La battaglia delle belle donne di Firenze colle vecchie/Cantare primo

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Cantare primo

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La battaglia delle belle donne di Firenze colle vecchie Cantare secondo


1

Tu santa madre del benigno Iddio,
del creator di tutte creature,
che l’universo muove al suo disío,
e dà chiarezza nelle cose oscure,
tu vergine pietosa, il cui ricrio
è sol conforto alle mondane cure,
tanto mi presta del tuo lume santo
ch’io possa seguitar mio vago canto.

2

E tu, o madre del pietoso Enea,
o Venus, pace de’ fedeli amanti,
tu alta donna valorosa Dea,
ch’ogni sospiro muti in dolci canti,
tu che ’l mio petto con amor ricrea
di bel piacere e di vaghi sembianti,
tu, che vincendo vinci crudel prove,
grazia mi presta pel tuo santo Giove.

3

Egli è ragion, signor, che la bellezza
quando con la virtú si vede unita,
sia gloriata con felice altezza,
acciò che piú da tutti sia gradita,
che poi che giugne la crudel vecchiezza
donna non è per virtú reverita;
e ciò si vede nel mondano errore
ch’oggi non s’ama il frutto ma sí il fiore.

4

Dunque davanti che bellezza mora,
acciò che la virtú lodar si possa,
d’alquante donne che ’l gran Giove onora
intendo di cantar con dolce mossa,
che nell’alta Fiorenza fan dimora
e quella tengon d’ogni vizio scossa,
ferendo or qua or là senza contesa
che non è cor che possa far difesa.

5

Quest’alte donne di somma potenza,
veggendosi gradire in tale stato,
in un burletto appresso di Fiorenza
fu lor collegio tutto ragunato,
e quivi con felice provvidenza
segretamente fecion tal mercato,
mirando l’una l’altra in sí bel coro,
poson di far reína sopra loro.

6

Un sí bell’orto non si vide mai
che quel dove le donne sono andate,
con prati verdi dilettosi e gai,
con alberi fioriti verno e state,
fontane vive ancor v’erano assai
con acque chiare nitide e stillate,
uccei v’avea e di molte ragioni,
aranci fini datteri e cedroni.

7

Ed era circumpreso d’alte mura,
sí che quel dentro di fuor non si vede,
là dove essendo la turma sicura,
ciascuna sollazzando si provvede
con canti vaghi, dolci oltre a misura
chi dritta scherza e chi ne’ fior si siede;
poi raunate con silenzio cheto
fecion consiglio provido e discreto.

8

Leggiadra donna giovinetta e bella
si drizzò in piè molto discretamente,
dicendo: “Vaghe donne, quale è quella
che sia tra noi piú alta e risplendente
piú saggia piú gentil piú vaga e snella
piú valorosa nobile e possente,
si vuol chiamar reina sopra noi,
sí che governi tutte l’altre poi.

9

Però che disinor di tal brigata
saria sanza reina piú durare,
che tanta gran biltà disordinata
fa li nostri amador tutti turbare,
perché talor trovando donna ingrata
non sanno a chi si debbian richiamare:
e spesso avvien che ricevendo torto
si partan dall’Amor senza conforto.

10

Ond’io vi prego per seguir ragione
che donna sopra noi si faccia tosto,
che doni pace a chi Amor ci pone
acciò che l’amador non sia disposto.”
Cosí facendo fine al suo sermone
un fiore in testa l’altre l’hanno posto
giurando tutte il ben de’ loro amanti,
e che reina voglion con gran canti.

11

Tutto quel giorno stette il bello stuolo
sanza deliberar chi donna sia,
però ch’egli era lor sí grave duolo
vedere a chi la corona si dia,
che quella notte nel fiorito suolo
convenne dimorar la compagnia,
arpe sonando naccheri e liuti
organetti d’argento con flaùti.

12

L’aurora giunse poi l’altra mattina
mostrando il giorno, e Febo soprovvenne,
dove ciascuna donna con dottrina
il suo parer per piú volte sostenne,
ma pur deliberaron che reina
fosse alta donna che còrona mantenne,
gridando l’altre: “Viva, viva quella
Costanza valorosa tanto bella.”

