Le Vicinie di Bergamo/Le Vicinie di Bergamo

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Le Vicinie di Bergamo

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Prefazione Appendice I
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LE VICINIE DI BERGAMO





La divisione delle città in quartieri o sestieri (Portae) è antichissima, e dall’Agnello, scrittore del nono secolo, ci è già attestata per Ravenna intorno al 690, laddove, narrando di una finta battaglia, cominciata per giuoco, poi degenerata bentosto in un sanguinoso combattimento, indi in uno spaventevole massacro, scrive: «contigli eo tempore ut Tiguriensis porta iniret certamen cum Pusterula, que vocatur Summus Vicus1.» A quelle del biografo ravennate corrispondono altre indicazioni. Così in una carta lucchese del 739 troviamo: Iustu aurifice de porta s. Gervasii2; in altra milanese del 843 fra le soscrizioni vi ha pure quella di Leoni de civitate Verona de porta s. Firmi3, e nel 847 in un atto pur milanese è soscritto Rachifrit pellegrario de porta ticinensis4. [p. 2 modifica]Che una tale partizione fin da tempi così antichi fosse comune a tutte l’altre città, sebbene sia assai verisimile, non oserei affermarlo per manco di documenti; però essa divenne uno dei caratteri essenziali della vita comunale, imperocchè per un concorso di molteplici e propizie circostanze fusisi i ceti nella novella cittadinanza, gli oneri imposti ebbero unica base nel domicilio, non più nella qualità delle persone; onde, conformemente ai principii d’uguaglianza della nuova borghesia, l’ordinamento non posò più sulla vieta classificazione dei ceti sociali, sibbene sulla preesistente divisione dei quartieri cittadini5.

I nostri documenti pur troppo sono muti fino ad un’epoca assai più tarda; ma la analogia delle città circonvicine e, direi quasi, una necessità universalmente sentita non permettono in niun modo di pensare ad una eccezione, che sarebbe singolarissima, e che alla sua volta richiederebbe maggiori e più indiscutibili prove, per essere avvalorata. Che anzi, fino dal 1030 veggo anche qui una regione della città indicata dal nome della Porta, alla quale dovea essere congiunta, perchè in un atto di quell’anno trovo: pecies due de terraposite infra cive Bergamoda porta s. Laurentii6; nell’anno successivo vi ha: prima peciaest porla que dicitur sancti Stephani7; in una carta inedita del 1118 leggo: casa una solariata posita in suprascripta civ. Pergamo da porta s. Laurentii8; nel 1173 sono nominati i [p. 3 modifica]vicini porte (non parte) sancti Stephani9, e nel 1198 è ricordato certo Teutaldus Abandonatus de porta s. Laurentii civ. Pergami10; per il che, se propriamente noi non sappiamo per prove dirette, che l’esercito si formasse sulla base dei quartieri cittadini, che sulla stessa base si eleggessero gli ufficiali del Comune, si distribuissero le imposte, insomma si compiessero tutti i più importanti servizi pubblici, queste testimonianze però ce lo lasciano ammettere in via indiretta, ma non meno certa, in quanto che in questo primo periodo difficilmente potremmo immaginare in diversa guisa il manifestarsi della vita comunale.

Ma non è solo in quartieri che noi troviamo divisa la nostra città, sibbene anche in Viciniae o Vicinantiae. Il concetto dei vincoli derivanti dalla materiale contiguità delle abitazioni, che si svolge e s’allarga su quello delle cognazioni, delle affinità e delle amicizie11, e che crea una serie di attenenze fra quanti vi hanno parte, non può essere stato che di tutti i tempi e di tutti i luoghi in certi stadii della civiltà. Ma come dalla sua astrattezza questo concetto si tradusse in atto fin da principio, qua in un centro di allegri convegni o di religiose solennità, onde la vicinia12 ebbe i suoi ludi compitalicii, e compitum [p. 4 modifica]e vicinitas si tennero come sinonimi13; là in una sequela di svariati rapporti con gli interessi particolari del luogo ed in una serie di provvedimenti per promuoverli e per tutelarli, così non è a meravigliare se i vicinati, a seconda dei tempi e delle sociali condizioni, con mutato aspetto ci si fanno innanzi nelle varie epoche della nostra storia come anello di congiunzione fra il più ristretto àmbito delle correlazioni famigliari e quello più ampio della città, o, che dir si voglia, del Comune.

