Inni di Callimaco/Note

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Callimaco - Inni (III secolo a.C.)
Traduzione dal greco di Dionigi Strocchi (1816)
Note
Chioma di Berenice Inni di Callimaco

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GIOVE


1 Gl’inni si cantavano o prima o dopo o in mezzo le libazioni.

2 Erano diverse le opinioni intorno al luogo natale di Giove. I Cretesi lo diceano nato, cresciuto, e morto in Creta, e mostravano la iscrizione Sepolcro di Giove, onde ebbero nome di bugiardi.

3 Nell’antro in cui Rea partorì Giove, non era concesso a femmina di qualunque specie il partorire. Pausania parla di altri sacri recinti, nei quali non era lecito nascere o morire; perciò se ne recavano lungi le femmine prossime a partorire, e gl’infermi.

4 Stige, Filira, e Neda erano le maggiori tra le innumerevoli figlie dell’Oceano. Il malaugurato destino escluse la prima dall’onore di partecipare all’educazione di Giove, ed esclusero la seconda gli amori di Saturno, che un tempo avevano fatta gelosa Rea.

5 In queste regioni cadde l’ombelico al pargoletto Giove; onde presero il nome di Onfalie, o sia ombelicali.

6 Leggiadramente il poeta scorre quì nelle lodi di Tolomeo Filadelfo re d’Egitto, nella grazia del quale fioriva. [p. 82 modifica]

APOLLO


1 Nacque in Delo sotto la pianta di una palma; quindi la palma gli era sacra non meno dell’alloro.

2 Si accenna la strage fatta da Apollo dei figli di Niobe, la quale in Frigia fu per dolore trasformata nel monte Sipilo, da cui scorre un fonte. La soavità dei canti era tale, che Teti e Niobe dimentiche dei danni sofferti da quel nume stavano ad ascoltarli.

3 Non si ponevano i fondamenti di nuova città senza consultar prima l’oracolo Delfico.

4 Quest’ara fabbricata da Apollo con corna di capre era una delle sette meraviglie del mondo.

5 Apollo avendo rapita Cirene la fe sua moglie.

6 Quì si crede adombrato Apollonio Rodio emulo e forse invido di Callimaco.


DIANA


1 Una delle fucine di Vulcano era nell’isola di Lipari.

2 La presa di questa cerva dai piedi di bronzo fu la quarta fatica di Ercole. ἀέθλιον Ἡρακλῆι ὕστατον quantunque la voce ὕστατον significhi comunemente ultima, ha pure significato di cosa, che ha da venire, e di postera, e mi sono tenuto a questa significazione, ed ho così conciliata l’espressione di Callimaco colla opinione dei Mitologi, che pongono quarta tra le fatiche di Ercole la presa della cerva dalle corna d’oro, e da’ piè di bronzo. [p. 83 modifica]3 Ercole si avvenne in Teodamante allorchè arava i suoi campi, e gli divorò un bove.

4 Dittinna è la voce greca, che corrisponde alla latina, e all’italiana Reziale.

5 Pausania parla di questi denti del cinghiale Calidonio ucciso da Atalanta, i quali si conservavano dagli Arcadi, e poscia per ordine di Augusto furono trasportati in Roma. Egli stesso vide nel tempio di Minerva la pelle di questo cinghiale nuda e cadente. Ho dato al cacciatore l’epiteto, che il poeta dà al cacciato cinghiale, e ciò ho fatto non senza esempio di buoni scrittori latini.

6 Reco ed Ileo centauri di Arcadia furono uccisi da Atalanta sul monte Menalo mentre volevano fare ad essa violenza.

7 Agamennone per ottenere facile navigazione alla sua flotta verso Troja consacrò nel tempio di Diana in Aulide il timone della sua nave.

8 È notissima la favola delle Pretidi le figlie di Preto re d’Argo, le quali si credevano di essere state trasformate in vacche. Diana le cavò di quella insania.

9 Non si deve qui intendere il famoso Tempio di Diana in Efeso; ma il luogo in cui fu costruito il Tempio, dopo che le Amazoni in una loro spedizione dal Termodonte introdussero colà il culto di Diana, lasciando appesa ad un faggio sul lido del mare una imagine della dea.

10 Bosforo significa mare, che si può per la sua strettezza passare a nuoto da un bove.

11 Enéo fu punito per non aver chiamata Diana a’ suoi conviti, Agamennone per aver detto, che meglio di lei aveva ferita una cerva, Oto ed Orione [p. 84 modifica]per averne bramate le nozze, e la sacerdotessa Ippone per aver ricusato di danzare intorno agli altari di quella dea.