13

Cosí Costanza in mezzo d’un bel prato
chiamata fu reína di valore,
come piú bella e di piú alto stato,
fior risplendente sopra ciascun fiore;
o graziosa dea, quant’è beato
chi ti porta nascosa dentro al core!
Tu se’ colei ch’avanzi ogn’altro lume
come l’impireo ciel per suo costume.

14

E poi ch’ell’ebbe presa la bacchetta
immantanente in piè si fu levata,
e con amor di gran virtú costretta
incominciò parlando a tal brigata:
“O care donne, che m’avete eletta
per vostra donna cotanto pregiata,
grazia vi rendo piena di merzede,
reggendo sempre voi con dritta fede.

15

Io son vostra reína alta Costanza
da Dio formata per accender pace,
li Strozzi dieron sí chiara speranza
quanto si vede per mirar verace,
la quale intendo con molta certanza
usar sopra di voi quel ch’a me piace,
imaginando che la mia virtute
sia sol disposta per vostra salute.”

16

Cosí questa magnifica reína
per ordinar sue donne con gran festa,
a sé chiamò una stella divina
che s’avea fatta una grillanda in testa;
e consigliera la fe’ la mattina
alta piú ch’altra e di maggior podèsta,
questa fu Itta piú bella che Dido,
con l’arco in mano a guisa di Cupido.

17

Il ciel legato con caten d’argento
condusse al mondo questa bella diva,
per consumar durezza e greve stento
e per far cosa morta venir viva,
Alberti degni e d’ogni ben contento
e d’ogni nobiltà perfetta viva,
da poi che tanto bene al mondo deste
che la luce del Sol prender voleste.

18

Posossi a’ piè della lor nuova dama,
Itta leggiadra d’ogni virtú piena,
e poi Costanza un’altra donna chiama,
piú bella che Cassandra o Polissena,
la quale ha nome Telda dolze rama
gentil piú ch’altra lucida e serena,
e per compagna d’Itta consigliera
la fe’ sedere appresso dov’ell’era.

19

De’ Bardi scese questa per grandezza,
piú ch’altra donna graziosa e vaga,
la qual per sua virtute ognor s’avvezza
di fare a tanti cuor la dolce piaga,
quant’ha canton di fuoco per altezza
nell’arme sua, che giammai non si smaga,
cosí ferendo con franca giustizia
nel mondo spegne dolore e tristizia.

20

Poiché Costanza il suo consiglio ha fatto
e ordinato come si conviene,
a sé chiamò con un piacevol atto:
“O Caterina, forte d’ogni bene,
grandezza ti vo’ dare in questo tratto,
perché tua mente ogni virtú mantene.”
E in man le pose un ricco gonfalone,
dove trionfa Venus con ragione,

21

dicendo: “Cara donna, questo porta
sovra ’l mio capo e delle duo compagne;
l’altre verranno dietro a tale scorta
per lor somma virtú sanza magagne.”
E di tanto valor poi la conforta
che per rigoglio d’allegrezza piagne
questa leggiadra e bella giovinetta,
nelle cui mani il gonfalon s’assetta.

22

Tal Caterina de’ Bigliotti scese
sí degna di portar questo vessillo,
perch’ell’è saggia nobile e cortese
piú ch’altra donna, ben ardisco a dillo;
e quanto tutto ’l mondo a sé accese
d’alto splendore e di perfetto stillo,
onesta piú che donna al mondo nata,
che par maestra di Diana stata.

23

Dato quel gonfalon vittorioso,
Costanza volle uscir di tal giardino,
e con desío gentile e valoroso
venne alla porta a guisa di rubino,
sí che ’l ciel ch’era tutto nebuloso
divenne chiaro piú che serafino,
veggendo quella donna con sua schiera
e quella che portava la bandiera.

