Inchiesta del ministero per la costituente

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Arrigo Serpieri

1946 Agricoltura/Economia letteratura Inchiesta del ministero per la costituente

Deposizione di Arrigo Serpieri Intestazione 17 giugno 2013 75% generale

Interrogatorio di Arrigo Serpieri

Già ordinario di economia e politica agraria nella Università di Firenze
L'interrogatorio ha avuto luogo l'1 aprile 1946 a Firenze

Parte Prima

Serpieri.

Sul tema della distribuzione della proprietà fondiaria e su quello dei contratti agrari ho già scritto proprio tempo fa un volumetto, nel quale ho esposto le mie convinzioni. Ora non so se volete ugualmente, su questo argomento, rivolgermi qualche specifica domanda

Ruini.

Desidereremmo esaminare con lei tutti i problemi dei nostri questionari, ma poiché non vogliamo rubarle tempo prezioso, cercheremo di limitarci a quelli da lei non accennati.

Serpieri.

Sul mio libretto ho esaminato esclusivamente due aspetti, che però sono fondamentali: la distribuzione della proprietà fondiaria e i rapporti fra proprietà, impresa e mano d'opera.

Rossi Doria.

Viceversa vorremmo sentire il suo parere su tre argomenti, che costituiscono i tre grandi problemi della politica agraria futura.

  • 1) Dobbiamo seguire un indirizzo politico liberista o protezionista? In che modo?
  • 2) Il mercato interno dei prodotti agricoli deve tornare libero, oppure deve rimanere disciplinato?
  • 3) Lo Stato deve intervenire per fare questo adattamento dell'agricoltura alle nuove condizioni?
Serpieri.

Non è facile rispondere, perchè si tratta di problemi di carattere internazionale più che nazionale, cioè problemi nei quali l'azione dell'Italia è necessariamente subordinata all'azione degli altri paesi.

Posso esporvi delle impressioni, che vi prego di considerare semplicemente come tali. A un regime di scambi effettivamente liberi non si arriverà. Non si arriverà perchè tutto ciò che avviene nel mondo politico internazionale mi induce a ritenere:

  • 1) Che siamo ben lungi da rapporti completamente pacificati;
  • 2) Che esistono scontri di interessi e di potenze, mai tanto formidabili quanto oggi.

Ora, in un mondo come questo, molto difficilmente potremo arrivare a quel liberismo economico che si auspica.

Forse fra qualche decennio, ma in un avvenire relativamente prossimo poco lo credo. Gli scambi liberi, per realizzare una economia accettabile da tutti, dovrebbero essere scambi liberi non solo di merci, ma di capitali e anche di uomini. Sopratutto questi ultimi disturbano troppo interessi e posizioni di potenze precostituite. E quindi, di fronte a tale situazione, io pervengo a questa pregiudiziale: che l'Italia, come del resto ogni altro paese, deve fare ogni sforzo per mantenere libertà d'azione in questo campo. Questo è, secondo me, l'essenziale. Se il mondo sarà diverso da quello che io credo, si potrà effettivamente adottare anche una politica liberista; se viceversa il mondo sarà come io prevedo, si deve conservare la possibilità di ricorrere a tutti i metodi che vanno usati, se ci si vuole difendere.

Ciò detto, io stesso capisco di avere posto una esigenza difficilmente realizzabile in un paese vinto com'è il nostro.

Ruini.

Mi pare in definitiva che, lasciando il campo delle previsioni, si potrebbero prospettare due ipotesi:

  • 1) che ci impongano una certa libertà, particolarmente nel commercio di alcuni prodotti agricoli;
  • 2) che ci convenga aprire le porte al mercato di alcuni prodotti, per poterne abbassare il costo, soprattutto per scopi sociali.

Naturalmente il problema che ci interessa particolarmente è che nell'un caso e nell'altro sia possibile una trasformazione nella nostra agricoltura.

Ora, crede possibile fare immediatamente questa trasformazione, oppure pensa che debba farsi lentamente attraverso un periodo di transizione?

Serpieri.

Si può fare l'ipotesi che il mondo sia tale da rendere possibile una politica liberista, o che essa ci sia imposta. Ora, qui il problema maggiore è quello del grano.

