La fame del Globo/Cap. 7

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Il sogno radioso del Pianeta affamato

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E’ stata pubblicata da un’editrice bolognese una raccolta di scritti degli alfieri dei movimenti che contestano l’agricoltura fondata sulla scienza e la tecnologia, e propugnano una nuova agricoltura contadina in cui ogni famiglia dovrebbe produrre il proprio cibo. Colpisce il lettore la determinazione a ignorare le conseguenze delle proprie proposte, espressione di quello spirito giacobino che reputa accettabile qualunque prezzo possa costare la propria utopia


Riferiscono i biografi che Gaio Plinio, l’ultimo grande erudito romano, amasse ripetere di non avere mai trovato, in tutta la vita, un libro inutile. In tutti quelli che aveva letto, era il maggiore conoscitore delle biblioteche del suo tempo, aveva reperito qualcosa da trascrivere nella propria Naturalis Historia, l’ultima opera scientifica della Romanità, la prima, per le carenze critiche, del Medioevo.

L’erudito romano sarebbe stato costretto a correggere il proprio convincimento se avesse letto un volumetto di recente pubblicazione per una piccola editrice bolognese, Agri Culture. Terra, Lavoro, Ecosistemi. La diligenza proverbiale del dotto latino non avrebbe reperito, esaminando, pagina per pagina, il volumetto, un concetto solo costruito su un’argomentazione storica, scientifica, economica convincente, un’analisi libera da schemi ovvi, una proposta originale.

Scopo del volumetto il modesto proposito di identificare gli squilibri dell’agricoltura mondiale e di proporne i rimedi, illustrando le coordinate secondo le quali il Pianeta potrebbe vivere nella sicurezza alimentare, nel rispetto degli ecosistemi, nell’equa distribuzione delle derrate tra tutti i suoi abitanti. Propositi tanto arditi non potrebbero essere affidati, secondo i suggerimenti del senso comune, che a studiosi dotati delle più penetranti conoscenze di storia economica, di storia dell’agronomia, di geografia agraria, biologia, genetica, politica agraria. I curatori del volume, Riccardo Bocci e Giovanna Ricoveri, hanno riunito, invece, al capezzale dell’agricoltura planetaria morente, un’eletta schiera di attivisti, gli attivisti dei movimenti che pretendono di imporre la loro formula dell’agricoltura del futuro nel più colorito disordine di proposte, uniti dall’odio comune per la scienza e per la tecnologia, i mostri la cui eliminazione costituirebbe la prima fondamentale condizione per realizzare l’agricoltura dei sogni neocontadini. Vanta titoli di scienziato (la cui legittimità non è peraltro universalmente accettata), il più noto degli attivisti associati all’impresa, Miguel Altieri, autore di un volume che nel mondo colorito dei nemici dell’agricoltura scientifica fu accolto con la devozione che impone una rivelazione, un libro in cui non era dato trovare un giudizio solo, storico o scientifico, fondato su prove e dati ineccepibili, che nel volumetto bolognese ripete, in modo caoticamente disordinato, le asserzioni del capolavoro, di cui non si premura neppure di tentare la dimostrazione. Altieri proclama, inveisce, condanna: dopo il successo dell’opera somma quanto esce dalla bocca di tanto maestro non impone più il fastidio di un dato di prova.

Al manipolo di attivisti riuniti per la grande impresa i curatori hanno imposto un vincolo: i loro scritti, stabiliscono nella prefazione, dovevano obbedire all’assioma essenziale che il capitalismo stia per crollare travolgendo, nel suo crollo, il Pianeta, l’ultima versione delle profezie dei nipoti di Marx, che per cento anni hanno previsto la dissoluzione finale del capitalismo ad ogni oscillazione della borsa di New York, versione riveduta e corretta, dopo che le fondamenta della dottrina del cupo pensatore di Treviri si sono dimostrate illusioni, in versione ecologistica.

Gli attivisti, di tutte le ideologie e di tutte le utopie, hanno sempre detestato la scienza, perché è impossibile fondare scientificamente un’utopia sociale, politica, economica, e chi vuole proclamare scientifiche le proprie elucubrazioni deve rinnegare la dignità scientifica dei frutti della scienza sperimentale, quella nata da Galileo e Bacone, una metodologia che impone regole scomode, e che non si presta ad accreditare, con il proprio suggello, creature del pensiero, o della fantasia, estranee all’arida sfera dei fenomeni fisici e biologici. Gli attivisti di tutte le fedi, e, soprattutto, di tutte le pseudofedi, hanno sempre preteso la scientificità delle proprie elucubrazioni: per rendere scientifico ciò che non lo era hanno dovuto negare la scientificità di quanto lo fosse. E’ l’atteggiamento dei Giacobini, i protagonisti della Rivoluzione francese che un uso tanto disinvolto operarono dell’invenzione più originale dell’epoca: la ghigliottina. Avrebbero avuto gli emuli più genuini negli alfieri della Rivoluzione russa.

