La vita sul pianeta Marte/La vita sul pianeta Marte/III

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La vita sul pianeta Marte
Capitolo III

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La vita sul pianeta Marte - II Il pianeta Marte (1909)


Fino a questo punto abbiam potuto arrivare, combinando il risultato delle osservazioni telescopiche con probabili deduzioni tratte da principi conosciuti della Fisica, e da plausibili analogie. Concediamo ora alla fantasia un più libero volo; sempre appoggiati, per quanto è concesso, al fondamento sicuro dell’osservazione e del ragionamento, tentiamo di renderci conto del modo, con cui sarebbe possibile in Marte l’esistenza e lo sviluppo di una popolazione d’esseri intelligenti, dotati di qualità e soggetti a necessità non troppo diverse dalle nostre: e sotto quali condizioni si potrebbe ammettere, che i fenomeni dei così detti canali e delle loro geminazioni possano rappresentare il lavoro di una simil popolazione. Ciò che diremo non avrà il valore di un risultato scientifico, ed anzi confinerà in parte col romanzo. Ma le probabilità a cui per tal modo arriveremo non saranno minori che per tanti altri romanzi più audaci e meno innocui, che sotto il sacro nome di scienza si stampano nei libri e si predicano nelle assemblee e nelle Università.

Comparando il globo della Terra con quello di Marte sotto il rispetto della loro costituzione meteorologica ed idrografica, subito ci appare manifesto, dalle cose dette di sopra, quanto il primo dei due sia meglio disposto per accogliere la vita organica e per favorirne lo sviluppo nelle sue forme superiori. Ai fortunati terricoli l’acqua fecondatrice è distribuita gratuitamente dalla periodica e regolare operazione del gran meccanismo atmosferico. Piove sui nostri campi senza alcun nostro merito: per noi, senza alcuna nostra fatica si condensa sulle montagne il liquido prezioso, che per mezzo dei ruscelli e dei fiumi può in molti modi esser rivolto a nostro vantaggio, coll’irrigazione, colla navigazione interna, colle macchine idrauliche: e senza di questo dono, che sarebbe il genere umano? Assai più dure condizioni di esistenza ha fatto la Natura ai poveri Marziali. Dove rare sono le nuvole e mille le pioggie, ivi mancano certamente le fonti ed i corsi d’acqua1. Tutto per loro sembra dipendere, come già si è accennato, dalla grande inondazione prodotta nello sciogliersi delle nevi polari boreali. La loro conservazione o la loro prosperità richiede ad ogni costo, che siano arrestate nella maggior quantità possibile, e trattenute per tutto il tempo necessario quelle acque, prima che vadano a perdersi nel mare australe; che se ne approfitti nel modo più efficace alla coltura di aree abbastanza vaste per assicurare durante un intero anno Marziale (23 mesi nostri) l’esistenza di tutto ciò che vive sul pianeta. Problema forse non tanto facile e non tanto semplice! perchè la somma di acqua disponibile è al più quella che hanno formato le nevi boreali d’una sola invernata; quantità certamente assai grande, la quale però, ripartita sopra tutti i continenti, potrebbe presto diventare insufficiente, anche non tenendo conto delle perdite inevitabili per evaporazione, filtrazione, errori di distribuzione, ecc.

