L'asino d'oro/Libro II

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Apuleio - L'asino d'oro (II secolo)
Traduzione dal latino di Agnolo Firenzuola (XVI secolo)
Libro II
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LIBRO SECONDO


Come più tosto dopo la partita della notte il nuovo Sole ne rendè il giorno chiaro e luminoso, toltomi e dal sonno e dal letto, sollecito e soverchio desideroso conoscitor delle cose rare e degne di maraviglia, e pensando intra me d’esser nel mezzo di Bologna, dove per detto d’ognuno come in proprio prato fioriscono gl’incantamenti dell’arte magica; e ricordandomi della novella del mio buon compagno nata entro al seno di quella città, coll’animo tutto sospeso, con un gran disio e con una straordinaria diligenzia io andava considerando ciò che mi si parava davanti. Nè fu cosa in quella città, che veggendola io mi potessi persuadere [p. 30 modifica]ch’ella fusse quella stessa ch’ella era in verità, anzi che tutto fusse per incanto trasmutato in quella forma; e che le pietre nelle quali io percoteva, fussero stati uomini rimutati in loro; e gli uccelli, ch’io udiva cantare, avessero messe le penne per quella cagione; gli arbori, ch’erano per le ville e per li giardini, avessero germogliate le fronde con quella forza; i fonti ripieni di sangue umano avessero la simiglianza dell’onde. Per simile accidente già mi pensava io che le statue di marmo, le immagini di cera dovessero andare; a’ muri convenisse parlare; a’ buoi e alle altre bestie così fatte fusse scienza mostrar le cose avvenire; al Cielo stesso, e alla spera del Sole credeva essere convenevole dir cose maravigliose. E in questa guisa tutto attonito, anzi per la stemperata voglia mezzo fuor del seminato, non avendo potuto avere arra alcuna della mia cupidigia, e tratto pur da questa vana speranza, me ne andava ogni cosa circuendo. Discorrendo io adunque senza lasciar pertugio alcuno per tutta la città, senza saper come, capitai in piazza; arrivato, ch’i’ fui, vidi una gentil donna da molte fanti e famigli accompagnata camminare d’assai buon passo: l’oro, le perle, e i ricchi vestimenti mostravan veramente ch’ella era donna di grande affare. Erale accanto un vecchione d’assai reverenda età, il quale come più tosto mi vide, disse: Per mia fede questo è il mio Agnolo; e datomi un bacio, bisbigliò non so che nell’orecchie di quella donna, e di nuovo si voltò a me, dicendo: Or perchè non tocchi tu la mano a questa tua madre? Perciocchè io mi perito, risposi, salutare una donna che io non conosca: e divenuto nel volto simile alle vermiglie rose, abbassando il capo, mi stetti fermo. Ma ella, guardandomi fiso, disse: Vedi come si riconosce tutta quella bella effigie della sua santissima madre madonna Lucrezia! guarda come ciascun membro se le rassomiglia, che egli non ne perde nulla! quella grandezza non disconvenevole, quella buona cera non troppo grassa, non soverchio magra, quelle carni brune, quegli [p. 31 modifica]occhi magri e vivi, che sempre par che gettin fuoco; guarda quello andar posato, che voltosi donde vuole, e’ dimostra gravità. E poi soggiunse: Oh il mio Agnolo, io mi sono allevata colla tua madre nella mia più tenera età molti e molti anni, allora quando dimorando in Siena col suo padre, che per la vostra Repubblica vi aveva ufficio d’ambasciadore, abitava nella casa de’ Placidi vicino a Santo Agostino, e poco poscia in Camollia assai vicina alle mie paterne case: e in un medesimo tempo ella nella patria sua e io in questa città n’avemmo sorte di assai felici nozze. Io sono Laura, e penso che tu abbi per avventura sentito fra’ tuoi ricordar alcuna volta questo mio nome. Vientene adunque a casa a sicurtà, anzi fa conto ch’ella sia la casa tua. Allora io, che già per lo suo lungo parlare avea discacciata ogni vergogna, rispondendole assai arditamente, le dissi: Dio mi guardi, la mia donna, che senza cagione abbandoni Petronio, in casa del quale io sono alloggiato; ma, quello che si potrà far senza mio carico, un’altra volta quando mi accaderà capitare in questi paesi, io non mancherò di venire a scavalcare in casa vostra. E mentre che noi eravamo in questi ragionamenti, andati in là pochi passi, arrivammo a casa di Laura. Eran le logge bellissime colle colonne divisate in quattro maniere, delle quali in ciaschedun de’ canti una ne reggeva il simulacro della Vittoria, il quale, tenendo le sdrucciolevoli piante così sospese sopra della basa di quelle colonne, aveva certe ale così maestrevolmente condotte, che e’ pareva che volesse ad ognor volare in altra parte. Vedevasi poscia nel mezzo di quelle logge di candidissimo marmo la statua di Diana di mano di perfettissimo maestro, colla gonna che parendo spinta indietro dal soffiar de’ venti, discopriva, da lei discostandosi, parte dello sguardo della bella figura; la quale tutta snella non mostrava se non di correre incontro a quelli che venivano entro in casa: e due cani, da ognun de’ canti uno, e quelli eziandio di marmo, pareva che guardassero la santa Dea: nel volto della quale [p. 32 modifica]si scorgeva una certa maestà, che tantosto tu la riconoscevi come cosa divina. Questi mostravan che cogli occhi minacciassero; e tenendo l’orecchie tese e ’l naso aperto, sembravan due segugi che avesser sentito la fiera; e già alla bocca ti sarebbe paruto veder la schiuma: e se per avventura lì vicino avesse abbaiato qualche cane, tu avresti tenuto per fermo, che quel romore fusse uscito dalla bocca d’un di questi sassi. E quello in che lo scultore maravigliosamente mostrò il suo gran magistero, fu che i piedi dinanzi