DELO


1 Asteria figlia di Ceo, sorella di Latona fuggendo gli amplessi di Giove cadde nel mare Egeo, ove fu mutata in quella vagabonda isoletta, che per destino non dovea quetarsi pria di essere divenuta culla, e nudrice di Apollo. È meraviglia, che questa Ciclade sia celebrata con inni sacri insieme con gli dei maggiori; onoranza, che non fu mai renduta ad altra terra natale di altro dio. Molti culti furono a lei dedicati, molte religioni per lei institituite, e non solo dalle vicine Cicladi, ma dalle tre parti del mondo, e fino dagli ultimi Iperborei le si mandavano solenni legazioni, e primizie, e per lei si faceano sacrificj, e certami musicali, e ludi, e cori, e feste d’ogni maniera. Si potria domandare, perchè Latona non si rifugiò subito ad Asteria sua sorella, o perchè Apollo, che pure così chiuso nel seno materno profetava, non accennò da bel principio alla madre l’unico luogo, in cui lo potea partorire. Artifizio del poeta sembrami questo, che per tal modo ha potuto comporre una macchina, e spargere di vaghissime imagini una favola per se medesima la più sterile di tutte. Quel peregrinaggio, e quella incertezza di Latona formano appunto il nodo del dramma, che tale si può chiamare questa favola. Per lo che giudiziosamente il poeta ha taciuto per tutto l’inno questa consanguinità; attenendosi forse ancora a qualche altra [p. 85 modifica]teogonia a noi ignota. Virgilio si è sovente arricchito delle spoglie dei tragici, e Callimaco di quelle dei comici non solo nella condotta delle sue poesie, ma talvolta ancora nell’espressioni, e in un certo stile familiare.

2 Questa fantasìa di adunare le isole nella reggia di Teti prepara assai opportunamente la fuga delle regioni, alle quali Latona si avvicina.

3 Eubea era famosa per le sue acque termali.

4 La lezione qui ricevuta dal Brunck è forse la più elegante; ma l’altra seguita dall’Ernesti fornisce un miglior senso; e fuorchè in questo luogo mi sono sempre attenuto alla recensione di Brunck.

5 I Telchini popoli di Candia, o di Rodi, o di Cipro furono i primi fabri del ferro e dell’acciajo.

6 Efira, o sia Corinto.

7 Sunio promontorio dell’Attica.

8 L’isola di Samo fu prima detta Partenia, perchè in essa Giunone fu educata, e sposata da Giove, poscia fu detta Samo dall’eroe Samo figlio di Anceo Argonauta, che ivi ebbe regno.

9 Chiara è la traduzione della greca parola Delo.

10 Emo monte della Tracia. Marte era il dio più venerato in quelle contrade.

11 Mimante promontorio dell’isola di Chio.

12 Auge monte d’Arcadia sacro a Pane. Aonia vuol dire la Beozia. Egialo era quella parte di littorale nel Peloponeso, che giaceva tra gli Elei, e i Sicioni.

13 Asopo era uno dei due fiumi di Tebe di Beozia. È notabile, che tra tanti commentatori di Virgilio alcuno non abbia scoperto il confronto di quei [p. 86 modifica]versi, ove si parla di Anchise toccato dal fulmine, con questo passo di Callimaco.

14 Melia significa ninfa abitatrice dei frassini: e qui, conforme è l’uso del parlare poetico, si accenna una specie di ninfe pel genere loro. Uno degli ultimi recensori di Callimaco, l’eruditissimo Ernesti, a questo luogo dice così: Multa hic de singulis verbis, et rebus universis disputat Spanhemius, non autem docet quo pertineant hic dicta. Oportet intelligi fabulam de quercu in Helicone excisa eo tempore, quam nondum indagare potui. E non s’è avveduto, che questo è un modo elegante, e figurato di accennare la fuga del monte Elicone.

15 Plisto fiume di Delfo.

16 Accenna la strage, ch’egli farà in Tebe dei figli di Niobe, e di Amfione re di quella città.

17 Elice, e Bura due città dell’Acaja, che in un medesimo tempo furono ingojate per terremoto.

18 I gioghi di Chirone, o sia il monte Pelio; Filira era la madre di Chirone. Vedi intorno a ciò le osservazioni dell’eruditissimo Traduttore di Apollonio Rodio, lib. 2, v. 1874 della traduzione.

