
Ch’addietro si rivolge, ultimo raggio,
Addio d’affetti omai lontani; aurata
Meteora che girando va d’intorno
105A la ruina; di celeste foco
Scintilla forse, che risplende ancora,
Ma la terra diletta, ahi! più non scalda....
Region di prodi, innobliati figlj
Di patria che, per quanto il pian si stende,
110Sino all’antro del monte, allor soggiorno
Di libertade, o fu di gloria tomba!

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Arca de’ forti! E questo fia che solo
Or di te avanzi? Umiliato e vile
Schiavo t’appressa; di’ non son pur queste
115Le Termopili? E queste che d’intorno
Onde azzurre ti fremono, qual mare
Son esse mai? Qual lido è questo? Dillo,
Serva stirpe di liberi!... Lo scoglio
Di Salamina, ed il suo flutto.... Oh, queste
120Scene, e la storia non ignota, omai
Parlino, e tu le ascolta! Oh desta alfine
Dal cenere de’ Padri la favilla
De la prisca lor fiamma! E quei che spiri
Ne la battaglia, a l’onorato nome
125Tal nome aggiunga di terror, che l’oda
Il tiranno, e ne tremi, e lasci il prode
Una fama, una speme a’ figlj suoi,
Che di tradirla pria, vogliano morte.
Guerra di Libertà s’avvien che insorga,
130Ben che spesso infelice, alfine è vinta.
Teste o Grecia ten’ sia, la glorïosa
Pagina tua; dicanlo o Grecia, i tanti
Immortali tuoi secoli! Nascosi
In polverosa oscuritade Regi,
135Piramidi lasciâr, ma senza nome;
I grandi tuoi, se da le tombe il veglio

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Inesorabil tolta ha la colonna,
Han monumento ben più eccelso; i monti
Della terra natìa! Quivi, allo sguardo
140De lo straniero vïator, le fosse
Mostra de’ forti, che perir non ponno
La musa tua!.... Lungo a ridir, e mesto
Fora ogn’orma calcar, ch’a la sventura,
Da lo splendor ti trasse; oh, a te sol basti,
145Che nemico lontan, unqua abbattuta
L’alma tua non avrìa, se a lui d’innanzi
Non ti prostravi tu.... cedesti? Via -
Facil n’ebber così, schiavi, e tiranni.
Or, che mai dir potrà chi sul tuo lido
150Va peregrino? Non leggenda ascolta
Degli antichi tuoi fasti, e non subbietto
Porgi a la Musa più, perchè sublime
Poggi, siccome allor poggiò tua Musa,
Quando l’uom degno del tuo Ciel crescea.
155I generati di tue valli in seno,
Ardenti cor, i feri spirti audaci,
Che i figlj tuoi lasciar potrieno a giorni
Di gloria, e di valor, son da la culla
Schiavi tratti al sepolcro, a tutto sordi,
160Tranne a delitto, schiavi sì.... di schiavo!
In quanto lezzo, di che mai polluta

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Fu umana stirpe avvolti, ove de’ bruti
Sono a stento maggiori, di selvaggia
Virtù conforto non pur hansi, e petti
165Liberi e grandi; a le vicine sponde
Di chiare astuzie, e di lor frodi antiche
Carchi sen’ vanno; il Greco allor maestro
Sol tu ritrovi, ed allor sol famoso.
Alme avvezze a servir, invan s’affanna
170Libertade a destar, solleva indarno
Fronti, che il giogo apprezzano; suoi danni
Omai non piango io più, ma ben dolente
Or io storia dirò; colui che l’oda,
Credala pur; chi primo udilla, pianse.
*     *     *     *     *     
*     *     *     *     *     

175Fosca da lunge, de la rupe avanzasi
L’ombra, guatando su l’onda cerulea;
L’occhio del pescator la vede attonito,
A lui venirne, e del ladron de l’isola
La crede il legno, o del Mainota; palpita
180Pel suo picciol caicco, e va la dubbia
Cala evitando; faticoso, ed ansio,
Grave di sua squammosa preda, remiga
Forza adoppiando, e fugge fin che accolgalo

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Salvo la baja del Lïone, fulgida
185Di quella luce, onde sì bella ammantasi
La notte Orïental.   *     *     *     *     *     
*     *     *     *     *     
*     *     *     *     *     

E chi è costui, che come folgor viene,
Su cavallo nerissimo, che sciolto
Ha il freno, e piè di vento? Intorno è desta
190Al suon del ferro strepitante l’Eco
De le caverne, ed il fragor ripete
Degl’iterati colpi, e d’ogni salto;
Figlia diresti di marino flutto
La spuma, ond’il corsier rigato ha il fianco;
195Ma il flutto lasso alfin ritorna in pace,
E non è pace al cavaliere in seno.
Turbin’, che sul mattin sorge fremente,
Calmo, o Giaurro,4 è del tuo cor più assai!
Non ti conosco io no; ma non abborro
200Tua razza men, e sul tuo volto scorgo
Traccia, che il tempo più farìa profonda,
Cancellar non potrìa. Giovine ancora,
In sulla fronte pallida, già sparsa
Hai la ruina, che lasciârvi i feri
205Affetti tuoi pugnando, e ancor ch’al suolo

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Volga ognora malefico lo sguardo,
Pur siccome metëora t’aggiri,
Ed I’ ben scerno, ed uom se’ tu, cui denno
O spegnere, o fuggir, d’Otmanno i figlj.

210E via, via s’affrettava; e in lui pupille
Di stupore I’ tenea. Benchè simìle
A notturno demonio trascorrendo,
Dal ciglio mio si dileguasse, in mente
Tale un confuso rammentar lasciommi
215Che lungo, lungo su lo scosso orecchio
Suonò l’unghia terribile del nero
Suo corridor.... Vè, collo spron lo incalza;
È già presso al dirupo, che sporgente
Ombreggia il mar, aggirasi, ed affretta
220Più il suo fuggir; da l’occhio mio la rupe
Lo salva alfin, chè mal gradito è l’occhio,
Che indagator s’affisa in uom che fugge.
E non fulgida assai splende una stella
Sovra costui, che senza posa corre.....
225Ei volteggiò; ma d’involarsi pria
Strappommi anco un occhiata, ultima quasi,
E il destrïer rattenne, ed un istante
Respirò in tanta foga, e sulla staffa
Un istante rizzosse.... Oh, perchè ei guata

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230Il bosco degl’ulivi?.... Su la vetta
Splende la Luna; ancor de la Meschìta
Alto la lampa tremula, e se voce
D’Eco svegliar non può del Topaicco 5
Il distante fragor, mille di gioja
235Vampe da lunge vedi nunziatrici
Di Mussulmano zel, ch’omai s’ascose
Del Ramazan il Sole, e colla sera
Ritornò lieta del Bajram la festa;
E colla sera.... Ma chi se’? qual sei
240Tu, d’aspetto stranier, di fero ciglio?
E a te, ed a tuoi, qual di tai cose or punge
Cura, che incerto del fuggir ti lascia,
O del sostar?.... Ei stette; avea dipinto
Sulla faccia il Terror; ma l’Odio sorse
245E discacciollo; e sorse non qual suole
Improvviso rossor d’Ira che passa,
Ma pallido qual marmo, che più negra,
E orrenda fa col suo candor la tomba.
Bassa la fronte, e qual cristallo immoto
250Avea lo sguardo; feramente stretta
La destra, e al cielo feramente vôlto
Il braccio quasi di rïeder fosse
Dubbioso, o di più andar; alto un nitrìto
Mandò irrequeto per la sosta intanto

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255Il destrïer; la mano allor giù cadde,
E afferrò il brando; al duro suon si ruppe
L’insonne visïon, siccome desto
Fora il dormente a lo strillar del gufo.
Punge lo spron del corridore il fianco.....
260Oh fuggi, fuggi! Egli sua vita or salva!
Pronto e pari a Gerrid6 per l’aere spinto,
Il sorpreso cavallo, all’aspro tocco,
Dà un balzo, e parte. Già alle spalle è il monte,
Già al calpestìo più non risponde il lido,
265Più non si vede la superba faccia,
Non il cimiero del cristian. Sul freno
Ei l’animoso barbero rattenne,
Ma un sol momento, un solo ei s’arrestò!
E ratto quinci e, come se il premesse
270Morte a tergo, sparì, ch’anni di gelo,
Anni d’acerba rimembranza allora
Piombâr su l’atterrita anima forse,
E vide forse in quel balen di tempo
Una vita di pene, e di delitti
275Un secol tutto. Duol di lunga etade
Quell’istante fatal versa in un seno,
Che speme, odio, amor sente; oh, qual potèo
Moto colui provar? Colui ch’oppresso
Da quanto fremer può dentr’uman petto