in guisa di quei che corrano, e sollevati, e quei dietro posando, mostravano un impeto grande. Dietro alle spalle della santa Dea surgea un sasso tagliato a modo d’una spelonca, con musco ed erbe a foglie e vermene; e in qualche luogo con pampini, e altrove con certi arbuscelli pur di pietra, tutti fioriti. Splendeva dentro l’ombra della figura: e sotto l’estremità dell’orlo di quel sasso pendevan pomi e uve a maraviglia finte; le quali l’arte invidiosa della natura avea fatte così eguali, che tu avresti pensato, che se il mostoso Autunno vi avesse soffiato il maturo colore, di poterne prendere alcuna per mangiare: e se tu avessi guardato con desiderio intorno al fonte, il quale spingeva le sue onde fra’ piedi di Diana, e pareva che lento lento correndo invitasse ognun che quivi arrivava, a trarsi la sete; tu avresti detto ch’e’ pendessero dalle viti, e movessersi, non altrimenti che si facciano i veri alla campagna. Entro a quelle frondi vi si vedeva il simulacro d’Atteone soverchio curioso, con uno sguardo, già con volto di cervo, tirarsi indietro, avendovi trovato Diana a lavarsi alla improvvista. Mentre che io tutto pieno di stupore, mirando or questa or quella cosa, ne prendeva grandissimo piacere, Laura avvedutasene, disse: Ciò che c’è, è al tuo piacere. E dopo queste parole, fatto tirare ognun da canto, segretamente soggiunse: Io ti giuro, il mio Agnolo carissimo, per la santissima Leda, siccome colui del quale io sto in grandissimo timore, e amolo come figliuolo, nè gli vorrei vedere incontrar male alcuno; [p. 33 modifica]abbiti l’occhio, guardati diligentissimamente dalle cattive arti o false lusinghe di quella Bertella moglie di quel Petronio, in casa di chi tu alloggi: ella è tenuta una della maggiori stregone e delle più potenti di questa città; la quale, e con fuscelli, e con petrucciole, e simili frascherie saprebbe sommergere tutto questo mondo nell’antica sua confusione: e com’ella vede un giovinetto di forma niente riguardevole, ella s’accende delle sue bellezze, e dirizzato verso di lui e gli occhi e la mente, ella gl’invola colle sue carezzine l’anima e ’l cuore; ella lo lega cogl’insolubili lacci del profondo amore: dipoi quelli, i quali o non fanno a modo suo, o riescono con costumi rozzi e villani, odiandoli, o ella gli converte in sassi, o pecore, o in qualche altro qual più gli piace animale; senza quelli, che non sono però pochi, i quali questa fiera priva in tutto della vita. Queste son quelle cose che mi fan paura del fatto tuo, e delle quali io ti conforto a guardarti come dalla mala ventura; perciocchè ella abbrucia continuamente; e tu se’ giovane, e per la età e per le bellezze capacissimo de’ suoi desiderj. Queste cose diceva meco Laura assai sollecita della mia salute: ma io altrimenti curioso di questo, come più tosto ebbi udito il desiderato nome dell’arte magica, tanto fui lontano da guardarmi, che eziandio spontaneamente io mi struggeva di darmi a così terribile magistero, ancorchè egli mi costasse grandissimo pregio; e bramava gittarmi altutto con un gran salto nel baratro di quella disciplina. Sollecito finalmente, e povero di consiglio, io mi spiccai da lei come da una catena, e detto spacciatamente addio, me ne volai con leggier passo a casa del mio ospite; e mentre ch’io me ne andava correndo come un pazzo, io dico da me stesso: Orsù, Agnolo, sta desto e in cervello; tu hai l’occasione cotanto desiderata; tu ti potrai cavar la voglia di rimirar quelle cose maravigliose che hai così gran tempo desiderate: levati dall’animo le paure de’ fanciulli, metti mano a questa impresa strenuamente, ora che egli ti può così agevolmente venir [p. 34 modifica]fatto, e astienti da ogni lussorioso oltraggio della tua ospite; temperati, e onora religiosamente il matrimonial letto del tuo buon Petronio, e piuttosto stimula con ogni sollecitudine quella sua fanticella, perciocch’ella è galantina, e tutta saporitina. Iersera quando tu andavi a dormire, ella ti menò in camera con assai piacevolezze, e assai graziosamente ti mise a letto, e assai amorevolmente ti coperse; e com’ella si partisse malvolentieri, ella il dimostrò col volto, rivoltandosi e fermandosi molte fiate: la qual cosa mi rivoltino i cieli in felice augurio. E dicendo io meco medesimo queste parole, mi accostai a casa, e confermato nella mia opinione, entrai dentro: e per mia buona sorte io non vi trovai nè Petronio nè la moglie, ma la mia cara Lucia sola, la quale preparava un pasticcio a’ suoi signori: il vino era apparecchiato copiosamente, e di più sorti, e già si ti prometteva il naso una vivanda reale. Ella aveva una sua vesticciuola lina tutta bianca, ed erasi cinta così un poco sotto alle mammelle con una cinturetta rossa, e voltava l’intriso per lo mortaio con quelle sue manine biancoline, e insieme col pestello rivolgendo quelle sue membroline; e mandando i fianchi or in qua e ora in là, dimenando così un poco il fil delle rene, si moveva così dolcemente, che tu non avresti voluto veder altro. Le quali cose io rimirando, tutto m’empie’ di maraviglia; e stato così un poco sopra di me, le dissi: Quanto piacevolmente, la mia Lucia, rimeni tu cotesta pentola insieme col camiciotto! oh che saporita vivanda prepari tu! felice e più beato colui, al quale tu permetterai che vi metta un dito solo! Allora ella, che naturalmente era tutta piacevolina e faceta, mi rispose: Partiti, poveretto, lontano quanto più puoi da me, partiti da questo focolare; perciocchè se ’l mio picciol fuoco t’aggiugne, tu abbrucerai dentro, e niun potrà poscia spegnere l’ardor tuo, se non io, la quale