Io credo che si possa effettivamente arrivare a una restrizione notevole della superficie granaria. Mi pare possibile accettare, anche oggi, quello che era il programma di Valenti, il quale diceva che l'Italia deve arrivare a tre milioni e mezzo di ettari di grano, estendendo essenzialmente in sua vece le colture foraggere. Trasformazioni del genere le credo deprecabili, se attuate di colpo, ma possibili se graduate nel tempo. Non credo invece che si possa andare molto oltre quei limiti; soprattutto non credo che a questa trasformazione possano concorrere molto largamente le colture ortofrutticole. Queste colture possono essere in determinate circostanze un sussidio molto importante e utile, ma non vedo la possibilità di estenderle per milioni di ettari. Non lo vedo, per ragioni essenzialmente di mercato. Quindi mi pare che, se dovremo arrivare a una forte restrizione del grano, bisognerà sopratutto puntare sopra le colture foraggere ed il bestiame: sono pur sempre questi i prodotti fondamentali dell'agricoltura.

Bisognerebbe, ripeto, arrivare a questa trasformazione gradualmente; in particolare per il Mezzogiorno, dove per vasti territori, la coltura del grano è quasi esclusiva.

La trasformazione indicata ha un aspetto molto preoccupante: probabilmente essa, se non si può contare che entro limiti modesti sull'estensione della coltura ortofrutticola, porterà a un minore assorbimento di lavoro agricolo. Ecco allora aprirsi un altro problema che mi pare offra solo due soluzioni: o spostamento di lavoro verso l'industria, o emigrazione, se ce la concederanno. Ecco come il problema si ricollega agli accenni che ho fatto in principio.

Rossi Doria.

Si tratta di vedere se realmente l'abbandono di una politica liberistica, indirizzo da noi seguito finora, sia stato veramente giovevole per il paese o se non abbia piuttosto aggravati certi problemi. Non crede che noi abbiamo il duplice problema di realizzare il più possibile il liberismo, compatibilmente con il minimo svantaggio, e di controllare il più possibile la nostra economia?

Pensa che a questo proposito dobbiamo mantenere lo strumento regolatore del dazio protettivo, o possono essere opportuni altri strumenti?

Serpieri.

Vi sono altri strumenti, senza dubbio; quelli di una economia controllata. Mi pare che siano strumenti difficili, sopratutto in un paese come il nostro, che, lasciatemelo dire, ha dimostrato così basso livello di onestà. Troppa gente, in una economia controllata, trova migliori occasioni per fare disonestamente i propri interessi.

Rossi Doria.

Negli altri paesi i problemi agricoli sono ormai regolati da un meccanismo complesso che non ha nulla a che fare con il vecchio meccanismo del protezionismo. Il fatto che questo sistema di aiuti e controlli abbia funzionato male da noi, può dipendere dalla necessità di una riforma. Bisogna vedere se questi difetti di funzionamento dipendono dalla disonestà degli italiani, o non dipendono invece dall'avere voluto un meccanismo troppo centralizzato.

Serpieri.

Vedo bene l'importanza del problema. Se potessi prescindere dal fattore morale, dichiarerei anch'io la mia preferenza per una economia regolata. Del resto sono stato uno dei pochi corporativisti convinti. Ma ciò, a mio avviso, presuppone delle condizioni morali: esistono? Dopo quanto ho veduto e continuo a vedere, mi pare che si debba andar ben cauti a rispondere affermativamente. Forse la mia avanzata età mi fa vedere troppo nero.

Rossi Doria.

In questo momento v'è l'opportunità di riprendere la battaglia a favore del liberismo anche nel settore industriale; cioè la vecchia battaglia che la classe agricola italiana ha sempre dovuto combattere. In altri termini, se vi sarà l'impossibilità di mantenere un regime protezionistico in agricoltura, quali dovranno essere le nostre richieste per l'industria?

Serpieri.

Se si può intervenire a favore dell'agricoltura con forme diverse dal protezionismo doganale, assai opportuna sarà la battaglia contro la protezione industriale, di fronte alla quale ben poca cosa sono state, nell'agricoltura, le protezioni del grano e dello zucchero.

Bisognerebbe poter difendere almeno transitoriamente quelle due produzioni con mezzi diversi dalla protezione doganale.

Rossi Doria.