24

In sulla porta del vago burletto
fece Costanza tutte apparecchiare,
e disse: “Donne mie, con gran diletto
una foresta ci convien trovare,
la quale è molto vaga, ciò m’è detto,
quivi ciascuna intendo insegnare,
e però venga chi bella si tene,
che chi non fia morrà con gran pene.”

25

Cosí le donne alla foresta guida,
chi con sparvieri e chi con cani a mano,
e chi cantando con suavi grida,
chi danza e chi saetta per lo piano,
chi corre un palafren, che par che rida,
e chi pescando va con bianca mano,
infin che giunsono a quella foresta
dove sta la reína con suo gesta.

26

Non fa mestier ch’io dica, o cari amanti,
del gran valor che le donne mostraro,
però che voi vi fosti tutti quanti
mirando ciò ch’io viddi molto chiaro;
ma pur per sadisfar, che gl’ignoranti
non muoian tutto dí col cuore avaro,
intendo di mostrar gli dolci regni
che forse fia cagion di farli degni.

27

Una foresta tanto vaga e bella
per alcun tempo non si vidde mai,
dalle duo parti i poggi chiudon quella,
poi dalla terza v’è pianura assai;
nel mezzo siede un monte, el quale appella
ogni diletto sanza pena o guai;
quivi si posa un’alta e bella rocca
dove non entrò mai fuso né rocca.

28

Da questo monte gira un vago fiume
a piè d’intorno quasi maggior parte,
che mena pesci piú ch’altro lagume,
dove le donne pescan per lor arte;
quivi ha boscaglie con segreto lume,
che vivo fonte mai non le diparte,
e presso a quel palazzo ha un giardino,
che par creato dal Signor divino.

29

Non si potrebbe mai per tempo e tempo
narrar la gran biltà di quel gioiello,
dove le donne al piú fiorito tempo
in quella parte fanno lor drappello;
quivi Costanza che non cura tempo
né rea fortuna né mortal quadrello,
con gran diletto tutte le rassegna
sotto la sua celeste e vaga insegna.

30

Ora ch’è giunta vaga primavera
Costanza vuol le sue donne vedere,
ed in un prato coll’alta bandera
con atto di silenzio e bel piacere,
ogni stormento di vaga maniera
tosto comando che debba tacere,
poi dice che ciascuna veder vuole,
grillanda in testa di belle vivole.

31

Fatte son le grillande prestamente,
e Caterina in piè si fu levata,
col gonfalon di Venus rilucente,
allegra come donna innamorata,
e cominciò con un atto piacente
a rassegnar la nobile brigata,
chiamando prima una giovine bella,
o Alessandra lume d’ogni stella.

32

O Alessandra con leggiadra fronte,
alta sí come donna signorile,
tu vai raggiando a guisa di Fetonte,
quando a’ paterni carri diede stile
sperando altezza con sue virtú pronte,
nelle gran rotte del celeste mile;
tu se’ colei che sopra ogni altra degna
se’ prima di seguir la nostra insegna.

33

D’Alberti nacque tanto chiara stella
quando si sa per chi sua fama sente,
mai non si vidde petra tanto bella
in cerchio d’oro giunta d’oriente;
o beato colui cu’ questa appella
venire in forza del signor possente,
perch’ell’è sol d’amor dolce speranza,
e d’ogni altro valor ferma costanza.

34

Elena poi che si sedea fra l’erba
chiamata fu da questa Caterina,
nemica Elena d’ogn’altra superba,
da cui valore e leggiadria dichina;
chi la sua luce dentro al cor si serba
per tal virtú la mente ognor raffina,
né può morir giammai, né sente male;
pensate quanto questa donna vale.

35

Elena bella piú che la rapíta
nella greca foresta del Troiano,
costei che morti fa tornare in vita,
ch’a Dido ha tolto la palla di mano,
e come valorosa e piú gradita,
sempre saetta e mai non coglie invano;
la casa de’ Bomben l’hanno creata
per donar pace a chiunque la guata.