Bastan questi riflessi a persuaderci, che le molte strisce oscure, onde il pianeta è solcato per ogni verso, larghe talvolta quanto il Mar Adriatico od il Mar Rosso e quasi sempre assai più lunghe, non possono, malgrado il nome da noi loro assegnato di canali, rappresentare nella loro vera larghezza arterie di deflusso delle acque boreali. Se tali fossero, basterebbero a dar passo in poche ore a tutta quanta la grande inondazione. Non solo le acque non potrebbero esser impiegate a colture che richiedessero la durata di alcuni mesi, ma giungerebbero al mare e vi si perderebbero prima che un vantaggio qualunque se ne potesse trarre. Certo per le vie segnate da quelle strisce ha luogo un deflusso, ma non tutte intiere quelle strisce servono al deflusso. La loro larghezza è per tale scopo eccessiva, nè a questo scopo corrisponde bene il loro variabile aspetto, e la loro geminazione. Ciò che noi vediamo là, o che finora abbiam chiamati canali, non sono larghissimi corsi d’acqua, come da alcuno fu creduto. L’ipotesi più plausibile è quella di considerarle come zone di vegetazione, estese a destra e a sinistra dei veri canali, i quali esistono sì lungo le medesime linee, ma non sono abbastanza larghi da poter esser veduti dalla Terra2. Queste zone di vegetazione facilmente si distaccano sulle circostanti regioni del pianeta per un colore più cupo, dovuto, com’è da credere, al fatto stesso dell’inaffiatura (si sa che il terreno bagnato è di color più oscuro che l’asciutto e disseccato dal sole) e anche in parte senza dubbio alla presenza stessa della vegetazione; mentre per le aree aride e condannate a perpetua sterilità rimane invariato il color giallo uniforme che predomina su tutti i continenti. Questo colore dobbiamo d’or innanzi considerare come rappresentante il deserto puro ed assoluto; e pur troppo si può far stima, che i nove decimi della superficie continentale di Marte ad esso appartengano.

Proseguendo nelle nostre deduzioni arriveremo a comprendere senza difficoltà, che, regnando in Marte il potere della gravità, quantunque in misura assai minore che sulla Terra3, i liquidi diffusi alla superficie del pianeta tenderanno a scendere ai luoghi più bassi; e che le zone oscure destinate alla vegetazione saranno più basse delle aree luminose circostanti, in cui l’acqua non può penetrare. Quello pertanto che a noi appare sotto aspetto di striscia oscura, e che da tutti finora si è chiamato canale, sarà un grande avvallamento della superficie, esteso secondo la linea retta o secondo il circolo massimo, sopra larghezze e lunghezze comparabili a quelle del Mar Rosso. D’or innanzi daremo ad esso il nome più proprio di valle. La larghezza di una tal valle è in tutti i casi presso che uniforme, e tale dobbiamo credere ne sia pure la profondità, che diverse ragioni c’inducono a credere molto piccola, e certamente poi molte volte minore della larghezza. L’osservazione ci accerta che una tal valle fa sempre capo co’ suoi estremi o ad un mare, o ad un lago, o ad un’altra valle consimile. E poichè il color oscuro, effetto della vegetazione e dell’irrigazione, ne occupa tutta l’apparente larghezza, dobbiamo ritenere, che i due pendii laterali siano accessibili alle acque tanto bene quanto il fondo. Quale poi sia stata l’origine di tali valli così numerose ed intrecciate, come si vede sulla carta, non è ora opportuno discutere; però l’enorme loro larghezza non ci dà confidenza di soscrivere all’opinione di coloro, che le credono prodotto di uno scavo artificiale.

La mente nostra non è avvezza a concepire tali grandiose opere come effetto di potenze comparabili a quella dell’uomo. Quando però dalla considerazione generale di questi fatti si scende allo studio minuto dei loro particolari, e sopratutto si ferma l’attenzione sopra le misteriose geminazioni e sulla straordinaria regolarità di forma ch’esse presentano, l’idea che qualche parte almeno secondaria vi possa avere una razza di esseri intelligenti non può esser considerata come intieramente assurda. Anzi, al punto in cui siamo giunti, e data la verità delle cose sin qui esposte, tale supposizione perde quel carattere d’audacia che ci spaventava da principio, e diventa quasi una conseguenza necessaria.