Temo che l'opinione da lei espressa debba valere ancora più generalmente: e precisamente, il mercato interno deve essere regolato o deve essere lasciato libero?

Serpieri.

Sono, in via teorica ed astratta, per il mercato regolato; in concreto, nelle condizioni presenti di moralità, la mia fiducia in esso è alquanto scossa.

Ruini.

Non le pare che fra mercato libero e mercato regolato vi sia una via di mezzo, e cioè l'incoraggiamento della organizzazione volontaria degli agricoltori?

Serpieri.

Senza dubbio in una economia regolata si dovrebbe fare principalmente perno sulle organizzazioni degli agricoltori. Ma occorre che esse funzionino seriamente e onestamente. Se dovessi oggi dire quale è la struttura del mercato regolato che in concreto vorrei — sempre superata la pregiudiziale morale che ho detto — risponderei: quella corporativistica, applicata secondo l'enunciazione della legge, e non come fu applicata in pratica, quando diventò comando dall'alto su tutto e su tutti, falsando le leggi.

Rossi Doria.

Si tratta di vedere se il mancato funzionamento, la degenerazione, la disonestà, sono un elemento dovuto alla psicologia di un popolo, o in parte dovuto allo stesso funzionamento e alla struttura tecnica di quel meccanismo.

Serpieri.

Temo che sia vera la prima alternativa.

Rossi Doria.

Ma fra l'una e l'altra esiste una grande differenza. Il funzionamento pessimo, la disonestà dipendevano dal regime totalitario, da un regime cioè nel quale la possibilità di discussione, di controllo, mancava per principio. Per il fatto stesso che quel funzionamento sarebbe mantenuto con tutte le garanzie di libertà e di democrazia, è evidente che esso diventa profondamente diverso. Quando si ha la possibilità di scegliere i propri dirigenti in un qualunque ente economico, le condizioni mutano del tutto.

Serpieri.

Ne dubito, quando vedo quello che accade con la libertà completa che abbiamo.

Rossi Doria.

Questa non è libertà, è libertà di regime commissariale. Usciamo da una economia di guerra pesantissima, sulla quale nessun controllo può esercitarsi.

Serpieri.

Il problema è di vedere quale regime assicuri il prevalere dei migliori, e non dei peggiori.

Rossi Doria.

Quale tipo di regolamento si deve attuare nel mercato agricolo?

Serpieri.

Un tipo di accentramento elastico che consenta l'adattamento dei provvedimenti alle situazioni locali; quindi, associazioni di agricoltori che si elevino dal piano privato al piano pubblico. In sostanza il nucleo del vecchio corporativismo, quale voleva essere nelle intenzioni, mentre le realizzazioni sono state molto diverse.

Rossi Doria.

Non crede che si debba attuare un regolamento in vista della riorganizzazione dei servizi che oggi sono profondamente decentrati e non funzionano più, cioè dei servizi tecnici statali di aiuto e di appoggio all'agricoltura?

Serpieri.

Sul problema del decentramento vi posso dire quello che è il mio concetto fondamentale, Il decentramento non è problema da trattare in termini generali. Bisogna avere la pazienza di prendere in considerazione le singole funzioni statali, molte delle quali possono venire decentrate, mentre altre no. Il problema non si presta dunque a una soluzione unica, in un senso o nell'altro. In ogni modo credo anche che non bisogna considerare solamente il decentramento burocratico, tipo i provveditorati alle opere pubbliche. Esso può recare dell'utilità; ma non è il solo da considerare. V'è anche il decentramento amministrativo, che trasferisce funzioni del potere esecutivo ad enti locali, come possono essere i comuni o le provincie, ed eventualmente anche le regioni, se le regioni esisteranno come piccole entità amministrative. Poi c'è il decentramento politico delle funzioni legislative. Ora, in tèma di decentramento legislativo, l'idea che io ho sempre avuta è che si dovrebbe tendere a un tipo di leggi, come erano le Rahmengesetze della vecchia Austria, cioè leggi che davano un largo inquadramento alla soluzione legislativa, ma lasciava poi ad enti locali, che potrebbero essere appunto le regioni, qualche cosa di valore maggiore che non il regolamento (secondo la nostra legislazione), perchè si trattava di adattare quell'inquadramento generale alle situazioni particolari. Mi pare che ciò sarebbe di grande importanza per l'agricoltura, e che questa sarebbe la forma di decentramento legislativo più utile. Sono invece molto dubbioso circa l'utilità di un decentramento legislativo nel senso che altri vorrebbe; dare cioè poteri legislativi a un ente regionale. Mi pare che nella legislazione vadano mantenuti l'unità e il coordinamento. Anche il decentramento amministrativo e quello burocratico possono avere, nel campo della agricoltura, larga applicazione, ma bisogna, come dicevo, avere la pazienza di considerare i singoli compiti e distinguere quelli. che è più utile lasciare al centro, da quelli che si possono opportunamente affidare alla periferia. Non so se avete letto in proposito l'opuscolo del Petrocchi. È uomo che ha larga esperienza e dice cose molto giuste.

