La capanna dello zio Tom/Capo III

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III. Il marito e il padre

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Harriet Beecher Stowe - La capanna dello zio Tom (1853)
Traduzione dall'inglese di Anonimo (1871)
III. Il marito e il padre
Capo II Capo IV
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CAPO III.


Il marito e il padre.


La signora Shelby era uscita per la sua visita; ed Elisa, ritta in piedi sulla veranda, seguia collo sguardo la vettura che si allontanava, quando una mano amica venne a posarsele sopra la spalla. Ella si volse, e i suoi belli occhi lampeggiarono di un dolce sorriso.

— «Sei tu, Giorgio? mi hai fatto paura. Quanto godo di rivederti! La signora è uscita, nè tornerà a casa per il resto del dopopranzo; vieni nella mia cameretta; avremo tempo di conversare a bell’agio.

[p. 20 modifica]         E lo condusse, così dicendo, in una stanza che metteva sulla verenda, e dove ella solea lavorare, a portata di udir la voce della padrona se mai la chiamasse.

— «Quanto sono felice! Ma perchè non sorridi? Guarda il nostro Arrigotto come è cresciuto!» Il fanciullo, tenendosi stretto al lembo delle vesti di lei, sogguardava furtivamente il padre, traverso le folte anella dei suoi capelli. — «Non è forse bello» riprese Elisa, rimovendogli dalla fronte la ricca capigliatura e baciandolo.

— «Vorrei che non fosse nato mai! — esclamò Giorgio con amarezza; — io stesso non vorrei esser mai nato!»

Elisa, attonita e spaventata, si abbandonò su d’una sedia, e piegando il capo sulla spalla del marito, ruppe in lagrime.

— «Elisa, mia dolce Elisa; ho pur gran torto di affliggerti in questa guisa» riprese egli teneramente. — «Ah vorrei che tu non mi avessi mai conosciuto! saresti stata più fortunata!»

— «Giorgio, Giorgio! Come puoi dir queste cose? Che ti avvenne di sì orribile, o che ci minaccia? Non siamo stati felicissimi sino a quest’oggi?»

— «Lo fummo, cara mia» rispose Giorgio; togliendosi quindi il fanciullo sulle ginocchia, prese a guardarlo fiso nei suoi grandi occhi neri e a passargli dolcemente la mano tra le ciocche dei capelli.

— «È il tuo ritratto, Elisa mia; tu sei la più bella donna che mi venne veduta mai, la migliore che io mi abbia potuto augurar mai; eppure bramerei di non averti veduta mai, e che tu non avessi veduto me!»

— «Oh Giorgio, e hai cuore di dir queste cose?»

— «Sì, Elisa; tutto è miseria, miseria, miseria! la mia esistenza è amara come assenzio; mi consumo internamente; sono un poveretto, un derelitto; non posso trarti a parte che della mia umiliazione. A che tentare di far qualche cosa, di saper qualche cosa, diventar qualche cosa? Che far della vita? vorrei esser morto!»

— «Oh è crudele veramente, mio caro Giorgio! so quanto ti increbbe lasciar l’impiego che avevi in quella fabbrica, e quanto sia duro il tuo padrone; ma ti prego di aver pazienza, e forse....»

— «Pazienza! — esclamò il giovane, interrompendola; — non l’ebbi io forse? mi sfuggì forse una parola, quando egli, senza averne ragione al mondo, venne a togliermi da un luogo dove tutti mi amavano? non gli resi forse conto di ogni minimo mio guadagno? e tutti concordavano in dire che io era un buon operaio.»

— «È cosa dura, — riprese Elisa; — ma insomma, come sai, è tuo padrone.»

— «Mio padrone! e chi lo fece mai tale? Ecco ciò che vado mulinando [p. 21 modifica]continuamente; che diritto ha egli sopra di me? sono un uomo al pari di lui; mi intendo d’affari meglio di lui; sono capace di governare una fattoria meglio di lui; so leggere, scrivere meglio di lui; imparai tutto da per me; non gli debbo grazie di nulla. Anzi ho imparato a suo dispetto; ed ora che diritto ha egli di farmi suo giumento; di strapparmi ad una occupazione che conosco ben addentro, per condannarmi a fatiche che un cavallo potrebbe fare egualmente? E pur lo pretende, e dice aperto, che, appunto a questo proposito, si compiace aggravarmi, umiliarmi coi lavori più aspri, più degradanti.»

— «Giorgio, Giorgio, tu mi spaventi; non ti intesi parlar mai a questo modo! Temo che ti lasci trascorrere a qualche funesto eccesso; comprendo i tuoi sentimenti.... tutto! ma, per pietà, sii prudente, per amore di me e del nostro Arrigotto!»

