Iliade (Monti)/Libro XII

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Omero - Iliade (Antichità)
Traduzione dal greco di Vincenzo Monti (1825)
Libro XII
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LIBRO DUODECIMO


ARGOMENTO

I Troiani, lasciati, per consiglio di Polidamante, i loro carri, varcano la fossa che circonda gli accampamenti dei Greci; e benchè spaventati da un prodigio celeste, pure assalgono la muraglia. Sarpedonte ne crolla uno dei merli. Aiace e Teucro oppongonsi a lui. Ettore, infrante con un macigno le porte, entra seguito dai Troiani. I Greci fuggono verso le navi.


Così dentro alle tende medicava
D’Eurípilo la piaga il valoroso
Menezíade. Frattanto alla rinfusa
Pugnan Teucri ed Achei; nè scampo a questi
È più la fossa omai, nè l’ampio muro5
Che l’armata cingea. L’avean gli Achivi
Senza vittime eretto a custodire
I navigli e le prede. Edificato
Dunque malgrado degli Dei, gran tempo
Non durò. Finchè vivo Ettore fue,10
E irato Achille, e Troia in piedi, il muro
Saldo si stette; ma de’ Teucri estinte
L’alme più prodi, e degli Achei pur molte,
E al decim’anno Ilio distrutto, e il resto
Degli Argivi tornato al patrio lido,15
Decretâr del gran muro la caduta
Nettunno e Apollo, l’impeto sfrenando
Di quanti fiumi dalle cime idée

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Si devolvono al mar, Reso, Graníco,
Rodio, Careso, Eptáporo ed Esépo20
E il divino Scamandro e Simoenta
Che volge sotto l’onde agglomerati
Tanti scudi, tant’elmi e tanti eroi.
Di questi rivoltò Febo le bocche
Contro l’alta muraglia, e vi sospinse25
Nove giorni la piena. Intanto Giove,
Perchè più ratto l’ingoiasse il mare,
Incessante piovea. Nettunno istesso
Precorrea le fiumane, e col tridente
E coll’onda atterrò le fondamenta30
Che di travi e di sassi v’avean posto
I travagliosi Achivi; infin che tutta
Al piano l’adeguò lungo la riva
Dell’Ellesponto. Smantellato il muro,
Fe’ di quel tratto un arenoso lido,35
E tornò le bell’acque al letto antico.
Di Nettunno quest’era e in un d’Apollo
L’opra futura. Ma la pugna intorno
A quel valido muro or ferve e mugge.
   Cigolar delle torri odi percosse40
Le compági, e gli Achei dentro le navi
Chiudonsi domi dal flagel di Giove,
E paventosi dell’ettoreo braccio,
Impetuoso artefice di fuga;
Perocchè pari a turbine l’eroe45
Sempre combatte. E qual cinghiale o bieco
Leon cui fanno cacciatori e cani
Densa corona, di sue forze altero
Volve dintorno i truci occhi, nè teme
La tempesta de’ dardi nè la morte,50
Ma generoso si rigira e guarda
Dove slanciarsi fra gli armati, e ovunque

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Urta, s’arretra degli armati il cerchio;
Tal fra l’armi s’avvolge il teucro duce,
I suoi spronando a valicar la fossa.55
Ma non l’ardían gli ardenti corridori
Che mettean fermi all’orlo alti nitriti,
Dal varco spaventati arduo a saltarsi
E a tragittarsi: perocchè dintorno
S’aprían profondi precipizi, e il sommo60
Margo d’acuti pali era munito,
Di che folto v’avean contro il nemico
Confitto un bosco gli operosi Achei,
Tal che passarvi non potean le rote
Di volubile cocchio. Ma bramosi65
Ardean d’entrarvi e superarlo i fanti.
Fattosi innanzi allor Polidamante
Ad Ettore sì disse: Ettore, e voi
Duci troiani e collegati, udite.
   Stolto ardire è il cacciar dentro la fossa70
Gli animosi cavalli. E non vedete
Il difficile passo e la foresta
D’acute travi, che circonda il muro?
Di niuna guisa ai cavalier non lice
Calarsi in quelle strette a far conflitto,75
Senza periglio di mortal ferita.
Se il Tonante in suo sdegno ha risoluta
Degli Achei la ruina e il nostro scampo,
Ben io vorrei che questo intervenisse
Qui tosto, e che dal caro Argo lontani80
Perdesser tutti coll’onor la vita.
Ma se voltano fronte, e dalle navi
Erompendo con impeto, nel fondo
Ne stringono del fosso, allor, cred’io,
Niuno in Troia di noi nunzio ritorna85
Salvo dal ferro de’ conversi Achei.