Quale l’essenza dell’etica giacobina? Che la società deve essere cambiata, e che il progetto della nuova società riveste un significato di tanto valore da rendere irrilevante qualunque prezzo possa costarne la realizzazione. Giacobini coerenti, gli attivisti riuniti dal duo Bocci Recoveri proclamano che il Pianeta deve essere liberato dall’impiego dei fertilizzanti, degli antiparassitari, dalle creature della genetica: qualsiasi prezzo si dovesse pagare non sarebbe, data la grandezza della meta, eccessivo. Un calcolo elementare conduce a riconoscere che la Cina, il paese più popoloso del Mondo, dalle risorse di suolo pro-capite minori del Pianeta, primo consumatore di fertilizzanti del Globo, primo produttore di sementi di riso ibride, presto polo mondiale della coltura dei risi ottenuti dall’ingegneria molecolare, vedrebbe ridurre, eliminando fertilizzanti, antiparassitari, nuove sementi, le produzioni ad un terzo. Quattrocento milioni di cinesi perirebbero per fame. Per lo spirito giacobino il sacrificio non sarebbe che il giusto tributo dell’umanità alla nascita della società rurale degli utopisti dell’agricoltura neocontadina.

I quali pretenderebbero che il mondo tornasse alla produzione familiare del pane, dei polli e del vino: tutti contadini, su tutta la Terra. Ignorano che l’umanità ha superato i sei miliardi di abitanti, che tutti, anche nelle megalopoli dove non è dato coltivare una spiga di grano, hanno diritto al cibo, e che cibo per tutti si può produrre solo usando tutti gli strumenti della scienza? Lo sanno, ma, se per vedere il giorno radioso dell’agricoltura che sognano, il numero degli abitanti del Pianeta dovesse dimezzare, reputano che la meta giustificherebbe il sacrificio.

Dispiace che a pubblicare le farneticazioni dei nuovi giacobini dell’agricoltura sia una casa editrice che si definisce Editrice missionaria, che dovrebbe preoccuparsi delle conseguenze, nei paesi dove trionfa la fame, delle utopie dei mai^tres à penser di cui stampa i proclami. Ma a preparare i trionfi dei Giacobini del tempo di Robespierre furono gli abatini mondani che impazzivano, nei salotti di Parigi, alle ultime amenità di Rousseau e di Voltaire, gli apostoli della grande Rivoluzione la cui prima finalità fu, non si dovrebbe dimenticare, cancellare la tradizione cattolica della Francia. A proporsi come stampatori degli ultimi illusi del dissolto credo marxista non sono abatini abituati ai salotti della filosofia, ma il nuovo modello del prete no global, che usa, in elegante stile caporalesco, il “tu” con chi incontra per strada, ma che quando trova chi dissente dai maestri che si è scelto si volta, incapace di motivare il dissenso, evitando, con scrupolo, di salutare.

I rilievi che precedono impongono, forse, una precisazione. Chi scrive non è devoto del capitalismo, non crede a quanto udì asserire, in un convegno bolognese, da un economista di levatura planetaria, il professor Prodi, che il capitalismo sia la strada migliore per la più proficua destinazione delle risorse di terra e acque, è autore di una fiction di fantapolitica che prevede, continuando lo sfruttamento attuale delle risorse naturali, entro trent’anni lo scontro termonucleare per il controllo delle ultime grandi pianure del Mondo. Personalmente è convinto che solo una ventata di spirito francescano, che diffonda un uso delle risorse secondo l’etica della povertà, potrà salvare il Pianeta e chi lo abita. Non crede che possano salvare la Terra i dottori delle ultime reminiscenze marxiste, gli attivisti dell’odio per la scienza e la tecnologia, e che un contributo alquanto modesto possano prestare gli abatini che venerano i nuovi Rousseau e Voltaire del pensiero no-global.


Spazio rurale, LII, n. 3, marzo 2007

Rivista I tempi della terra