Istoria delle guerre gottiche/Libro terzo/Capo XXII

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CAPO XXII.

Tulliano sbaraglia i Gotti nella Lucania. — Lettera di Belisario a Totila per distorlo dallo sterminio di Roma. Il re ne abbandona le mura quasi spoglie di abitatori. Giovanni passa ad Idrunte. A Tulliano vien meno ogni soccorso.

I. Intanto che gli ambasciadori da Bizanzio ricalcavano la via dell’Italia ebbevi nella Lucania quanto prendiamo a descrivere. Tulliano, armati in corpo gli agricoltori della regione, si era posto in guardia presso quelle angustissime gole per impedire ai nemici di portar danno al paese; ed avea seco nella impresa trecento Ante lasciativi, a sua inchiesta, qualche tempo prima da Giovanni, essendo costoro valentissimi sopra ogni altro nel combatter su pe’ luoghi di malagevole accesso. Totila informatone ed estimando non poter sperar bene se avesse affidato a soli Gotti lo scacciarli di là, mise in armi gran numero di villani ed unitavi piccola turba de’ suoi impose loro che ad ogni costo superassero que’ passi. Venuti alle mani tenzonarono lungamente gli uni contro agli altri, ma da ultimo gli Ante, non dimentichi dell’antica bravura e soccorsi dalle [p. 359 modifica]difficoltà del luogo e da’ lavoratori di Tulliano, riuscirono a fugare i nemici apportando loro grandissima strage. Alla quale riferta il re gotto stabilì abbattere Roma, e messovi a quartiere il più dell’esercito farsi col resto a combattere Giovanni ed i Lucani. Pigliò dunque a sfasciarla di muro in parecchi luoghi, e di già il diroccamento agguagliava quasi il terzo dell’intera circonferenza. Divisava eziandio mandarne i più belli e magnifici edifizj in fiamme, e ridurla pascolo di armenti, quando Belisario, saputone, inviogli lettera ed oratori.

II. Questi presentatisi al re ed esposto il motivo dell’ambasceria, consegnarongli la scritta concepita a un di presso nel modo seguente: «Come il decorare le città con nuovi ornamenti fu trovato de’ saggi e di chi sapea ben vivere alla civile; così il distruggere quelli in opera è azione da stolti, i quali non prendonsi onta di trasmettere alla posterità monumento sì chiaro della pessima loro natura. Ognuno confessa il primato di Roma, per grandezza e magnificenza, sopra tutte le altre città illuminate dal sole; conciossiachè non bastarono alla sua costruzione le forze di un solo, nè in breve tempo ella salì a tanta celebrità e splendore. Molti imperatori al contrario, copia somma di eccellentissimi personaggi, larghezza di tempo ed immensa pecunia trasferitavi da tutto l’orbe ivi ragunarono, oltre il rimanente, ed architetti ed artefici. Di tal guisa i nostri avi ridottala a poco a poco quale tu vedi, tramandarono ai posteri la memoria di quanto e’ valessero; pertanto col danneggiarne le opere, ci renderemmo ingiuriosi a tutte [p. 360 modifica]le età, e non a torto, privando i nostri antenati d’una ricordanza de’ sublimi loro talenti, ed i posteri del piacere di fissarvi lo sguardo. Così adunque esaminando le cose vorrei che tu bene considerassi i futuri destini cui dovremo piegare il capo, vo’ dire, o l’imperatore uscirà vittorioso della presente guerra, o ben anche tu stesso. E sia pure de’ casi il secondo, o uomo illustre, in allora col distrugger Roma non avrai manomesso un altrui dominio, ma un proprio, e coll’aver salvato sì nobile acquisto addiverrai in fe mia ben più possente. Che se meno propizia ti fia la sorte, il vincitore non ti avrà piccol obbligo della serbata città; quando atterratala indarno spereresti una via alla clemenza, senza pro alcuno del tuo misfatto. Sì operando in fine ti procaccerai da tutti viventi stima, cui ora è in tua balia di far dare il crollo o dall’una o dall’altra parte; conciossiachè nulla, delle azioni in fuori, può improntare nei grandi il nome.» Di questa guisa il duce. Totila replicatamente letto il foglio e ben ponderato il consiglio vi si arrese, nè più volle che si apportasse danno a Roma. Fatti quindi partecipi della sua determinazione gli ambasciadori di Belisario ed accommiatatili, ordinò che il maggior numero delle sue truppe accampassero ad un cenventi stadi dalle mura, nell’agro, verso occaso, nomato Algido, e da quivi togliessero il mezzo agli imperiali di osteggiare da Porto la campagna. Quindi egli stesso col resto dell’esercito muove contro a Giovanni ed a’ Lucani, desideroso poi di rendere la città affatto deserta conduce i romani senatori ira le genti del suo corteo, manda nella [p. 361 modifica]Campania i cittadini con le donne e la prole, nè permette ad uom vivente di rimanerci entro.

III. Giovanni avvertito delle mosse di Totila non s’arrischiò di prolungare da vantaggio la sua dimora nella Puglia e di fretta si ritrasse in Idrunte. I patrizj tradotti nella Campania inviarono comandati dal re alcuni domestici nella Lucania per ingiugnere ai proprj contadini che levatisi dalla carriera delle armi ripigliassero la coltivazione, giusta l’usanza de’ loro campi, assicurandoli che tornerebbero al possesso degli antichi padroni; e queglino abbandonato il romano esercito in pace attesero all’agricoltura. Fuggito in cotal mezzo Tulliano tre centinaia di Ante ripararono a Giovanni, mercè di che tutto il suolo di qua dal seno Ionico altra fiata cadde in potere dei Gotti, i quali con piena fidanza disbandati in ischiere ivano a lor talento scorrazzando; ma il romano duce, saputone, spedì a combatterli molti de’ suoi militi, che scagliatisi improvvisamente contr’essi ne fecero macello. Il perchè Totila paventando di peggio ragunò l’esercito e poselo a campo sul monte Gargano, situato nel mezzo dell’Apulia, là dove in altri tempi ergeva sue tende l’eroe cartaginese.