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Diam dunque effetto a un mio pensier. Sul fosso
Ogni auriga rattenga i corridori,
E noi pedoni, corazzati e densi
Tutti in punto seguiam l’orme d’Ettorre.90
Non sosterranno il nostro urto gli Achivi,
Se l’ora estrema del lor fato è giunta.
   Disse; e ad Ettore piacque il saggio avviso.
Balzò dunque dal carro incontanente
Tutto nell’armi, e balzâr gli altri a gara,95
Visto l’esempio di quel divo. Ognuno
Fe’ precetto all’auriga di sostarsi
Co’destrieri alla fossa in ordinanza;
Ed essi in cinque battaglion divisi
Seguiro i duci. Andò la prima squadra100
Con Ettore e col buon Polidamante,
Ed era questa il fiore e il maggior nerbo
De’ combattenti, desïosi tutti
Di spezzar l’alto muro, e su le navi
Portar la pugna: terzo condottiero105
Li seguía Cebrïon, messo in sua vece
Alla custodia dell’ettoreo carro
Altro men prode auriga. Erano i duci
Della seconda Paride, Alcatóo
Ed Agenorre. Della terza il divo110
Dëifobo ed Eléno ed Asio, il prode
D’Irtaco figlio, cui d’Arisba a Troia
Portarono e dall’onda Selleente
Due destrier di gran corpo e biondo pelo.
Capitan della quarta era d’Anchise115
L’egregia prole, Enea, co’ due d’Anténore
Pugnaci figli Archíloco e Acamante.
Degl’incliti alleati è condottiero
Sarpedonte, con Glauco e Asteropéo,
Da lui compagni del comando assunti120

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Come i più forti dopo sè, tenuto
Il più forte di tutti. In ordinanza
Posti i cinque drappelli, e di taurine
Targhe coperti, mossero animosi
Contro gli Achei, sperando entro le navi125
Precipitarsi alfin senza ritegno.
   Mentre tutti e Troiani ed alleati
Al consiglio obbedían dell’incolpato
Polidamante, il duce Asio sol esso
Lasciar nè auriga nè corsier non volle,130
Ma vêr le navi li sospinse. Insano!
Que’ corsieri, quel cocchio, ond’egli esulta,
Nol torranno alla morte, e dalle navi
In Ilio no nol torneran. La nera
Parca già il copre, e all’asta lo consacra135
Del chiaro Deucalíde Idomenéo.
Alla sinistra del naval recinto
Ove carri e cavalli in gran tumulto
Venían cacciando i fuggitivi Achei,
Spins’egli i suoi corsier verso la porta,140
Non già di sbarre assicurata e chiusa,
Ma spalancata e da guerrier difesa
A scampo de’ fuggenti. Il coraggioso
Flagellò drittamente i corridori
A quella volta, e con acute grida145
Altri il seguían, sperandosi che rotti,
Senza far testa, nelle navi in salvo
Precipitosi fuggirían gli Achivi.
Stolta speranza. Custodían la porta
Due fortissimi eroi, germi animosi150
De’ guerrieri Lapiti. Era l’un d’essi
Polipéte, figliuol di Piritóo,
L’altro il feroce Leontéo. Sublimi
Stavan quivi costor, sembianti a due