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280Sentìasi il cor? Oh, a misurar chi vale
Di quella posa l’orrida lunghezza?
Di quella posa, onde più amaro forse
Il suo destin si fea? Nulla è ne l’ampio
Libro del tempo, eternità al pensiero;
285Perchè innanzi al pensiero illimitato
Spazio infinito la coscienza ingombra,
Spazio, che in se quant’havvi desolato,
Senza fin, senza nome, atroce affanno
Rinchiuder può. Ma l’ora è lunge, omai
290Lunge è il Giaurro.... Salvo forse?.... Cadde?....
Oh, trista l’ora in ch’egli venne! Trista
L’ora in che s’involò!.... Con lui pur venne,
De la colpa d’Hassan l’alta vendetta,
Che lo palagio suo converso ha in tomba;
295Come infesto Simùm,7 ei giunse e sparve;
Foriero de le tenebre, e del fato
Il soffio struggitor a morte piega
Anco il cipresso, arbore negra e mesta
Ognora, ancor che il duol dell’uom sia muto,
300Arbor fido-piangente appo gli estinti!

Da le stalle il corsiero, e sparì il servo
Da le sale d’Hassan; su per lo muro
Lïeve e grigia del solingo ragno

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Si distende la tela, e lenta ondeggia;
305De lo Harem sotto il pergolo s’annida
La nottola; il castel di sua possanza,
E l’alto faro, usurpatrice alberga
L’infausta upùpa; e per non spenta sete
Bieco e per fame, su la sponda latra,
310Il can selvaggio, or che il marmoreo letto
Schiva il ruscello, e desolata polve
Tutto lo veste, e vi germoglia il cardo.
Bello a mirarse un giorno era il suo flutto,
Quando scherzoso a temperar volgea
315Gli estivi ardori, ed in argenteo spruzzo,
O in vortici fantastici fuggendo,
L’aere d’intorno di freschezza, e in terra
«Ne aspergeva i fioretti e la verdura!»
Era pur bella sua scorrevol luce,
320Quando fulgenti per sereno cielo
Gìano le stelle; dolce per la notte
L’armonìa de’ suoi giri! Oh, come spesso
Bambino Hassan del facile zampillo
Si fea trastullo, o sul materno seno,
325Per la sua flebil melodìa più cheti
Dormiva i sonni! In giovinezza, assiso
Come più spesso, sul suo margin stette,
E lo rapìa de la bellezza il canto,

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Ed a quel lusinghevole mescea,
330I suoi concenti! Ahi! Su l’amena riva
Non fia ch’Hassan più mai l’antico fianco,
Quando imbruni il crepuscolo, riposi.
Il rio fuggì ch’empiea l’adorna fonte;
Versato è il sangue che in suo cor fervèa!
335D’ira, di duol, di gioja, umana voce
Quì mai più non s’udrà, ch’ultima, trista
Nota l’aura fè greve, e fu di Donna
Feroce esequia, lamentìo di morte;
E lo sperse il silenzio; e tutto è muto;
340Sol de l’imposta, allor che mugge il vento,
Il percotere ascolti; e giù a torrenti
N’abbia varco la piova, e la bufera
Soffj, non fia man che la chiuda, e sempre
N’udrai lo strepitar. Qual, su la gabbia
345Del deserto, trovar fora contento,
Ruvida sì, ma traccia d’uom, quì voce,
Anco di duol, consolatrice un’Eco
Svegliar potrìa, che ti dicesse almeno
» Tutto, no, non perì! Languendo vive,
350» Quì alcun, ma vive!» Oh, perchè regna in seno
De l’auree stanze solitudin tanta!
Perchè ne l’alta cupola, l’edace
Lenta distruzïon s’apre la via!

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Negra è la porta, e su l’entrar non scorgi
355Ostinato Fakir; non pellegrino
Dervis il piè v’arresterà, chè lieta
Del suo venir Bontà più non l’accoglie,
Nè più straniero affaticato, il sacro 8
Sale ed il Pan benedirà; consorti
360Ricchezza, e Povertade, appo la soglia
Passin neglette, e neghittose; morte
Caddero con Hassan su la montagna
Pietade e Cortesìa; l’ospite fugge
La vóta sala, fugge i campi il servo,
365Poichè ad Hassan, de l’infedele il brando
Il turbante divise.*     *     *     *     *     *     
*     *     *     *     *     
*     *     *     *     *     

Odo il rumor d’un piè che vien; ma voce,
D’amico suon, l’orecchio mio non scontra;
È presso omai; già gli Attagan9 io conto
370Da l’argentee guaine, ed i turbanti,
E forier de la schiera io già ne scerno
L’Emír10 dal verde ammanto «Olà, chi sei?».—
» L’umil saluto (alcun ripiglia) il dica;
» Mussulmano di fè; ma gentilmente
375» Sostenti un peso tu, ch’ogni tua cura

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» Chieder mi sembra, e n’avrìa premio forse,
» Chi t’aìtasse; il povero mio legno
» Lieto...» — » Ben dici barcaruol; t’accosta,
» Salpa, ne togli al silenzioso lido;
380» Lascia raccolta pur la vela; afforza
» Quel remo sì, che l’altro me’ secondi,
» E va fra quelle rupi, ove profonde,
» E vorticose, e fosche più son l’acque...
» Or cessa dal vogar... così... son pago...
385» Ben fu rapido il viaggio... eppur d’ogn’altro,
» Credi, viaggio quest’è più lungo assai,
» Cui tal     *     *     *     *     *     *     *     *     
*     *     *     *     *     

Piombò ritroso, e si sommerse; l’onda
Corse tranquilla a spumeggiar fra i scoglj;
Ed I’ lo vidi, e parvemi che seco
390Lo traesse il torrente; ma di luce
Raggio quell’era, sul vivido gorgo
Serpeggiante.... e I’ guatai fin che disparve,
Come la selce ch’a lo sguardo scema,
Più che giù scende; bianca poi si feo
395Sul mar fulgida macchia, e I’ più non vidi.
Dorme il segreto suo, profondo, noto
De l’Oceàno ai Genii sol, che in seno

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De le lor grotte di coràl, tremanti
Bisbigliarne neppur’osan coi flutti.



Come, allor che in Oriente è primavera,
400La farfalletta dai purpurei vanni,
Bella regina degl’insetti sorge,
E sui prati dipinti di smeraldi
Il fanciullin di Cassimiro adesca
Perchè l’insegua, e d’uno in altro fiore
405A lunga caccia, ed a perduti stenti
Lo tragge, fin ch’alto volando il lassa
Con petto ansante, ed umida pupilla;
Così con ali allettatrici, e preste,
Di fulgenti così colori adorna,
410Fatto garzon,11 Beltà il seduce a impresa
D’inutili speranze, e di timori.
Fatale impresa cui tentò follìa,
Che nel pianto si compie, ancor che vinta
Sempre infelice, che di pari affanno
415E l’insetto, e la vergine circonda,
E, qual più brami, di fanciul trastullo,.
O ardor d’incauta giovinezza, ognora
Vita è di pene, e di smarrita pace!

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Il vago oggetto cui bramavi tanto,
420Tua preda è alfin; ma ogni suo bel perdèo,
Perchè la man che lo rattenne, sperse
N’ha le vivide tinte ad ogni tocco,
Ed or, poi che color, bellezza, incanto,
Dileguarse, fuggir lo lasci, o solo
425Derelitto cader... Con lacerati
Vanni, o con petto insanguinato, ahi! dove
Avrà posa la vittima? Qual pria
Da la rosa potrà, sua languid’ala
Sorgere al tulipàn? Potrà beltade,
430Cui tolto ha un soffio ogni splendor, sua gioja
Trovarne ancor dove così splendea?
No, sul compagno moribondo, il volo
Mai non raccoglie il più vivace insetto;
D’error che suo non è, pietà non sente
435Il più tenero cor; femmineo ciglio
Piange a ogni duolo, di sedotta suora
Al disonor non mai!...