Rossi Doria.

Occorre fermare l'attenzione anche sulla riorganizzazione dei servizi agrari. Bisogna decidere quali caratteristiche e quali funzioni debbano avere gli organi di aiuto agli agricoltori. Dobbiamo tenere in considerazione una mole di leggi e di decreti agrari, che ancora oggi non si sa se funzionano? Si deve, in proposito, mantenere questo indirizzo capillare di aiuti, sia pure semplificando, o viceversa chiederne, almeno inizialmente, la demolizione, o lasciare che ognuno si regoli liberamente?

SEGUITO

Serpieri.

Mi sembra difficile e pericoloso compiere una demolizione completa. Bisogna distinguere, considerando i singoli interventi dello Stato. Credo che non si debbano abbandonare quelli propri della legislazione sulla bonifica e la colonizzazione, della legislazione forestale, e forse alcuni altri. Molto, in altre materie, si potrà demolire, ma previo un assai prudente ed accurato esame.

Rossi Doria.

V'è chi sostiene il ritorno alle cattedre ambulanti di agricoltura, e chi crede opportuno mantenere gli ispettorati.

Serpieri.

Su questi problemi particolari ho già espresso il mio parere in alcuni articoli. Credo che un organo locale dello Stato non sia necessario e che possano bastare organi compartimentali, quali gli esistenti ispettorati compartimentali. Ho visto che qualcuno propone di costituire organi simili presso le prefetture. Io non vedo necessario che, in ogni provincia, come c'è il medico ed il veterinario provinciale ci sia anche l'agronomo provinciale; mi pare che questa idea sia eccessiva. L'ispettorato compartimentale, che abbia in certi casi una sezione distaccata in provincia, mi sembra sufficiente. D'altra parte ritengo che si debba tornare alle vecchie cattedre ambulanti. Dell'agronomo condotto non vedo l'opportunità. È una organizzazione troppo costosa. Possono operare in sua vece cattedre ambulanti — salvo, se si vuole, con più soddisfacente nome — quali organi con le note funzioni di un tempo, con piena libertà di movimenti, senza burocrazia, che non abbiano quindi a capo funzionari dello Stato, ma personale scelto da organi locali degli agricoltori. Problema affine vedo nell'istruzione professionale dei contadini, che oggi va assumendo un'importanza altissima. Già oggi in Italia l'impresa agraria è notevolmente in mano dei contadini. Lo sarà anche più largamente domani, se arriveremo ad una riforma agraria. L'istruzione professionale dei contadini ha un'importanza enorme. Ora come bisogna organizzarla?

Nel 1924, quando fui per la prima volta sottosegretario, avevo tentato di varare una legge che il mio successore si affrettò a distruggere. Il mio concetto fondamentale era: fare capo essenzialmente a insegnanti che non fossero dei laureati, perchè bisogna sapere parlare ai contadini un linguaggio per loro comprensibile, cosa che difficilmente si ottiene da chi ha un grado elevato di cultura scientifica. Meglio fare assegnamento su persone più modeste, pratiche di agricoltura. [ ...]

Rossi Doria.

Il punto su cui credo che un'azione efficace possa essere fatta, è proprio quello di cercare di riordinare e potenziare i servizi dell'agricoltura. Ma ciò è un po' fuori dalle nostre indagini, mentre abbiamo ancora da esaminare i problemi della bonifica e della montagna.

Serpieri.