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Eccelse querce in cima alla montagna,155
Che ferme e colle lunghe ampie radici
Abbracciando la terra, eternamente
Sostengono la piova e le procelle;
Così fidati nelle man robuste,
Ben lungi dal voltar per tema il tergo,160
Voltan anzi la fronte i due guerrieri,
D’Asio aspettando la gran furia. Ed esso
Coll’Asiade Acamante, e con Oreste
E Jameno e Toone ed Enomáo
Sollevando gli scudi, il forte muro165
Van con fracasso ad assalir. Ma fermi
Sull’ingresso i due prodi altrui fan core
Alla difesa delle navi. Alfine
Visti i Teucri avventarsi alla muraglia
D’ogni parte, e fuggir con alto grido170
Di spavento gli Achivi, impeto fece
L’ardita coppia: e fiero anzi le porte
Un conflitto attaccâr, come silvestri
Verri ch’odon sul monte avvicinarsi
Il fragor della caccia: impetuosi175
Fulminando a traverso, a sè dintorno
Rompon la selva, schiantano la rosta
Dalle radici, e sentir fanno il suono
Del terribile dente, infine che colti
D’acuto strale perdono la vita;180
Di questi due così sopra i percossi
Petti sonava il luminoso acciaro,
E così combattean, nelle gagliarde
Destre fidando, e nel valor di quelli
Che di sopra dai merli e dalle torri185
Piovean nembi di sassi alla difesa
Delle tende, dei legni e di sè stessi.
Cadean spesse le pietre come spessa

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La grandine cui vento impetuoso
Di negre nubi agitator riversa190
Sull’alma terra; nè piovean gli strali
Sol dalle mani achive, ma ben anco
Dalle troiane, e al grandinar de’ sassi
Smisurati mettean roco un rimbombo
Gli elmi percossi e i risonanti scudi.195
   Fremendo allor si battè l’anca il figlio
D’Irtaco, e disse disdegnoso: O Giove
E tu pur ti se’ fatto ora l’amico
Della menzogna? Chi pensar potea
Contro il nerbo di nostre invitte mani200
Tal resistenza dagli Achei? Ma vèlli
Che come vespe maculose in erti
Nidi nascoste, a chi dà lor la caccia
S’avventano feroci, e per le cave
Case e pe’ figli battagliar le vedi:205
Così costor, benchè due soli, addietro
Dar non vonno che morti o prigionieri.
   Così parlava, nè perciò di Giove
Si mutava il pensier, che al solo Ettorre
Dar la palma volea. Aspro degli altri210
All’altre porte intanto era il conflitto.
Ma dura impresa mi saría dir tutte,
Come la lingua degli Dei, le cose.
Perocchè quanto è lungo il saldo muro
Tutto è vampo di Marte. Alta costringe215
Necessità, quantunque egri, gli Achei
A pugnar per le navi; e degli Achei
Tutti eran mesti in cielo i numi amici.
   Qui cominciâr la pugna i due Lapiti.
Vibrò la lancia il forte Polipéte,220
E Damaso colpì tra le ferrate
Guance dell’elmo. L’elmo non sostenne

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La furïosa punta che, spezzati
I temporali, gli allagò di sangue
Tutto il cerébro, e morto lo distese:225
Indi all’Orco Pilon spinse ed Ormeno.
Nè la strage è minor di Leontéo,
D’Antimaco figliuolo anzi di Marte.
Sul confin della cintola ei percote
Ippomaco coll’asta: indi cavata230
Dal fodero la daga, per lo mezzo
Della turba si scaglia, e pria d’un colpo
Tasta Antifonte che supin stramazza;
Poi rovescia Menon, Jameno, Oreste,
Tutti l’un sovra l’altro nella polve.235
   Mentre che Polipéte e Leontéo
Delle bell’armi spogliano gli uccisi,
La numerosa e di gran core armata
Troiana gioventude, impazïente
Di spezzar la muraglia, arder le navi,240
Polidamante ed Ettore seguía,
I quai repente all’orlo della fossa
Irresoluti s’arrestâr dubbiando
Di passar oltre: perocchè sublime
Un’aquila comparve, che sospeso245
Tenne il campo a sinistra. Il fero augello
Stretto portava negli artigli un drago
Insanguinato, smisurato e vivo,
Ancor guizzante, e ancor pronto all’offese;
Sì che volto a colei che lo ghermía,250
Lubrico le vibrò tra il petto e il collo
Una ferita. Allor la volatrice,
Aperta l’ugna per dolor, lasciollo
Cader dall’alto fra le turbe, e forte
Stridendo sparve per le vie de’ venti.255
   Visto in terra giacente il maculato

