Istorie fiorentine/Libro sesto/Capitolo 30

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Libro sesto

Capitolo 30

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Era già durata la guerra in Toscana quasi che uno anno, ed era venuto il tempo, nel 1453, che gli eserciti si riducono alla campagna, quando al soccorso de’ Fiorentini venne il signore Alessandro Sforza, fratello del Duca, con due mila cavagli; e per questo, essendo lo esercito de’ Fiorentini cresciuto e quello del Re diminuito, parve a’ Fiorentini di andare a recuperare le cose perdute; e con poca fatica alcune terre recuperorono. Di poi andorono a campo a Foiano, il quale fu per poca cura de’ commissari saccheggiato, tanto che, essendo dispersi gli abitatori, con difficultà grande vi tornorono ad abitare, e con esenzioni e altri premii vi si ridussono. La rocca ancora di Vada si racquistò, perché i nimici, veggendo di non poterla tenere, l’abbandonorono e arsono. E mentre che queste cose dallo esercito fiorentino erano operate, lo esercito ragonese, non avendo ardire di appressarsi a quello de’ nimici, si era ridotto propinquo a Siena, e scorreva molte volte nel Fiorentino, dove faceva ruberie, tumulti e spaventi grandissimi. Né mancò quel re di vedere se poteva per altra via assalire i nimici, e dividere le forze di quelli, e per nuovi travagli e assalti invilirgli. Era signore di Val di Bagno Gherardo Gambacorti, il quale, o per amicizia o per obligo, era stato sempre, insieme con i suoi passati, o soldato o raccomandato de’ Fiorentini. Con costui tenne pratica il re Alfonso, che gli desse quello stato, ed egli, allo incontro, d’uno altro stato nel Regno lo ricompensasse. Questa pratica fu rivelata a Firenze; e per scoprire lo animo suo, se gli mandò uno ambasciadore, il quale gli ricordassi gli oblighi de’ passati e suoi, e lo confortasse a seguire nella fede con quella republica. Mostrò Gherardo maravigliarsi, e con giuramenti gravi affermò non mai sì scellerato pensiero essergli caduto nello animo; e che verrebbe in persona a Firenze a farsi pegno della fede sua; ma sendo indisposto, quello che non poteva fare egli farebbe fare al figliuolo il quale come statico consegnò allo ambasciadore, che a Firenze seco ne lo menasse. Queste parole e questa demostrazione feciono a’ Fiorentini credere che Gherardo dicesse il vero, e lo accusatore suo essere stato bugiardo e vano; e per ciò sopra questo pensiero si riposorono. Ma Gherardo con maggiore instanzia seguitò con il Re la pratica; la quale come fu conclusa, il Re mandò in Val di Bagno frate Puccio, cavaliere ierosolimitano, con assai gente, a prendere delle rocche e delle terre di Gherardo la possessione. Ma quelli popoli di Bagno, sendo alla republica fiorentina affezionati, con dispiacere promettevano ubbidienza a’ commissari del Re. Aveva già preso frate Puccio quasi che la possessione di tutto quello stato: solo gli mancava di insignorirsi della rocca di Corzano. Era con Gherardo, mentre faceva tale consegnazione, infra i suoi che gli erano d’intorno, Antonio Gualandi, pisano, giovane e ardito, a cui questo tradimento di Gherardo dispiaceva; e considerato il sito della fortezza, e gli uomini che vi erano in guardia, e cognosciuta nel viso e ne’ gesti la mala loro contentezza, e trovandosi Gherardo alla porta per intromettere le genti ragonesi, si girò Antonio verso il di drento della rocca, e spinse con ambo le mani Gherardo fuora di quella, e alle guardie comandò che sopra il volto di sì scelerato uomo quella fortezza serrassero e alla republica fiorentina la conservassero. Questo romore come fu udito in Bagno e negli altri luoghi vicini, ciascuno di quelli popoli prese le armi contro a’ Ragonesi, e ritte le bandiere di Firenze, quelli ne cacciorono. Questa cosa come fu intesa a Firenze, i Fiorentini il figliuolo di Gherardo dato loro per statico imprigionorono, e a Bagno mandorono genti che quel paese per la loro republica defendessero, e quello stato che per il principe si governava in vicariato redussono. Ma Gherardo, traditore del suo signore e del figliuolo, con fatica poté fuggire, e lasciò la donna e sua famiglia, con ogni sua sustanza, nella potestà de’ nimici. Fu stimato assai, in Firenze, questo accidente, perché, se succedeva al Re di quello paese insignorirsi, poteva con poca sua spesa a sua posta in Val di Tevere e in Casentino correre; dove arebbe dato tanta noia alla Republica, che non arebbono i Fiorentini potuto le loro forze tutte allo esercito ragonese, che a Siena si trovava, opporre.