Poniamo infatti per un momento, che lassù tutto si faccia per conseguenza cieca di leggi fisiche, senza intervento alcuno di mente direttiva. Le nevi del polo boreale, a misura che saranno disciolte, correranno all’Oceano seguendo le ampie valli, che loro offrono la strada più facile. Se il fondo delle valli è concavo (come nella maggior parte delle nostre), l’acqua vi si riunirà in una corrente di larghezza molto limitata, e non potrà occupare i pendii laterali, nè produrre sopra di essi l’innaffiamento e le vegetazioni che soli possono renderli a noi visibili. Il corso d’acqua o canale esisterà, ma difficilmente prenderà tale ampiezza.da rendersi sensibile al telescopio. Insomma noi non ne vedremmo nulla. Perchè l’acqua e la vegetazione potessero espandersi sopra larghezze di 100 e 200 chilometri, bisognerebbe che il fondo della valle fosse piano e quasi assolutamente uniforme. Avremo allora qualche cosa di simile ad un vasto impaludamento, nel quale potrebbero ottimamente svolgersi una flora ed una fauna somiglianti a quelle della nostra epoca carbonifera. Con tali ipotesi è possibile renderci conto delle strisce oscure semplici; rimane però inesplicato il fenomeno della loro temporanea geminazione. Non si riesce a comprendere perchè in una medesima valle l’innaffiamento e la vegetazione si faccian talvolta sopra una linea unica, tal’altra invece si dividano sopra due linee parallele di larghezza e d’intervallo non sempre eguale in ogni tempo, tra le quali resta uno spazio infecondo o almeno non irrigato. Qui la supposizione di un intervento intelligente è più che mai indicata. E il modo di questo intervento dev’esser determinato dalle condizioni particolari fatte dalla natura ai supposti abitatori del pianeta.

Ora prego il lettore di considerare l’annessa figura, nella quale si è inteso di rappresentare il taglio o sezione traversale di una delle larghe valli di Marte. In A A sono le sponde della valle, in B il suo fondo. Se al giungere delle inondazioni s’immettesse l’acqua nella valle senza altro apparato, essa si raccoglierebbe tutta al fondo sotto forma di un gran fiume in quantità probabilmente eccessiva, mentre i pendii laterali rimarrebbero asciutti. Per dare a tutta la valle la irrigazione necessaria così in quantità come in durata, i nostri ingegneri avrebbero scavato (e così dobbiam supporre abbiano fatto anche gl’ingegneri di Marte) a diverse altezze sui due pendii una serie di canali paralleli fra loro e paralleli alle sponde della valle; canali di dimensioni comparabili alla nostra Muzza, al Canale Cavour, al gran Canale del Gange4. Simili canali, di cui non è necessario qui precisare il numero, sono rappresentati sulla figura dallo incavature segnate colle lettere m, n, p... Fra due canali contigui il terreno segue il pendio naturale verso l’asse della valle, in modo che l’acqua da un canale più alto (come quello segnato m) possa arrivare a quello che gli sta sotto (come quello segnato n) espandendosi gradatamente su tutta la zona coltivata intermedia m n. I due canali più bassi serviranno ad irrigare la zona più bassa di coltivazione, che occupa il fondo della valle. All’estremità boreale di questa stanno i robusti argini, che trattengono entro i dovuti limiti, e fino al tempo opportuno, le acque della grande inondazione; ivi si chiudono e si aprono le porte d’afflusso: mentre per l’estremità australe e più bassa accadrà l’uscita delle acque residue, che vanno a raccogliersi nell’Oceano australe.

Già si è accennato, che la copia d’acque provenienti dalle nevi di una sola invernata sembra piuttosto inferiore che superiore ai bisogni dell’irrigazione; la poca area delle superficie coltivate in confronto colle deserte favorisce questa conclusione. L’apertura dei canali e l’immissione delle acque nelle campagne di una data valle non si potranno quindi fare a caso, ma dovranno succedersi con certa regola, onde tutte le zone, anche le più alte, possano ricevere il fluido benefico e conservarlo per tanto tempo, quanto ne richiede il ciclo vegetativo delle colture adottate. Male si provvederebbe a questo, se, per esempio, prima che la grande inondazione sia giunta al colmo, si cominciasse a consumar l’acqua per uso delle zone più basse: perchè in tal modo potrebbe avvenire che l’inondazione non raggiungesse il livello necessario per irrigare le zone più alte. Queste ultime pertanto dovranno avere la precedenza in ogni caso.