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Serpe, prodigio dell’Egíoco Giove,
Inorridiro i Teucri, e fatto avanti
All’intrepido Ettór Polidamante
Sì prese a dir: Tu sempre, ancorchè io porti260
Ottimi avvisi in parlamento, o duce,
Hai pronta contro me qualche rampogna,
Nè pensi che non lice a cittadino
Nè in assemblea tradir nè in mezzo all’armi
La verità, servendo all’augumento265
Di tua possanza. Dirò franco adunque
Ciò che il meglio or mi sembra. Non si vada
Coll’armi ad assalir le navi achee.
Il certo evento che n’attende è scritto
Nell’augurio comparso alla sinistra270
Dell’esercito nostro, appunto in quella
Che si volea travalicar la fossa,
Dico il volo dell’aquila portante
Nell’ugna un drago sanguinoso, immane
E vivo ancor. Com’ella cader tosto275
Lasciò la preda, pria che al caro nido
Giungesse, e pasto la recasse a’ suoi
Dolci nati; così, quando n’accada
Pur de’ Greci atterrar le porte e il muro
E farne strage, non pensar per questo280
Di ritornarne con onor; chè indietro
Molti Troiani lasceremo ancisi
Dall’argolico ferro, combattente
Per la tutela delle navi. Ognuno,
Che ben la lingua de’ prodigi intenda285
E da’ profani riverenza ottegna,
Questo verace interpretar faría.
   Lo guatò bieco Ettorre, e gli rispose:
Polidamante, il tuo parlar non viemmi
Grato all’orecchio, e una miglior sentenza290

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Or dal tuo labbro m’attendea. Se parli
Persuaso e davvero, io ti fo certo
Che l’ira degli Dei ti tolse il senno,
Poichè m’esorti ad obblïar di Giove
Le giurate promesse, e all’ale erranti295
Degli augelli obbedir; de’ quai non curo,
Se volino alla dritta ove il Sol nasce,
O alla sinistra dove muor. Ben calmi
Del gran Giove seguir l’alto consiglio,
Ch’ei de’ mortali e degli Eterni è il sommo300
Imperadore. Augurio ottimo e solo
È il pugnar per la patria. Perchè tremi
Tu dei perigli della pugna? Ov’anco
Cadiam noi tutti tra le navi ancisi,
Temer di morte tu non dei, chè cuore305
Tu non hai d’aspettar l’urto nemico,
Nè di pugnar. Se poi ti rimanendo
Lontano dal conflitto, esorterai
Con codarde parole altri a seguire
La tua viltà, per dio! che tu percosso310
Da questa lancia perderai la vita.
   Si spinse avanti così detto, e gli altri
Con alte grida lo seguiéno. Allora
Il Folgorante dall’idéa montagna
Un turbine destò, che drittamente315
Verso le navi sospingea la polve,
E agli Achivi rapía gli occhi e l’ardire,
Ad Ettorre il crescendo ed a’ Troiani
Che nel prodigio e nelle proprie forze
Confidati assalîr l’alta muraglia320
Per diroccarla. E già divelti i merli
Delle torri cadean, già le bertesche
Si sfasciano, e le leve alto sollevano
Gli sporgenti pilastri, eccelso e primo