— «Fui prudente e paziente; ma il male si aggrava al punto che uomo non può più oltre sopportarlo. Coglie ogni occasione per insultarmi, per tormentarmi; sperava che, portato a buon termine il mio lavoro, mi sarebbe rimasto un po’ di tempo per riposarmi, per leggere ed imparare; ma egli più vide che posso fare, e più mi opprime di lavoro. Dice che, sebbene io mi taccia, si accorge che ho il diavolo in corpo, che vuol cacciarmelo ad ogni costo; ebbene, uno di questi giorni, il diavolo se ne andrà, ma, se non erro, in modo tale, che non sarà di suo piacimento.»

— «Oh caro! e che faremo noi?» esclamò Elisa dolorosamente.

— «Non più tardi di ieri, — ricominciò Giorgio, — mentre stava caricando di pietre un carretto, il padroncino Tom facea sibilar lo scudiscio così forte all’orecchio del mio cavallo, che questi cominciò ad impaurirsene. Col miglior garbo che mi fu possibile, lo pregai di cessare; ma egli proseguì, senza badarmi. Lo pregai nuovamente; ed allora, voltosi a me, prese a flagellarmi; io gli rattenni la mano; egli si mise a gridare, si svincolò dal mio braccio, corse da suo padre e gli disse che io lo avea battuto. Suo padre sopragiunse pieno di collera, e mi disse che mi avrebbe insegnato a conoscere chi era il mio padrone. Mi legò ad un albero, tagliò verghette che porse al figliuolo, consigliandolo a flagellarmi finchè la lena gli reggesse; ciò egli fece; ma verrà giorno in cui potrò ricordarglielo.»

La fronte del giovane si ottenebrò: i suoi sguardi lampeggiarono con tale un’espressione, che sua moglie ne tremò tutta.

— «Chi lo fece mio padrone, quest’uomo? — soggiunse egli, — ecco ciò che mi importa sapere.»

— «Credei sempre — riprese Elisa con voce accorata — che debbo ubbidire al mio padrone, alla mia padrona; altrimenti non sarei cristiana.»

[p. 22 modifica]     — «Nel tuo caso, ben parli. Ti hanno allevata come loro figliuola, ti hanno ben nutrita e vestita, ti furon sempre benevoli, ti hanno data una buona educazione, posson dunque riclamare qualche diritto sopra di te. Ma io fui battuto, oltraggiato, o, per lo meno, lasciato affatto in abbandono. Che gli debbo io? gli pagai mille volte il mio mantenimento: no, non voglio più a lungo tollerar questo stato; nol voglio assolutamente» esclamò stringendo il pugno ed aggrottando le ciglia.

Elisa tremò e tacque; quell’indole affettuosa parea piegasse come giuoco sotto l’impeto d’una violenta bufera.

— «Ti ricordi — riprese Giorgio — del cagnolino che mi avevi regalato? quella povera creatura era l’unica consolazione che mi aveva; di notte si coricava presso di me, di giorno mi seguia dappertutto, e mi sogguardava con tale un’espressione che parea comprendesse ciò che io soffriva. Ebbene jer l’altro, mentre io le dava da mangiare un qualche misero rimasuglio che avea raccolto all’uscio della cucina, il padrone sopraggiunse, mi disse che io manteneva quel cane a sue spese; non poter tollerare che un suo negro tenga un cane; mi ingiunse di afferrarlo, legargli una pietra al collo, gittarlo in una pozzanghera.»

— «Ah, Giorgio non l’ha fatto!»

— «Non io, ma ben egli. Il padrone e Tom suo figliuolo ammazzarono a colpi di pietra la povera bestia mentre affogava. Povero cane! mi guardava tra l’accorato e l’attonito perchè io non gli corressi in aita. Fui battuto, perchè non volli ubbidire. Ma poco mi importa; il padrone dovrà persuadersi che io non sono tale da piegare sotto il frustino; e, se non vi bada, verrà il mio giorno!»

— «Giorgio, che vuoi fare? Non commettere cattive azioni. Se operi rettamente, se hai fiducia in Dio, Dio saprà liberarti....»

— «Non sono cristiano come tu, Elisa; il mio cuore è gonfio di amarezza; non posso confidare in Dio, perchè lascia che succedano di tali cose.»

— «Oh Giorgio, bisogna aver fede! La padrona suol dirmi che quando tutto ci va alla peggio, dobbiam credere che Dio il permetta pel nostro meglio.»

— «Torna facile il dirlo a persone che si adagiano sopra sofà e vanno a diporto nelle loro vetture; ma si mettano un pochino al mio posto, e scommetto che parleranno ben altrimenti. Vorrei esser buono, ma il mio cuore arde e non può perdonare. Tu stessa nol potresti a mio posto, specialmente se tu sapessi ciò che ho a dirti. Ma finora non sai tutto.»

