La valle di Ospitale

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Antonio Saltini

1997 Saggi La valle di Ospitale Intestazione 22 dicembre 2013 75% Saggi


Per la storia della civiltà del castagno


Relazione al convegno Villaggi, boschi e campi dell'Appennino dal Medioevo all'Età contemporanea, Gruppo di studi Alta Valle del Reno, Soc. Pistoiese di Storia Patria, Pieve di Capugnano, 14 settembre 1996, Porretta Terme, Pistoia 1997 Rivista I tempi della terra


"...in margine e persino nel cuore delle economie attive, vi sono zone più o meno estese appena toccate dal movimento del mercato. Solo taluni elementi -la moneta...- mostrano che questi piccoli universi non sono del tutto chiusi." F. Braudel


"La presenza di più cospicue fortune...non modifica troppo il quadro sociale complessivo, contrassegnato dal generale egualitarismo montanaro, dalla presenza di un nugolo di piccoli proprietari di terra, di greggi, di armenti, che fanno singolare contrasto con i contadini proletarizzati della collina e della pianura." G. Cherubini


"All'albero e ai suoi frutti erano associate così numerose e importanti tradizioni tecniche e pratiche, paesane e domestiche, che si può a buona ragione parlare dell'esistenza di "una civiltà del castagno." G. Cherubini 1



L’orografia, l’idrografia

La valle d'Ospitale dalo Passo della Riva che collega la valle stessa a quella bolognese del Dardagna
Foto A. Saltini 1990, Rivista I tempi della terra


La valle di Ospitale, una delle frazioni di Fanano, è la più orientale delle valli dell'alto Appennino modenese: lo spartiacque ad est la divide, infatti, dall'Appennino bolognese fino alla conca del lago di Pratignana, pertinente per metà alla valle, per metà a quella attigua di Serrazzone. E' orientata quasi esattamente da sud a nord, il crinale meridionale, corrispondente alla cresta dell'Appennino tosco-emiliano, la separa dalla provincia di Pistoia, quello occidentale dalla valle di Fellicarolo, parte dello stesso comune di Fanano. La sua forma è quella di un ampio ventaglio: costituito da una serie di creste che divergono verso mezzogiorno, delimitando grandi conche, a settentrione si restringe in una sottile strettoia, lungo la quale la strada di accesso cerca il varco nelle pendici rocciose che precipitano nel torrente omonimo.

Data la peculiarità meteorologica del crinale toscoemiliano, condensatore di cumuli nuvolosi anche in situazione di alta pressione, il clima è particolarmente piovoso: la frequente presenza di nuvole riduce l'insolazione, che risulta relativamente modesta. L'alta piovosità spiega l'abbondanza di acque, che da tre confluenti principali, corrispondenti alle conche maggiori, si riversano nell'Ospitale, anche in estate caratterizzato da una portata vistosa seppure fluente da un bacino di soli 2.750 ettari: tale la superficie della valle dallo spartiacque alla confluenza dell'Ospitale con il Fellicarolo 2.

La denominazione ricorda l'antica funzione di elemento di sutura tra il Settentrione ed il Centro della Penisola. La strada che percorreva lo stretto fondovalle si dispiegava, dal luogo dell'attuale centro abitato, in quattro bracci che risalivano il grande ventaglio convergendo al valico: l'imponenza della lastricazione delle quattro mulattiere suggerisce l'intento di dividere un esercito in colonne che potessero salire parallele, per accelerare il transito e ridurre i rischi di imboscate. L'opera, probabilmente romana, dovette essere sistematicamente impiegata, in età medievale, dalle truppe e dai pellegrini diretti a Roma: a metà dell'ottavo secolo sant'Anselmo, il fondatore dell'Abbazia di Nonantola, creò, per i pellegrini, uno Spedale, per dotare il quale dei mezzi necessari all'assistenza ottenne dal cognato, re dei Longobardi, ampie proprietà nelle valli adiacenti, fonte di proventi che si sarebbero aggiunti alle rendite delle terre di pianura dell'abbazia modenese, rendendone il titolo, nei secoli successivi, tra i più ambiti per i prelati della Curia romana. Narra le vicende del beneficio lo storico di Fanano, l'abate Niccolò Pedrocchi, contemporaneo del Muratori, di cui fu emulo nel più modesto ruolo di dottore tra montagne selvagge 3.


Castagneti, arativi, boschi e pascoli

I Pianacci, Fanano, Appennino modenese, Uno degli antichi casolari eretto tra i castagneti dei Pianacci, la grande distesa di castagneti tra la valle di Ospitale e quella di Fanano
foto A. Saltini 1985, Rivista I tempi della terra


In termini di utilizzazione del suolo la valle è stata per oltre mille anni divisa in tre aree, costituenti settori di cerchio di diametro progressivamente maggiore. La parte inferiore ricoperta da castagneti formanti un manto ininterrotto ovunque lo permettesse la clivometria, seppure la proprietà fosse divisa in particelle di poche decine di are: si deve sottolineare che, a differenza dei castagneti che rivestono la stessa dorsale sul fronte opposto, quello pistoiese, nell'alto Frignano i castagneti sono proprietà privata 4 4). La parte mediana è costituita da un mosaico di particelle di ogni forma , secondo la pendenza ricoperte di bosco, di pascolo o di seminativi, quella superiore è vestita, alla base, da boschi di faggio, a quote superiori, oltre il limite della vegetazione arborea, da un unico manto prativo. E' nella parte mediana che sono disseminate le abitazioni dei valligiani, riunite in agglomerati di cinque-dieci case, oltre ad un numero forse doppio di fienili posti al margine di un campo. Ai fienili destinati a raccogliere il prodotto dei campi più distanti corrisponde, nell'area del castagneto, la presenza di un "metato", dimora provvisoria ed essiccatoio, nella particella di ciascun proprietario.