Che la divisione per vici o viciniae, la quale non ci appare solo in Roma, ma anche in altri municipii14, siasi mantenuta inalterata attraverso ai secoli, non è agevole dirlo, perchè gli sconvolgimenti portati principalmente dalla conquista longobarda furono di tale natura, da imporre il più assoluto riserbo di fronte a così intricata questione. La congettura quindi che, da una parte alcune tradizioni dell’epoca romana non al tutto scomparse neppure sotto il dominio de’ Longobardi15, dall’altra il sentimento ugualmente provato d’una comunanza di interessi fra quanti conviveano sullo stesso suolo nella più stretta vicinità, debbano aver concorso a mantenere queste Vicinie, le quali, ubbedendo alle mutate condizioni, avranno trasportato il loro centro di unione, il simbolo più evidente della loro esistenza, dal sacrario eretto nei compita alle chiesuole innalzate nei diversi punti della città, non potrebbe pretendere più che ad una certa verisimiglianza, poichè, tolto quel naturale sentimento, [p. 5 modifica]noi non possediamo alcun’altra prova storica di una tale connessione, e la Vicinia medievale nei suoi tratti più originarii non ci si presenta che come istituzione ecclesiastica, come germe di quelle parrocchie cittadine, che ebbero vita soltanto dopo il mille.

A quella guisa che nelle campagne, dove pure prima di quell’epoca le parrocchie essendo poche e vastissime16, qua e colà, o nel centro di ampie tenute signorili, o dove appena esistesse qualche gruppo un po’ ragguardevole di abitazioni, si innalzarono oratorii o cappelle (oracula, basilicae, tituli), che in origine erano interamente soggetti alla chiesa plebana, in quanto che soltanto in questa nelle domeniche e nell’altre precipue festività si celebrava solennemente il sacrificio, si tenevano sermoni, si leggeva la Scrittura, si amministravano i sacramenti e si compievano tutte l’altre funzioni propriamente parrocchiali17; ma che in seguito diventarono centro di numerose parrocchie e di importanti Comuni rurali, così avvenne nelle città e nei suburbi, dove fin da tempi antichi, per la necessità stessa delle cose, si trovano fondati oratorii pubblici, ne’ quali era permesso al popolo di intervenire al sacrificio18, e i quali per essere immediatamente sottoposti alla matrice della Pieve urbana, furono talvolta distinti coll’epiteto di cardinales19. Un eguale fatto si presenta anche fra noi; ma se non si può accogliere con alcuna fiducia una notizia, secondo la quale fu il vescovo [p. 6 modifica]Adalberto, che nella prima metà del secolo decimo assoggettò, naturalmente insieme alla circostante popolazione, queste cappelle alla Cattedrale20, questo però parmi certo si possa indurre, che già fino da un’epoca abbastanza antica si tenesse, che tali oratorii cittadini e suburbani avessero potuto costituire il centro di molteplici rapporti fra essi e coloro, che vi abitavano tutt’intorno, onde di qui si dovesse ripetere il primo nucleo di quelle Vicinie, che da essi unicamente ebbero nome.