so le dolci vivande rimenare dolcemente e nella pentola e nel letto. E detto questo, mi guardò un tratto così sottecchi, e rise. Ed io [p. 35 modifica]nondimeno non mi volli partir da lei infinchè io non avessi diligentemente considerato tutte le parti sue. E perchè dirò io dell’altre? essendomi il capo e i capelli stati sempre sommamente carissimi, e avendoli in pubblico guardati volentieri, e in privato godutomeli con mio grandissimo sollazzo, e così di questo giudicio avendomene fatta certa ragione, gli ho sempre avuti in pregio più che cosa veruna; parendomi che questa precipua parte del corpo posta nel più riguardevole luogo, prima apparisca avanti agli occhi nostri, e quello che negli altri membri gli allegri colori delle ricche vesti sogliono operare, il faccia in capo il nativo splendor de’ capelli. Finalmente, volendo molte dar saggio e della bellezza e della grazia loro, si traggono tutte le vesti, e rimuovono tutti i loro abbigliamenti, e bramano mostrar nuda la lor bellezza, confidandosi di piacer più collo splendor delle lor carni, che con quello dell’oro e delle perle delle lor vesti; ma certamente (il che è brutto solo a risguardare, nè piaccia al cielo che egli si truovi mai così sozzo esempio), se tu prenderai qualsivoglia bellissima donna, e tosera’ li i crini, e le spoglierai il capo di quel naturale ornamento, s’ella ben fusse come quella che dicono i poeti che cadde del cielo, partorita in mare, allevata fra l’onde; s’ella fusse Venere, dico, accompagnata dal coro delle Grazie, e circondata dal popolo de’ suoi Amori, e cinta del suo preziosissimo cintolo; s’ella spirasse cinnamo, s’ella sudasse balsamo, e fosse senza capelli, ella non piacerebbe eziandio al suo Vulcano: dove, per lo contrario, che gran diletto è egli a rimirar sopra de’ crini rilucer quel grazioso splendore, volto talor in verso i raggi del sole, sparger questi lampi d’ogni intorno, e fra sè stessi piacevolmente ritenerli! e se, per tua maggior ventura, poco vento gli va in quel mezzo leggermente percotendo, vedergli or involare il suo colore all’oro, or simigliare il pregiato mel d’Attica o di Sicilia, e poco poi, in guisa che le semplici colombe col loro volubile collo, or del color del cielo, or dell’ebano, or dell’onde [p. 36 modifica]marine fartegli parere! o se unti col liquor dell’Arabia ti appariranno con eburneo pettine dirizzati, o gli vedrai con morbida seta con oro intrecciata ritener dietro alle spalle! e occorrendo poscia agli occhi dello amante, in guisa di specchio gli renderan la immagine della sua donna più bella e più gradita. Che dirai tu, quando gli scorgerai avvolti da maestra mano riccamente con mille dolci nodi, o sopra delle bianche spalle darsi in preda alle lascive aurette? Tanta è finalmente la dignità della chioma, che avvegnachè una donna sia ornata di perle e d’ostro, vestita di drappi mollissimi, e porti addosso tutto il suo corredo, e non abbia rassettati i capelli, ella mai nè pulita nè bella apparirà. Ma eglino nella mia Lucia non soverchio riordinati, ma negletti ad arte, le davano grazia graziosissima; imperciocchè, avendo lasciata andar la folta chioma assai dolcemente dietro alle spalle, e posandosele in sul collo sopra ad una gorgeretta increspata ch’ella aveva, e raccoltogli un poco insieme intorno al fine, con un benigno nodo se gli aveva ritirati insino in sulla sommità della dirizzatura. Non potetti io più temperar la voglia mia, e accostatomele, le diedi un bacio in sul capo, appunto in quel luogo, che io vi dissi, ch’ella si aveva legati i capelli. Allora scossa un pochetto la fronte, e rivoltasi verso di me con certi occhi ladri, mi disse: O scolaretto, tu ti pasci d’una dolce e amara vivanda; guarda che la dolcezza del mele non ti empia lo stomaco di fele amarissimo. O che amaro, risposi io, può esser questo, ben mio? che per un di cotesti baci non mi curerei d’esser messo ad arrostire sopra di cotesto fuoco. E di queste in altre piacevoli parole trascorrendo, io non restai mai finch’ella non mi promise d’esser la sera vegnente in camera con esso meco. Dopo le quali parole ne dispartimmo. Allora appunto era mezzo dì, e Laura mi manda a presentare un buon porco, e cinque galline, e un baril di vin buono e di parecchi anni. Laonde io chiamata Lucia, dissi: Ecco il confortatore di Venere, ecco il combattitore, ecco il [p. 37 modifica]vino che si viene a profferire; beiamocelo oggi tutto, acciocch’egli ci lievi la pigrizia della vergogna, e faccici forti e animosi alla battaglia: questa vettovaglia non avea già d’altro mestiero, acciocchè in quella notte dove il sonno ha da aver bando, e la lucerna sia piena d’olio, e ’l bicchiere di vino. Il resto del giorno noi lo demmo a lavarci prima, e poscia alla cena. Perciocchè essendo stato chiamato alla buona cenerella del mio Petronio, sì io v’andai, guardandomi il più ch’io potea dagli sguardi della mogliera; come quegli che mi ricordava degli avvisi della mia Laura: e non altrimenti volgea gli occhi nel volto suo, ch’io mi avessi fatto nel profondo pelago dell’inferno; ma riguardando continuamente Lucia, che ne servia a tavola, mi ricreava nel volto suo. Era già venuta la sera, e Bertella, guardando nella lucerna, disse: Oh come ben pioverà domani! E domandandola il marito della cagione, ella rispose: L’ho saputo dalla lucerna. Della qual cosa ridendosi Petronio, replicò: Veramente noi diam le spese ad una gran Sibilla, pascendo questa lucerna, che d’in sul lucerniere riguarda le faccende del Cielo, e conosce i segreti del Sole. Perchè io sottentrando a questi ragionamenti, dissi: Questi sono i primi sperimenti della divinazione; e non è da maravigliarsene, perciocchè, avvegnachè questo focherello sia picciolo, e fabbricato da umana operazione, egli è ricordevole di quel maggiore e celeste Sole, come d’un padre suo, e puocci annunziare quello che si avesse a far nella sommità dell’aria per divino presagio: perciocchè appresso di noi in Firenze, un forestiero indovino per picciol pregio profeta pubblicamente cose miracolose della disposizion del Cielo, e segretissime: e quando è ben menar moglie; se allora si può cominciare un edificio o qual tu vuoi altra faccenda; se è buono mettersi in viaggio; se fa a proposito entrare in mare, o fare altre così fatte cose. E dimandandogli io dell’esito di questo viaggio, ei mi disse cose mirabili, e di varie ragioni; e che io ne avea da acquistare [p. 38 modifica]una fortissima gloria, e che io ne aveva a compilare una storia grandissima, e farne una incredibil novella; e finalmente che n’uscirebbe libri. E Petronio, ridendo per queste mie parole: Di che fattezze, disse, è cotesto indovino, o come ha nome? Egli è grande, risposi io, e un poco negretto, e chiamasi Diofane. Egli è desso per mia fe’, rispose Petronio, e non può esser altri; perciocchè egli fu ancor qui da noi, e predisse simili cose a molti; e avendo guadagnati di buon ducati, egli occorse al meschino un caso, non so se mel voglia piuttosto dire crudele che strano: perciocchè essendo una volta tra l’altre in un gran circulo di persone, e dando lor la ventura, un calzolaio, che s’addomandava il Faccendiere, si gli accostò, desiderando d’intendere qual dì fusse a proposito a una sua andata: e avendogliele egli detto, e ’l calzolaio messo mano alla borsa, e avendone già tratti i danari, e annoverati quattro giuli, i quali erano il pregio della ventura; eccoti che gli apparisce dietro alle spalle uno de’ più nobili giovani della terra, e presolo per la vesta, ed essendosi egli già voltato, il cominciò ad abbracciare e baciare assai strettamente: e avendolo l’indovino abbracciato e baciato similmente, se lo fece sedere accanto, restato tutto attonito per la repentina vista del giovane; e sdimenticatosi della faccenda del calzolaio ch’egli aveva, disse: Quanto è (che Dio sa s’io ti veggio con desiderio) che tu se’ arrivato in questa città? E ’l giovane rispondendo disse: Appunto in sul cominciar della sera. Ma narrami, il mio fratel caro, in quello scambio, come tu abbi fatto a varcare dell’Isola di Cipri, e passar que’ mari con tanta prestezza? Alla qual dimanda rispose quel valente indovino senza intelletto e fuor del secolo: A Dio piaccia dare a tutti i nimici nostri, e pubblici e privati, nè men crudele navigazione nè men lunga che si fusse la mia; imperciocchè la nave, sopra della quale io era, percossa dal soffiar de’ venti e dalla gran fortuna, avendo perduti i remi e le vele posciachè con gran fatica ella si fu condotta alla [p. 39 modifica]margine dell’altra ripa, s’affondò, e noi avendo perduto, ogni nostro avere, appena nuotando scampammo; e tutto quello che per compassione degli strani e per benignità degli amici ci fu porto, tutto ce lo rubaron gli assassini; all’audacia de’ quali volendo resistere Demetrio mio unico fratello, e’ fu da loro, misero a me, sgozzato innanzi a questi occhi.

E mentre che egli pieno d’angoscia narrava le sue sciagure, quel calzolaio Faccendiere, raccolti i suoi quattrini, prestamente se ne fuggì via; sicchè ritornato Diofane pure alla fine ne’ gangheri, s’accorse della sua castroneria. Ma a te solo di tutti, il mio Agnolo, abbia profetato l’indovino il vero: sii felice, e concédenti gli Dii prospero cammino. Mentre ch’e’ ragionava queste cose troppo lungamente, io di me stesso mi rammaricava; il quale spontaneamente avendogli porto materia di ragionare, mi perdea buona parte del tempo de’ miei piaceri: pur preso partito della vergogna, gli dissi: Sopporti Diofane in pace la sua fortuna, e di nuovo dia le spoglie di questo e di quel popolo e al mare e alla terra, purchè a me, che sono ancora stanco del camminar di ieri, conceda ch’io ne vada a dormire. E subito dette queste parole, io presi la via verso la mia cameretta, dove assai delicatamente era ordinato da far colezione: e acciocchè i miei famigli, come io credo, non potessero stare ad origliare le nostre notturne ciancie, egli era stato disteso il mio letticciuolo assai ben lungi dalla soglia dell’uscio, appresso del quale io trovai la tavola posta, la quale era piena di tutte le reliquie della passata cena, dov’erano bicchieri ragionevoli mezzi di vino, sicch’egli non vi s’aveva a metter su se non l’acqua; e la brocca del vino, dolce preludio delle battaglie d’Amore, con assai ben larga bocca si sedeva in parte, ch’egli se ne potea torre assai agevolmente. Appena era io entrato nel letto, ed ecco la mia Lucia, che già avea messo a letto la sua padrona, tutta di rose inghirlandata, fiorita la fronte, e avendone ripieno il seno di spicciolate, allegra se [p. 40 modifica]ne venne da me: e posciach’ella m’ebbe di fiori e di zuccherini ripieno, preso un bicchiere mi diede da bere; e avanti ch’io avessi finito di mandar giù tutto il vino, ella con ischerzevol modo, presemi il bicchier di mano, e messoselo a bocca, e riguardandomi così per traverso, dolcemente centellava quel poco che m’era avanzato, e due e tre altre volte riempiendo il bicchiere, rifaceva quella medesima danza; sicchè avendo oggimai con grandissimo nostro sollazzo bagnato amendue l’animo e ’l corpo di vino, entrati nel letto, cogliemmo gli ultimi frutti d’Amore, e scherzando e bevendo