36

Come le gru seguendo lor signore
nell’aire van cantando a gran diletto,
similemente giugne un altro fiore,
con melodie di spirito perfetto,
chiamato Caterina, il cui valore
stimar non si porría con vero effetto,
perché natura a sé la fe’ sí propia
che solamente ’l ciel ne vede copia.

37

Triunfate, Mannelli, or triunfate,
che fama gloriosa vi risona
per questa donna la cui gran bontate
giammai valor virtú non abbandona,
ma sempre degna per sua nobiltate
li petti rozzi a bene amar isprona,
come prova l’amante ch’al suo porto
si vede vivo e già si vedde morto.

38

Nobile donna piú che ninfa in fiume,
piú che chiarezza di verace frutto,
segue Giovanna col vago costume,
coll’alta resta ch’ha vizio distrutto:
questo sí degno e glorioso lume
virtú notrica e spegne amaro lutto;
sí come Febo nel ventre terreno
giugnendo il purga e di valor l’ha pieno.

39

Creato fu sí bel piacere de’ Bardi,
sí dolce fuoco, sí perfetta fiamma,
che se gli avvien che fiso la riguardi
il cor contenta e subito disgrama,
sempre porta costei gli aguti dardi
per avanzar nel mondo onore e fama,
a guisa della nobile Amanzona
che per Pirro crudel mutò corona.

40

Una sorella di Costanza vene
cantando a guisa di celeste Dea,
Nanna, leggiadra e d’amorosa spene,
piú bella assai che donna in Citerea,
che chi la mira morir le convene
s’amor di lei nel petto non si crea,
che la sua vista è di tanta virtute
ch’ancide chi non vuol la sua salute.

41

Gli Strozzi dieron questa donna al mondo,
questa fiammella che d’amor s’accende,
sí che mirando lei vive giocondo
chi guarda suo biltà quanto risplende,
avventurosa lammia che nel fondo
dell’acque chiare suo biltà si stende,
però che ninfa di somma potenza
ti mostri degna d’alta reverenza.

42

Segue chiamando questa giovinetta
per mostrar la biltà di duo sorelle;
o fonte di virtú, o Agnoletta
che se’ sí bella fra l’altre donzelle,
tu Agnola verace e benedetta,
da Dio formata sopra l’altre stelle,
tu giunta se’ dal ciel per nostra pace
guidando ciò che vuoi, come a te piace.

43

L’altra sorella Ginevra piacente
con Agnoletta suo presa per mano,
sí bella giugne che Tisbe niente
fu pari a questa coll’aspetto umano:
e come ’l fior s’avviva di presente
sentendo il Sol che giugne là di mano,
cosí l’altre mirando questo fiore
mostraron lor biltà di piú valore.

44

Ancor gli Strozzi degni d’alta fama
dal ciel condusson questi duo smeraldi,
che quale amante la lor vita brama
beato vive d’amorosi caldi;
non si può dir biltà se non si chiama
la lor, che mostri li suo raggi caldi;
oneste sagge vaghe e leggiadrette,
sempre fornite d’archi e di saette.

45

Piú non si dee celar la gran bellezza
d’una che pare un falcon pellegrino,
sí vien sopra di sé con tanta altezza
che fa risplender tutto quel giardino,
chiamata Lisa di gran gentilezza,
piena d’ogni virtú piú che zaffino,
e piú che pietra chiara e preziosa,
umil soave dolce e vergognosa.

46
          
Venne tanto valor da’ Bivigliani,
come al signor dell’universo piacque,
ch’al tempo delle donne de’ Troiani
passavan di biltà la terra e l’acque;
avria fatti parer lor volti vani
questa ch’onora tanto ond’ella nacque,
quest’alta donna, lucido tesoro,
con angelico viso e coi crin d’oro.

47

A cotal festa Loba fu chiamata,
la qual rispose con benigno volto:
“Dolce reina mia tanto pregiata,
ecco la mia biltà gradita molto,
ecco la vaga giovinetta amata
da ciascun cor gentil che non è stolto;
i’ son colei che, se virtú non manca
d’abbatter vizi, sempre sarò franca.”