Uomo ch’affanno di delitto cova,
È simìle a scorpion 12 in mezzo al foco;
440Arde, brilla la fiamma, e chiude, e stringe
Il prigionier, sì ch’ei da mille angoscie

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Vinto, di sdegno impazza; unico e tristo
Trova conforto ne lo ascoso dardo,
Ch’ai nemici serbava, avvelenato
445Che mai non punse invan; tronca ogni pena
Con un tormento sol, e il disperato
Cerebro fere. Così ha fin de l’alma
Tutto l’orror, o così l’alma vita
Ha simile a scorpion, in mezzo al foco;
450Uomo così, cui di crudel ferita
Il rimorso ha trafitto, si contorce;
Inutile a la terra, esul dal Cielo,
Ha sotto i piè disperazion, sul capo
Tenebrìa, fiamme intorno, e in seno...morte!



455Il fosco Hassan fugge lo Harem, nè a volto
Di donna più lo sguardo inclina; in caccie
Inusitate l’ore sue consuma,
E sua non è del cacciator la gioja;
Oh, così Hassan mai non fuggì, quand’era
460Bella del suo serraglio abitatrice
Lejla!... Ma quì costei più non alberga?...
Tel’ dica Hassan; ei solo il può... Sommessa
Voce intanto sen’ va di labbro, in labbro,

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Che Lejla s’involò, mentre all’occaso
465L’ultimo Sol del Ramazan volgea,
E all’immenso Orïente annunziatrici
Del festoso Bajram, dai Minareti
Alto splendeano mille faci, e mille.
Scender disse a lavacro, e invan furente
470Cercolla Hassan, perchè di giovinetto
Giorgian sotto le spoglie, allor da l’ira
Scampò del suo Signor, e da la possa
Di Moslem lunge, del Giaurro in braccio
La rea s’abbandonò. Lieve ben n’ebbe
475Sospetto Hassan, ma sì gentil, sì dolce
Era colei ch’e’ troppo, ahimè! fidosse
Ne la schiava infedel, cui serbò tomba
Degna del suo tradir. A la Meschìta
In quell’ora fatal ei venne a prece,
480E tornò quindi a festeggiar securo
Nel suo Kïosco. I mal veglianti Nubj
Così ti narran come Lejla sparve;
Ma fama è pur che in quella notte, al raggio
Tremolante di Fingari,13 sul negro
485Suo corridore insanguinar lo sprone
Il Giaurro fu visto, e fuggir solo
Lunghesso il mar, nè scorse alcun, che paggio
Seco, o fanciulla in su l’arcion traesse.


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L’occhio fisa di timida gazzella,
490E immaginar ben tu potrai qual fosse
De le luci di Lejla il dolce incanto.
Eran ampie così, languide, e brune,
Ma l’alma ne splendeva a ogni scintilla,
Che lucida fuggìa da le palpebre,
495Pari a la gemma di Gianscid;... sì, l’alma!
Creta spirante, a noi, ne le vezzose
Forme, se vuol l’alto Profeta additi,
No, per Allà, non fia ch’unqua mel’ creda;
Foss’io su l’arco d’Al-Scirat14 che ondeggia
500Sul pelago tremendo; a me d’innante
Si dischiudesse il Ciel, e colle destre
Me accennasser le Urì tutte del Cielo,
Deh! chi potrìa di Lejla giovinetta
Un occhiata scontrar, e sacra legge
505Aversi tal, ch’esser, ma polve, insegna
La donna solo, inanimato oggetto,
Trastullo di fantastico Tiranno?
Deh! lei miri il Muftì, vedrà qual arda
Ne la pupilla sua raggio immortale!
510Sovra la bella intatta guancia sparso
Ha il melagrano lo sbucciante fiore,
Fior che nuovo mai sempre ha il suo vermiglio;
Pari a giacinti svolgonsi le chiome,

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Se le raccolte ciocche ne sprigiona;
515E qual maggiore d’ogni ancella s’erge
Ne le sale costei, così sue treccie
Baciano il suol dove il suo piè si posa,
Bianco assai più che non è d’alpe neve,
Pria che dal nembo ond’ebbe vita caggia
520Il suo candore a macular sul monte.
Alteramente va per l’acque il Cigno,
Tal su la terra la gentil Circassa,
Del Franguestan amabil figlia! Innalza
L’augel del capo le increspate piume,
525E con ali d’orgoglio il flutto sperde,
Allor che il piè de lo stranier s’aggira
Sovra la sponda, che il suo laco inserra;
E tal sorge di Lejla il niveo collo,
E così frena di beltade armata
530Ogni cupida brama, e ne respinge
Di folle sguardo ammirator l’omaggio.
Come, leggiadro ha il portamento, serba
Così tenero il cor pel’ suo diletto.....
Diletto?.... Oh, dimmi, fosco Hassan! Chi fia?
535Ahi! tuo non fu nome sì bel, giammai.

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Sorto a vïaggio è il fero Hassan, e venti
Sórti con lui son pur vassalli suoi,
Qual denno i forti, di moschetto armati,
E d’attagàn. Duce s’innoltra, e a guerra
540Quasi egli mova, tal s’adorna; a manca
Ha scimitarra, nel migliore intinta
Arnauta sangue il dì, ch’osâr ribelli
A lo stretto mostrarse, e tornâr pochi
Ne la valle di Parna a dir chi cadde.
545Quelle ch’ei cinge duo minori canne,
Un Pascià già cingea, d’auro e di gemme
Fulgenti, ed aspre; il reo ladron le guata,
Ma n’ha terror. Va d’una sposa in traccia
Hassan; sposa più dolce de la cruda,
550Di che il fianco ha diserto. Infida schiava!
Al suo tetto involossi, e più che infida,
Spergiura! corse del Giaurro in braccio.



Brillan del Sol gli ultimi rai sul colle,
E ne sfavilla il rìo ch’esce dal fonte,
555Cui per chiare e fresch’acque benedice
L’abitator de la montagna; il Greco
Ozioso mercator, qui trova pace,
Che cerca invan de la Cittade in seno,

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Accanto al suo Signor, tremando ognora
560Per gli ascosi tesor; pace quì, dove
Tiràn non scorge, uom tra i molti schiavo,
Or nel deserto libero; qui dove
Del vietato licor, colma securo
Tazza, che delibar non potè mai
565Labbro di Mussulman.



Ma dove in largo screpolo si parte
La rupe, giugne il Tartaro, di giallo
Turbante ornato, e che foriero sempre
De la schiera vïaggia; incedon gli altri,
570In prolungata fila, il tortuoso
Stretto girando lentamente, sorge
De la montagna altissima la vetta,
Ove crudo sparviero il rostro aguzza,
E d’onde fia ch’ a fero pasto scenda
575Pria che spunti il mattin; gelido scorre
Alla falda un torrente, che dal raggio
Dell’estate s’invola, abbandonando
Squallido letto d’ogni verde nudo,
Tranne de l’arboscel, che su la riva
580Povero nasce, per morirvi solo.
A dritta, a manca, e ovunque ingombro è il calle

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Di grigi avanzi del granìto, infranto
Dal fulmine del monte, e da l’edace
Tempo, giù tratti dall’antica cima
585Delle nebbie dell’aere ognor vestita.
Oh! ov’è colui che vide in ciel sereno
Di Liakura il ciglion?