consumammo tutta quella notte; a somiglianza della quale ne trapassammo poi alcune altre. E in quel tempo Laura per avventura mi richiese con grande instanzia, ch’io fussi contento andare una sera a cenar con esso lei; e perciocchè io gliele negai più volte, ed ella non mai mi volle ammetter la scusa, egli mi fu necessario andarmene da Lucia, e reggermi col consiglio suo, non altrimenti che i magistrati antichi si facessero coll’auspicio. La quale avvengachè malvolentieri consentisse che me le discostassi niente, pure assai piacevolmente mi fece esente per una sera dalla sua milizia, e dissemi: Fa, il mio Agnolo, che tu torni come più tosto tu avrai cenato, perciocchè egli va attorno la notte una certa combriccola di giovani d’alto affare, i quali hanno messo a soqquadro la pace di questa città. Tu vedrai gli uomini giacer morti qui e qua per le piazze, ed è una compassione; e i lontani presidi del Signor di questa città e provincia non la posson liberar da così grande calamità: e a te, e la chiarezza del nome tuo, e l’esser forestiero ti potrebbon agevolmente far dare in qualche trappola. Sta senza pensieri, la mia Lucia, risposi io; perciocchè, oltre a che io per l’ordinario posporrei a’ miei piaceri le vivande altrui, io tornerò eziandio più tosto per amor tuo: e in oltre io non andrò solo; perciocchè mettendomi a canto le mie arme, io medesimo porterò meco la mia salute. Venuto poscia, il dì ch’era invitato, l’ora del vespro, cintomi [p. 41 modifica]la spada, con due miei famigli me n’andai a casa di Laura. Eravi a quella cena grandissimo numero di convitati, e come in casa di gran donna, il fior della città: vedevansi i letti ricchissimi, e di cedro e d’avorio risplendenti, le cui cortine parte eran di broccato e di velluto, alcun’altre di teletta d’oro, e di finissimi rasi e dommaschi: bicchieri grandi di varie fogge, ma tutti d’un pregio; quello era di vetro ornato di bellissimi segni, quell’altro di cristallo tutto dipinto; molti vi si scorgevan d’argento finissimo, alcuni di forbito oro; parte ve n’aveva d’ambra intagliata maravigliosamente; tutti erano fregiati intorno di preziosissime gioie; sicchè egli ti pareva bere e perle e pietre finissime, e quello che non era possibile: i donzelli erano assai, ed abbigliati riccamente, le vivande molte e benissimo preparate: i garzoncelli con zazzere ricciute e profumate, vestiti con nuove fogge, assai sovente andavano offerendo i preziosi bicchieri di saporoso vino ripieni. Già apparivano i lumi in tavola, e mille allegri ragionamenti erano entrati in campo; già si cianciava e rideva per ognuno, e dicevansi mille facezie; quando Laura voltasi verso di me, disse: Come ti piace la stanza, il mio Agnolo, in questa città nostra? entro alla quale, secondochè a me pare, sono i tempj, i bagni, e gli altri simili edifici così magnifici, che io non mi vergognerò dire che noi avanziamo tutte l’altre città: dell’altre cose che fa mestiero al vivere, noi ne siamo convenevolmente abbondanti: e inoltre e’ ci è una certa libertà oziosa a chi si vuole stare; e a chi piacesse di far faccende, perciocchè e’ c’è frequentemente il commerzio delle genti della Romagna, egli c’è sempre da negoziare; e per li forestieri, e massimamente per quelli che hanno del gentile, egli c’è una certa quiete villereccia, che non si truova in molti luoghi: finalmente ella è un piacevole secesso di tutta Italia. Alle quali parole dissi io, rispondendo: Veramente, Madonna, che tu dici quello che è; perciocchè e’ non mi pare esser mai stato in luogo alcuno dove io abbia conosciuto [p. 42 modifica]quella libertà del vivere che io ho fatto in questa terra. Ma io ci ho bene una grandissima paura delle frodi e degl’inganni dell’arte magica: perciocchè egli mi è detto, che i sepolcri degli uomini morti per cotali superstizioni non ci son gran fatto sicuri, ma che degli avelli e de’ cimiteri si cavan non so che rimasugli, e unghie, e simili cose; e certe vecchiarde le adoprano poscia alla rovina de’ miseri mortali; e mentre che ancor duran le pompe del mortorio, queste stregone con giovenili passi vanno a prendere il luogo nell’altrui sepolture. Io non era appena arrivato al fine di queste mie parole, che un altro soggiunse: Anzi non ci sono sicuri i vivi; imperocchè un certo uomo a questi dì sostenne cotesto medesimo che tu hai detto de’ morti, al quale fu tutto tagliato e tutto guasto il viso. In questo mezzo il convito s’era universalmente risoluto in licenziosi sghignazzamenti, e quasi tutti i convitati in un tratto soverchio importunamente avevano voltato gli occhi nel volto d’un certo che si sedeva così là in un cantone; il quale confuso dall’ostinato sguardo di sì gran brigata, sdegnato, e borbottando così fra sè, faceva segno di volersi partire. Ma Laura, che se ne accorse, subito voltasigli, disse: Deh caro amico, aspetta alquanto, non ti levar, di grazia, ma colla tua solita urbanità raccontaci quella tua novella, acciocchè questo mio Agnolo, il quale io amo più che figliuolo, fruisca la piacevolezza del tuo leccato parlare. Ed egli a Laura: Tu, la mia padrona, dici quello che si aspetta alla bontà tua; ma egli non è da sopportare la insolenza di certi. E così dicendo tutto pieno di stizza si taceva. Ma ella, pregatolo e scongiuratolo, per amor suo il fece parlare, ancorchè egli non volesse. Perchè rassettatosi a sedere un poco meglio, e spinta in fuori la man destra, e come fanno gli oratori, abbassando il dito mignolo e quel che gli surge accanto, e spingendo in fuori gli altri dui, e il grosso dirizzando, mosse le sue parole in questa guisa.

