La botte di sidro/L'ottogenuaria

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L'ottogenuaria

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Octave Mirbeau - La botte di sidro (1919)
Traduzione dal francese di Anonimo (1920)
L'ottogenuaria
Racconto polinesiano La prima emozione


Da più di ventianni mamma Rosa Pelletrini viveva sola, solissima, in un piccolo villaggio della campagna romana. Suo marito era morto, divorato dalla pellagra ; le febbri avevano ucciso la sua figliuola ; suo figlio, partito per Parigi, vi si era ammmogliato, aveva avuto dei bambini, e faceva chi sa che diavolo. Mamma Rosa aveva ottanta anni. Malgrado la paura del viaggio che, d’ordinario, prende i vecchi, e malgrado fino allora ella avesse sopportato senza gran pena un’assenza alla quale per lo più non pensava affatto, desiderò tutto a un tratto di rivedere questo figliolo quasi dimenticato, di conoscere i nipotini, di non morire senza abbracciarli. Non aveva che un po’ di danaro, giusto di che sovvenire alla spesa del viaggio : denaro penosamente raggranellato briciolo a briciolo, soldo per soldo, risparmiato con sacrificio continuo sulle elemosine, giacchè mamma Peiletrini, non potendo più lavorare, viveva della pubblica carità, delle questue che faceva ogni domenica sotto il portico della chiesa.

Certo la spaventava molto il pensiero di separarsi per sempre da quel danaro, tutto il suo danaro, e di correre alla sua età il rischio d’un viaggio incerto e pericoloso. Ma il desiderio, presto mutato in mania ossessionante, soffocò ogni prudente consiglio e trionfò sulle resistenze dell’avarizia. In fondo, a parte i piccoli acciacchi comuni ai vecchi, essa era presta ancora e valida, si sentiva bene. E poi, sperava anche che suo figlio fosse ricco e che l’impresa non sarebbe stata tanto sballata quanto la si poteva credere. Non avendo affatto letto Leopardi, mamma Rosa era ottimista. Accese una candela alla Madonna e, fiduciosa, allegra, con la speranza nel cuore, partì.

Quando arrivò, con la testa un po’ sossopra e stanchissima, a tutta prima il suo figliolo non la riconobbe e allorchè ella disse che era « la mamma », quegli cacciò una spaventevole bestemmia :

— Che vieni a fare qui ? — gridò.

— A vederti, flglio mio ! — stentò a rispondere la buona vecchia.

— Avresti fatto meglio a restar laggiù, vecchia vagabonda... Non ho pane per te, non ho nulla.

— Oh ! io non mangio molto, va !... Quanto al dormire, un pagliericcio in un angolo mi basterà  !...

Il figlio riflettè un momento :

— No — disse. — Tornatene donde vieni. Qui non ce ne sappiamo proprio che fare di te...

Ella supplicò :

— Figlio mio ! Ti prego !... Ritornare ? Come posso ?... Quel po’ che avevo, non l’ho più... Il viaggio mi è costato caro... mi ha preso tutto... Ritornarmene ?... Ah ! Le mie gambe son troppo deboli, non mi porterebbero molto lontano...

— Eh, lasciami in pace !... Vattene...

— Figlio mio !... tanto tempo senza vederti... e tu mi ricevi così !...

— E lasciami in pace. Vattene...

— Vuoi dunque ch’io muoia, di ?...

E la vecchia mamma coprendosi gli occhi col grembiule, singhiozzò penosamente.

Ma Pelletrini ebbe improvvisa un’idea, estranea del resto alle minaccia di morte della vecchia.

Si raddolcì :

— Ebbene — disse — ti tengo qui... a una condizione...

— Tutto ! farò tutto, figlio mio...

— Ed è che lavorerai, che guadagnerai il tuo pane...

— Lo voglio, sì. Davvero, lo voglio... Ma non ho più forza nelle braccia... sono così vecchia !

— Eh ! che cosa credi, che si tratti di scaricar battelli ? Farai come me, come mia moglie, come i miei figlioli... Andrai negli studi e poserai, ecco !

La vecchia non sapeva in realtà che cosa fosse l’andar negli studi e posare e quando suo flglio gliebo ebbe spiegato :

— Vergine santa — gridò, giungendo le mani — Gesù mio ! Tu vuoi ch’io mi metta nuda davanti a un uomo, io che non mi son mai fatta vedere così a nessuno, neanche al tuo babbo, te lo giuro sulla croce, neanche al tuo babbo !

Pelletrini sghignazzò : quella confidenza tramutava la sua collera in buon umore.

— Hai paura che la tua vecchia pelle possa eccitare i signori ?... Ah, ah, ah !... la tua vecohia pelle ?...

— Figlio mio !... Figlio mio ! Tu canzoni !...

La vecchia era divenuta tutta rossa e vergognosa : mormorò con un tono più fioco :

— E poi, io son troppo vecchia ! Nessuno vorrà ritrattarmi così !

— Non te ne occupare... C’è di quelli a cui piacciono le vecchie carcasse come la tua ; ne conosco.

— No, no ; tu sei un cattivo...

Ma il modello, di nuovo irritato, percosse la mamma, e dopo averla battuta, minacciò di buttarla fuori di casa, così che fu stabilito ch’essa sarebbe andata a posare negli studi.