La definizione quantitativa dei tre settori può tentarsi contando sulla precisione del Catasto e sulla mancanza di aggiornamenti, tale che il quadro delle destinazioni rispecchia quello degli anni '50. Operando alcune riduzioni per riportare alla superficie idrologica quella catastale, desunta da fogli che varcano gli spartiacque, si può definire in 200 ettari la superficie dei castagneti, in 1.350 quella del bosco ceduo, in 230 quella del seminativo, in 400 quella dei pascoli interposti, nelle aree più pietrose, tra castagneti e seminativi, in 300 i pascoli oltre i limiti della vegetazione arborea. La differenza alla superficie totale si presume costituita per 200 ettari dal greto dei torrenti, per 70 dalle mulattiere e dalle aree fabbricate.

In termini di proprietà, se i settori inferiori erano ripartiti tra la popolazione valligiana secondo i metri della "democrazia della povertà", quello superiore costituiva parte della superficie pertinente all'Abbazia nonantolana, concessa in enfiteusi alla comunità di Fanano. La superficie totale di cui Nonantola vantava il dominio eminente nel comune consisteva di 3.000 ettari, per un quarto dislocati nella valle di Ospitale, per un altro quarto attorno al lago di Pratignana, quindi pertinente per metà al territorio di Serrazzone, sfruttata, non senza conflitti, congiuntamente dalla comunità di Ospitale e da quella della valle attigua. La differenza delle vicende fondiarie delle superfici del dominio abbaziale e di quelle di proprietà familiare è palesata dalla ripartizione catastale: mentre le particelle dei settori inferiori, siano castagneti, seminativi o bosco ceduo, hanno dimensioni medie inferiori alle 50 are, nel settore superiore le particelle di ceduo o di pascolo raggiungono dimensioni di 10-20 ettari.


Le vicende secolari di un’enfiteusi

Uno dei muriccioli costruiti col pietrame tratto dai campi tra i boschi di Pian castagnolo nell'alta valle di Ospitale
Foto A. Saltini 1989, Rivista I tempi della terra


La combinazione tra lo sfruttamento privato delle particelle familiari e quello collettivo della superficie detenuta dalla comunità per livello fornisce la chiave della storia dell'economia della valle. Propone una ricostruzione eloquente della complessa composizione un documento prezioso, il parere che l'anno 1895 l'avvocato Carlo Gallini stilò per il comune di Fanano dopo la delibera che autorizzava il sindaco ad adire la giustizia contro gli acquirenti del latifondo sul quale la comunità aveva esercitato il dominio utile. Menzionate investiture del 1643 e del 1711, Gallini ricorda che nessuna opposizione risulta essere stata espressa, contro la disponibilità collettiva, nei secoli successivi, e riferisce che il Comune, che non riusciva a contenere gli abusi dei propri membri, nel 1843 offriva il dominio utile di boschi e pascoli al duca di Modena, Francesco IV, in cambio di una rendita equivalente al 5 per cento del suo valore e della continuità dei diritti collettivi di pascolo del bestiame familiare e di raccolta della legna morta 5

Il governo estense era attento al buon governo dei boschi, che aveva avuto un acceso fautore in Ludovico Antonio Muratori, bibliotecario ducale, il quale aveva tradotto l'esperienza di consulente governativo nel proprio trattato di filosofia politica, che propone una pagina ammirevole sulla necessità di sottrarre i boschi dell'Appennino all'arbitrio della gestione collettiva 6. Il duca accoglieva, quindi, l'istanza del Comune, le parti stabilivano in 100.000 lire il valore dei diritti enfiteutici, l'atto veniva stipulato il 27 novembre 1844. Non sappiamo se le guardie ducali riuscissero a contenere gli abusi che i guardiani comunali non erano stati in grado, per le immaginabili connivenze, di impedire. Il vasto dominio montano non sarebbe rimasto a lungo nella sfera pubblica: subentrato il Regno italiano al Ducato estense, un governo famelico di denaro avrebbe posto all'asta boschi e pascoli di Fanano, che sarebbero stati aggiudicati all'unico partecipante, la società dei signori Davide Nacman e Israele Guastalla. Fino dall'età napoleonica nel Ducato modenese sussisteva, ricorda Salvioli, la consuetudine dell'acquisto dei beni ecclesiastici da parte di finanzieri ebraici, da tempo lontano interessati alla gestione tributaria del Ducato 7: la consuetudine sarebbe stata osservata nonostante che la cessione non compromettesse i titoli dell'Abbazia, cui gli acquirenti riconosceva il dominio eminente.

L'elemento più significativo dell'analisi di Gallini dei precedenti della vertenza è la prova del clima di abuso con cui una popolazione montana pletorica assedia, nel crepuscolo dell'800, grandi proprietà montane che non ha saputo sfruttare razionalmente neppure in condizioni giuridiche più favorevoli. La disputa ha origine, infatti, dalle rimostranze dei valligiani contro la severità dei sorveglianti degli imprenditori israeliti, che avrebbero imposto l'osservanza delle regole di utilizzo con puntiglio che i guardiani comunali non avevano mai usato, che si può dubitare avessero espletato tanto i sorveglianti ducali quanti quelli regi.

Negli ultimi decenni dell'Ottocento deve reputarsi che la pressione su pascoli e boschi di uso collettivo si accentuasse, in conseguenza della crescita della popolazione, che nella valle provoca l'elevazione del livello di popolamento, con la trasformazione in abitazioni degli edifici a quota 900-1.000 che i toponimi testimoniano essere stati, fino allora, ricoveri estivi, tegge. In corrispondenza al moto verso monte, trasformandosi i prati privati in seminativi, l'opera dei guardiani dei pascoli enfiteutici dovette divenire più ardua, il conflitto con la popolazione più acuto.