Vi posso rispondere nel modo più semplice. Non avrei preparato la legge del 1933, cosi com'è, se non fossi stato convinto della sua efficacia. Credo che essa nelle sue linee fondamentali vada mantenuta. Un punto offre la possibilità di alcune modifiche, ed è quello che riguarda il passaggio della terra ai contadini. Nell'attuale legislazione, il trasferimento avviene, dirò, indirettamente, cioè in questo senso: se effettivamente si impone al proprietario la trasformazione, non potrà non esservi un cospicuo numero di proprietari costretto a vendere una parte delle proprietà. Questa è la terra che dovrebbe formare oggetto di trasferimento ai contadini, sotto forma sia di piccola proprietà individuale che di cooperativa. Ora, non so se oggi si possa fare affidamento solo su questo risultato indiretto. Ciò potrebbe portare alla necessità di una modificazione della legislazione, nel senso che, quando si tratta di terre latifondiste, sia possibile subito l'esproprio per trasferirle ad enti di bonifica e poi, predisposta la trasformazione, ai contadini. Questo è il problema che si presentò una diecina di anni fa, con l'alternativa: consorzi o enti di colonizzazione? Chi diceva consorzi, intendeva che la proprietà rimanesse agli attuali proprietari; chi diceva enti di colonizzazione voleva sottrarre immediatamente la proprietà agli attuali proprietari per trasferirla ai contadini.

Ruini.

Quindi, a parte l'attuazione pratica avvenuta, lei riformerebbe anche la legge del 1940 sul latifondo siciliano?

Serpieri.

Nei riguardi delle possibilità di espropriazione, la legge del 1940 non è diversa da quella del 1933.

Ruini.

Ma non potrebbe sorgere, secondo lei il problema che, da un punto di vista tecnico produttivo, sia meglio invece insistere sull'obbligo di trasformazione da parte dei proprietari, senza preventiva espropriazione? Nelle paludi pontine i proprietari, sotto la minaccia dell'espropriazione, hanno fatto realizzazioni forse migliori di quelle operate dall'Opera nazionale combattenti.

Serpieri.

Io credo di sì, da un punto di vista tecnico-produttivo. Fra l'altro, ciò vuol dire non escludere l'aiuto che possono portare finanziariamente i proprietari attuali. Ve ne sono di quelli che, anche oggi, hanno buona volontà di operare. Ne ho avuto anche recentemente la prova in una visita fattami da alcuni grandi proprietari del Tavoliere. In conclusione, credo che sia meglio, da un punto di vista tecnico-produttivo, rimanere sulle basi delle leggi del 1933 e del 1940. Ma, dal punto di vista politico, ho l'impressione che i contadini di molte regioni non ne rimangano soddisfatti, dato il clima sociale che si è andato creando.

Ruini.

Pongo una questione che sembra un po' fuori argomento, ma che è invece connessa alla precedente. Il contadino in sostanza non si può accontentare di quelle leggi perché tende alla formazione della piccola proprietà. Ma in certe zone sappiamo che la formazione di piccole proprietà sarebbe difficile, se non dannosa all'agricoltura. Allora non vi è che la formazione di cooperative che affittino collettivamente e che conducano il terreno. Io non credo che il contadino, che sa di non potere avere la piccola proprietà, in quanto questo potrebbe essere in un certo senso impedito per ragioni generali, non voglia arrivare a forme di affittanza collettiva. Questo non escluderebbe la possibilità che sia il proprietario ad operare la trasformazione, dare i capitali, e poi affittare il terreno alla cooperativa. Ho avuto invece, l'impressione che in certe zone lei vedesse la possibilità, per ragioni politiche, piuttosto che economiche, di un esproprio immediato.

Serpieri.

Se non ci sono ragioni politiche che impongano il trasferimento immediato della terra ai contadini, è opportuno tener ferma la procedura delle leggi esistenti.

Rossi Doria.