Il fatto è, che nel Concilio Ticinese del 850 trovo la espressione: similiter autem et singulis urbium viciniis et suburbanis per municipalem archipresbiterum cet.21; il Giulini per Milano rinvenne già nel secolo decimo alcune traccie di queste Vicinie22, delle quali un indizio parmi di ravvisare apertamente anche fra noi fin dal 952, quando fra i testimoni di un atto veggo segnato Iohanne et Adalberto pater et fil. de infradicia civit. Bergamo qui dicitur de Sancto Pancratio23; il che vuol dire, s’io non erro, che col nome della chiesa veniva indicata quella parte della città, ove tenevano abitazione que’ due testimoni, o in altri termini, che quella chiesa s’era fatta il centro di un gruppo di abitazioni o di una Vicinanza, la quale da essa, come ne’ tempi posteriori, pigliava nome. E se in importanti decisioni, che riguardavano la disciplina e il patrimonio ecclesiastico, era richiesto l’intervento dei laici24; se nel 1173 [p. 7 modifica]furono i Vicini quelli che chiesero ed ottennero dal vescovo Guala che la loro chiesa di S. Giacomo della Porta fosse libera et absoluta capella civitatis Pergami sicut una ex aliis capellis ipsius civitatis e quindi vi fosse posto un prete qui divinum officium continue celebraret25; se a questo uniamo il sentimento religioso a quelle epoche vivissimo, parmi possiamo agevolmente spiegarci come quei Vicini, che abitavano attorno all’oratorio eretto per loro, dovessero considerarlo come cosa propria, e riguardare come di comune interesse il riattarlo, o l’ampliarlo, il tenerlo fornito de’ sacri arredi e di quanto occorreva a compiervi i riti liturgici, e come quindi alla lor volta i nascenti Comuni potessero cogliere questa condizione di cose quale segno di comunanza di locali interessi e quale sorgente di reciproci doveri. Del che ne porge una chiara prova la città di Parma nel 1238, poichè per definire a chi spettasse il risarcimento dei danni recati alla proprietà, non seppe meglio farlo che con questa ordinanza: quod dampnum emendetur ab omnibus hominibus qui se conveniunt et vadunt ad ecclesiam illam, ad quam ille cui dampnum datum fuerit, vel tenitores illius terre consueverant ire26.

E questo in tesi generale e come un naturale svolgimento della cosa, perchè solo la mancanza dei documenti non mi permette dire se molte di queste cappelle non saranno state fondate dagli stessi vicini, onde da questo fatto ne sieno nati diritti e doveri, che il giure canonico pienamente ammetteva, e che [p. 8 modifica]la legge civile non mancava di sancire27, e che quindi la esecuzione degli uni e degli altri rendesse più stretti quei vincoli quasi naturali di questi Vicini, che s’accentravano nella chiesa comune, a comuni spese mantenuta e provveduta. E a quella guisa che il governo episcopale abituò i Comuni, anche per lungo tratto dopo costituiti, a tenere loro radunanze nella Cattedrale28, così queste condizioni devono aver mantenuto nei Vicinati, anche dopo che formarono parte integrante dell’ordinamento municipale, il costume di raccogliersi a trattare dei comuni interessi nella chiesa da cui aveano nome, come ce ne forniscono una continua prova gli Atti della Vicinia di S. Pancrazio.

La divisione adunque della città per Vicinati dovea essere per lo meno tanto antica, quanto quella per Porte; ma non è tutto qui il cardine della questione, perchè un punto, certo per me, ancora oscurissimo è quello di sapere quando le Vicinie, che in origine non doveano rappresentarci che una divisione puramente ecclesiastica, sieno entrate a far parte della vita comunale, sicchè da questo fatto sia uscita quella lunga serie di obblighi e di oneri, che avremo a prendere in esame nel corso di questo studio; in ultima analisi non si tratta solo di sapere quando le nostre città si trovarono partite in Vicinati, quando e come questi si sieno formati; se al sacrario compitale non siasi che sostituita la nuova chiesa, lasciando inalterati gli antichi confini, o se in quella [p. 9 modifica]vece un abisso con separi per avventura l’una dall’altra istituzione, poichè in qualunque caso tutto ciò dev’essere indubitatamente avvenuto innanzi ai primi albori della splendida giornata in cui brillarono i nostri Comuni; ma sibbene trattasi di conoscere quando il Comune abbia approfittato di queste antecedenti divisioni per farne la base della sua amministrazione cittadina.