Il 20 giugno 1877 il Regno emana la nuova legge forestale, che autorizza il taglio indiscriminato dei i boschi di pianura e collina, ma pone qualche vincolo allo sfruttamento di quelli oltre il limite del castagneto, frenando la distruzione che le alienazioni dei beni collettivi, largamente praticate dai primi governi unitari, hanno incoraggiato a tutte le latitudini della Penisola 8. Siccome deve presumersi che Nacman e Guastalla non avessero adottato una prassi di taglio diversa da quella degli altri acquirenti di antichi boschi ecclesiastici, la circostanza offriva al Comune, deciso a tutelare un democratico abuso, un'ineccepibile ragione di doglianza, il cui impiego costringeva gli acquirenti alla ricerca del compromesso, che perseguivano offrendo una parte della proprietà al Comune, in cambio dell'affrancamento dell'altra dalle servitù collettive, una soluzione che avrebbe anticipato quella che imporrà, più tardi, l'Autorità giudiziaria, definendo le due frazioni secondo rapporti diversi da quelli suggeriti dagli utilisti 9.

Nonostante che il parere di Gallini sia redatto per la controparte, non è difficile desumerne che, effettuati i primi tagli, i consorti israeliti avessero verificato che il reddito del pascolo era appena sufficiente a pagare il personale necessario al controllo di una pluralità di pastori cui solo la pratica dell'abuso consentiva qualche guadagno, tanto da indurli a difficili dubbi sulla strategia di gestione.

I titolari successivi della proprietà montana possono essere desunti dai documenti conservati nell'archivio dei conti Forni, i possidenti modenesi che saranno gli ultimi proprietari privati della parte più cospicua del latifondo silvopastorale 10. Ai primi proprietari sarebbero succeduti, i documenti non dicono a quale titolo, un cospicuo novero di contitolari, che rappresentano famiglie patrizie modenesi e finanzieri ebrei, che avrebbero venduto, nel 1908, ad un docente originario dell'alto Bolognese e residente a Pavia, il professor Farneti, che l'anno stesso cedeva metà delle proprie ragioni a tale Corona, con il quale intraprendeva lo sfruttamento della proprietà mirando soprattutto a identificare e sfruttare cave di ardesia. L'esito della gestione risultava, però, negativo, e nel 1916 Corona rivendeva la parte acquistata a Farneti, che l'anno medesimo cedeva l'intera proprietà a un imprenditore bolognese, Dalla.

Era durante il periodo di proprietà di Dalla che, acuitosi il conflitto con i titolari delle servitù collettive, le parti adivano il Regio Commissario per la liquidazione degli usi civici, che nel 1926 incaricava un perito, il geometra Giacomelli, della stima dei diritti comunitari e della designazione della parte della proprietà corrispondente al loro valore. Il perito assegnava al Comune, stimandoli di valore equivalente ai diritti comunitari, 1.619,75 ettari, costituiti in prevalenza da pascoli, ne assegnava a Dalla 689 come corrispondenti al valore dei diritti di taglio, in prevalenza cedui e fustaie. Alla perizia giudiziale Dalla opponeva la stima di un'autorità dell'estimo, il professor Perini, ma il Commissario respingeva, il 7 settembre 1929, ogni eccezione e convalidava la stima di Giacomelli.

Verificato, deve presumersi, che i tagli consentiti dalle disposizioni forestali non rendevano particolarmente attraente la gestione, Dalla cedeva, nel 1942, al conte Forni, che avrebbe gestito l'azienda silvopastorale nel ventennio in cui, secondo l'espressione di un maestro dell'estimo, Giuseppe Medici, "il valore di macchiatico diventa negativo", i costi di taglio e di esbosco superano, cioè, i ricavi del legname, imponendo conti in passivo ai proprietari di boschi dispiegati lungo tutto il crinale appenninico 11. L'erosione dei redditi forestali è documentata con eloquenza dai sintetici bilanci redatti da Giuseppe Forni. La persistente passività motiva l'assenso del possidente modenese alle offerte della Regione Emilia-Romagna, che negli anni successivi alla costituzione si impegna a dilatare il proprio demanio per costituirvi riserve e parchi, una finalità antitetica allo sfruttamento tradizionale, consentita, all'alba degli anni '70, dall'esito della fuga dalla montagna, che nel decennio precedente ha drasticamente contratto la pressione per il pascolo e il bosco.


I montanari abbandonano i campi e le case

Campi anticamente utilizzati per la cultura alterna di frumento e foraggio e divisi da muri a secco a quota 1.100 metri, sopra alla Teggia di Andreoni al centro della valle di Ospitale
Foto A. Saltini 1989 Rivista I tempi della terra


Gli anni '60 registrano, infatti, la seconda fase dell'esodo montano, iniziato, all'alba del secolo, con la fuga delle famiglie nullatenenti, un ceto sconosciuto, nei secoli, nella società montanara, creatura dell'onda di piena demografica dell'Ottocento. Chi consideri l'economia della valle nella pausa che il dopoguerra segna tra le due fasi osserva una vita produttiva che combina, come ha fatto per un millennio, lo sfruttamento degli arboreti e dei campi familiari a quello della superficie comunale. Tra il 1950 e il 1955 la valle ospita 545 abitanti. La cifra si ottiene sommando agli iscritti nel registro parrocchiale di Ospitale, che nel 1954 annovera 487 persone, 30 unità delle Caselle, 12 di altri aggregati disposti nel bacino imbrifero ma appartenenti alla parrocchia di Serrazzone, 16 di Monte Mezzano e Lamacce, in parrocchia di Fanano. Gli iscritti ai registri di Ospitale sono raccolti in 126 nuclei familiari, dislocati in una dozzina di borgate e in una pluralità di aggregati minori, essendo inusuale la casa familiare isolata. Si può presumere che nel 1950 a Caselle risiedano 5 famiglie, 8 nelle borgate pertinenti a Serrazzone e Fanano 12.