19 Marte sollevò la vetta di un monte, che era il Pangéo celebre per le sue miniere d’oro, e di argento.

20 Calciope, di cui nacque Tessalo, era di Coo. In questa isola nacque Tolomeo Filadelfo.

21 Ciò che avvenisse ai Galli quando fugati da Camillo portarono sotto il comando di Brenno le armi al ricco tempio d’Apollo in Delfo, e come fossero vinti, e dispersi, molti tra gli antichi scrittori ne fanno parola, ma più diffusamente Pausania nella [p. 87 modifica]Focide. Di ciò poi che veramente accadesse sul Nilo alle reliquie di quell’esercito, altra istoria non lo racconta; ma vuolsi avere tutta la fede a Callimaco scrittore contemporaneo, e che vivea alla corte d’Alessandria. Gli scoliasti di Callimaco raccontano, che i pochi Galli, che avanzarono al gelo, alla grandine, ai fulmini d’Apollo, alle ruine di Parnaso, furono assoldati da un certo Antigono amico di Tolomeo Filadelfo; i quali, per aver voluto derubare l’erario di Tolomeo, furono da lui fatti morire sommersi alla bocca Sebenitica del Nilo.

22 Geresto promontorio dell’Eubea.

23 Inopo fiume di Delo.

24 Qui il Poeta ricorda la palma, e più sotto l’olivo; presso la prima fu partorito Apollo, e presso il secondo Diana.

25 Τὸν αἴτιον οἴσεαι ὀργῆς. Non so perchè questo emistichio sia stato tradotto costantemente: Tu regina vendicherai il delitto: quando il senso, che io ho reso è assolutamente piano, e sicuro.

26 Con istile comico, e per dispregio Iri chiama l’isola di Delo rete maledetta per la sua mobilità.

27 Cencri promontorio nell’Istmo di Corinto.

28 Tucidide, e Strabone raccontano, che in Delo non si seppellivano i morti; ma si portavano nelle isole vicine. Essa, siccome asilo, non fu mai infestata da guerra.

29 Oleno fu Poeta famoso di Licia, il primo autore degl’Inni, che si cantarono in Delo non solo, ma in tutta la Grecia.

30 Gli Ateniesi mandavano ogn’anno a Delo un coro di giovani sopra una sacra nave, che si [p. 88 modifica]chiamava la Teoride; a memoria appunto di quella, su cui vi approdò Teseo con quella gioventù liberata dal Minotauro: τοπηῖα νηὸς ἐκείνης, che comunemente è tradotto per rudentes, funes navis, il Chiarissimo Sig. Ennio Quirino Visconti non dubita, che si debba tradurre imaginem navis illius, e lo deriva dal verbo τοπεύω, che vuol dire conjicio, arguo; onde τοπηῖα, quasi conjectationem et imaginem.

31 Questo correre intorno all’ara di Delo sotto la sferza, e con le mani legate a tergo mordere il tronco dell’oliva furono giusta l’antica opinione trastulli trovati da una ninfa di Delo per dilettare Apollo fanciullo, di poi furono consacrati, e divennero pratiche religiose, che non si omettevano da veruno, che s’avvenisse a passare vicino a quell’isola; della quale chi più saper ne volesse, oltre i famosi commentarj di Spanemio a Callimaco, può consultare la dissertazione dell’Ab. Sallier su questo argomento, inserita nel Tomo terzo degli Atti dell’Accademia delle Iscrizioni.


PALLADE


1 I Romani lavavano ogni anno la statua di Cibele nel fiume Almone, gli Argivi la statua di Pallade nel fiume Inaco. Le donzelle Argive massimamente della tribù degli Acestoridi n’erano le lavatrici. Si portava insieme col simulacro della dea lo scudo di Diomede, al qual rito diede principio il sacerdote Eumede, che dannato a morte dal popolo si rifugiò con esso, e alzò altari a Pallade sul monte Crio, che indi ebbe nome di Pallatide. Nel giorno [p. 89 modifica]di questo lavacro non si poteva toccare l’acqua del fiume, e si doveva attingere dai fonti. Non era permesso guardare il simulacro di Pallade, mentre nuda de’ suoi ornamenti si lavava nell’Inaco, ed era religiosa credenza, che il vederla e il perder gli occhi fosse tutt’uno. Questa credenza è rinnovellata dal poeta, il quale narra come Tiresia rimase cieco per aver veduta Pallade bagnarsi nel fiume Ippocrene con Cariclo madre di lui.

2 Agesilao significa adunatore di popoli.


CERERE


1 Nella festa di Cerere si portava intorno il mistico canestro, a cui non potea volgere gli sguardi alcuno, che non fosse iniziato ai misteri della dea, e non avesse sciolto il digiuno. Cerere fu la prima, che trovò le biade e le leggi, il mio e il tuo. Il caso della fame di Eresittone inspira la riverenza dovuta a Cerere e agli altri dei.

2 ἠέ μιν αὐτὸς βόσκε λαβὼν. Queste parole sono dall’ultimo recensore di Callimaco Augusto Ernesti tradotte così: aut eum ipse sume et devora. A me sembra, che si debbano tradurre sume et pasce, cioè piglialo tu a nudrire.