Essendo io giovanetto andato in Candia per alcune [p. 43 modifica]mie bisogne, e desiderando eziandio di vedere i famosi luoghi di quella isola, avendola cercata tutta, capitai con pessimo augurio alla Cania; ed essendomi in parte mancato la provvisione del viaggio, mentre che io rifrustando ogni cantone m’andava provvedendo delle cose necessarie alla mia povertà, arrivato a caso in sulla piazza, io vidi un vecchione assai grande starsi in su un petrone, e con chiara voce gridando diceva, che quelli che volessero venire a guardare un morto, dicessero quanto pregio egli volevano. Laonde io, voltomi a un che passava, dissi: Or che è quello ch’io sento? o sogliono fuggire i morti in questo paese? Sta cheto, rispose colui allora, che tu mostri ben d’esser giovane e forestiero, e perciocchè non ti ricordi di essere in Candia, ove le streghe per ogni canto vanno morsicando il viso de’ morti, e con quelle coserelle fanno poscia i loro incantamenti. Ed io a lui: E quanto, se Dio ti guardi, si dà egli per far la guardia a questi morti? La prima cosa, rispose, tu avrai una mala notte, senza posarti pur un attimo d’ora, senza levar mai gli occhi d’addosso al morto, nè voltar le luci, anzi pur torcerle in altra parte; perciocchè queste [p. 44 modifica]maledette vecchiarde si trasmutano d’animale in animale, com’elle vogliono, sì nascosamente, ch’elle ingannerebbon gli occhi del Sole e della giustizia; e or sono uccelli, or cani, e poco poi e topi e mosche; e allora con loro empie parole velano gli occhi di queste guardie con nebbia di sonno foltissima, e non sarebbe alcuno che potesse raccontare quante trappole trovano queste male femmine per saziar la loro disonesta rabbia: e nientedimeno, egli non si dà per guiderdone di così faticosa faccenda mai più che la mercede di quattro o al più sei ducati d’oro. Oh (quel che importa più, ed io me n’era quasi scordato), se alcuno non restituisce poscia la mattina il corpo intero siccome egli era, tutto quello che si li trovasse manco, tutto quello è sforzato il guardiano a rappiccargliele col viso suo. Avendo io adunque inteso queste cotali cose, non impaurito miga per così gran pericolo, anzi facendo un cuor di leone, me ne andai dal banditore, e dissi: Olà, non chiamar più, ecco il guardiano apparrecchiato: quanti danari si danno? Sei ducati saranno depositati: ma vedi, quel giovane, guarda che tu custodisca con diligenzia da queste male arpie costui, che è figliuolo del primo gentiluomo di questa città. Tu vuoi la baia, non è il vero? dissi allotta, e da’mi ciance: non vedi tu un uomo di ferro, e da non dormir mai, che vede più discosto che Linceo, o Argo? io son tutt’occhi finalmente. Appena aveva io finite queste parole, ch’egli mi prese per mano, e condussemi a una certa casa: nella quale, perciocchè le porte eran serrate, io entrai per uno sportello, dove mi fu mostro una certa stanza che aveva chiuso l’uscio e le finestre, ed era tutta scura; appresso della quale si sedeva una matrona tutta piena di lagrime, e vestita a bruno; a cui disse quegli che mi menava: ecco costui, il quale è condotto alla guardia del tuo marito, venuto senza paura veruna. Alle cui parole ella, mandandosi parte de’ capelli che le pendevano dinanzi, da un lato, e parte dall’altro, nè potendo fra tante lagrime nascondere la [p. 45 modifica]sua maravigliosa bellezza, voltamisi, disse: Vedi quel giovane, di far l’uficio tuo vigilantemente. Non aver pensier di nulla, risposi, purchè tu mi usi di soprappiù qualche cortesia. Ed ella, accennando di far ciò che io voleva, subito rizzatasi, mi menò a quella camera dove era il morto, e, in presenza di sette testimonj, levatili d’addosso alcuni sottilissimi veli, me lo scoperse; e posciach’ell’ebbe pianto un pezzo, con gran sollecitudine dimostrandomi le di lui parti per ordine, secondo ch’elle erano scritte in su un foglio, diceva: Ecco il naso intero, ecco gli occhi senza mancamento, ecco gli orecchi sani, ecco le labbra tutte, ecco il mento saldo: voi, gli miei cittadini, ne renderete testimonianza. E avendo dette queste parole, e suggellato quel foglio, volendosi partire, io le dissi: Ordina, Madonna, ch’egli mi sia portato tutte quelle cose che mi fanno bisogno intorno a di ciò. E che cose son queste? diss’ella. Una lucerna assai ben grande, risposi, e olio che basti a far lume sino al giorno, e dell’acqua, con un fiasco di vino, e un bicchiere, e una tavoletta piena di quelle cosette che vi sono avanzate questa sera a cena. Allora ella, scotendo il capo: Deh va via, pazzo: che cena in casa dove si fa bruno? e vuoi le reliquie donde tanti di sono che e’ non ci s’è veduto mai fummo, non che fuoco? e credi tu venire a sguazzar qua, dove non è convenevole fare altro che piagnere e lamentarsi? E così dicendo, voltasi a una sua serva, seguitò: Va portagli dell’olio e una lucerna spacciatamente; e serratolo poi in camera, vientene allora allora. Lasciato adunque solo a quel sollazzo di quel corpo morto, strofinandomi gli occhi, per armargli alla veglia, e trastullandomi con alcuna canzonetta, eccoti la notte, ecco le due ore, ecco le quattro, e la paura tuttavia cresceva: e in sulle cinque, allora quando il filatoio girava davvero, eccoti venire una donnola, e pormisi dirimpetto; la quale guardando fiso fiso, non mi levava mai occhi d’addosso. Volete voi altro? che un così picciolo animaletto, per la sua perfidia di quel guardarmi, mi conturbò più che [p. 46 modifica]cosa che mi fosse incontrata quella notte! Pur la