All'alba del moto che trasformerà la valle in deserto la popolazione è stata ampiamente decurtata dalla prima emigrazione, coincisa alla prima grave fitopatia del castagno, che ha sottratto quasi due terzi dei 1.350 abitanti iscritti nei libri parrocchiali nel 1882. Sui registri ottocenteschi sono frequenti le annotazioni "morto in Maremma", "morto a Populonia", "morto in Sardegna", prove di uno squilibrio tra popolazione e risorse assai più drammatico del precario equilibrio dei primi anni '50.

Nel 1950 una popolazione di 545 abitanti vive su 27,5 chilometri quadrati, 19 abitanti ogni chilometro quadrato, un'entità modesta in termini assoluti, che risulta cospicua ove la si collochi sulla più elevata montagna appenninica, e si consideri che quasi un terzo della valle è di proprietà di estranei, e che su quell'area i valligiani sono esclusi dalla ricchezza maggiore, la vendita del legname, e che, dopo la liquidazione degli usi civici, per usare del pascolo debbono pagare un canone al titolare della proprietà, libera e integrale.

Considerando, comunque, che i residenti partecipano anche allo sfruttamento delle risorse silvopastorali, si evidenzia la peculiarità dell'economia locale, che assicura agli abitanti il soddisfacimento delle esigenze essenziali, fornendo pietrame per le abitazioni, cibo e legna per il riscaldamento invernale, ma che non offre che introiti monetari esigui, la ragione per cui a Ospitale sussiste una duplice economia: un'economia "naturale", che produce e consuma senza scambi monetari, fonte del soddisfacimento delle esigenze essenziali, un'economia collaterale, monetaria, corrispondente alle attività praticate per i bisogni inappagati nel contesto dell'autosufficienza, al fine di procurare ciò che la valle non produce: il sale, il vino, qualche tessuto, il ferro grezzo per fabbricare chiodi, cardini, vomeri, che i valligiani forgiano nelle piccole fucine presenti in ogni casale. Espressione della "democrazia della povertà", economia "naturale" ed economia monetaria coinvolgono in proporzioni e misure pressoché uguali le 140 famiglie residenti, di composizione analoga e in possesso di un peculio immobiliare equivalente: a Ospitale si ricordano 5-6 famiglie con patrimoni superiori alla media, non più di una dozzina di famiglie nullatenenti, tra cui due incapaci di pagare i conti alle botteghe. I braccianti, numerosi nel 1882, sono fuggiti prima dei proprietari.

Il denaro serve anche per il pagamento delle imposte, che, data la modestia degli estimi, si riducono alle tasse successorie: la successione è evento che impegna risorse accumulate in lunghi anni. Su 140 nuclei familiari può presumersi che la valle debba sostenere la spesa di 7-8 successioni all'anno.


Le risorse alimentari


L'ultimo valligiano che ha praticato l'antica arte di essiccare le castagne per convertirle in farina, Alfredo Seghi, al lavoro nel dicembre del 1990
Foto P.Manfredi, Rivista I tempi della terra


La definizione di relazioni quantitative tra le risorse e la popolazione presuppone l'assunto che le risorse siano interamente sfruttate, direttamente o indirettamente, dagli abitanti. La corrispondenza è assoluta nell'area mediana della valle, sui seminativi. In quella basale, a castagneto, tra le particelle dei valligiani sono interposte proprietà di residenti di Fanano di entità trascurabile, mentre nel settore superiore pascola, d'estate, solo bestiame pertinente ai valligiani. Sono i valligiani, poi, a raccogliere, pagando una tessera alla proprietà silvopastorale, fragole, mirtilli e lamponi, voci non irrilevanti dell'economia locale. Si può quindi postulare tra lo sfruttamento delle risorse e l'economia dei residenti una correlazione univoca: l'economia "naturale" della valle corrisponde all'impiego delle risorse da parte dei residenti.

Per tentare la misurazione quantitativa la chiave è costituita dai parametri della produttività, che è possibile desumere da colloqui con i valligiani, e verificare sui testi di agronomia e silvicoltura. La precisione più scrupolosa non può elidere, peraltro, un'ampia variabilità in un'area montana in cui la vegetazione registra un ritardo di un mese sulla pianura, e la rottura climatica invernale si verifica con un anticipo equivalente, l'irregolarità costituisce la norma, non l'eccezione. Castagne e frumento, le due fonti essenziali di sostentamento, soggiacciono alle medesime alee 13.

Per il castagneto, dopo cinquant'anni dall'erompere del "mal dell'inchiostro", dopo quindici di infierire del "cancro" 14, che sta già perdendo virulenza, si può stimare che 200 ettari producano da 10 a 25 quintali di castagne per ettaro, corrispondenti, secondo il parametro comune di conversione, a 3-7 quintali di castagne secche, e a una quantità uguale di farina, quindi 600-1.400 quintali 15. La quantità trova conferma dalle testimonianze sull'attività degli otto mulini della valle.

Di 230 ettari di seminativo veniva seminato a cereali un terzo, quindi 80 ettari, di cui 60 a frumento, sui quali 80 quintali di semente si convertivano in 240-560 quintali di prodotto, al netto del seme per l'anno successivo 160-480 quintali disponibili per la panificazione. La seconda cifra può apparire elevata: essa è accettabile ove si sottolinei che dopo due anni di prato di trifoglio, una specie miglioratrice, il campo riceveva un'abbondante letamazione: se la stagione correva favorevole moltiplicare la semente per otto non era evento raro.