3 Chi volesse conoscere più addentro le dottrine espresse da Callimaco in questi sei Inni, potrà consultare il commentario perpetuo di Ezecchiele Spanemio. [p. 90 modifica]


CHIOMA DI BERENICE


1 Berenice novella sposa di Tolomeo re di Egitto promise agli dei la propria chioma, se il marito fosse ritornato salvo dalla guerra d’Asia. Tolomeo non solo ritornò vivo, ma vincitore. In adempimento del voto la chioma fu appesa al tempio di Venere, ed indi a poco nottetempo involata. Prendeva il re gravissimo dolore di questo sacrilegio, quando Conone astronomo disse per consolarlo, che la chioma era stata traslocata in cielo, e verso la coda del leone indicò sette stelle in figura triangolare, che prima si appellavano costellazione della spica, che egli novellamente nominò Chioma di Berenice. Questa piacevole invenzione dell’astronomo Alessandrino somministrò a Callimaco, poeta contemporaneo, argomento di una prosopopeja, di cui forse si cerca invano altra più bella in tutta quanta la lirica poesia.

2 Berenice e Tolomeo erano figli di fratelli; col nome di fratelli si chiamavano pure i cugini presso gli antichi.

3 Aga re di Cirene aveva promessa Berenice unica figlia in isposa al figlio di Tolomeo suo fratello re d’Egitto per terminare in tal guisa controversie, ch’erano fra loro. Avvenuta la morte di Aga, Arsinoe madre di Berenice volendo disturbar nozze, che suo malgrado erano state contratte, mandò in Macedonia a Demetrio fratello del re Antigono, e nipote di Tolomeo offrendogli la mano della figlia, e il regno di Cirene. Venne Demetrio, e fidato nella bellezza sua e negli amori di Arsinoe, si diportava [p. 91 modifica]con tanta superbia e violenza, che cadde in odio alla sposa, e a tutta la reale famiglia. Si bramò di avere a re il figlio di Tolomeo. Furono tese insidie a Demetrio, e fu assalito mentre si giacea con Arsinoe, la quale ascoltando la voce di Berenice, che stava sulla porta, e comandava, che si perdonasse a sua madre, difendea a suo potere la vita di Demetrio. Egli fu ucciso. Berenice si maritò a Tolomeo adempiendo il giudizio, e la volontà di suo padre. Giustino Libro 26. Devesi al Ch. Sig. Ennio Quirino Visconti la lode di avere il primo illustrato questo passo, indicando una storia, che sì chiaramente ci scopre qual fosse il fatto memorabile, che meritò a Berenice le nozze di Tolomeo.

4 La lezione di Bentlejo
Atque ibi me cunctis pro dulci conjuge divis
è evidentissima.

5 Mureto leggeva:

.......... pollicita est

Si reditum retulisset is haud in tempore longo, et

Captam Asiam Ægypti finibus adijceret.

Che è quanto dire: vi proferisco, o numi, la mia chioma, se mio marito tornerà salvo e vincitore dall’Asia, e in picciol tempo. Condizioni sono queste, che racchiudono il voto di una ambiziosa e superba regina, anzi che di una tenera sposa. Io ho seguita altra lezione.

.......... pollicita est

Si reditum retulisset. Is haud in tempore longo

Captam Asiam Ægypti finibus addiderat.
[p. 92 modifica]A chi fa questo racconto ben si conviene il soggiungere anche con qualche esagerazione, che Tolomeo non solo tornò salvo, ma vincitore dell’Asia, e in breve ora.

6 Athos monte della Macedonia aperto da Serse, che per tal modo fe comunicare l’Egeo coll’Ellesponto.

7 Questi versi sono stati diversamente esposti da chiarissimi letterati. Io ho abbracciata la interpretazione, che me ne ha data l’illustre mio maestro ed amico il Sig. Ennio Quirino Visconti. Berenice aveva consacrata la sua chioma nel tempio di Venere, che era nella città di Arsinoe in Egitto. Sua suocera deificata, cioè Arsinoe Filadelfide, o Venere Zefiritide dal suo tempio, che era nella Cirenaica, mandò Zefiro suo ministro a rapire nottetempo quella chioma, e traslocarla in cielo. La lezione di Achille Stazio ales eques sembra la vera. Euripide al verso 220 delle Fenisse chiama Zefiro cavaliere alato. Tale si vede espresso nei monumenti. Tanto adunque è dire il gemello di Mennone Etiope, e l’alato o sia veloce cavaliero amante e marito di Clori, quanto il dir Zefiro. Il senso richiede che si legga:
Ipsa suum Zefiritis eo famulum legarat
Grata Canopeis in loca littoribus.

8 Questa Arsinoe, o dea Zefiritide era stata regina d’Egitto, perciò chiama luoghi a se cari le piagge di Canopo.

9 Qui la lezione è controversa, ma qualunque si adotti, il senso è tutt’uno.