Dobbiamo ora parlare di un problema più generale, e cioè delle eventuali modifiche alla legge di bonifica. Lei dice che non avrebbe fatto quella legge se non l'avesse creduta buona. Ma le faccio osservare che, innanzi tutto, quella legge presupponeva delle condizioni generali che oggi non esistono più. In secondo luogo, quelle leggi sono state fatte secondo un'idea, cui l'esperienza successiva dovrebbe suggerire qualche modifica. Persone che hanno vicinanza ideale con lei, perchè sono stati suoi collaboratori, in precedenti interrogatori hanno avanzato molti dubbi, almeno in alcuni punti. Il primo dubbio sorgerebbe precisamente osservando le manchevolezze con cui in pratica è stata realizzata la bonifica nel ventennio, e precisamente l'errore di aver proceduto senza un piano, quello di avere impostato il problema degli investimenti senza un programma, senza vedere quali erano le reali possibilità, e quello di avere disposto una massa tale di lavori, da disperdere praticamente gli sforzi, anziché concentrarli. Questo è il primo punto: prima di riprendere l'attività della bonifica, bisogna risolvere il problema della revisione dei piani.

Secondo punto: il problema del limite del contributo dello Stato all'opera privata. Oggi viene affermato da taluni che si è commesso l'errore di avere garantito il contributo anche per casi nei quali la trasformazione avrebbe potuto avvenire senza di esso. Ciò ha dato luogo ad esecuzione di opere direi quasi di lusso.

Terzo punto, molto importante, è rappresentato dal problema dell'organo pubblico esecutore locale della bonifica, e dal problema dei rapporti fra il ministero dei Lavori pubblici e il ministero dell'Agricoltura, cioè il sistema della progettazione della bonifica e della sua esecuzione. ora, la esperienza passata, e più ancora la considerazione, sia pure pessimistica, delle condizioni nuove in cui toccherà operare, non suggeriscono sostanziali modifiche in proposito?

Serpieri.

Cominciamo dal primo punto. È già classificata una serie di comprensori di bonifica che rappresentano appunto un piano di azione. Se oggi i mezzi finanziari non bastano, bisogna scegliere tra essi quel numero che è adeguato alle possibilità. Problema di fronte al quale mi sono trovato fino dal 1929; mio sforzo costante, attraverso cinque anni, è stato precisamente quello di eliminare tutto quanto eccedeva le possibilità finanziarie, per concretare i mezzi, ed agire. Ma debbo dire che le difficoltà in un paese come l'Italia sono enormi, e più lo saranno domani. Effettivamente, ogni comprensorio classificato pone un problema risolubile di migliore produzione, e sopra tutto di vita rurale più civile. Operare in alcuni e non in altri, pone di fronte a grandi difficoltà.

Rossi Doria.

Nelle settimane passate, è stato fatto uno stanziamento di cinque miliardi per le opere di bonifica; io sono stato incaricato di farne la relazione alla Consulta. Mi sono recato al ministero per vedere come fosse stata destinata la somma. Ho trovato una situazione assolutamente assurda; i cinque miliardi sono già tutti impegnati, non solo, ma i progetti e le richieste per le opere di bonifica assommano già a 23 miliardi e ancora non sono arrivate le richieste di alcune regioni importanti, e sono state escluse la Sicilia e la Sardegna, le cui necessità hanno pure una certa rilevanza. Chiedemmo allora nella riunione l'immediata convocazione della commissione straordinaria per la revisione. Secondo punto: si è ecceduto nel contribuire alle opere dei privati, almeno in alcuni casi?

Serpieri.

Non credo affatto che si sia ecceduto. Vorrei dire che, semmai, diminuirei i contributi alle opere pubbliche per aumentarli a quelle private. È questo il mezzo di ottenere che alle opere pubbliche seguano effettivamente le opere private, e quindi la trasformazione agraria, che è il vero scopo da conseguire. D'altra parte la legge fissa dei massimi. Non è che non sia possibile dare di meno, se il meno basta. Lo scopo è porre il proprietario in grado, tenuto conto delle opere pubbliche e private, di fare il proprio bilancio, cioè di realizzare un frutto adeguato dai capitali a suo carico. Quindi, non vedo la necessità di diminuire i massimi che in certi casi sono effettivamente necessari, per creare la convenienza alla trasformazione integrale, mentre poi tutte le volte che le condizioni lo permettono, i contributi possono essere concessi in misura minore.