— «Che può dunque sopraggiungermi?»

— «Ebbene, il padrone ebbe poc’anzi a dirmi che io era stato uno sciocco a lasciarmi ammogliare fuori di lì; che egli detestava i Shelby e [p. 23 modifica]tutta la lor gente perchè sono alteri, sfoggiano un’aria di superiorità intollerabile, e che io aveva imparato l’alterigia da te; soggiunse non mi lascerebbe mai più in questa casa, e mi costringerebbe a sposare altra donna e stabilirmi colà. Dapprima non borbottava queste cose che tra i denti; ma ieri mi ingiunse di sposare Mina, di stabilirmi seco lei in una capanna, o che altrimenti mi avrebbe venduto pel basso del fiume1

— «Ma tu hai sposato me, al cospetto di un ministro — disse Elisa ingenuamente — come se tu fossi un bianco.»

— «Ignori forse che uno schiavo non può ammogliarsi? La legge vi si oppone; e se al padrone viene in capo di separarci, tu non sei più oltre mia moglie. Ecco perchè vorrei non averti veduta mai, non esser mai nato; sarebbe stato meglio per amendue, sarebbe stato meglio per questo povero figliuol nostro se non fosse nato mai! la sorte stessa può toccare anche a lui.»

— «Oh, ma il padrone è così buono!»

— «Sì, ma chi sa? può morire; e quindi il nostro bimbo andar venduto al primo avventore. Possiam noi compiacerci che egli sia bello, vispo, grazioso? Elisa, te lo predico, per ogni vezzo del tuo bambino, una spada trafiggerà l’anima tua; sarà troppo prezioso perchè tu possa conservartelo.»

Queste parole piombarono qual peso enorme sul cuore di Elisa; vide passarsi innanzi lo spettro di un mercante di schiavi, e quasi fosse côlta da colpo mortale, si scolorò, le venne meno il respiro. Quasi convulsa gittò uno sguardo sulla verenda, ove il figliuoletto, annoiato di quella grave conversazione, si era poco a poco ritirato, e cavalcava su e giù trionfalmente il bastone del signor Shelby. Già stava per comunicare al marito i proprii timori, ma se ne astenne.

No, no — pensò fra sè stessa — ha già troppo a soffrire, quel poveretto; non gli dirò nulla; e d’altronde la padrona non mi inganna sicuramente.

— «Ora, Elisa, anima mia — disse il marito melanconicamente — ricevi il mio addio, perchè me ne vado.»

— «Te ne vai, Giorgio, e dove?»

— «Al Canada — rispose egli, facendo forza sopra sè stesso; — e di là vedrò modo di riscattarti; ecco ciò che ci resta ancora a sperare; tu hai un buon padrone, il quale non ricuserà di venderti; comprerò te e il nostro figliuoletto; così spero, coll’aiuto di Dio!»

— «Misera me, se tu fossi preso!»

— «Non sarò preso, Elisa; morrò piuttosto! libertà o morte!»

— «Non ti ucciderai!»

[p. 24 modifica]     — «Non sarà necessario; mi uccideranno essi; vivo non potranno condurmi mai all’ingiù del fiume.»

— «Oh Giorgio, sii prudente, per amor mio! Non commettere cattive azioni; non per mano violenta nè sopra te, nè sopra chicchessia; ben so che la tentazione è terribile; ma poichè dobbiamo separarci, va pure; sii guardingo, prudente, e prega Dio che ti aiuti!»

— «Ebbene, ascolta Elisa, ciò che ho divisato. Venne in capo al padrone di inviarmi per una commissione a casa del signor Symmes, che abita distante un miglio da qui. Certo, egli suppone che io venga a narrarti tutte le mie angosce, e già gode in pensare che, per tal modo, può mettere di mal umore i Shelby, come egli usa chiamarli. Tornerò alla fattoria, tutto rassegnato, comprendi bene, quasi che nulla fosse avvenuto; i miei preparativi son fatti; e vi sono amici che potranno aiutarmi. Tra una settimana, o poco più, sarò nel numero degli assenti. Prega per me, Elisa, e forse Dio vorrà esaudire te!»

— «Pregalo tu pure, o Giorgio; confida in lui, e non farai cosa di cui abbia a rimproverarti.»

— «Addio dunque» soggiunse Giorgio, prendendo per mano Elisa e affissandola immobilmente negli occhi. Stettero amendue silenziosi; erano le parole estreme, le estreme lacrime, amplessi come di persone che non isperano mai più rivedersi; e i due coniugi si separarono.



Note

  1. Nelle provincie del Sud, dove la schiavitù è più tremenda.