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Fondamento alle torri. Intorno a questi325
Travagliansi i Troiani, ampia sperando
Aprir la breccia. Nè perciò d’un passo
S’arretrano gli Achei, ma di taurine
Targhe schermo facendo alle bastite,
Ferían da quelle chi venía di sotto.330
   Animosi dall’una all’altra torre
L’acheo valor svegliando ambo frattanto
Scorrean gli Aiaci, e con parole or dure
Or blande rampognando i neghittosi,
O compagni, dicean, quanti qui siamo335
Primi, secondi ed infimi (chè tutti
Non siamo eguali nel pugnar, ma tutti
Necessari), or gli è tempo, e lo vedete,
D’oprar le mani. Non vi sia chi pieghi
Dunque alle navi per timor di vana340
Minaccia ostil, ma procedete avanti,
E l’un l’altro incoratevi, e mertate
Che l’Olimpio Tonante vi conceda
Di risospinger l’inimico, e rotto
Inseguirlo fin dentro alle sue mura.345
   Sì sgridando, animâr l’acheo certame.
Come cadono spessi ai dì vernali
I fiocchi della neve, allorchè Giove
Versa incessante, addormentati i venti,
I suoi candidi nembi, e l’alte cime350
Delle montagne inalba e i campi erbosi,
E i pingui seminati e i porti e i lidi:
L’onda sola del mar non soffre il velo
Delle fioccanti falde onde il celeste
Nembo ricopre delle cose il volto;355
Tale allor densa di volanti sassi
La tempesta piovea quinci da’ Teucri
Scagliata e quindi dagli Achivi; e immenso

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Sorgea rumor per tutto il lungo muro.
Ma nè i Troiani nè l’illustre Ettorre360
N’avrían le porte spezzato e le sbarre,
Se alfin contro gli Achei non incitava
Giove l’ardir del figlio Sarpedonte,
Quale in mandra di buoi fiero lïone.
Imbracciossi l’eroe subitamente365
Il bel rotondo scudo, ricoperto
Di ben condotto sottil bronzo, e dentro
V’avea l’industre artefice cucito
Cuoi taurini a più doppi, e orlato intorno
D’aurea verga perenne il cerchio intero.370
Con questo innanzi al petto, e nella destra
Due lanciotti vibrando, incamminossi
Qual montano lïon che, stimolato
Da lunga fame e dal gran cor, l’assalto
Tenta di pieno ben munito ovile;375
E quantunque da’ cani e da’ pastori
Tutti sull’armi custodito il trovi,
Senza prova non soffre esser respinto
Dal pecorile, ma vi salta in mezzo
E vi fa preda, o da veloce telo380
Di man pronta riceve aspra ferita:
Tale il divino Sarpedon dal forte
Suo cor quel muro ad assalir fu spinto
E a spezzarne i ripari. E volto a Glauco
D’Ippoloco figliuol, Glauco, gli disse,385
Perchè siam noi di seggio, e di vivande
E di ricolme tazze innanzi a tutti
Nella Licia onorati ed ammirati
Pur come numi? Ond’è che lungo il Xanto
Una gran terra possediam d’ameno390
Sito, e di biade fertili e di viti?
Certo acciocchè primieri andiam tra’ Licii

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Nelle calde battaglie, onde alcun d’essi
Gridar s’intenda: Glorïosi e degni
Son del comando i nostri re: squisita395
È lor vivanda, e dolce ambrosia il vino,
Ma grande il core, e nella pugna i primi.
Se il fuggir dal conflitto, o caro amico,
Ne partorisse eterna giovinezza,
Non io certo vorrei primo di Marte400
I perigli affrontar, ned invitarti
A cercar gloria ne’ guerrieri affanni.
Ma mille essendo del morir le vie,
Nè scansar nullo le potendo, andiamo:
Noi darem gloria ad altri, od altri a noi.405
   Disse, nè Glauco si ritrasse indietro,
Nè ritroso il seguì. Con molta mano
Dunque di Licii s’avviâr. Li vide
Rovinosi e diritti alla sua torre
Affilarsi il Petíde Menestéo,410
E sgomentossi. Girò gli occhi intorno
Fra gli Achivi spïando un qualche duce
Che lui soccorra e i suoi compagni insieme.
Scorge gli Aiaci che indefessi e fermi
Sostenean la battaglia, e avean dappresso415
Teucro pur dianzi della tenda uscito.
Ma non potea far loro a verun modo
Le sue grida sentir, tanto è il fragore
Di che l’aria rimbomba alle percosse
Degli scudi, degli elmi e delle porte420
Tutte a un tempo assalite, onde spezzarle
E spalancarle. Immantinente ei dunque
Manda ad Aiace il banditor Toota,
E, Va, gli dice, illustre araldo, vola,
Chiama gli Aiaci, chiamali ambedue,425
Chè questo è il meglio in sì grand’uopo. Un’alta