48

Amor che dolce lume fa d’oscuro
tien questa donna nel verace seno,
non Polissena nel valor sicuro
vide suo stato lucido e sereno,
né spiendor di biltà sentí sí puro,
quanto costei ognor che n’ebbe meno,
perché soletta s’è, cotal virtute
da’ Bardi tolse piena di salute.

49

Come dei fior la vaga primavera
s’adorna per virtú de’ sommi raggi,
tal segue per amor l’alta bandera
costei, che pare un fior tra verdi faggi:
qual è quel lume che l’ottava spera
mova sí chiaro ne’ dolci viaggi,
qual move questa penetrante stella,
per sua virtú chiamata Lisa bella.

50

Degli Ammannati scese cotal fiore,
come si può veder, da Dio formato;
che chi nel mondo cerca piú valore
può gir cercando Glauco trasformato.
Pensate adunque chi la tien nel core
quanto si vede piú ch’altro beato,
piú non ne dico perché par vergogna
narrar quel ver ch’ha faccia di menzogna.

51

All’alta voce della vaga figlia
Francesca bella subito rispose;
costei veracemente m’assomiglia
la santa Venus tra vermiglie rose;
chi guarda nelle suo pulite ciglia
subito corre alle celesti cose;
tanto dolcezza ne’ begli occhi porta,
che ’l mondo sempre di virtú conforta.

52

Chi della schiatta sua mi dimandasse,
io credo che dal ciel per arte venne,
o l’alto Giove per pietà spirasse
tutta la sua virtú, che nulla tenne,
e missela in costei, che trasformasse
contra Medusa le frontali antenne
in chiari lumi d’alte condizioni;
e gli Asini di ciò son testimoni.

53

Ben è felice piú ch’altra filice
per ogn’altra virtú e per bellezza;
giammai non fu reina o ’mperadrice
che questa s’assembrasse in gentilezza:
e come canta in sul finir fenice
cosí con melodie di gran dolcezza
sempre s’infiamma nell’eterna via,
donde fortuna non la può tor via.

54

Ell’è sí vaga bella ed amorosa
ch’i’ non ardisco gloriar costei,
però che d’una tanto altera cosa
non si può dir se non tra sommi Iddei;
benigna donna, piú ch’altra vezzosa,
or veggio che tu se’ sola colei
per cui s’adorna il mondo di chiarore,
gli Strozzi partoriron sí bel fiore.

55

Oretta bella guardi chi vedere
vuol quella gran biltà ch’onora il mondo;
viva fontana di vago piacere,
leggiadra ninfa col viso giocondo;
ben si può dir costei senza temere
che suo virtú già mai si truovi in fondo,
però che Giove la dotò nel cielo
coperta dal superno e alto velo.

56

Voli la fama sopra l’alte stelle
di chi formò sí bella creatura,
ciò furon gl’Infangati, che novelle
rendono al ciel di sí fatta figura;
le suo fattezze, Amor, son tanto belle
che non si posson dir per iscrittura,
però che Pallas di valor trapassa,
e ’l suo bel viso ogni bel viso cassa.

57

Ecco chi giugne nel fiorito prato,
vagando suo biltà come Narcisso,
non per vano piacer ma piú beato
d’alcun che spenga fuoco nell’abisso;
chiamar si fa Maria di grande stato
questa che corre lampeggiando fisso,
coll’alta chioma legando gli amanti
al ben servir con amorosi canti.

58

La bella schiatta che l’alta reina
creò, questa creò similemente,
furon gli Strozzi per virtú divina,
siccome piacque a Giove onnipotente;
chi mira il suo bel viso, in cui s’affina
valor d’ogni valor piú risplendente,
vede la gloria che dagli occhi suoi
per umiltà discende sopra noi.

59

Chi sente pena per alcun dolore
volga la luce agli occhi di costei,
e subito fuggendo ogni tremore
la pace sentirà, virtú di lei,
perché gli è tanto dilettoso fiore
questo che par creato tra gli Dei;
donnina leggiadretta come donna,
fontana di virtú superna gonna.