A dire il vero non possiamo trarre che una luce troppo indeterminata da quella notizia lasciataci da Ottone Morena, che, dopo la resa di Crema, affine di porre un freno alla baldanza soldatesca, «Theutonici et Longobardi castrum introeuntes, prout, quisque fortior erat, unus solus tantum unam Viciniam occupabat29;» piuttosto è più interessante l’altra riferitaci da Sire Raul, cioè, che quando Milano si trovò assediata da Federico e l’approvvigionamento della città richiese la somma cura di coloro, che la reggevano in sì duri frangenti, furono eletti «de unaquaque parochia civitatis duo homines et de eisdem tres de unaquaque porta30.» Che se si aggiunga, che nella resa di quella città novantaquattro furono gli stendardi deposti dalla fanteria alla presenza dell’imperatore31, veniamo a comprendere che già prima del 1162 l’esercito aveva la sua base non solo nella divisione dei quartieri cittadini, ma anche in quella dei Vicinati; che i provvedimenti del Comune erano mandati ad effetto col mezzo appunto dei Vicinati in quanto queste piccole aggregazioni, che unite formavano il corpo della città, potevano [p. 10 modifica]nella loro ristrettissima cerchia esercitare una sorveglianza assai più attiva, e insieme più equamente distribuire i carichi e meglio restare mallevadrici che niuno vi sfuggisse.

E questo deve essere stato il concetto, che indusse tutte le nostre città ad approfittare di quelle preesistenti divisioni, se forse queste già non s’imposero per natura stessa delle cose, verisimilmente fin dall’epoca in cui la vita comunale stava svolgendosi e preparandosi a quel rigoglio di forze, in cui ci appare nella prima metà del secolo decimosecondo. Tuttavia, almeno per quanto riguarda la nostra città, va notato, che le due divisioni per quartieri e per Vicinati non ponno essersi formate che affatto indipendentemente l’una dall’altra, perchè anche quando nella seconda metà del secolo decimoterzo le Vicinie erano già entrate per tanta parte nell’azienda del Comune, e questo in pari tempo non dovea essersi astenuto da rimaneggiamenti ne’ loro confini per porle meglio in armonia cogli oneri loro addossati, si lasciarono sussistere anomalie, che provano questo fatto. Imperocchè, per non citare che un esempio il più certo, il quartiere interno di S. Alessandro comprendeva interi i due vicinati di S. Salvatore e di S. Giovanni, ma insieme non gli appartenevano che mezzo quello di S. Agata, quasi tutto quello di Arena e per una esigua parte l’altro di S. Matteo32; il che prova che, almeno presso di noi, le Vicinie furono assunte come organi della vita comunale quando già la divisione per Porte era stabilita, ma che insieme esse ebbero [p. 11 modifica]uno sviluppo proprio ed affatto indipendente se i loro confini così liberamente si intrecciavano con quelli dei quartieri cittadini.

Eppure il Comune, come avvertii, non deve essersi trattenuto da rimaneggiamenti in questo lato, e oltre ad altri argomenti che addurrò più innanzi, qui noto questo solo, che nelle premesse alla determinazione dei confini dei Vicinati posta nello Statuto del 1263 si credette opportuno avvertire: salvo quod (per) infrascripta nec aliquod eorum nullum preiudicium fiat alicui persone in aliquo iure sepulturarum vel baptismi vel alio iure spirituali quod haberet in uliqua ecclesia33; dove, se vediamo apertamente chiarito il carattere puramente civile che nei rapporti col Comune avea la Vicinia, troviamo anche affermato, che innanzi a questa condizione di cose esistevano obblighi e diritti d’altra natura, che si volevano integralmente salvi, ma che insieme il Comune non si tenne del tutto legato a quelle particolari ragioni, che aveano in origine presieduto alla formazione di quelle consociazioni nel corpo della città, ma che, pure rispettandone i principii, nullameno credette suo diritto apportarvi quei rimutamenti, che erano richiesti dall’interesse generale e dalla esecuzione de’ pubblici provvedimenti. Il nostro Comune adunque, come pare verosimile, accolse i quartieri come il primo simbolo della uguaglianza della borghesia nei rapporti dei singoli cittadini col tutto; ma quanto più gli elementi [p. 12 modifica]vennero perfezionandosi, il congegno amministrativo rendendosi più complicato, la cerchia dei servigi estendendosi per ogni dove, al pari della sorveglianza, che ne guarentisse la esecuzione, allora si comprese la importanza che la Vicinia poteva avere per un più puntuale andamento della cosa pubblica; e a quella guisa che il Comune con un uniforme e completo organamento dette ville del Contado potè allargare e far sentire per ogni dove la sua autorità, così con un organamento ugualmente completo dei Vicinati si assicurò entro i confini della città e dell’esteso suburbio, che tutt’attorno la abbracciava, una pronta e fedele esecuzione di tutti quei provvedimenti e di tutti quei servigi, che doveano assommarsi nella sicurezza e net benessere della città dominante.