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Strage qui veggo già imminente. I duci
Del licio stuol con tutta la lor possa
Qua piombano, e mostrâr già in altro incontro
Ch’elli son nelle zuffe impetuosi.430
S’ambo gli eroi ch’io chiedo, in gran travaglio
Si trovano di guerra, almen ne vegna
Il forte Aiace Telamónio, e il segua
Teucro coll’arco di ferir maestro.
   Corse l’araldo obbedïente, e ratto435
Per la lunga muraglia traversando
Le file degli Achei, giunse agli Aiaci,
E con preste parole, Aiaci, ei disse,
Incliti duci degli Argivi, il caro
Nobile figlio di Petéo vi prega440
D’accorrere veloci, ed aitarlo
Alcun poco nel rischio in che si trova.
Pregavi entrambi per lo meglio. Un’alta
Strage gli è sopra: perocchè di tutta
Forza si vanno a rovesciar sovr’esso445
I licii capitani, e di costoro
L’impeto è noto nel pugnar. Se voi
Siete in gran briga voi medesmi, almeno
Vien tu, forte figliuol di Telamone,
E tu, Teucro, signor d’arco tremendo.450
   Tacque, ed il grande Telamónio figlio
Al figlio d’Oiléo si volse e disse:
Tu, Aiace, e tu forte Licomede
Qui restatevi entrambi, ed infiammate
L’acheo coraggio alla battaglia. Io volo455
Colà allo scontro del nemico, e data
La chiesta aita, subito ritorno.
Partì l’eroe, ciò detto, ed il germano
Teucro il seguiva, e Pandïon portante
L’arco di Teucro. Costeggiando il muro460

[p. 307 modifica]

Alla torre arrivâr di Menestéo:
Ed entrâr nella zuffa, appunto in quella
Che a negro turbo simiglianti i duci
Animosi de’ Licii avean de’ merli
Già vinto il sommo. Si scontrâr gli eroi465
Fronte a fronte, e levossi alto clamore.
Primo l’Aiace Telamónio uccise
Il magnanimo Epícle, un caro amico
Di Sarpedon. Giacea sull’ardua cima
Della muraglia un aspro enorme sasso,470
Tal che niun de’ presenti, anco sul fiore
Delle forze, il potrebbe agevolmente
A due man sollevar. Ma lieve in alto
Levollo Aiace, e lo scagliò. L’orrendo
Colpo diruppe il bacinetto, e tutte475
L’ossa del capo sfracellò. Dall’alta
Torre il percosso a notator simíle
Cadde, e l’alma fuggì. Teucro di poi
Di strale a Glauco il nudo braccio impiaga
Mentre il muro assalisce, e lo costrigne480
La pugna abbandonar. Glauco d’un salto
Giù dagli spaldi gittasi furtivo,
Onde nessuno degli Achei s’avvegga
Di sua ferita, e villanía gli dica.
Ben se n’accorse Sarpedonte, ed alta485
Dell’amico al partir doglia il trafisse.
Ma non lentossi dalla pugna, e giunto
Colla lancia il Testóride Alcmeone,
Gliela ficca nel petto, e a sè la tira.
Segue il trafitto l’asta infissa, e cade490
Boccone, e l’armi risonâr sovr’esso.
Colla man forte quindi il licio duce
Un merlo afferra, a sè lo tragge, e tutto