De’ pini il bosco
Toccano alfine.» Bismillah!15 siam salvi;
» Schiudesi innanzi la pianura; forte
590» Punger potremo i Corridor!» esclama
Il Chiaùs, e ancor suonano i suoi detti, ....
E sul suo capo già fischia la palla,....
E il Tartaro forier morde la polve.
Un solo istante è il rattener le briglie,
595Dai cavalli il balzar;.... ma su que’ dorsi
Non fia che tre salgan più mai; nascosi
I nemici gli han côlti, e i moribondi
Chieggon vendetta invan. Coi brandi ignudi
Coi moschetti inclinati, appoggio fansi
600Quei dell’arcion, e del corsier difesa;
Questi dietro la rupe il nuovo scoppio
Stansi aspettando, chè il caderne è greve

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Per lo ferir di feritor non visto,
E che da’ scogli onde si fe’ riparo
Uscir non osa. Non discende Hassano,
605Ch’anzi il cavallo più, e più spinge, e corre
Fin che masnada di ladron discopre;
Ma l’unico sentier tanto n’è folto,
Che certa omai n’han la bramata preda;
In suo furore Hassan la barba arruffa,
610E sguardi vibra di terribil foco;
» Lunge soffj, o vicin, il fatal piombo,
» Ben’io scampai da crude, più di questa,
» Ore di sangue!.... « Allor dal tristo asìlo
Sbocca il nemico minaccioso, e i suoi
615Chiama a la resa; ma d’Hassano un detto,
Un fremito, un girar del fero ciglio,
Tremendo è più d’acciaro ostil; a terra,
Carabina, o attagàn non volge alcuno
Di sua piccola schiera, e vil non odi
620Insorger grido d’Amaùn!16 Vicine,
E più vicine ancor, mostransi intanto
Le ascose genti fuor del bosco, ed alto
Sui destrïeri avanzansi.... Chi duce
È di costor? Chi colla destra serra
625Straniero brando sfavillante?....» È lui!
» Or lo ravviso; è lui! Si lo conosco

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» A la pallida fronte, all’occhio torvo
» Malefico,17 ond’afforza il tradimento
» De l’invido suo cor! Sì lo conosco
630» Al nerissimo barbero; le spoglie
» Veste ei d’Arnauta invan, salvo da morte,
» No, costui non andrà; di sua credenza
» Vile apostata,.... è lui!.... Di mia perduta
» Lejla l’amor! Ben in quest’ora giunse,
635» Maledetto Giaurro!....»
E qual per negre
Sponde selvaggie, serpeggiando volge
Il fiume a l’Oceàn, e come l’onda
Alto-sorgente in rigogliose, azzurre
Colonne all’urto regge, e dal suo lido
640Lontan respinge in vorticose spume,
E misti flutti la torba fiumana;
E il mare intanto rimbalzato e rotto,
D’Aquilo al soffio imperversando, in vasti
Gorghi s’aggira, o col fragor del tuono
645Batte gli umidi vepri scintillanti,
E de l’acque vampeggiano i baleni
In terribil bianchezza, su la spiaggia
Che splende, e trema sotto il mugghio orrendo,
Così; e come il torrente, e il mar si guatano,
650Con onde che infuriar denno se scontransi;

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Le avverse squadre da insultar scambievole,
Da rabbia, e da destin sospinte assalgonsi;
I contendenti acciar in scheggie volano,
E lunge, e presso, dissonante svegliasi,
655Su l’orecchio dolente, eco di sibili
E di scoppj di morte; e gli urti, e il gemito
De la guerra, e il frastuono, assordan l’aere,
Sì che intronata n’è la valle, ai cantici
Usa più del pastor. Quì pochi i numeri
660Son de le destre, ma il pugnar terribile,
E tal, che voce non ascolta, o palpito
Di vita, e di perdon. Teneramente
L’un su l’altro posar duo giovinetti
Cuori ben ponno, e le dolci carezze
665Dividere d’amor; ma amore istesso
Anelar non potrìa fervido tanto,
Sospirosa beltade a far giuliva,
Quant’odio anèla, allor che in fero ed ultimo
Amplesso duo crudi rivali afferransi,
670E nel furor de la battaglia allacciansi,
Stretti così, che le conserte braccia
Non fia che mai più da lo stringer sciolgansi;
Uniti van, ma per lasciarsi un giorno
I fidi amici; di costanza al nome
675Irrìde amor, ma se un fatale istante

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Ardenti, inesorabili, sospinge,
Duo nemici a incontrarse, in atto truce
Van’ congiunti sotterra.*     *     *     *     *     
*     *     *     *     *     

È rotto il brando all’elsa ancor stillante
680Del sangue che versò, stretta pur anco
Dalla destra che mozza, al ferro infido,
Palpita intorno. Il suo turbante è a tergo
Fesso dove più salde avea le pieghe;
E la sfarzosa veste, lacerata
685Dai coltelli, vermiglia è come nembo
Che di fosco rossor strisciato all’alba,
Qual avrà il giorno tempestosa sera
Predice all’uom. Ove un sol brano pende
Del Palampor,18 ivi sanguigna vedi
690Ogni fronda, ogni spino; aperto il petto
È da mille ferite, su la terra
L’omero posa, vôlta è al ciel la faccia....
Tal cadde Hassan, tal giace; semi-chiuso
L’occhio abbassato è sul, nemico ancora?
695Quasi del suo destin l’ultimo istante
Spento non sia, quasi insatollo in seno
L’odio gli viva ancor. Con ciglio negro,
Come lo insanguinato suo, sta fiso

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Su la salma il rival...   *     *     *     *     *     
*     *     *     *     *     
*     *     *     *     *     

» Nel mar profondo,
700» Lejla sì dorma; più vermiglia tomba
» Hassano avrà. Lo spirto di colei
» Drizzò maestro al suo rio cor l’acciaro,
» Che gli apprese ad amar; il suo Profeta
» Invocava il crudel; contro al Giaurro
705» Vendicatore ogni poter fu vano;
» Allà chiamava, e non udita sôrse,
» O dispregiata la sua voce. Folle
» Pagano tu, che il ciel credesti ai preghi
» Di Lejla sordo, e a’ tuoi pietoso!... L’ora
710» Ben I’ guatai; misto a costor assalsi
» In suo vïaggio il traditor; satolla
» È l’ira mia; l’opra compiuta;.... io parto....
» E solo!....*     *     *     *     *     *     *     *     
*     *     *     *     *     
*     *     *     *     *     

Il tintinnìo de’ ruminanti
Cameli udìssi; alto a la grata corse
715La madre sua; vide su le pasture

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Verdeggianti diffondersi la fresca
Rugiada de la sera, in cielo vide
Languidamente scintillar le stelle.
» Imbruna omai,.... nè saran ei ben lunge....»
720Impaziente dal pergolo s’invola
La donna, e sorge a la difficil torre;
Guata;...» perch’ei non vien? Son pur veloci
» I suoi destrier, nè per estivo ardore
» Unqua fur lassi. Perchè mai lo sposo
725» Il don promesso non invìa? Cotanto
» Gelido ha il cor, o men che suole presto
» Muove il barbero suo?.... Stolta rampogna!
» Mira! valica il tartaro la vetta,
» Del vicin monte;.... cauto giù per l’erta
730» Ecco discende;.... è ne la valle, e i doni
» Ha in sull’arcion.... Ed I’ stolta credea
» Tardi i corsieri?.... Oh, giunga! Avrà qual déssi
» A lungo camminar, e a la gradita
» Foga, larga mercè....» Balzò di sella
735Appo la soglia il messaggier, ma a stento
Resse il non greve pondo; il fosco viso
Dipinto avea d’affanno;.... ansia quell’era
Forse di lungo viaggio;.... era di sangue
La macchia de le vesti;.... ma dal fianco
740Del corridor forse lo trasse;.... alfine

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Scoverse il tristo don.... Angiol di morte!
È il rosseggiante suo Caftan!.... D’Hassano
È il lacero Calpak 19!.... È il suo turbante
Diviso e pesto!....» A fatal sposa, o Donna,
745» Il figlio tuo n’andò! Me lasciâr salvo,
» Per pietà nò, ma perchè il mesto pegno
» A te recassi.... Pace sia col prode
» Che insanguinato cadde!.... Affanno, al crudo
» Giaurro!.... Ei l’atterrò!....    *     *     
*     *     *     *     *     
*     *     *     *     *     *     *     
Su rozza pietra
750Un turbante scolpito,20 una colonna
Di folt’erbe selvaggie ricoperta
Sì, che mal cerchi del Koran le incise
Parole, onde confortasi l’estinto,
T’additan dove in la solinga valle
755Vittima cadde Hassan. Ei lá sen’ giace,
Fido Osmanlì, quant’altri mai ch’a spregio
Ebbe il nappo vietato, e le ginocchia
A la Mecca piegò; quant’altri mai
Pregò all’arca rivolto, e all’orizzonte,
760Del solenne Allàh-ù 21 ridesto al canto;
Ed ei là cadde da straniera mano
Sul natìo suol trafitto, e là perìo