Le due coppie di cifre impongono una constatazione capitale: quando si verificasse, insieme, un'annata propizia per il castagno e per il frumento, la popolazione poteva contare su mezzi di sussistenza ampiamente sufficienti: 256 chilogrammi di farina di castagne e 88 di frumento. Se la congiuntura fosse stata, invece, negativa, e alla produzione inferiore del castagno si associasse quella inferiore del frumento, gli abitanti della valle si trovavano nella penuria: 110 chilogrammi di farina di castagne e 29 di frumento sono entità insufficiente. Il computo impone di rilevare la drammaticità del contesto quando, alla fine dell'800, la popolazione aveva consistenza quasi triplice, con una densità di 48 abitanti per chilometro quadrato, per le risorse locali insostenibile anche considerando alquanto maggiore la produttività dei castagneti.

Per giudicare la sicurezza alimentare si deve sottolineare l'impossibilità di accumulo: se nelle annate positive si fosse accantonato farina e grano per quelle povere, la sicurezza sarebbe stata possibile, ma conservare frumento o castagne secche, nelle umide abitazioni della valle, è impresa incerta, e, data la carenza di contante, ogni esubero veniva trasformato in denaro, che è assai più facilmente conservabile di grano e castagne. Purtroppo la manciata di spiccioli ricavati vendendo frumento o castagne nell'anno di eccedenza non ricomprerà mai le medesime derrate nell'anno di penuria.

Frumento e castagne, base della dieta, non ne costituiscono, peraltro, elementi esclusivi. A differenza della pianura della polenta, quindi della pellagra, l'alimentazione montanara è scarsa ma ricca, la contraddizione è apparente, in termini nutrizionali. Su un quarto della terra a cereali si coltiva segala o orzo, che su 20 ettari producono 220 quintali, base dell'alimentazione di 140 maiali. Da 10 ettari di patate si ricavano, quindi, 400 quintali di tuberi.

Latte, lana, agnelli

Le ultime vacche della valle brucano i ricacci dell'autunno prima che la neve ricopra prati e pascoli fino alla primavera ventura
Foto A. Saltini 1990, Rivista I tempi della terra

Dopo i prodotti della coltivazione quelli dell'allevamento, elemento essenziale dell'economia della valle. Le risorse foraggere sono costituite dal prodotto dei seminativi nei due anni a prato, dal pascolo nei castagneti, eseguito anche per eliminare la vegetazione che ostacolerebbe la raccolta delle castagne, nei prati cespugliati e nel pascolo oltre il limite del bosco. L'erba della prima fonte viene affienata e riposta per l'inverno, quella delle altre è pascolata costituendo l'alimentazione estiva, interamente rimessa al consumo diretto da parte degli animali. La produzione di 140 ettari di prati avvicendati può stimarsi corrispondente a 3.000 quintali di fieno, una quantità con cui possono alimentarsi, durante i sei-sette mesi in cui è impossibile il pascolo, 150 capi "grossi", appena sufficiente, perciò, al foraggiamento dei 140 bovini adulti, dell'abbondante novellame e dei 10 somari presenti nelle stalle, e all'integrazione del pascolo delle pecore quando indispensabile. La carenza di fieno è testimoniata dall'ampio ricorso foraggero a paglia e foglie essiccate. Considerando i 140 bovini mucche in età fertile, e stimando la produzione media, sottratto il quantitativo assunto dal vitello, circa 5 quintali, di 13 quintali di latte, la valle avrebbe prodotto 1.800 quintali di latte, quindi 180 quintali di formaggio, 50 di burro e 140 vitelli, che venivano portati a un quintale di peso, costituendo una delle rare fonti di denaro, ed elemento di congiunzione tra economia "naturale" e monetaria.

Insieme ai bovini di stanza permanente, d'estate i pascoli della valle ospitano le greggi che salgono dai polesini di Ferrara e Rovigo. Eredi di un'antica tradizione, i pastori di Ospitale possiedono, nei primi anni '50, 3.300 pecore, un numero eccedente le risorse della valle, anche per il periodo dell'estivazione, dal 20 maggio al 1 settembre. Non tutte le pecore risalgono, quindi, ogni anno a Ospitale, e di quelle che vi sono convogliate molte saranno condotte, ogni mattina, su pascoli delle valli attigue, di Fellicarolo, di Val di Gorgo, nel Bolognese, a Pratignana. Si può supporre che pascolino entro lo spartiacque 2.500 capi. Trascurando i castagneti, sui 700 ettari di pascoli delle due classi diverse 140 vacche, almeno altrettanti allievi e 2.500 pecore costituiscono carico ingente, prova di una situazione critica. Si è detto dell'alta piovosità media: la media non è tuttavia, la regola, e almeno ogni cinque anni l'Appennino conosce un'estate siccitosa, in cui la produzione foraggera si riduce a metà. In quegli anni la fame d'erba si traduce, sui pascoli comunali, in cruda contesa 16.

Considerando le annate in cui il manto erboso sia regolare, 2.500 pecore guadagnano, durante 60-70 giorni, 2-3 chilogrammi di peso, complessivamente 5.000-7.500 chilogrammi che stimati al prezzo dell'agnello che partoriranno al ritorno, possono valutarsi 1,7-2,7 milioni. Nello stesso periodo producono 25-35 quintali di formaggio e 10 di ricotta, per un valore 1,5-2,5 milioni. Deve aggiungersi, quindi, il valore della produzione di lana relativa ad un quarto dell'anno, 1.250 chilogrammi per 1,5 milioni di lire. Complessivamente, la pastorizia assicura all'economia della valle 6 milioni, un'entità che esula dall'autoconsumo dirigendosi i prodotti del gregge al mercato. Alle entrate della pastorizia può sommarsi quella del formaggio di mucca venduto, 100 quintali per 2,5 milioni, e quella dei vitelli, 5,5 milioni17. All'inventario delle risorse alimentari si debbono aggiungere mirtilli, lamponi e funghi, i primi prodotti da decine di ettari di fitto manto tra i cedui e i pascoli di crinale, i secondi e i terzi nelle superfici di ceduo di taglio recente.