Così stando dunque disposte le cose; essendo giunta l’estate dell’emisfero Nord, e la grande inondazione boreale essendo arrivata alla massima altezza; il Gran Prefetto dell’Agricoltura ordina che si apran le chiuse più alte, e che sia immessa l’acqua nei due canali più elevati a destra e a sinistra della valle (segnati colle lettere m m’ nella figura qui sopra). L’irrigazione si estenderà sopra le due zone laterali più alte (cioè mn m’n’ ); la superficie della valle cambierà colore in queste due zone, l’abitante della Terra vedrà due strisce parallele colorate, cioè una geminazione. Trascorso il tempo sufficiente per assicurare il completo ciclo vegetativo in quelle due prime zone, e la grande inondazione boreale essendo già in sul decrescere, si aprono le chiuse conducenti a due canali più bassi n n’ , i quali frattanto avranno ricevuto anche i residui delle due zone già irrigate. Così sarà aperta alle acque la via per fecondare due altre zone fra loro parallele, np n’p’ le quali a loro volta diventeranno visibili all’osservatore terrestre. A quest’ultimo la geminazione sembrerà or composta di due linee più larghe, l’una proveniente dall’insieme delle due zone irrigate di destra, l’altra dall’insieme delle due zone irrigate di sinistra. Ma col cessare della vegetazione nelle zone più alte, mn m’n’ , queste riprenderanno il loro colore primitivo, e cesseranno d’esser visibili; onde a un dato momento nel telescopio non si vedranno che le sole zone np n’p’ più interne; la geminazione sarà di nuovo composta di due linee sottili, ma l’intervallo fra queste sarà minore di quanto fosse in principio, quando erano irrigate le sole zone mn m’n’ . Così di grado in grado, abbassandosi le acque della grande inondazione, si passerà ad irrigare zone sempre più basse; da ultimo, esaurite ormai quelle acque, se ne profitterà per immetterle nella zona che forma il fondo della valle, cioè nell’intervallo rappresentato con pp’ . Allo spettatore terrestre apparirà una striscia sola; la geminazione avrà cessato di esistere. E quando il ciclo vegetativo sarà compiuto su tutte le zone della valle, allora soltanto si potranno aprire le porte inferiori per lasciare l’uscita alle acque residue, non senza prima aver riempito i vasti serbatoi necessari all’uso quotidiano di quegli abitanti, e alla coltura dei giardini durante l’intervallo della lunga siccità. Dell’irrigazione avvenuta non rimarrà che qualche traccia accidentale, il terreno ritornerà arido, e l’osservatore terrestre o non vedrà più affatto la valle, o appena ne discernerà qualche lieve indizio.

Questo piano d’operazioni, che io ho descritto qui per fissare le idee su di un caso concreto, non sarà probabilmente il solo ad esser praticato. Non è necessario che l’ordine d’irrigazione delle successive zone sia sempre ed ovunque così completo e così regolare. Se, per esempio per le colture di Marte fosse necessaria la pratica del maggese, qualche zona dovrebbe esser lasciata senza irrigazione. A norma poi delle diverse specie di coltura dovendo l’irrigazione esser più lunga o più breve, non si avrà sempre la completa simmetria sui due pendii della valle; ma potrà tale irrigazione esser più estesa e più durevole or da una parte or dall’altra, od anche da una parte mancar totalmente. E sul fondo della valle, che sarebbe il luogo più opportuno per boschi, si cercherebbe di mantenere l’umidità per il tempo più lungo che sia possibile. Così potrebbe anche nascere una zona permanente di vegetazione, sempre più o meno osservabile dai telescopi terrestri. In tal modo senza supporre cose miracolose e senza vagare all’impazzata nei campi dell’ignoto, con sobrio uso d’analogie e con plausibili deduzioni, possiamo spiegarci non solo la varia lunghezza e il vario aspetto sotto cui ci appaiono i così detti canali, cioè le valli coltivate di Marte; ma ancora dalle necessità pratiche della vita degl’ipotetici suoi abitanti possiamo dedurre e l’esistenza delle geminazioni, e la varia larghezza delle linee che le compongono, le mutazioni del loro intervallo. E si riesce a comprendere perchè le strisce, dette canali, qualche volta sembrano portarsi più verso destra, e qualche altra volta più verso sinistra, sempre conservando il medesimo orientamento.