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Fra l’armi, e non vendetta ebbe di sangue;
Ma gli fan dolce, a le lor sale, invito
765Le giovinette del felice Eliso;
E per lui sempre splenderan le sfere,
Per gli occhi delle Urì fosco-lucenti.
Ecco, movongli incontro; ecco agitando
Le verdi bende22 accolgono già il forte
770In lieto amplesso! Spirò sì, ma degno
Dell’Eliso immortal, contro al Giaurro,
Chi pugnando spirò.... *     *     *     *     
*     *     *     *     *     
*     *     *     *     *     

E tu tristo infedel, sotto la falce
Vendicatrice di Monkir,23 le membra
775Contorcerai; tu, dal crudel governo
Se scampar ti fia dato, al tenebroso
Seggio d’Eblìs24 errante andrai d’intorno;
In non mai spento, inestinguibil foco
Vivrà il tuo cor, nè labbro dir, nè orecchio
780Udir potrìa di quel segreto inferno
Tutte le angoscie; ma, dentro a la fossa
Anzi che sciolto sia il tuo fral, in terra
Vampìro25 tornerai; sul natìo suolo
Orribilmente vagolando, il sangue
785Suggerai di tua razza; in somma notte

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A la sposa, a la figlia, a la sorella
Ogni fonte di vita, entro le vene
Essiccherai, da sovr’umana possa
Spinto al nefando pasto, onde tua scarna,
790Movente salma nutricar si debbe;
E le vittime tue, l’ultimo spiro
Pria di mandar, padre, fratel, consorte
Conosceranti, o dèmone, imprecando
Te, d’essi imprecator; così fia sperso
795Ogni tuo fiore su lo stel.... Pur una,
Giovin più, più a te cara, udrai col dolce
Nome di Padre addomandarti, e fiamma
Sarà, che il cor t’avvincerà, quel nome.
Ma l’opra tua compirai tu; l’estremo
800Colorarsi vedrai de la sua guancia,
E la scintilla di sue luci estrema,
E il vitreo sostener sguardo dovrai,
Che il non più vivo azzurro alfin ne agghiaccia.
Con empia man de’ biondi suoi capegli
805Allor le treccie strapperai, le treccie
Di che una ciocca un dì recisa, pegno
D’amore söavissimo portavi;
E or svellerle dovrai tutte, e compagne
Del tuo feroce agonizzar recarle.
810Del tuo sangue miglior, stillerà intanto

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Il digrignato dente, e il labbro immondo,
E lento, lento, incederai ver’ l’atro
Sepolcro tuo, coi démoni, e le erinni
A delirar, finchè d’orror compresi
815Te pur essi non fuggano, te, osceno
Spettro di lor più maledetto....*     *     
*     *     *     *     *     

» Nome, dimmi, qual ha, quel ch’I’ là scerno
» Calojero26 solingo? Le sembianze
» Ne scôrsi io già su la mia patria terra;
820» Molt’anni or son, dacchè pungere a fuga,
» Per ermo lido tal corsier lo vidi,
» Qual mai di cavalier fu pronto all’uopo,
» E così vinto dall’interno affanno,
» Ch’obbliarlo impossibile mi fue.
825» Parmi che come allor, negro lo spirto
» E’ serbi ancora, quasi impressa rechi
» La morte in fronte....» —
» A la novella estate
» Gli anni due volte fiano tre, ch’apparve
» Fra noi quest’uom, tetto cercando, e asìlo,
830» Per tal opra di tenebre, che mai
» Svelar non volle; a vespertina prece
» Unqua con noi non scende, e penitente

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» Mai non si prostra, nè di salmo, o incenso,
» Ch’al Cielo salga ha cura; entro sua cella,
» Come la fede, sconosciuta ei serba
835» Così la stirpe sua; per l’onde venne
» Da suol pagano; qui dal lido ei sorse;
» Nè de la razza ei par d’Otmàn; e faccia
» Ha solo di Cristian. Credei quest’uno,
» Sempr’io di quei, che per Macon la santa
840«Nostra legge tradîr, ora del sozzo
» Scambio pentito; ma l’augusta immago
» Ei fugge ognora, nè di sacro cibo
» L’alma nutrìca mai; largo di doni
» Fu a queste mura, ond’è che molto l’ama
845» Il rettor nostro... ma foss’io quì primo,
» Non un sol giorno ancor, potrei di questo
» Stranier l’aspetto sopportar, o chiuso
» In carcer tetro, ad espiar suoi falli
» Per sempre il dannerei. Spesso l’udresti,
850» Di fanciulla nel pèlago sommersa
» In sue visioni mormorar; di brandi
» Scontrantisi, d’oltraggi, di vendetta,
» Di nemici fuggenti, e d’un trafitto
» Mussulman, e sul monte pur fu scorto
855» Delirar, quasi vólto a insanguinata,
» Or, or dal braccio suo natìo recisa,

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» Destra, che vede ei sol, e che gli accenna
» De la tomba il cammin, e ne lo adesca,
» A balzar dentro l’onde.*     *     *     
*     *     *     *     *     


860Fosco, e non di quaggiù, sotto al suo bruno
Cappuccio arde il cipiglio, e andati eventi
Il balenar de l’ampia sua pupilla
Svela, ahi, pur troppo! Sebben varia splenda
D’indistinto color, fera è cotanto
865Che, de lo scontro suo pentito, altrove
Spesso l’audace scrutator n’è vólto.
Perchè quell’ivi è ascosa, e di lì parla,
Da altro niuno parlabile favella,
Che non ha in terra nome, e la sfrenata
870Alma superba, che su l’alme impero
Vuole, e il mantien. Pari a l’augel che i vanni
Squassa tremando, ma fuggir non puote
Da l’angue amaliator che lo rimira,
Sotto lo sguardo di colui s’agghiaccia
875Ognun che il fisa, e sì che più non cura
L’occhio evitar, cui sofferir mal regge.
Mezzo atterrito il fraticel solingo
Per via lo scansa, quasi inganno, o tema
Quel ciglio infonda, e quel sogghigno amaro.

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880Nè spesso a riso scende, ma se il volto
A riso egli compon’, orrendo allora
È a mirarsi così, come se crudo
Al misero irridesse. Oh, come il labbro
S’aggrinza, e trema! come poi s’arresta
885Qual se per sempre, o qual se duolo, o sdegno
Di mai più non sorridere gli imponga!
Ed, oh pur fosse! Sì terribil gioja
Di piacer mai non nacque. Assai più tristo
Dipinger fora que’ che fur già affetti
890Su la sua faccia. D’invariabil segno,
Il tempo ancor non la solcò; ma un misto
Su vi sparse di fulgide sembianze,
E d’aspetto malvagio, e v’è tal tinta
Che non fu sempre squallida, e che svela
895Spirto sozzo non tutto da le colpe,
In che s’immerse. Oscurità di duri
Casi la crede, o giusta pena, il volgo;
Ma più severo indagator discerne
Il nobil core in lui, l’altera stirpe
900Indarno, ahi! spesi. Ben potè il delitto,
L’una macchiar, l’altra cangiar l’affanno,
Ma vil non era chi in bel don le ottenne,
Sebben compreso da spavento, in lui
Ogni sguardo or s’affisi. Umìl capanna

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905Squarciata, e senza tetto, in suo vïaggio
Passeggier non arresta; eccelsa torre,
Ben che vinta dai turbini, e dall’armi,
Se un merlo solo anco ne sorga, l’occhio
De lo stranier chiama, e atterrisce; l’arco
910Fra l’edera nascoso, ed il solingo
Pilastro, narra alteramente i fasti
E le glorie passate;     *     *     *     *     *     
*     *     *     *     *     
*     *     *     *     *     
*     *     *     *     *     

» L’ondeggiante
» Veste d’intorno a sè raccolta, ei move,
» Lento fra le colonne; spaventoso
915» A chi lo mira, fosco ei pur guatando
» L’opra, onde santo è più l’altar. Ma, canto
» Se l’aula scuote, ma se il pio si prostra,
» Ei si dilegua allor; sotto a quegli archi,
» Di quell’unica face al dubbio lume,
920» L’aspetto suo, come fiammeggia!... E quivi
» Ei si starà fin’che si compia il rito;
» Le preci udrà, ma non sciorranne; oh, il mira
» Appo a quel muro, a quel baglior! Caduto
» Su l’omero è il cappuccio, e giù discende
925» Ispido, e si contorce, e s’innanella