E qui giovi avvertire, che non una sola volta mi avvenne di vedere applicato il titolo di parrocchia alle nostre Vicinie; e ciò parmi assai naturale. Imperocchè se fin da principio esse furono tratte nell’orbita del governo comunale, è indubitato che a quell’epoca non doveano costituire propriamente parrocchie urbane o suburbane per questo, che ancora nel 1196 e nel 1218 i solenni battesimi per la città e pel suburbio si amministravano unicamente nella Cattedrale34; laonde queste parziali aggregazioni di cittadini intorno alle singole chiese e cappelle dipendenti dalla Cattedrale conservarono sempre l’antico nome di Vicinia o Vicinantia di fronte al Comune, il quale in conseguenza non credette, nè a tutta ragione, [p. 13 modifica]volle preoccuparsi delle nuove condizioni che coll’andare del tempo potevano essere create per ciascuna di esse nei rapporti della ecclesiastica disciplina. Fu per questo che il nome di Vicinia, appunto perchè si mantenne inalterato malgrado i mutamenti recati dalle più recenti circoscrizioni veramente parrocchiali, acquistò nella nostra legislazione una significanza puramente civile ed al tutto indipendente da quelle circoscrizioni, le quali potevano abbracciare, come alcune di fatto abbracciavano, più d’una di tali Vicinie35; per il che, se nei primordii il nome di parrocchia sarebbe stato usato affatto impropriamente ed erroneamente, in seguito non avrebbe che ingenerato confusioni, o, per meglio dire, non avrebbe avuto alcun significato.

È cosa assai difficile, per non dire impossibile, il voler stabilire quale sia stato il numero delle nostre Vicinie nelle diverse epoche, in cui queste locali circoscrizioni ebbero vita, poichè le notizie più certe non cominciano che verso la metà del secolo decimoterzo. Neppure può metterci sulla via per determinare il numero originario di quelle Vicinie, che entrarono a far parte dell’organamento del Comune, la notizia dataci nel 1187 dai Canonici di S. Vincenzo, che il Vescovo Adalberto in principio del secolo decimo costituì undici cappelle coi rispettivi sacerdoti immediatamente soggette alla Cattedrale36, perchè sebbene queste abbiano formato altrettanti Vicinati cittadini dell’epoca posteriore, tuttavia conviene osservare dapprima, che la notizia stessa è per sè abbastanza [p. 14 modifica]inesatta37, poi anche che il Comune poteva aver trovato un numero maggiore di Vicinie raggruppatesi intorno a qualche altra chiesa urbana suburbana ed averlo tratto nella sua orbita, senza punto preoccuparsi di questi ecclesiastici ordinamenti.

E questo è tanto vero, che, come già vedemmo, intorno alla chiesuola di S. Giacomo, la quale punto non entrava nel numero di quelle undici tenute dai Canonici per le più antiche, s’era già formato un gruppo di Vicini appartenenti al quartiere di S. Stefano, che probabilmente la mantenevano e la provvedevano di quanto era necessario al culto; onde nel 1173 chiesero al vescovo Guala che fosse parificata alle altre cappelle della città e del suburbio, e senza difficoltà l’ottennero38. Se ciò è, dobbiamo ammettere che anche qui prima del 1173 esistesse già una Vicinanza, che metteva capo alla chiesa comune, e questo tanto più, in quanto il vescovo Guala nella sua concessione credette inutile aggiungere quali fra i vicini della Porta di S. Stefano accedessero o dovessero accedere a quella chiesa, o, che è lo stesso, non reputò necessario in ultima analisi stabilire i confini di quella porzione del quartiere cittadino, che con essa dovea trovarsi strettamente congiunta nei rapporti ecclesiastici nuovamente creati, perchè per lunga consuetudine s’era già formato intorno a questa chiesa un vicinato, affatto all’infuori degli undici primitivi, e che poteva sin da principio essere stato accolto tale e quale anche dal Comune.