L’economia dell’accetta

Un antico "metato", il casolare che consentiva la permanenza nel castagneto al tempo della raccolta edell'essiccazione delle castagne,
Foto A. Saltini 1985 Rivista I tempi della terra

Dopo le risorse alimentari, la prima risorsa dell'economia forestale, il legname. I cedui della valle non erano, evidentemente, omogenei: sui fondi migliori i turni erano più lunghi, e al taglio si potevano ricavare, oltre al legname da ardere, assortimenti da opera. La regola era costituita, peraltro, dalla trasformazione in carbone, con taglio a turni trentennali. Considerando il ciclo trentennale, dei 1.350 ettari di ceduo ogni anno la scure investe 45 ettari, da cui si ricavano 6.750 metri cubi di legname. I primi consumatori di legna da ardere sono, evidentemente, i valligiani, che alla legna affidano il riscaldamento durante l'inverno, la cottura del cibo tutto l'anno e l'essiccazione delle castagne, un'operazione dispendiosa di combustibile. Considerando che le esigenze siano contratte al minimo, per destinare tutta la legna possibile alla vendita, l'autoconsumo non può impiegare meno di 1.500 metri cubi, che, abolita la servitù di legnatico, possono ritenersi ricavati per metà dai cedui, per metà dalla rinettatura dei castagneti e dal pascolo cespugliato. Risultano destinati alla vendita, quindi, 6.000 metri cubi, meno di 500 come legname da lavoro e da cantiere, il secondo inviato alle cave di marmo di Carrara, 5.500 trasformati in altrettanti quintali di carbone 18.


La Tana, Ospitale, Appennino modenese,
foto A. Saltini 1989, Rivista I tempi della terra


Il taglio commerciale è voce essenziale dell'economia monetaria: considerando che la produttività di un uomo corrispondesse a 2,5-3,5 metri cubi al giorno, al taglio di 6.000 metri cubi sono necessarie 2.400-1.700 giornate di lavoro: il ceduo impiega, cioè, 25-15 uomini per una stagione di 90 giorni. Siccome il taglio si effettua a cottimo, e a metà degli anni '50 il compenso è di 450 lire al metro, ne risulta un introito, per i taglialegna della valle, di 2,7 milioni19. Parte cospicua del taglio commerciale è effettuata nei cedui della grande azienda silvopastorale: siccome anche i valligiani vendono quanto riescono a sottrarre al bisogno familiare, alla cifra, che corrisponde alla remunerazione del lavoro alla tariffa corrente, deve aggiungersi, per le particelle di proprietà locale, il ricavo del macchiatico, che può stimarsi 0,5 milioni. Quando "il valore di macchiatico divenne negativo" l'esbosco della propria particella rendeva meno, palesemente, del lavoro a cottimo nell'azienda del conte Forni. Non entrano nell'economia della valle i proventi del trasporto, eseguito, con più di 80 muli, da vetturini toscani, che comprano un poco di fieno, ma portano seco la biada.

Se gli uomini sono impegnati nella coltura dei campi, e, per ricavare denaro liquido, nel taglio e nella pastorizia, le donne raccolgono mirtilli, lamponi e funghi, che assicurano, nelle famiglie che contino due-tre raccoglitrici, entrate equivalenti a quelle realizzate dal capofamiglia. Per valutare il rilievo dei frutti del sottobosco basta ricordare che i Pasquali, gli incettatori maggiori, acquistavano, durante una stagione di 40 giorni, 20 quintali di mirtilli al giorno, per un valore complessivo di 4-5 milioni. Si ricordano stagioni propizie in cui acquisivano, per alcuni giorni, quantità uguali di porcini 20.


Bilanci familiari

Tre biche di fieno erette dopo lo sfalcio estivo dall'ultimo coltivatore di Pian Castagnolo a 1.400 metri d'altitudine, al limite degli antichi campi della valle di Ospitale
Foto A. Saltini 1988, Rivista I tempi della terra


Ai 15-25 uomini impegnati nell'esbosco la stagione assicurava, secondo i valori riportati, 110.000-160.000 lire Introiti appena superiori fornivano i prodotti della pastorizia ai 30-40 pastori. Nei mesi invernali consentivano una modesta integrazione del bilancio familiare le 600 lire al giorno dei cantieri aperti in base alla legge Fanfani. Di computo problematico sono gli introiti dell'emigrazione stagionale, imposta dall'insufficienza delle occasioni locali di lavoro, ma che sarebbe aleatorio tentare. Si può comunque presumere che dal lavoro il capofamiglia ritragga, durante l'anno, 150-250.000 lire 21, che una cifra equivalente ricavino la moglie e le figlie dalla raccolta di mirtilli e lamponi, che 50.000 lire la famiglia ottenga dalla vendita del vitello, del formaggio, di qualche sacco di castagne e patate. Complessivamente il bilancio monetario della famiglia si situa, nel 1950-55, tra 350.000 e 550.000 lire, per 140 famiglie tra 49 e 77 milioni.

