Le tigri di Mompracem/Capitolo XXX - La fuga

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Capitolo XXX - La fuga

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Capitolo XXIX - I prigionieri Capitolo XXXI - Yanez

Capitolo XXX
La fuga


Partito il tenente, Sandokan si era seduto sull’ultimo gradino della scala, colla testa stretta fra le mani, immergendosi in profondi pensieri.

Un dolore immenso traspariva dai suoi lineamenti. Se fosse stato capace di piangere, non poche lagrime avrebbero bagnate le sue gote.

Juioko si era accoccolato a breve distanza, guardando con ansietà il suo capo. Vedendolo assorto nei suoi pensieri, non aveva più osato interrogarlo sui suoi futuri progetti.

Erano trascorsi quindici o venti minuti, quando il boccaporto tornò ad alzarsi. Sandokan vedendo entrare uno sprazzo di luce, si era precipitosamente alzato guardando verso la scala.

Una donna scendeva rapidamente. Era la giovane dai capelli d’oro, pallida, anzi livida e lagrimante.

Il tenente l’accompagnava, tenendo però la destra sul calcio d’una pistola che aveva messa nella cintura.

Sandokan era scattato in piedi, mandando un urlo e si era slanciato verso la fidanzata stringendosela forsennatamente al petto.

- Amor mio - esclamò traendola dalla parte opposta della stiva, mentre il comandante si sedeva a mezza scala colle braccia incrociate e la fronte abbuiata.

- Finalmente ti rivedo!

- Sandokan - mormorò ella scoppiando in singhiozzi. - Credevo di non rivederti più mai!...

- Coraggio, Marianna, non piangere, crudele, tergi queste lagrime che mi straziano.

- Ho il cuore infranto, mio prode amico. Ah, non voglio che tu muoia, non voglio che ti separino da me! Io ti difenderò contro tutti, io ti libererò, io voglio che tu sia ancor mio.

- Tuo!... - esclamò egli emettendo un profondo sospiro. - Sì ritornerò tuo, ma quando?

- Perché quando?

- Ma non sai, sventurata fanciulla, che mi portano a Labuan per uccidermi?

- Ma io ti salverò.

- Tu, sì, forse se mi aiuterai.

- Hai un progetto adunque! - esclamò ella delirante per la gioia.

- Sì, se Iddio mi protegge. Ascoltami, amor mio.

Lanciò uno sguardo sospettoso sul tenente che non si era mosso dal suo posto, poi traendo la giovanetta più lontana che era possibile, le disse:

- Progetto una fuga e ho speranza di riuscire, ma tu non potrai venire con me.

- Perché, Sandokan? Dubiti che io non sia capace di seguirti? Temi forse che mi manchi il coraggio per affrontare i pericoli? Sono energica e non temo più nessuno; se vuoi pugnalerò le tue sentinelle o farò saltare questo vascello con tutti gli uomini che lo montano, se è necessario.

- È impossibile, Marianna. Darei mezzo del mio sangue per condurti meco, ma non posso. Mi è necessario il tuo aiuto per fuggire o tutto sarà vano, ma ti giuro che non rimarrai molto tempo fra i tuoi compatrioti, dovessi levare colle mie immense ricchezze un esercito e guidarlo contro Labuan. Marianna si nascose il capo fra le mani e grosse lagrime inondarono il suo bel viso.

- Rimanere qui, senza di te - mormorò con voce straziante.

- È necessario, mia povera fanciulla. Ascoltami ora.

Si trasse dal petto una microscopica scatoletta e apertala mostrò a Marianna alcune pillole d’una tinta rossiccia e che tramandavano un odore acutissimo.

- Vedi queste pallottoline? - le chiese. - Contengono un veleno potente ma non mortale, che ha la proprietà di sospendere la vita, in un uomo robusto, per sei ore. È un sonno che somiglia perfettamente alla morte e che inganna il medico più esperto.

- E cosa vuoi fare?

- Io e Juioko ne inghiottiremo una ciascuno, ci crederanno morti, ci getteranno in mare, ma poi risusciteremo liberi sul libero mare.

- Ma non vi annegherete?

- No, poiché io conto su di te.

- Cosa devo fare? Parla, comanda Sandokan, sono pronta a tutto pur di vederti libero.

- Sono le sei - disse il pirata estraendo il suo cronometro. - Fra un’ora io e il mio compagno inghiottiremo le pillole e manderemo un acuto grido. Tu marcherai esattamente sul tuo orologio il minuto secondo in cui quel grido sarà emesso, conterai sei ore, e due secondi prima ci farai gettare in mare. Procurerai di lasciarci senza amaca e senza palla ai piedi, e cercherai di gettare qualche galleggiante in mare onde ci possa poi giovare e possibilmente vedrai di nascondere qualche arma sotto le nostre vesti. Mi hai compreso bene?

- Ho scolpito tutto nella mia memoria, Sandokan. Ma dopo dove andrai?

- Ho la certezza che Yanez ci segue ed egli ci raccoglierà. Poi radunerò armi e pirati e verrò a liberarti, dovessi porre Labuan a ferro e fuoco ed esterminare i suoi abitanti.

Si arrestò cacciandosi le unghie nelle carni.

- Maledetto sia il dì in cui mi chiamai la Tigre della Malesia, maledetto sia il giorno in cui divenni vendicatore e pirata, scatenando su di me l’odio dei popoli che si frappone, come orribile spettro, fra me e questa divina fanciulla!... Se non fossi mai stato l’uomo sanguinario, almeno non sarei stato incatenato a bordo di questo legno, né trascinato verso il patibolo, né mai diviso da questa donna che così immensamente amo!