D’altra parte non è inutile osservare, che se da [p. 15 modifica]noi, come ho già avvertito, parrocchie nel più antico e nel più schietto significato della parola non esistevano per anco neppure nei primi lustri del secolo decimoterzo, nullameno, se dopo il mille a talune delle chiese della città e del suburbio si accordarono alcune delle minori funzioni parrocchiali39, certo è che i vincoli tra la chiesa e la vicinanza, che si trovava tutt’attorno ad essa, non potevano che rendersi più stretti; ed è appunto qui che il Comune dovea di preferenza approfittare di una condizione di cose in tal guisa stabilita per distribuire su tutto il territorio cittadino il disimpegno di particolari funzioni, imperocchè qui dovea già trovare sancite dalla consuetudine adunanze de’ vicini per la elezione del sacerdote pel riattamento della chiesa, a non parlare de’ convegni religiosi, de’ vincoli uscenti da’ diritti spirituali e de’ consorzii di beneficenza, come vedremo, già stabiliti che stavano pigliando vita rigogliosa. Quindi è che i cappellani, i quali nel 1196 tentarono allargare le loro funzioni parrocchiali, amministrando i battesimi indipendentemente dalla Cattedrale, sono quelli di S. Andrea, S. Salvatore, S. Michele dell’Arco, S. Eufemia, S. Lorenzo, S. Alessandro in Colonna, S. Alessandro della Croce, S. Michele del Pozzo40; vale a dire di quelle chiese, che diedero od aveano già dato nome ad altrettanti Vicinati nel significato amministrativo della parola. Che questi ultimi si limitassero nel 1196 al solo numero degli otto qui recati, non è in niun modo ammissibile, imperocchè già vedemmo che nel 1187 i Canonici [p. 16 modifica]accennavano alle undici principali cappelle, che indubitatamente avranno formato sotto l’aspetto ecclesiastico altrettante vicinie; poi perchè nella stessa condizione delle otto cappelle qui nominate altre ne troviamo in un’epoca anteriore. Nel 1135 e negli anni successivi, oltre a quello di S. Salvatore ed all’altro di S. Vigilio, dì cui mi occuperò più innanzi, trovo nominati i cappellani di S. Grata, S. Giovanni e S. Agata, tre chiese, che esse pure formarono il centro di tre nostre Vicinie e loro diedero nome. A queste vedemmo nel 1173 uguagliata anche quella di S. Giacomo. La chiesa di S. Stefano, da cui pigliarono la loro denominazione la Porta ed il quartiere cittadino41; quella di S. Pancrazio che vedemmo nel secolo decimo aver già costituito una specie di vicinato, che si chiamava dal suo titolare; quella di S. Matteo, antichissima forse, ma certo delle più importanti se presso di essa sorse col tempo una collegiata di Canonici42, doveano, al pari di tutte l’altre, qui nominate, nel 1196 aver già formato dei Vicinati cittadini.

Ma sia anche che per un tenue e, direi quasi, ignorato filo le nostre Vicinie si riattacchino a quella partizione per vici che vedemmo in uso in alcune città dell’epoca romana, sta però per me il fatto, che nella età di mezzo il concetto della vicinanza non si estrinsecò e non si corroborò che nella chiesuola comune ad una regione cittadina o suburbana, e che la Vicinia come tale fu accolta anche dal Comune. E invero, nella costituzione del 1176, con cui il vescovo Guala [p. 17 modifica]stabilisce i confini della parrocchia di S. Grata inter vites, si legge: extra Portam s. Alexandri et extra Pusterlam usque ad suburbii fines43, vale a dire come più tardi nello Statuto del 1263 leggiamo: quod Vicinancia s. Grate incipiatur apud portam de la Pusterla. — Et incipiendo iterum apud Pusterlam et eundo versus meridiem — usque ad Portam s. Alexandri — et usque in fines burgi Canalis44; dove quindi abbiamo tanto in mano per poter affermare, che anche il Comune, salve le modificazioni che dirò in seguito, accolse queste Vicinie come ecclesiasticamente s’erano costituite. E questo parmi tanto più di poter ammettere, in quanto che lo stesso vescovo Guala col suo atto non aveva già stabilito una condizione nuova di cose, ma chiaramente ammetteva di non aver sancito che una condizione da tempo preesistente, come lo dimostra la espressione: universam parochiam que ad ecclesiam vestram pertinere videtur sicut vestri predecessores hactenus lenuerunt. Fin da un’epoca anteriore al 1176 il Comune avea trovato questa Vicinanza già compiutamente formata, con confini proprii, che sanzionò anche ne’ suoi Statuti.