paura mi diede al fine tanto ardire, che voltandomele con mal piglio, le dissi: Che non ti parti tu, brutta besticciuola, e vatti a riporre co’ topolini simili a te, se tu non vuoi sperimentar le mie forze adesso adesso? che non ti parti tu? Ed ella allora allora, voltatemi le spalle, sparì via: nè vi andò guari, che egli mi entrò addosso un sonno sì grande, che altri non avrebbe saputo troppo agevolmente discernere chi di noi due che giacevamo, fosse stato il morto; sicchè senza sensi rimaso, e avendo bisogno d’un che guardasse me, me n’era andato altrove; e stetti così tanto, che i galli cantando, facevano la parte della lor guardia: al cui romore destomi tutto pien di paura, me ne andai da quel corpo morto, e levato il velo, e accostato il lume, il guardai con diligenza. E mentre che io mi rallegrava, veggendo che e’ non gli mancava niente, quella meschinella della moglie, co’ testimonj del dì dinanzi, s’entrò in camera tutta affannata, e gittatasi subitamente sopra di quel corpo, e baciatolo infinite volte, così colla lucerna in mano, gli riconobbe tutte le membra sue. Perchè voltasi, dimande di Niccolò, e gli impose, che senza [p. 47 modifica]indugio egli desse al buon guardiano la sua mercede: la quale come prima ebbi ricevuta, ella mi disse: Giovane, noi ti ringraziamo sommamente; e in verità, che per questa tua estrema diligenza, noi ti avremo sempre in luogo degli altri famigliari. Ed io che per lo inaspettato guadagno tutto mi stemperava d’allegrezza, abbagliato in quello splendor di que’ ducati, che mi ballavan per mano, risposi: Anzi, la mia padrona, fa stima ch’io sia uno de’ tuoi servi; e facciati pur bisogno dell’opera mia, come ti accorgerai che io ti son sempre per servire fedelissimamente. Appena aveva io finite queste parole, che gli famigliari di casa mi furono intorno alle costole; quello mi percoteva le guance colle pugna, quell’altro mi caricava le spalle colle gomitate, chi mi batteva i fianchi colle palme, altri mi dava de’ calci; molti mi tiravano i capelli, e non mancava chi mi stracciasse la veste; e in guisa del misero Orfeo, tutto fracassato e pieno di sangue fui cacciato di casa. E mentre che io tutto angoscioso per ricrearmi un poco mi stava su una piazza lì vicina, e che ricordatomi, ma troppo tardi, delle inconsiderate mie parole, da me stesso confessava d’essere stato trattato troppo più modestamente che io non meritava; eccoti arrivare il morto che io aveva guardato, il quale, finito tutte le cerimonie secondo il costume di quella città, era menato per li più celebrati luoghi al sotterratorio con una grandissima pompa. Veniva appresso alla bara un vecchio tutto canuto, pieno di lagrime e di angoscia, e spingendo assai sovente ambe le mani verso il morto corpo, con voce stridente, ma da molti sospiri impedita, gridava: Per la vostra fede, i miei cittadini, per la pubblica pietà soccorrete al morto cittadino, o punite severamente l’empio fallo di questa scellerata e impurissima femmina: questa sola, questa, e niuno altro, per compiacere al suo adultero, e mettere le rapaci unghie nella di lui eredità, ha con veneno ammazzato il misero giovinetto, d’una mia sorella desideratissimo figliuolo. Con questi e altri così [p. 48 modifica]fatti rammarichii empieva il vecchione le orecchie di tutti coloro che quivi arrivavano; laonde il popolo, perciocchè la cosa aveva del verisimile, assalito da una fiera crudeltà, gridava ch’ella aveva meritato il fuoco; e instigavano i fanciulli a correre a casa della malvagia donna a lapidarla: la quale, essendosi armata delle donnesche armi, piena di lagrime, con quella più simulata religione che poteva, chiamando Dio e i santi per testimoni, negava aver commesso l’abbominevol peccato. Perchè disse il vecchione: Rimettiamo il giudicio di questa cosa nello arbitrio della divina providenza. Egli ci è Zacla egizio, profeta grandissimo, il quale già si è convenuto meco per ingordissimo pregio di far tornare dal profondo inferno la costui anima, e di nuovo porla entro al morto corpo. E mentre che egli diceva queste parole, egli fece venir quivi nel mezzo un certo giovane, vestito di sacco, colle scarpe di palma, e col capo raso: e avendogli più fiate baciate le mani, e abbracciate le ginocchia: Abbi misericordia, gli disse, sacerdote, abbi misericordia di me per le stelle del cielo, per i mobili angeli, per li naturali elementi, per i taciti silenzj della notte, per gli argini delle rondini, e per le inondazioni del Nilo, per li segreti misteri dell’Egitto, e li cembali di Faro; presta a costui un picciolo spazio di vita, e inspira un poco di luce in quegli occhi, che sono accecati in sempiterno: noi non lo rivogliamo per sempre, nè alla terra neghiamo il suo tributo; ma per sollazzo della vendetta chieggiamo un brevissimo intervallo di vita. Scongiurato il profeta per quella maniera, senza altro dire, pose una erbetta alla bocca del morto giovane tre volte, e un’altra al petto; e poscia voltosi verso l’Oriente, e tacitamente adorata la potenzia dello illustrante Sole, con così venerevole spettacolo trasse tutti i circostanti a vedere un così fatto miracolo. Io mi cacciai là fra la turba, e salito sopra d’un sasso, ch’era vicino alla bara, assai ben sollevato, curiosamente stava riguardando che fine dovesse aver questa faccenda. Già si [p. 49 modifica]vedea gonfiargli il petto, già era ritornato il polso entro alle vene, ed era già ritornata l’anima al luogo antico. Rizzasi il morto, parla il giovane, e dice: Deh