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» Il nero crin su la pallida fronte,
» Quasi v’abbia, nerissima una treccia
» De l’angui ch’erran sul suo capo orrendo
» La gòrgone, diffusa. Ancor ch’a noi
930» Simile il vegga, ei nostre leggi abborre,
» Ond’è che folte di profana chioma
» Lascia così le tempia, e non pietate,
» Quell’è, ma orgoglio sol, per cui tant’empie
» Di tesor’ queste mura, che nè salmo
935» Nè voto mai de la sua bocca udiro.
» Or mira, deh! ch’in più forte concento
» L’armonìa de le lodi alto si spande,
» Quella squallida guancia, e quello starsi,
» Siccome pietra immoto, ed il sospetto,
940» E il disperar di quel sembiante! Al tempio,
» Spirti del ciel ne lo togliete, pria
» Che lo sdegno di Dio, con più tremendo
» Segno, a noi s’appalesi! Oh, se mortale,
» Spoglia un giorno coverse angiol di colpa,
945» Genio infernal, certo quell’è ch’ei reca!
» Nò, pel’ perdon de le peccata mie,
» Di che tanta ho speranza, non terreno,
» Nè fù celeste quello sguardo, mai!...»
*     *     *     *     *     
*     *     *     *     *     *     


[p. 166 modifica]

Servi d’amore
950Sono i teneri cor; ma non possente
Regna sovr’essi amor. Timidi, ahi, troppo!
Mal dividon sue pene; e i suoi periglj,
E il disperato viver suo mal sanno
Affrontare que’ miseri; ma il forte,
955L’altero cor, cruda qual è riceve
La ferita, cui tempo unqua non sana.
Metal così s’infoca anzi che brilli
La sua ruvida faccia, e quando in grembo
De la fornace, tra le fiamme è spinto
960Si contorce, si scioglie, si confonde,
Pur natura non cangia; indi temprato
All’uopo tuo, pel’tuo voler dà morte,
O da morte ti salva, usbergo in l’ora
De la battaglia, o spada che nel sangue
965Del nemico si tinge; ma se forma
Di pugnal ei riceve, oh, tremin’ essi
Ch’affiláro il suo taglio! ... E così foco
D’amor, così femmineo dolce inganno
Ogni più duro cor soggioga, e muta.
970Ei ne tragge l’aspetto, ed il costume,
Qual diventa rimàn, e pria si spezza,
Ma più non torna a la sembianza antica.
*     *     *     *     *     


[p. 167 modifica]

Lieve è al meschin che cessi il duol conforto,
975Se mesta solitudine il circonda
Poi che il duolo cessò men crudo fora
Al vuoto sen l’affanno ond’era colmo.
Abborre l’uom quello che niuno in terra
Con lui divide; tormentoso è il bene
980Che godersi dee solo, e al cor che resta
Desolato così, convien sollievo
Trovar nell’odio alfin. Misero core!
Ei vive sì, ma qual vivrebbe salma,
Che a sè d’intorno trascinarsi il freddo
985Verme sentir potesse, e allor che il sozzo
Sul sonno suo corrompitor festeggia,
Abbrividir, ma d’ogni forza priva,
Onde il lento scacciar de la sua creta
Divorator. Misero core, ei vive!
990Ma simile all’augello del deserto,27
Che il sen col rostro si dilania, e accheta
Il pigolar de l’affamata prole,
Nè un lagno manda, per sua vita in ella
Così trasfusa, se il devoto petto
995Recando ai figlj, abbandonato il nido
Trovasse, e i figlj via fuggiti. Acerba
Tanto, pena non v’ha che all’infelice
Dolce non fora, nell’orrendo vuoto,

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Ne l’arido deserto de la mente,
1000E degli invano palpitanti affetti,
Fra l’immensa ruina. Anzi che l’onde
Non affrontar più mai, terribil meno
De la tempesta è il rugghio; anzi che starse
Naufrago solitario in ermo lido,
1005In silenziosa baja, o in triste calma
Languir non visto su lo scoglio, morte
Sotto il gorgo fremente aversi è dolce...
*     *     *     *     *     
*     *     *     *     *     

» Padre! In uffici numerati e santi,
» E in preghi innumerevoli consunti,
1010» Fur di pace i tuoi giorni; e l’uom da colpa
» Rattener; te, da colpa intatto, e scarco
» Da cure atre, serbar, nè altro che i lievi
» D’ognun che vive passeggieri danni
» Paziente sofferir, destin fu questo
1015» De’ tuoi verd’anni, e de’ canuti, salvo,
» Felice te! da l’ira de’ furenti
» Indomabili affetti, che ti svela
» Il mesto peccator, quando suo’ falli
» E il segreto suo duolo a te confida,
1020» E tu pietoso dentro al cor l’ascondi.

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» Ma i pochi giorni miei, quaggiù passaro
» In molta gioja sì, ma in più d’affanno.
» Pur nell’ore d’amor, ne le trist’ore
» De la sventura, mai penar di vita
1025» Vinto non hammi, e degli amici in seno,
» O de’ nemici fra le insidie avvolto,
» Languente posa non conobbi I’ mai.
» Ed or che nullo più ad amar mi resta,
» Nullo ad odiar, ora che orgoglio e speme
1030» Taccionmi in petto, me’ che fiso starmi
» Contemplator d’invarïabil die,
» Agitarmi vorrei, pari a l’immondo
» Verme rosicator, che rampicante
» Va, per lo muro su di prigion tetra...
1035» E pur si cela in questo cor desìo
» Di pace! ma provar quel che sia pace,
» Bramar non so; tanto desìo ben tosto
» Appagherà il mio fato, e allor sotterra
» Io dormirò; ma senza il caro sogno
1040» De’ miei sonni passati, e che pur caro
» Sarìami ancor, sì, ancor che negro, o padre,
» Come fur l’opre mie! Tomba di gioje,
» Morte, ahimè! da lungh’anni, è la mia mente,
» E sol ne la speranza è il lor destino;
1045» Oh quand’esse perir, perch’io non caddi,

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» Pria che sì dura trar vita di guai!
» E non da angoscia d’incessante pena
» L’alma mia rifuggì; non de lo stolto
» De le passate etadi, e non del tristo
1050» Di nostra età la volontaria tomba
» Unqua cercò. Di morte al diro scontro
» Non m’arretrai; dolce trovarla in campo
» Stato mi fora, chè di gloria almeno,
» E non servo d’amor côlto m’avrìa.
1055» Morte I’ sfidai, non per desìo d’onore;
» Via di bassa mercè, via d’alta fama
» Altri si schiuda; conquistati allori,
» Palme perdute, io sol rimiro, e rido.
» Ma tal cui degna del mio braccio estimi
1060» Ponmi all’occhio d’innanzi un altra fiata;
» Pon la vergine ch’amo, o l’uom che abborro,
» E tra le spade, e il turbin de le fiamme
» Su l’orme del destin, a suo talento
» Uccidere, o salvar, tu mi vedrai.
1065» D’uomo ch’oprar quel che già oprò vorrìa,
» Non dubitar, parole udisti. Morte
» Affrontano gli eroi; sorte del fiacco
» È l’aspettarla; il misero l’invoca.
» Torni la vita al suo Fattor; felice
1070» Quand’era e forte I’ non tremai; degg’io

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» Ora tremar!... Perchè!    *     *     *     
*     *     *     *     *     
*     *     *     *     *     *     

» Padre, I’ l’amai!
» Sì, l’adorai! ma quello dirti è poco,
» Ch’ogni labbro potrìa; più che col labbro,
» I’lo provai con questo braccio. Sangue
1075» Sta su quel brando, nè l’orrenda macchia
» Mai dal suo ferro partirà. Versosse
» Per lei, che morte ebbe per me; le vene
» Accese ei già d’un abborrito core...
» Non ti turbar, no, non prostrarti, ch’opra
1080» Questa non è che rammentar tu deggia
» Fra le mie colpe; allor ch’a te fia noto
» Ch’era colui di nostra fè nemico,
» Che su l’empia sua bocca moribonda,
» D’assenzio amaro più, del Nazareno
1085» Il nome sorse, all’opra mia perdono
» Concederai tu allor. Ei cadde, e, stolto!
» Ingrato! non pensò che per acciaro
» Cui man tratti di prode, e per ferita
» Di Galileo vassi a le eterne sale
1090» Del suo Profeta, e impazïenti, e vaghe
» Del giugner suo su le felici porte
» Vegliavano le Urì...Sì, ch’io l’amai!