Ammesse le linee principali del nostro quadro, non sarà difficile il compierlo nei particolari, e disegnare coll’immaginazione i grandiosi argini necessari per contenere nei giusti limiti l’inondazione boreale; i laghi o serbatoi secondari di distribuzione, necessari per dare le acque a quelle valli, che non fanno capo direttamente a quella inondazione; le opere occorrenti per regolare la distribuzione secondo il tempo e secondo il luogo; i canali di primo, secondo, terzo... ordine destinati a condurre le acque su tutto il terreno irrigabile; i numerosi opifici, a cui le acque potranno dar moto nel loro scendere dai ciglioni laterali della valle al fondo della medesima. Marte dev’esser certamente il paradiso degli idraulici!

E passando ad un ordine più elevato d’idee, interessante sarà ricercare qual forma d’ordinamento sociale sia più conveniente ad un tale stato di cose, quale abbiamo descritto; se l’intreccio, anzi la comunità d’interessi, onde son fra loro inevitabilmente legati gli abitanti d’ogni valle, non rendano qui assai più pratica e più opportuna, che sulla Terra non sia, l’istituzione del socialismo collettivo, formando di ciascuna valle e dei suoi abitanti qualche cosa di simile ad un colossale falanstero, per cui Marte potrebbe diventare anche il paradiso dei socialisti. Bello altresì sarà indagare, se sia meglio ordinar politicamente il pianeta in una gran federazione, di cui ogni valle costituisca uno stato indipendente, oppure se forse, a reggere quel grande organismo idraulico da cui dipende la vita di tutti, e a conciliare le diverse necessità delle diverse valli, non sia forse più opportuna la monarchia universale di Dante. Ed ancora si potrà discutere, a quale rigorosa logica dovrà essere subordinata la legislazione destinata a regolare un così grandioso, vario e complicato complesso d’affari: quali progressi debbano aver fatto colà la Matematica, la Meteorologia, la Fisica, l’Idraulica e l’arte delle costruzioni, per arrivare alla soluzione dei problemi estremamente difficili e varii, che si presentano ad ogni tratto. Qual singolare disciplina, concordia, osservanza dello leggi e dei diritti altrui debba regnare sopra un pianeta, dove la salute di ciascuno è così intimamente legata alla salute di tutti; dove son certamente sconosciuti i dissidii internazionali e le guerre: dove quella somma ingente di studio e di lavoro e di mezzi, che i pazzi abitanti d’un altro globo vicino consumano nel nuocersi reciprocamente, è tutta rivolta a combattere il comune nemico, cioè le difficoltà che l’avara Natura oppone ad ogni passo.

Di tutto questo, o caro lettore, lascio a te l’ulteriore considerazione. Io scendo dall’Ippogrifo; tu, se ti aggrada, puoi continuare la volata. Messo t'ho innanzi, omai per te ti ciba.

G. SCHIAPARELLI.

Note

  1. Sulla totale (o quasi totale) assenza di nuvole e pioggie in Marte veggasi quanto ho scritto nel mio articolo precedente ("Natura ed Arte", 1 e 15 febbraio 1893). L’anno scorso è riuscito al signor Douglas, astronomo americano, di studiare e di misurare alcune nuvole di questo pianeta. Una di esse, osservata il 25 e il 26 novembre 1894, era larga 150 chilometri circa o lungo 230; la sua altezza sul suolo del pianeta fu trovata esser più di 25 chilometri; essa sembrava muoversi con una velocità di circa 20 chilometri all’ora. Sulla Terra le nuvole bianche a strisce e frange, chiamate cirri, le quali sembrano aver molta analogia colla nuvole di Marte, non sogliono elevarsi a più di 6 od 8 chilometri dal livello del suolo.
  2. Una striscia oscura della superficie di Marte non può esser osservabile coi presenti nostri telescopi, se non ha almeno 30 o 40 chilometri di larghezza.
  3. L’intensità della gravità alla superficie di Marte è minore nel rapporto di 3 ad 8 di quella che ha luogo alla superficie della Terra. Quindi quel peso, che noi chiamiamo di 8 chilogrammi, potrebbe esser sostenuto in Marte da quel tanto di forza muscolare, che a noi occorre per sostenere 3 chilogrammi.
  4. Quest’ultimo canale è capace d’irrigare sopra tutta la sua lunghezza (che è di 500 chilometri) una zona di terreno larga 35 chilometri. Più non si richiede per i canali qui sopra descritti.