Non si può dire però che fin da principio il Comune abbia ammesso quanti Vicinati ecclesiastici trovò, se non nella città, almeno nel suburbio, e che in questa faccenda non abbia creduto di usare di una certa libertà. Tra i cappellani che nel 1135, 1144, 1146 troviamo obbligati a concorrere alla sacra sinassi nella Cattedrale di S. Alessandro vi ha anche [p. 18 modifica]quello di S. Vigilio45. Sebbene tutto lasci ammettere che S. Vigilio, al pari dell’altre cappelle urbane e suburbane, dovesse formare una Vicinia ecclesiastica, nullameno amministrativamente non costituì un distinto Vicinato cittadino. E malgrado ciò, quei vicini in un’epoca anteriore al 1244 aveano fatto ordinamenti speciali per la sicurezza delle loro terre, ai quali il Comune accordò la sua sanzione46; onde vediamo primamente, come la Vicinia ecclesiastica fu quella su cui si impernò la civile, poichè, sebbene quello di S. Vigilio non costituisse un Vicinato propriamente cittadino, ma solo facesse parie di quello più vasto di Canale, nullameno dalla stessa sua esistenza puramente ecclesiastica attingeva la ragione di provvedimenti, che a questa erano totalmente estranei; il che ci dimostra quasi la genesi anche di tutti gli altri Vicinati e la ragione per la quale il Comune credette di poterli trarre nella sfera della sua azione. In secondo luogo vediamo, che ciònonostante il Comune non credette di scindere questo da quello di S. Grata, come fece dopo il 1251, e in pari tempo ci si fa aperto, che non potremmo con sicurezza affermare quanti fossero nel secolo decimosecondo i Vicinati cittadini fondandoci unicamente sul numero delle Vicinie eclesiastiche esistenti in quell’epoca47. [p. 19 modifica]Parrebbe fare una eccezione al modo, col quale esposi la origine dei nostri Vicinati, quello di Antescolis, che unico pigliò nome da una località, anzichè da una chiesa. Già in una carta del 1156 si trova la vendita di una casa posta in civitate Pergami ubi dicitur Antescholam coeret a mane et a meridie via a montibus episcopatus48: nel 1224 troviamo che questa località dava nome alla nostra Vicinia49. Qui non si presentano che due ipotesi. La prima, che questa Vicinia sia stata staccata da quella di S. Salvatore, o siasi formata con porzioni di quest’ultima, di quella di S. Cassiano e di quella di S. Giacomo. Però, come vedremo in altri consimili esempi, dovremmo trovar traccia di questi mutamenti od alterazioni nello Statuto del 1263, dove è indubitato non si sarebbe mancato di accennare a quale di quelle tre chiese sarebbero concorsi i vicini di Antescolis, poichè una propria non risulta ne avessero. La seconda ipotesi, che quanto a me sembrami la più verisimile, è questa, che, cioè, quella vicinanza siasi originariamente formata intorno all’antichissima chiesuola di S. Maria, dov’era anche il battisterio della Cattedrale, e che quando nel 1137 quella chiesuola fu da cittadini rifabbricata nella grandiosa forma che ora vediamo50, e quando quindi si fu costituito quel consorzio, che la conducesse a termine e di continuo la mantenesse riattata, la Vicinia non potesse più pigliar nome da una chiesa, che era diventata [p. 20 modifica]della città, ma venisse accolta dal Comune col nome di quella piazza, che era il centro de’ convegni, e de’ traffici di questi Vicini. E di tale congettura parmi di trovare una prova anche nella cura che hanno tutti gli Statuti di avvertire che ecclesia et domus s. Marie Maioris sint et esse intelligantur de ipsa Vicinia51, perchè in effetto avranno continuato come prima questi vicini a frequentare la basilica così rifabbricata, ma il chiamarsi da essa avrebbe potuto far ammettere, del pari che pur tutte l’altre Vicinie, una sorgente di diritti e di doveri, che del tutto aveano cessato quando la intera cittadinanza, allo scopo di allontanare le gravi calamità ond’era colpita, s’era sostituita a quei Vicini; onde sola si presentasse la denominazione di Antescolis affatto locale, come in un’epoca più tarda, quando fu staccata da quella di S. Agata, ci si presenta la denominazione pure del tutto locale di Vicinia di Arena.