60

Superna donna de’ Bomben discesa,
in chiara vista glorioso lume;
non faccia di biltà nessun contesa,
che questa sola nel benigno fiume,
qual figlia di Peneo si vidde accesa
di bella vista o d’alto e bel costume,
che la minor virtú sola di questa
non sia piú che di quella manifesta.

61

Amor a ciascun ben Moraccia prende
per alto suo valor in ogni loco,
ben è beato chi con lei s’apprende
in dolce fiamma d’amoroso foco;
e come pellegrin falcon discende
calando giú dell’aire a poco a poco,
cosí costei dal ciel per sua virtute
volando viene a noi con gran salute.

62

E come che si chiamin Bonfiglioli
la schiatta donde questa donna nacque,
pur venne suo virtú dagli alti poli
siccome piace a Giove e sempre piacque:
la fama di costei convien che voli
nel fondo chiaro delle tepid’acque,
siccome cosa che poco né troppo
non volle mai che fosse suo rintoppo.
          
63

Cosí chiamando Caterina bella
quest’alte donne con sommo diletto,
com’è usanza d’ogni vecchierella
sempre portare invidia e gran dispetto,
nascosa s’era tra l’erba novella
una vecchietta di crudele aspetto,
la quale era di borgo tegolaio
Ogliente moglie di ser Calamaio.

64

Venuta quivi questa donna Ogliente
si fece innanzi tutta schizzinosa,
quasi adirata, perché primamente
non la chiamaron donna valorosa:
la buccia crespa molto strettamente
s’avía tirata questa invidiosa,
e cosí giunse tutta vezzeggiando
coi lenti passi quasi minacciando.

65

Ciascuna la guardò per meraviglia,
e Caterina subito si volse
alla lor donna colle belle ciglia,
l’una coll’altra per ira raccolse,
veggendo questa vecchia che bisbiglia
co’ denti neri e colle carni bolse,
venuta quivi sanz’esser chiamata
piú ch’altra viziosa e arrabbiata.

66

Allor gridò Costanza, e disse: “Via,
subitamente fate che sia morta
questa superba vecchia tanto ria,
ch’ardita fu passar la nostra porta.”
Perché tutta la bella compagnia
ciascuna ver la vecchia stette accorta,
e chi con pietre e chi con gran bastoni,
chi con cinture e chi pur con punzoni,

67

tanto le dieron che fuor di quel prato
per forza la sospinson tutta rotta;
ella fuggendo cadde in un fossato,
percossa in terra d’una lunga grotta.
Cosí morí la vecchia in tale stato
per esser dal peccato mal condotta;
la piena giunse e ’l corpo menò via
e il diavol ne portò l’anima ria.

68

Morta la vecchia, le donne tornaro
alla lor donna tutte con gran risa,
Costanza bella coll’aspetto chiaro
veggendo la dolente sí conquisa,
ogni stormento dilettoso e caro
comanda che si suoni, e ’n ciò l’avvisa,
con canti e balli dilettosi e gai,
che ciò veggendo in paradiso andai.

69

Qual paradiso o armonia celeste
generò mai sí dolce e vago canto,
o quale dea per le verdi foreste,
o ninfa in chiaro fiume fe’ mai tanto?
Certo giammai non furon pari a queste
d’Orfeo le melodie, o di chi vanto
si diè di Febo me’ saper sonare,
quando di pelle Apollo il fe’ spogliare.

70

Un suon non fu già mai di tal virtute
quanto fecer le donne a quella volta,
ghirlande dritte e ghirlande cadute
scherzando si vedien per l’erba folta,
e cosí tutte d’amor provvedute
chi balla canta suona e chi ascolta,
chi l’una l’altra bascia, e chi s’abbraccia,
e chi la vecchia suocera minaccia.

71

O cari amanti, e’ mi par tempo omai
lasciar le donne alquanto sollazzare
con gran diletto sanza pene o guai
ponendo fine al mio primo cantare;
e nel secondo con diletto assai
seguire intendo sanza dimorare,
narrando la biltà di molte donne,
che di valor nel mondo son colonne.