Del volume dell'economia monetaria solo una parte minore sarebbe stata spesa nelle cinque botteghe, che, secondo una testimonianza che dovrebbe reputarsi attendibile, avrebbero registrato il fatturato complessivo di 2,5 milioni 21). Più di un indizio induce a supporre che l'antica bottegaia equivochi, e che la cifra reale debba reputarsi di 25 milioni, un dato che appare più congruente. Un terzo del denaro affluito nelle botteghe si sarebbe convertito in vino, l'unico genere alimentare che la valle non produceva. I proventi della raccolta dei mirtilli, riscossi a metà settembre, sarebbero stati spesi, peraltro, a Fanano, alla fiera di Santa Possidonia, occasione dell'approvvigionamento annuale di tessuti, stoviglie, arnesi da lavoro. Si deve presumere, poi, il più meticoloso risparmio, per precostituire riserve per le annate difficili, per acquistare, se si succedessero due-tre annate favorevoli, due are di castagneto22.

Nell'insieme di economia "naturale" e "monetaria" un sistema dai margini di equilibrio esigui: dopo la fuga dei nullatenenti è l'equilibrio di una società che sfrutta con indiscutibile perizia, e con l'erogazione di lavoro senza limiti, le risorse di propria pertinenza. Tra quelle risorse sta venendo a mancare un pilastro capitale, il castagneto, la cui caduta comprometterebbe l'ordine antico anche se non si fosse attivato, in pianura, il magnete dell'urbanizzazione, che sprigionerà la forza capace di sradicare, in dieci anni, i cittadini della "democrazia della povertà" dai patrimoni conservati, a prezzo di sacrifici inenarrabili, per cinquanta generazioni. Se la fuga dei nullatenenti è stata fenomeno comprensibile, a spiegare quella di pastori e contadini è necessario riconoscere che la storia della società italiana è entrata nel turbine di una metamorfosi che ne muterà il volto facendone entità irriconoscibile a se medesima.