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» Per lochi orrendi, ove di preda in cerca
» Ne manco entrar lupo vorrìa, si schiude
1095» Amore anco un sentier; oh, s’ei può tanto,
» Crudo ben fora sul difficil calle
» Non trovar guiderdon!... Pur io non l’ebbi;
» E quando, e dove I’lo cercai, ma indarno,
» E perchè invan lo sospirai, mal giova
1100» Ch’or tu mi chiegga. Dentro al cor talora,
» E n’ho rimorso, inutile una brama
» Sento, ch’amato non m’avesse mai!
» Morì... Di più dirti non oso... Oh, leggi!
» Leggilo! È scritto sul mio ciglio; in note
1105» Che tempo non cancella, ivi il peccato,
» Ivi il decreto di Caïno è scritto!
» Non condannarmi ancor; t’arresta; m’odi;
» Non io l’uccisi; di sua sorte solo
» I’fui cagion, ed ei sol fe’ quel ch’io
1110» Pur fatto avrei, se, più che ad uno, infida
» Cólta l’avessi... Lui tradì; la spense
» Il braccio suo; me dolce amava; ei giacque,
» E per mia man. Del suo tradir colei
» Ebbe da lui mercè; ma per me fede
1115» Fu il suo tradir, chè il cor dato m’avea,
» Unico il cor, cui tirannìa non possa
» In servitù condurre! ed ahi, che tardo

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» A salvarla giuns’io! pur giunsi; e allora
» Quant’era in me possa d’oprar, oprai,
1120» E, a confortarla almen, spinsi quel crudo
» Sotterra ad abitar. Ei cadde; appena
» I’ lo rammento; ma il destin di lei!
» Oh il suo destino! qual mi vedi o padre,
» Qual odiar mi vorresti, or m’ha ridutto!
1125» Fisso era il fato di colui; l’austero
» Tahìr28 ben gliel’ dicea, che di vicina
» Morte il colpo suonar, profondo, oscuro,
» Su l’orecchio profetico29 gli feo
» A lo stretto ov’ei giace, e seco ha i suoi.
1130» Ne la mischia ei perì; nel fero istante
» In che di stento, e di dolor è muto
» Ogni pensier, d’aïta un grido ei spinse
» A Macometto, ad Allà un prego; audace
» Mi conobbe, m’assalse. I’ lo guatai
1135» Là dove ei cadde, e il guatai sì, che vidi
» Lo suo spirto fuggir. Cadde, qual cade
» Pardo da stral di cacciator trafitto,
» Ma tormento simìle a quel che m’ange,
» No, non provò. D’un lacerato core
1140» Cercai le traccie sul suo volto indarno;
» Non rimorso, ma rabbia avea composta
» Di quell’orrida salma ogni sembianza.

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» Oh, quanta mai, scorto vendetta avrìa,
» Disperazion su la morente faccia,
1145» In quell’ora terribile, in che tardo
» È ogni pentir, e penitenza vinta
» È sì, che più una lagrima non versa
» Sul terror de la tomba, e non consola,
» E più salvar non può!... *     *     *     
*     *     *     *     *     
*     *     *     *     *     *     

» Gelido il sangue
1150» Empie le vene a chi la vita s’ebbe
» Sotto gelido ciel; d’Amore al nome,
» L’Amor ch’ei sente riconosci appena.
» Ma qual flutto di lava, che nel grembo
» D’Etna ignivomo bolle, il sangue mio
1155» Sorgea così. No, che in languente metro,
» L’amor di lei, di sua beltà l’incanto
» Non ti poss’io ridir! Se ardenti fibre,
» Se cangievole faccia, e labbro avvezzo
» A fremito di duol, non a querela,
1160» Se delirante cerebro, se cuore
» In fiamme ognor, se audaci imprese, e brando
» Vendicatore, se quanti I’ penai,
» E quant’io peno, se, più ancor di queste,
» Acerbe prove, segni son d’amore

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1165» Quel mio, ben era amor. Gemito mai,
» Non mai sospir, su le mie labbra apparve;
» Morte invocar io seppi solo, e morte,
» Vedi, s’appressa. Oh, vegna alfin! Fu mia
» Lejla! Beato I’ fui!... Sorte ch’io volli,
1170» Di’, poss’io rampognar?
Tutto perdei!
» E reggo ancor, di Lejla mia trafitta
» Tranne al pensier. Deh! rendimi pur mista
» A l’affanno la gioja, ed io ritorno
» A la vita, e a l’amor! Per chi sen’muore,
1175» Padre, non gemo io no; per lei sospiro,
» Per lei sol che morì; sotto il movente
» Gorgo ella giace; oh, perchè in terra, fossa
» Non diérle i crudi! Il mio straziato cuore,
» L’inquieto desir, cercarla almeno,
1180» E trovarla potrebbe, e il breve tetto
» Dividere con lei! Forma di luce
» Era colei, forma che, se la scorgi,
» Parte si fa degli occhi tuoi; sorgea
» Ovunque i lumi io rivolgessi, innanzi
1185» A la mia mente ognor, amica stella!
» Candida stella del mattin!....
Sì Amore
» Luce è del Cielo! Sì, favilla Amore

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» È del foco immortal, che l’uomo in terra
» Coi Celesti divide; all’uom concesso
1190» Perchè ogni abbietto suo desìr da questo
» Basso loco sollevi; all’alma è scorta
» Devoto affetto, ma ver’ lei mutato
» In amor scende il cielo; oh! pensier dolce
» D’eterna mente, ch’a le nostre toglie
1195» Ogni sozzo pensier! Raggio di Lui
» Che del tutto è fattor! Terrena brama
» Ben fu quella che m’arse, e si che nome
» Mal si merta d’amor; qual più vuoi, colpa
» Padre l’appella; ma di’ solo, oh! dimmi
1200» Che rea Lejla non era; di mia vita
» Face secura... è spenta! Or deh, qual raggio
« Per la mia notte brillerà! Splendesse,
» Oh sì! splendesse almen su la mia morte,
» Sul più fatal de mali miei!
Stupito
1205» Perchè ti veggio io mai, di chi perdèo
» Ogni gioja di vita, e ogni speranza,
» E docile il suo duol più non sostiene,
» E feramente il suo destino accusa,
» Ed a sventura, in sue terribil’opre,
1210» In suo cieco furor, delitto aggiugne?
» Ahimè! quel core, ch’entro al sen nascoso

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» Nuota nel sangue, di nemico ferro
» Colpo non teme; chi giù da felice
» Vetta precipitò, pensier non ebbe
1215» Dell’abisso ove cadde; orrende, o veglio,
» Come di negro vùlture, d’innanzi
» Hai le mie colpe;... lo spavento io scerno
» Già sul tuo ciglio,....tu mi abborri!... E tanto
» Nacqui io dunque a soffrir?.... Strage per tutto
1220» Come il rapace volator io sparsi,
» Ma a morir, ma ad amar d’un solo amore
» La tortora m’apprese. Oh, vedi scuola
» Che la mesta dal nido all’uomo porge,
» E l’uom superbo ne la spregia! In grembo
1225» Al felcèto l’augel col dolce canto
» L’unica invoca sua compagna, il cigno
» Nel caro lago col nuotar leggiadro
» La cerca ei pur...Folle, chi irrìde a casto,
» Immutabile ardor! Di beltà vana
1230» A più vana beltà, volubil’ erri,
» Non invidia, o desìr, di sue variate
» Gioje me punge, del solingo cigno
» Apprezzo io men’uomo che in petto chiude
» Un cor sì fiacco, o non ha cor. Abbietto
1235» Mortal, sì, abbietto più de la fidata
» Fanciulla incauta ch’ei tradì! Vergogna

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» Tanta i miei giorni non ricopre almeno!
» Solo mia Lejla tu, di questa mente
» Fosti pensiero ognor, tu mio tesoro,
1240» Amor mio, tu mia colpa, affanno mio,
» Tu lassù mia speranza, in terra tutto!....
» Donna simìle a te, no che non serba
» Ora più il mondo, o per me invan la serba,
» E ardire io non avrei di mirar Donna
1245» Che fosse a te simile, e te non fosse!
» Deh, per le colpe, ond’i begl’anni miei
» Fur guasti sì, da questo deh, ’ve giaccio
» Letto di morte, tardo, ahi troppo! un pegno
» De la mia fè ricevi, oh tu, che dolce,
1250» Qual eri, or sei di questo sen tormento!