L’ho vista ieri, mamma Rosa, da un mio amico scultore. Quando entrai nello studio, seduta sulla tavola del modello, posava una vecchia tutta nuda. Era lei. Immobile, come una statua, essa aveva le spalle curve ; la testa, dai capelli ruvidi e radi, reclinata in un atteggiamento doloroso sulla spalla destra. Le sue mani e parte degli avambracci erano immersi fra le cosce congiunte per nascondere il basso ventre e gettare uno spesso velo d’ombra sulla triste nudità del sesso. E fra i dipinti, le pareti a calce, in quell’atmosfera di gesso, fra gli stampi d’una bianchezza fredda che ingombravano lo studio, quelle vecchie carni mortificate apparivano ancor più gialle, con certe luci più verdi, assumendo i toni lisci e la calda patina d’un antico avorio.

A quella vista, non potei difendermi da una profonda malinconia, quella malinconia acuta che sempre inspirano la rovina degli esseri e la morte delle cose. E tra me dissi, ripensando alle creature che avevo amato : « Presto, mie care anime, ancor vive, voi rassomiglierete alle mummie disseccate nelle loro tombe ; e le rosee ampolle dei vostri seni, che tante volte mi versarono l’ebbrezza del desiderio, si inaridiranno, o miei dolci amori, e penderanno sulle vostre scomparse bellezze, come brandelli di cenci o palpebre morte. E le vostre bocche, o mie regine, dove la fremente ala del bacio palpita nel vostro alito profumato, le vostre bocche non saranno che un buco fetido e nero donde soffierà la morte, o divine luci degli occhi miei ! »

Tuttavia non era troppo repugnante, la povera vecchia. Si vedeva ancora ch’essa doveva essere stata bella una volta. A dispetto delle rughe del collo, delle fosse d’ombra che scavavano il petto fra i tendini scarni e le clavicole sporgenti ; a dispetto delle mammelle che pendevano ignobilmente in tutta la loro tetra flaccidezza sui cercini di pelle che le cerchiavano il busto ; a dispetto delle anche scarnite la cui pelle svuotata sbatteva come una vecchia stoffa troppo lenta e logora, ancora si notava su quel corpo una eleganza di linee, una nobiltà di contorni, delle bellezze ancor vive e sparse fra tutte le sue ruine. Le gambe, sopra tutto, un po’ magre, un po’ troppo lunghe, ma dritte e salde, senza nodi alle ginocchia, senza venosità alle caviglie, mantenevano sempre un non so che di giovanile e di agile che mi stupì. Anche il ventre, questa prima bruttura della donna che si deforma, il ventre stesso serbava delle rotondità piene, delle modellature delicate, una curvatura quasi elegante malgrado la profonda piega che lo fendeva nella sua larghezza, sopra l’ombellico.

Io osservavo la vecchia, invaso da una pietà quasi dolorosa e nel tempo stesso tormentato da una vera inquietudine Seduta sulla tavola, essa era immobile. Dacchè ero entrato nello studio, nessuna delle pieghe della sua epidermide aveva trasalito, non un brivido aveva scosso i suoi poveri muscoli. Une mosca che ronzava intorno a lei andò a posarsi sulla sua spalla, corse fra i solchi delle sue rughe, si insinuò, tra le mammelle pendenti, risalì lungo le braccia, scomparve dietro la nuca senza che la vecchia sembrasse provare la sensazione d’uno stimolo. A vederla così assolutamente inerte, essa sembrava di pietra, e non c’era niente di più spaventoso di quella macabra immobilità di quell’essere disfatto e pur vivo. La testa, reclinata sulla spalla e attaccata al tronco dai tendini obliquamente e violentemente tesi come corde, rimaneva talmente inerte che la paura, l’allucinazione cominciarono a impossessarsi di me. Poichè mi guardava, la vecchia tutta nuda, mi guardava ostinatamente e i suoi occhi, abbenchè non mi fosse possibile distinguere il minimo movimento delle pupille, il minimo battito dalle palpebre, i suoi occhi si dilatavano, sempre aperti, fissi su me, senza muoversi. Quegli occhi mi sgomentavano, passavano dallo spavento alla collera, dalla collera alla supplicazione, dalla supplicazione alla vergogna, esprimendo in uno stesso momento mille pensieri opposti e violenti, senza muoversi.

E non soltanto non si muovevano, ma via via che io li guardavo, via via che in essi si succedevano le più intense, le più bizzarre, le più anormali impressioni, essi più si pietrificavano inesorabilmente : in basso, le sue labbra unite s’infossavano nella bocca, modellando le mascelle sdentate.

A un tratto il cerchio delle sue palpebre s’inumidì ; una patina più brillante coprì la vitrea convessità delle pupille e due lagrime, ingrossate nello stesso momento, scorsero sulle gote, rimbalzando calde e leggere sulla insensibile nudità di quel corpo suppliziato. Essa pianse a lungo, senza muoversi, e in lei non c’era null’altro di vivente, se non quelle lacrime che versavano, goccia a gocccia, sul brutale stupro del suo pudore, le sofferenze infinite della sua anima incontaminata.