Note

  1. F. Braudel, Civiltà materiale, economia e capitalismo, 3 voll., Torino, Einaudi, 1982, vol. II, p. 212. G. Cherubini, La società dell'Appennino settentrionale, in Signori, contadini e borghesi. Ricerche sulla società italiana nel basso Medioevo, Firenze, La Nuova Italia 1974, p. 130. Id, La “civiltà del castagno”, in L'Italia rurale nel basso Medioevo, Bari, Laterza, 1984, p. 159.
  2. La valle rientra nelle tavolette I S. O. Cutigliano e I N. O. Fanano del foglio 97 della Carta d'Italia dell'I. G. M. Nel Catasto agrario comprendeva, secondo la numerazione originaria, 29 fogli del comune di Fanano, precisamente quelli contrassegnati dai numeri 44, 45, 47, 49, 61, 62, 63, 64, 65, 66, 70, 71, 72, 73, 74, 75, 76, 77, 78, 79, 80, 81, 82, 83, 84, 85, 86, 87, 88. I fogli che descrivono i terreni posti ai confini idrologici della valle con le contermini valli fananesi si dilatano oltre i medesimi, cosicché la somma delle superfici accatastate risulta superiore di 60 ha a quella definita dagli spartiacque. La differenza deve reputarsi maggiore ove si considerino le superfici occupate dal greto dei torrenti, per il Catasto superficie demaniale anche se passibile di pascolo e taglio di legna.
  3. Analizza problemi e contributi storici sulla viabilità e i passi tra il Modenese e il Pistoiese M. Turchi, Fanano e la via Romea. Un territorio ed una strada di confine attraverso la storia, Fanano 1996, manoscritto in attesa di pubblicazione. N. Pedrocchi, Storia di Fanano (a cura A. Sorbelli), Fanano, Comitato francescano, 1927.
  4. Sul regime comunitario dei castagneti del Pistoiese e della Lucchesia, G. Cherubini, La "civiltà del castagno" cit., p. 169.
  5. Comune di Fanano contro Nacman e Guastalla. Parere dell'Avvocato Carlo Gallini, Roma, F.lli Pallotta 1895.
  6. L. A. Muratori, Della pubblica felicità oggetto de' buoni principi, Lucca 1749, cap. XV, Dell'agricoltura, a commento A. Saltini, La "pubblica felicità": manifesto degli studi di politica agraria, in Corte, buon governo, pubblica felicità, Atti della III giornata di studi muratoriani, Vignola, 14 ott. 1995, Firenze, Olschki 1996.
  7. G. Salvioli, Miscellanea di legislazione estense, Palermo 1898, p. 41 nota 1.
  8. Sulla politica forestale dopo l'Unità, R. Trifone, Storia del diritto forestale in Italia, Firenze 1957
  9. L'affrancazione con contestuale scorporo viene statuita dal Reale Commissario regionale per la liquidazione degli usi civici con sentenza emessa il 7 settembre 1929.
  10. Il conte Giulio Forni, residente a Magreta, conserva tanto la documentazione immobiliare quanto quella contabile della gestione del padre, conte Giuseppe. La prima comprende copia del rogito Parenti con cui il 27 novembre 1844 il Comune cede a Francesco IV, del rogito Bonasi con cui il 21 agosto 1908 Ricotti- Campori, Ricotti- Radicati, Finzi, Manzini, Beltrami, Martinelli- Magiera cedono a Farneti, del rogito Ferrari con cui, il 9 ottobre 1908 Farneti cede metà dei propri titoli a Corona, del rogito Ferrari con cui, il 28 gennaio 1916, Farneti riacquista la proprietà indivisa, del rogito Battelli con cui il 16 agosto 1916 Farneti cede a Dalla, della sentenza con cui, il 7 settembre 1929, il Commissario regionale per la liqidazione degli usi civici statuisce l'affrancazione della proprietà e lo scorporo della parte corrispondente al valore delle servitù, del preliminare di acquisto con cui il 20 novembre 1942 Dalla cede a Forni. Mancano gli atti di acquisto e di vendita di Forni. La documentazione contabile comprende le registrazioni di cassa e i documenti giustificativi, dall'anno 1950 all'anno 1970.
  11. G. Medici ha espresso più volte l'enunciazione in occasione di convegni e giornate di studio, ha enucleato il concetto nella Prefazione a Aa. Vv., Il miglioramento dei cedui italiani, Bologna, Clueb, 1979. L'esame della contabilità dell'azienda Forni nel decennio 1950-60 rivela un cospicuo guadagno il primo anno, un sostanziale pareggio negli anni successivi.
  12. I dati sulla popolazione di Ospitale sono ricavati dai due volumi manoscritti Stato d'anime Volume I Ospitale 1882 Val di Lamola e Stato d'anime 1a parte dal 1900 al 1919, 2a parte dal 1917 al... e dallo Schedario parrocchiale riferibile al 1950 e aggiornato fino al 1955. Per gli abitanti delle Caselle, Coste, Ca' dei Fuochi e Serretto si è impiegato il registro Serrazzone IV Stato d'anime, che appare redatto attorno al 1870 e aggiornato con precisione fino al 1892, poi, con annotazioni sporadiche, fino al 1913. Nel 1882 la parrocchia di Ospitale somma 1.169 abianti, le Caselle 91, le altre frazioni comprese nella valle 90. Non esistendo, per le frazioni di Serrazzone, registri successivi, la popolazione al 1954 è stata stimata supponendo la medesima riduzione constatata a Ospitale.
  13. I parametri della produttività di colture e soprassuoli sono stati desunti dai colloqui, realizzati nel corso del 1994, 1995 e 1996 con i coltivatori, pastori e taglialegna più anziani: Pietro Chiarotti, Guerrino Monterastelli, Giovanni Scarpellini, Remo Scarpellini, Dante Albinelli, Remo Andreoni e Raffaele Muzzarelli. I valori raccolti sono stati confrontati con quelli proposti da opere classiche, per il grano G. Porisini, Produttività e agricoltura: i rendimenti del frumento in Italia dal 1815 al 1922, 2 voll, Torino, Industria libraria tipografica, 1971, per castagneti e cedui L. Piccioli, Selvicoltura, Torino, Unione tipografica editrice, 1815.
  14. Il "mal dell'inchiostro", Phytophthora cambivora, si è diffuso all'inizio del secolo, il "cancro corticale", Endothia parasitica, alla fine degli anni '30. Sui tempi di proliferazione F. Moriondo, Introduzione alla patologia forestale, Torino, Utet, 1989, pp. 114-115 e 151-154, e (Giorgio Maresi), Recupero e gestione dei castagneti, in Provincia di Bologna, Il divulgatore, anno XV, n. 8, nov. 1992, pp. 19-21.
  15. Il sommarsi degli effetti delle infezioni alla variabilità annuale rende la produzione media del castagneto dato sfuggente: L. Piccioli, Silvicoltura cit., p. 290, fissa in 15,6 q/ha la produttività nazionale, e per l'Emilia in 15,8 quella di Bologna, in 5,6 quella di Parma, risultando la differenza sorprendente data la similarità delle condizioni.
  16. La manualistica agronomica è ricca di parametri per stimare il carico dei pascoli, ad esempio O. Carton, E. Marcolongo, Manuale dell'ingegnere agronomo, Firenze, Lemonnier 1887, p. 358, V. Niccoli, A .Fanti, Prontuario dell'agricoltore e dell'ingegnere agrario, Milano, Hoepli, 1924, pp. 330-331. Per pascoli di natura tanto difforme e di produttività tanto irregolare la loro applicazione costituirebbe mera astrazione.
  17. La manualistica agronomica è ricca di parametri per stimare il carico dei pascoli, ad esempio O. Carton, E. Marcolongo, Manuale dell'ingegnere agronomo, Firenze, Lemonnier 1887, p. 358, V. Niccoli, A .Fanti, Prontuario dell'agricoltore e dell'ingegnere agrario, Milano, Hoepli, 1924, pp. 330-331. Per pascoli di natura tanto difforme e di produttività tanto irregolare la loro applicazione costituirebbe mera astrazione.
  18. Per la produttività dei cedui L. Piccioli, Silvicoltura cit. p. 398, per la conversione in carbone id,. p. 594. Le testimonianze orali sono concordi nell'attribuire ai cedui una produttività elevata, espressa in metri cubi di legname accatastato, e un tasso di conversione in carbone modesto, espressioni dell'intesa tra proprietari e taglialegna su una compattazione limitata delle cataste.
  19. Si può confrontare il prezzo del lavoro a cottimo con quello del lavoro ad ore: nel 1951 l'azienda Forni paga i taglialegna 140 lire all'ora, per 8 ore 1.120 lire, contro le 1.350 che un tagliatore capace ricava se riesca ad accatastare 3 m c. A titolo di riferimento, l'azienda Forni vende la prima pezzatura dell'abete a 8.000 lire il m c, le pezzature inferiori a 3.400-2.200 lire, la legna di faggio a 1.000 lire, lo scarto del taglio dell'abete a 500 lire.
  20. I dati sono ricavati da un colloquio con Anita Pasquali, la cui famiglia gestiva uno dei cinque esercizi commerciali, rivendite alimentari e osterie, della valle.
  21. Offre un riferimento certo la retribuzione del fattore del conte Forni, dirigente aziendale, il cui stipendio mensile, nel 1950 e 1951, è di 25.500 lire, in 13 mensilità 331.500 lire.
  22. Il dato è riferito dalla stessa Pasquali.

Si ringraziano Ennio e Alessandro Muzzarelli per la collaborazione nell'analisi dei dati catastali, Giuliano Lanzi per l'aiuto all'elaborazione di quelli demografici, il parroco don Paolo Foli per la disponibilità dei registri parrocchiali.