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Lo dirocca. Snudossi al suo cadere
La superna muraglia, e larga a molti495
Fece la strada. Allor ristretti insieme
Mossero contra Sarpedonte i due
Telamonídi, e Teucro d’uno strale
Al petto il saettò. Raccolse il colpo
Il lucente fermaglio dell’immenso500
Scudo, chè Giove dal suo figlio allora
Allontanò la Parca, e non permise
Che davanti alle navi egli cadesse.
L’assalse Aiace ad un medesmo tempo,
E allo scudo il ferì. Tutto passollo505
La fiera punta, ed aspramente il caldo
Guerrier represse. Dagli spaldi adunque
Recede alquanto ei sì, ma non del tutto,
Chè il cor pur anco gli porgea speranza
Della vittoria, e al suo fedel drappello510
Rivoltosi, gridò: Licii guerrieri,
Perchè l’impeto vostro si rallenta?
Benchè forte io mi sia, solo poss’io
Atterrar questo muro, ed alle navi
Aprir la strada? A me v’unite or dunque,515
Chè forza unita tutto vince. - Ei disse,
E vergognosi rispettando i Licii
Le regali rampogne, s’addensaro
Dintorno al saggio condottier. Dall’altro
Lato gli Argivi nell’interno muro520
Rinforzan le falangi, e d’ambe parti
Cresce il travaglio della dura impresa.
Perocchè nè il valor degli animosi
Licii a traverso dell’infranto muro
Alle navi potea farsi la strada,525
Nè i saettanti Achei dall’occupata

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Muraglia i Licii discacciar: ma quale
In poder che comune abbia il confine,
Fan due villan, la pertica alla mano,
Del limite baruffa, e poca lista530
Di terra è tutto della lite il campo:
Così dei merli combattean costoro,
E sovra i merli contrastati un fiero
Spezzar si fea di scudi e di brocchieri
Su gli anelanti petti; e molti intorno535
Cadean gli uccisi; altri dal crudo acciaro
Nel voltarsi trafitti il tergo ignudo;
Altri, ed erano i più, da parte a parte
Trapassati le targhe. Da per tutto
Torri e spaldi rosseggiano di sangue540
E troiano ed acheo; nè fra gli Achei
Nullo ancor segno si vedea di fuga.
   Siccome onesta femminetta, a cui
Procaccia il vitto la conocchia, in mano
Tien la bilancia, e vi sospende e posa545
Con rigorosa trutina la lana,
Onde i suoi figli sostentar di scarso
Alimento; così de’ combattenti
Equilibrata si tenea la pugna,
Finchè l’ora pur venne in che dovea550
Spinto da Giove superar primiero
Ettore la muraglia. Alza ei repente
La terribile voce, ed, Accorrete,
Grida, o forti Troiani, urtate il muro,
Spezzatelo, gittate alfin le fiamme555
Vendicatrici nella classe achea.
   L’udiro i Teucri, ed incitati e densi
Avventârsi ai ripari, e sovra il muro
Montâr coll’aste in pugno. Appo le porte

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Un immane giacea macigno acuto:560
Non l’avrían mosso agevolmente due
De’ presenti mortali anche robusti
Per carreggiarlo. A questo diè di piglio
Ettore; ed alto sollevollo, e solo
Senza fatica l’agitò; chè Giove565
In man del duce lo rendea leggiero.
E come nella manca il mandrïano
Lieve sostien d’un arïéte il vello,
Insensibile peso; a questa guisa
Ettore porta sollevato in alto570
L’enorme sasso, e va dirittamente
Contro l’assito che compatto e grosso
Delle porte munía la doppia imposta,
Da due forti sbarrata internamente
Spranghe traverse, ed uno era il serrame.575
Fattosi appresso, ed allargate e ferme
Saldamente le gambe, onde con forza
Il colpo liberar, percosse il mezzo.
Al fulmine del sasso sgangherârsi
I cardini dirotti; orrendamente580
Muggîr le porte, si spezzâr le sbarre,
Si sfracellò l’assito, e d’ogni parte
Le schegge ne volâr; tale fu il pondo
E l’impeto del sasso che di dentro
Cadde e posò. Pel varco aperto Ettorre585
Si spinse innanzi simigliante a scura
Ruinosa procella. Folgorava
Tutto nell’armi di terribil luce;
Scotea due lance nelle man; gli sguardi
Mettean lampi e faville, e non l’avría,590
Quando ei fiero saltò dentro le porte,
Rattenuto verun che Dio non fosse.

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Alle sue schiere allor si volse, e a tutte
Comandò di varcar l’achea trinciera.
Obbediro i Troiani; immantinente595
Altri il muro salîr, altri innondaro
Le spalancate porte. Al mar gli Achivi
Fuggono, e immenso ne seguía tumulto.