» E andò perduta!.... ed io rimasi,.... vivo,
» Ma non di vita d’uom; chè al cuore intorno
» Mi s’attorse un serpente, e sì mi punse,
» Ch’ogni pensiero mio destò a conflitto.
1255» E tempo, e loco odiai; lo dolce aspetto
» Fuggii tremante di natura, e negro
» Come il mio sen, ogni più bel colore
» Al mio sguardo si fe’. De’ casi miei
» L’orrenda fin’ or tu conosci, e il duolo
1260» Che mi divora, e le mie colpe. Il mondo

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» Me penitente non vedrà, ch’omai,
» E ben tu il scerni, dipartirmen’ deggio;
» Oh, perchè i santi preghi tuoi non ponno
» Tanto lassù, che quel che fu, non sia!
1265» No che ingrato io non son; ma tanto affanno,
» Credi, sperar da te non può conforto;
» Mira de l’alma, deh! l’angoscia estrema,
» E s’hai di me pietà, contempla, e taci.
» Rendimi Lejla, ond’io ritorni a vita,
1270» E supplice m’avrai del tuo perdono,
» E in Cielo allora di votive preci
» Farai tesor per me.... Vanne, blandisci,
» Solinga lïonessa a cui dall’antro
» Rapì la man del cacciatore i figlj,
1275» E la placa, se puoi. Deh, a la sventura
» Non insultar,!.... non lusingar mie pene!...

» In quei primieri dì d’ore tranquille,
» Allor che dolce è sì d’un cor nell’altro
» Versar gli affetti; là dove fiorente
1280» Il grembo è più de la natìa mia valle,
» Aveami;... ed or?.... chi sa!.... fido un amico.
» Questo, deh tu! di giovanile amore
» Pegno gl’arreca; fia memoria almeno
» Del fin mio tristo. In procellosa vita

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1285» L’anima assorta, scarsi, è ver, concesse
» Pensieri a dritto d’amistà lontana;
» Pur caro ancor, questo perduto nome,
» Credi, gli suonerà. Di mia rea sorte
» Profeta ei fummi; I’ ne sorrisi,... e allora
1290» Sorriderne potea; parlò, ma invano,
» Prudente il labbro suo; prego o consiglio
» Non valse, no;... ma ben va rimembranza
» Or momorando i non creduti accenti.
» Digli, del mio destin compiuto alfine,
1295» E inorridir de’ negri suoi presagi
» Tu lo vedrai, tu de le sue parole
» La fatal veritade odiar l’udrai.
» Digli, che in sen di tante cure, i giorni
» Aurei di nostra giovinezza appena
1300» Rammentar I’ potei; ma che in l’estreme
» Angoscie, digli, a benedir suo nome
» La moribonda bocca mia si schiuse;
» Ahi, forse il ciel ne l’ira sua disperde
» Voto ch’a prò del giusto il reo gli manda!
1305» Digli, ma non che immaculato ei serbi
» Il nome mio; troppo è gentil quel core,
» Perchè l’oltraggio io ne paventi, e fama
» Più non apprezzo omai. Nè ch’ei non pianga
» Chiedi per me, ch’ingiuria fora; oh, tomba

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1310» Di fratello, qual mai, confortatrice,
» Più de la sua, stilla bagnar potrìa?
» Porgigli quest’anel, fu suo... Gli narra
» Quello ch’or vedi... Illanguidite forme,
» Sconvolta mente, ed aggrezzato frale,
1315» Di mal dome passion naufragio immenso...
» Foglia appassita, cui la fredda sperde
» Brezza autunnal!*     *     *     *     
*     *     *     *     *     

» Non d’abbagliante raggio
» Di fantasìa, più mi favella. Padre!
» Sogno non fu, chè il sognatore, ahi! pria
1320» Chiude al sonno le luci,... e I’ vegliai sempre,..
» E di pianger bramai, ma l’arsa fronte
» Palpitò, com’or palpita il mio core,
» E pianger non potei... Sì, come un giorno,
» E nuova, e dolce, e cara, io la bramai
1325» Una lagrima sola, e ancor la bramo,
» Ma d’ogni mio voler, più forte insorge
» Disperazion, d’ogni tua calda prece
» Possente più. Viver potessi lieto,
» I’ nol vorrei; felicità non curo,
1330» Pace sol chieggo! ... E tal divenni allora
» Ch’Io la rividi, o Padre! Un’altra fiata

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» Visse colei, sì visse, e radïante
» In sua candida gonna, al par dell’astro
» Che fra le grigie, là, pallide nubi
1335» Or io rimiro, come allor mirai
» Lei che amabil così volgea lo sguardo;
» Negra vegg’io la tremula favilla,
» E ben la notte di domàn più negra
» Fia che la vegga! Inanimata spoglia,
1340» Ma vivente terror, pria che il suo raggio
» Spunti, io sarò. Padre, io deliro!... Sento
» Ch’al confin de la vita omai sen’fugge
» Lo spirto mio... Sì, ch’io la vidi... e sórsi
» Dei nostri affanni immemore!... Balzando
1345» Da le coltri l’afferro, e stringo, e premo
» Sul disperato sen... Premo?... Chi mai?...
» Non bocca che respiri in tanto amplesso?...
» Non cuor che batta, ed al cor mio risponda...
» Pur quel sembiante è tuo! tue son le forme!
1350» E sei tu Lejla? Lejla amata? E or tanto
» Cangiata, e sì che l’occhio mio ricerchi,
» E a la destra t’involi? Oh, sia pur fredda,
» E quale or, sempre tua beltà! Ma al seno
» Stringanti queste braccia, o caro oggetto
1355» Cui sostener bramaron ’tanto... Ahi, lasso!
» Ombra vuota se’ tu, ritornan vuote

[p. 183 modifica]

» Al solitario petto... Eppur costei,
» Mirala, è qui, con fulgid’occhio e negro,
» Col crine avvinto, mutola, accennando
1360» Con mano supplichevole... Menzogna
» Quello fu, che narrar; nò, non morìo,
» Che morir non potea... Ben ei fu spento
» Entro a la valle, e dove cadde, il vidi
» Discender ne la fossa... e quì non viene,
1365» Chè da la dura terra, ond’è coverto,
» Uscir più, non potrìa... Deh! perchè desta
» O Lejla mia se’ tu? Disser’ ch’enormi,
» E spaventose s’aggiravan’ l’onde
» Su le forme ch’adoro, e su la faccia
1370» In che m’affiso; disser’... ma quell’era
» Orrend’istoria, nè ridirla io posso,
» Perchè il labbro vien’manco... Oh! Se dal fondo
» Del marino tuo speco, è ver che giugni
» A chieder tomba più tranquilla, stendi,
1375» Lejla mia, deh!, l’umida man su questa
» Fronte, onde più non arda, e sul mio cuore,
» Che più speme non ha, posa il tuo dito.
» Ombra, o donna, qual sii, più dal mio fianco
» Per pietà non fuggir, o teco lunge,
1380» Più che vento non spinge, e flutto corre,
» Porta l’anima mia!...

[p. 184 modifica]

» Quest’è il mio nome,
» Padre, e son que’ ch’ udisti i casi miei;
» Tutte spirai nel tuo segreto orecchio
» Le pene ond’I’ mi dolgo, e a te son grato
1385» Del generoso lagrimar, che mai
» Non versâr le mie gelide pupille.
» Appo al più umile degli estinti adagia
» Questo mio fral; povera croce sorga
» Sul capo mio; non marmo nò, non cifra
1390» Cui legga lo stranier, e il passo arresti
» Del pellegrin...»
Così morìo: quel tranne,
Che lo pietoso nel terribil giorno
Udìo, nè può ridir, avanzo, o segno
Di sua stirpe non resta, e del suo nome;
1395E sola istoria, è questo rotto carme
Di lei che tanto amò, di lui che uccise.


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