Terzo punto: organi pubblici; problema dei rapporti fra il ministero dell'Agricoltura e quello dei Lavori pubblici. La bonifica deve rimanere di competenza del ministero della Agricoltura, appunto perché ha uno scopo di trasformazione agraria; affidare la bonifica al ministero dei Lavori pubblici vuol dire esecuzione di opere pubbliche indipendentemente dalla trasformazione agraria. Se si vuole effettivamente l'integralità della bonifica, occorre lasciarla al ministero della Agricoltura.

Ruini.

Come vedrebbe la costituzione di un ministero della bonifica, come organo autonomo tipo Azienda autonoma statale della strada?

Serpieri.

Credo che sarebbe utile. Nel tempo che sono stato al sottosegretariato della bonifica, questo era di fatto quasi interamente autonomo.

Rossi Doria.

Il problema è anche più complesso. V'è chi concepisce — mi pare il Petrocchi, specialmente per l'Italia meridionale, dato che l'esperienza ha dimostrato come nell'Italia settentrionale la bonifica sia stata fatta prima e meglio — la creazione di un'azienda statale della bonifica, la quale progetti ed esegua direttamente, insieme con i propri organi tecnici, le grandi opere di bonifica e prepari il lavoro di trasformazione. Altrimenti nulla di concreto sarà la bonifica meridionale, nella quale la progettazione delle opere è fatta malamente e senza criteri tecnici dai consorzi, in zone dove molti problemi della bonifica non sono ancora sufficientemente studiati ne tanto meno risolti. Conviene o no, di fronte alle esigenze dell'Italia meridionale, che lo Stato compia la bonifica direttamente?

Serpieri.

Non credo si possa affermare con esattezza che nell'Italia meridionale la bonifica sia stata un insuccesso. Sono d'accordo nel riconoscere che le bonifiche integralmente eseguite non ve ne sono; ma questo avviene per la ragione semplicissima che nell'Italia meridionale si era ancora, nel 1934, nella prima fase di esecuzione delle opere pubbliche. Appena in quell'anno, in pochi comprensori, si entrava nella seconda fase della trasformazione agraria; ma proprio allora l'azione bonificatrice si è fermata dappertutto. È vero che il Mezzogiorno non ha ancora un corpo d'ingegneri specializzati nelle opere di bonifica come altre parti d'Italia; ma questo è problema di preparazione di tecnici, non di nuovi organi.

Rossi Doria.

Ma questo dice che la bonifica si fa dove c'è un corpo d'ingegneri. Nell'Italia settentrionale quel corpo di ingegneri si è formato, mentre nell'Italia meridionale non si riesce a creare perché l'ambiente è primitivo; ragione per cui è necessario e indispensabile creare una particolare organizzazione.

Serpieri.

Prenda gli ingegneri dell'Italia settentrionale e li paghi il doppio e vedrà che riuscirà a indurli a stare nel Mezzogiorno.

Rossi Doria.

Lei è dunque nettamente contrario ad un indirizzo di esecuzione diretta delle opere di bonifica da parte dello Stato.

Serpieri.

Non credo che un organo di Stato possa fare meglio. Per me è questione di uomini, ripeto, non di organi.

Rossi Doria.

Vuol dirci il suo pensiero circa il problema della montagna e quello forestale?

Serpieri.

Sul problema della montagna potrò farvi avere una mia relazione manoscritta. Vorrei invece farvi cenno di altro problema che, a mio avviso, è dei più importanti in materia di contratti agrari. Sapete bene quale applicazione abbiano, soprattutto nel Mezzogiorno, le compartecipazioni che il Brizi ha cosi profondamente studiato per la Campania e la Basilicata. Ora, queste compartecipazioni hanno piena ragione di essere e sarebbe grave danno il distruggerle; non si può peraltro negare che esse possono anche diventare un raffinato mezzo di sfruttamento del lavoro agricolo. Il problema è questo: trovare un meccanismo sindacale che renda compatibile con le compartecipazioni la difesa di un'equa retribuzione del contadino. Problema di difficile soluzione, ma importantissimo, soprattutto per i contadini del Mezzogiorno. Nei riguardi dei contadini, i problemi della loro istruzione professionale e della difesa della loro equa retribuzione nelle compartecipazioni, sono a mio avviso quelli fondamentali.

Rossi Doria.

Noi la ringraziamo, e la preghiamo di inviarci i lavori di cui ha fatto cenno. Rivista I tempi della terra