per qual cagione, posciach’io ho bagnate le labbra entro alle onde di Lete, e solcata la stigia palude, mi riducete voi di nuovo per questo picciolo spazio al dispiacevole uficio dell’amara vita? non fate, vi priego, non fate; lasciatemi stare nella mia quiete. Udendo il profeta queste parole, con voce un poco sdegnata disse: Perchè non racconti tu all’aspettante popolo il fatto tutto intero, e apri le segrete cagioni della tua morte? Dunque non credi tu ch’io possa colli miei incanti invocare le furie infernali, e tormentarti le affaticate membra? Perchè egli udendo le minaccevoli parole, rizzatosi di nuovo a sedere in sulla bara, e voltosi al popolo, prese a dire in questa guisa: Io sono stato tolto da questa che voi chiamate vita per gl’inganni della mia novella sposa, e sforzato dal venenoso beveraggio lasciai con violente prestezza vuoto allo adultero suo il santo letto matrimoniale. Allora la gentil moglie tutta divenuta altiera, sacrilegamente e con efficaci parole rispondendo alle accuse del marito, diceva che egli si partiva dalla verità. Il popolo in quel mezzo rugghiava, e chi l’intendeva in un modo, e chi nell’altro: una parte avrebbe voluto che la pessima femmina fusse stata insieme col marito messa così viva a sotterrare: altri diceva che non era da prestar fede alle parole e menzogne di quel corpo morto, nè alle prestigie di quell’Egizio. Ma il giovane colle sue parole prestamente tolse via questa contenzione; e spirando di nuovo più profondamente: Io vi darò, disse, i’ vi darò indubitata chiarezza della pura verità, e dirò cosa che alcun di voi non intese giammai. E dopo queste parole, additatomi, soggiunse: Perciocchè le vecchiarde streghe, desiderose delle mie spoglie, trasformatesi indarno più volte, essendo costui sagacissimo custode del corpo mio, non avevan potuto ingannare la sua diligenza; finalmente avendolo sotterrato in un profondo sonno, [p. 50 modifica]non restaron mai di chiamare il mio nome, sintanto che le fredde mie membra obbedissero alle lor voglie: per la qual cosa costui vivo veramente, ma morto nel sonno, avendo il medesimo nome, senza sapere altro, rizzato al suono del nome suo, ancor dormendo, così come fanno l’ombre, ancorchè le porte fusser diligentemente serrate, se ne andò fuori per un picciol pertugio; e quivi gli fu tagliato il naso e gli orecchi, e in mia vece sopportò così brutto macello: ed a cagion che nulla mancasse a questo inganno, formando un poco di cera in quella guisa che erano le troncate parti, a misura gliene rappiccarono: e ora si sta qui il poverello annoverando il pregio della sua non industria ma del suo sminuimento. Impaurito io adunque per così fatte parole, desiderando chiarirmi s’egli diceva il vero, mi volsi pigliare il naso, ed egli mi cadde: volmisi toccare gli orecchi, ed egli se ne vennero: e mentre che colle dita e colle fise guardature io era per così fatta maraviglia notato da tutti i circostanti, e ognun crepava delle risa del fatto mio, divenuto tutto pieno d’un sudor freddo, me ne scampai il più tosto potei fra i piedi di quelle brigate; e trovandomi poscia e sanza orecchie e sanza naso, e così ridicolo, non mai poscia mi diede il cuore di ritornare a casa mia. Come più tosto Ambrogio ebbe finita la sua novella, le brigate, piene di vino, di nuovo si risolvevano in riso soverchio liberale; e non restando contuttociò di chieder da bere, Laura voltò il suo parlare verso di me: Domani è il solenne giorno nel quale furono gittati i primi fondamenti di questa città, nel quale noi con allegre e gioconde feste ci sforziamo ogni anno far grande onore all’affetto del Riso, e sempre cerchiamo nuova materia d’aver donde ridere e rallegrarci tutto quel giorno: la tua presenza ce lo farà ancor parere vie più allegro: e Dio voglia che tu ritrovi qualche cosa piacevole da te stesso in onor del lieto giorno. Bene sta, diss’io allora, e’ sarà fatto la tua voglia: e nel vero io vorrei ritrovar qualche cosa, [p. 51 modifica]la quale abbondevolmente vi soddisfacesse. Dopo le quali parole, per ammonimento del mio famiglio, il quale mi fece intendere ch’egli era alta notte, assai ben pien di vino mi rizzai da tavola; e presa licenzia da Laura, con non saldi passi me ne inviai verso casa: e come noi arrivammo alla prima piazza, perciocchè e’ traeva un grandissimo vento, e’ ci si spense il lume, di maniera che per essere il buio grande, te percossi i piedi per quanti sassi erano per la strada: pure arrivato alfine vicino a casa, e’ mi venne veduto intorno all’uscio tre grandi e grossi uomini, i quali facevano sì sconcio romore intorno a quella porta, che io dissi: e’ la vorranno rovinare: e avvengachè noi fussimo arrivati loro addosso, e’ non mostravano aver temenza di nulla, anzi a gara l’un dell’altro con maggior forza le erano intorno; sicchè a tutti noi, e a me massimamente, e non senza cagione, pareva che fussero crudelissimi ladroni: laonde, trattomi da canto un mio coltello, che per cotali bisogne meco portava, e sanza indugio assaltatili, lo cacciai per li fianchi a ciascun di loro, secondochè io gli trovai combattendo intorno alla porta: tantochè io me li vidi cadere a’ piedi. [p. 52 modifica]cessato adunque il romore per quella guisa, io me ne accostai a casa, e chiamata Lucia, che subito mi aperse l’uscio, tutto sudato e tutto trambasciato me n’entrai dentro; e stracco, come chi avea combattuto con tre ladroni, in iscambio della occisione di Gerione, prestamente entrato nel letto, subito mi addormentai.