- Sandokan!... Non parlare così.

- Sì, hai ragione, «Perla di Labuan». Lascia che ti contempli un’ultima volta - disse vedendo il tenente alzarsi e avvicinarsi.

Sollevò il biondo capo di Marianna e la baciò in viso come un forsennato.

- Quanto ti amo, sublime creatura!... - esclamò egli, fuori di sé. - E bisogna separarci!...

Soffocò un gemito e si terse rapidamente una lagrima che gli rotolava sulla bruna guancia.

- Parti, Marianna, parti - disse bruscamente. - Se tu rimanessi, io piangerei come un fanciullo!

- Sandokan!... Sandokan!...

Il pirata si nascose il viso fra le mani e fece due passi indietro.

- Ah! Sandokan! - esclamò Marianna, con accento straziante.

Volle slanciarsi verso di lui, ma le forze le vennero meno e cadde fra le braccia del tenente che si era avvicinato.

- Partite! - gridò la Tigre della Malesia, volgendosi altrove e celandosi il viso. Quando si rivolse il boccaporto era stato già abbassato.

- Tutto è finito! - esclamò con voce triste. - Non mi rimane che di addormentarmi sulle onde del mar Malese. Possa un giorno rivedere felice colei che tanto amo!...

Si lasciò cadere ai piedi della scala col viso fra le mani e rimase così quasi un’ora. Juioko lo strappò da quella muta disperazione.

- Capitano - disse. - Coraggio, non disperiamo ancora. Sandokan si alzò con un gesto energico.

- Fuggiamo.

- Non domando di meglio.

Estrasse la scatoletta e levò due pillole porgendone una al dayako.

- Bisogna inghiottirla al mio segnale - disse.

- Sono pronto.

Estrasse l’orologio e guardò.

- Sono le sette meno due minuti - riprese Sandokan. - Fra sei ore noi torneremo in vita sul libero mare.

Chiuse gli occhi e inghiottì la pillola mentre Juioko lo imitava. Tosto si videro quei due uomini contorcersi come sotto un violento e improvviso spasimo, quindi stramazzare al suolo emettendo due acute urla.

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Quelle grida, malgrado lo sbuffare della macchina e il fragore delle onde sollevate dalle possenti ruote, furono udite in coperta da tutti e anche da Marianna che già le attendeva in preda a mille ansie.

Il tenente discese precipitosamente nella stiva seguito da alcuni ufficiali e dal medico di bordo. Ai piedi della scala urtò contro i due creduti cadaveri.

- Sono morti - disse. - Quello che temevo è avvenuto.

Il medico li esaminò, ma quel brav’uomo non potè far altro che constatare la morte dei due prigionieri.

Mentre i marinai li sollevavano, il tenente risalì in coperta e si avvicinò a Marianna che si teneva appoggiata alla murata di babordo, facendo sforzi sovraumani per soffocare il dolore che l’opprimeva.

- Milady - le disse. - Una disgrazia è toccata alla Tigre e al suo compagno.

- La indovino... Sono morti.

- È vero, milady.

- Signore - diss’ella con voce rotta ma energica. - Vivi appartenevano a voi, morti appartengono a me.

- Vi lascio libera di fare di loro ciò che meglio vi aggrada, ma voglio darvi un consiglio.

- Quale?

- Fateli gettare in mare prima che l’incrociatore giunga a Labuan. Vostro zio potrebbe far appendere Sandokan sebbene morto.

- Accetto il vostro consiglio; fate portare i due cadaveri a poppa e mi si lasci sola con loro.

Il tenente s’inchinò e diede gli ordini necessari, onde si eseguisse la volontà della giovane lady.

Un momento dopo i due pirati venivano collocati su due tavole e portati a poppa, pronti ad essere gettati in mare.

Marianna s’inginocchiò accanto a Sandokan irrigidito e contemplò mutamente quel volto scomposto dalla potente azione del narcotico, ma che conservava ancora quella maschia fierezza che incuteva timore e rispetto. Attese che nessuno facesse a lei osservazione e che le tenebre fossero calate, poi si trasse dal corsetto due pugnali e li nascose sotto le vesti dei due pirati.

- Almeno potrete difendervi, o miei valorosi - mormorò ella con profonda emozione.

Poi si assise ai loro piedi, contando sull’orologio ora per ora, minuto per minuto, secondo per secondo, con pazienza inaudita.

Alla una meno venti minuti si alzò pallida ma risoluta. S’avvicinò alla muratura di babordo e non vista staccò due salvagente che gettò in mare, poi si diresse verso prua e fermandosi dinanzi al tenente che pareva l’attendesse:

- Signore, - disse, - si compia l’ultima volontà della Tigre della Malesia.

Ad un ordine del tenente quattro marinai si recarono a poppa e alzarono le due tavole, su cui posavano i cadaveri, fino al capo di banda.

- Non ancora - disse Marianna rompendo in pianto.

S’avvicinò a Sandokan e posò le labbra su quelle di lui. Sentì a quel contatto un lieve tiepore e una specie di fremito. Un momento di esitazione e con voce soffocata disse:

- Lasciate andare!

I marinai alzarono le due tavole e i due pirati scivolarono in mare inabissandosi nei neri flutti, mentre il vascello si allontanava rapidamente portando la sventurata giovanetta verso le coste dell’isola maledetta.