Se si osserva al modo con cui venne a formarsi questa città, possiamo agevolmente presupporre, che i Vicinati cittadini in principio saranno stati più scarsi di numero, che non nelle epoche seguenti e che in conseguenza avranno avuto una maggiore estensione. Mano mano che sotto la benefica influenza del governo comunale l’antica città risorgeva a novella prosperità; mano mano che anche i borghi sparsi ai piedi del colle cittadino acquistavano non lieve importanza, specialmente dopo che nei primi anni del secolo decimoterzo fu aperto il grandioso canale detto il Serio o fossatum Comunis Pergami, che insieme ad [p. 21 modifica]una fonte di numerose industrie creò nuovi e popolosi centri di abitazioni, allora anche il numero dei Vicinati deve di certo essersi accresciuto; ai vecchi ne furono aggiunti di nuovi, dimezzando i maggiori e rimutandone in qualche parte i confini, di guisa che a poco a poco si venne a quel numero, che, salve poche modificazioni, rimase quasi costante per quanto essi ebbero vita. Questo ci è lasciato ammettere apertamente dallo Statuto del 1263, dove si accenna alle Vicinancie tam veteres quam nove civitatis et suburbiorum Pergami52; ai veteres confines della Vicinia di S. Salvatore53, dove il vicinato di S. Antonio foris è chiamato senz’altro Vicinia nova54, dove infine, come già avvertii, è detto apertamente che prima del 1263 quelle di S. Agata e di Arena formavano una sola Vicinia55.

Questi cambiamenti non possiamo seguirli fin da principio; però ci appariranno evidenti nel periodo dal 1251 al 1263. Perocchè, a non voler tener conto dell’isolato accenno a qualche Vicinia che troviamo nei documenti della prima metà del secolo decimoterzo, o di quelle indicazioni affatto generali, che ce ne lasciano ammettere la esistenza, e nulla più, alla stessa epoca, come nel giuramento della Società del popolo del 123056, dei nostri Vicinati non abbiamo la prima e completa enumerazione che negli atti di pace del 1251 fra Brescia e Bergamo, dove [p. 22 modifica]leggiamo57: Omnes infrascripti consules infrascriptorum Viciniarum et burgorum adiacentium civitati Pergami iuraverunt pacem cum comuni et hominibus Brixie. — In primis

1. Susinus de Tercio, Lanfr. de AIbricis consules Vicinie S. Mathei.

2.Serzambonus Gratiani consul vic. S. Alexandri in Columpna.

3. Normandinus Crassi consul vic. S. Agathe.

4. Bergaminus Ruthelonum consul vic. S. Alexandri de la Cruce.

5. Paganus Primicerii, Montenarius de la Turre consules vic. S. Laurentii.

6. Alexander de Foro consul vic. S. Stephani.

7. Montenarius de Acerbo consul vic. S. Ioannis evangeliste.

8. Guilelmus de Widotis consul vic. S. Salvatoris.

9. Magister Meyoralus consul vic. S. Michaelis de Archu.

10. Martinus de Muzzo consul vic. de Canali.

11. Bergaminus Morarii consul vic. S. Michaelis de Puteo.

12. Bonettus de Capriate consul vic. S. Iacobi de la Porta.

13. Ventura Feragalli consul vic. S. Pangratii.

14. Rogerius Colde consul vic. S. Agathe (leggi Andree).

15. Lanfrancus d.ni Enrici de Custode consul vic. de Antescolis.

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16. Paganus Primicerii consul vic. S. Casani.

17. Bonaventura de Rege consul vicinantie S. Euphemie.

Ho riportato l’elenco quale esattamente ci è dato dal Liber Poteris di Brescia, ma è evidente che v’incorse un errore. Due volle è riprodotto il nome del Vicinato di S. Agata, ma parmi risulti aperto dalla stessa forma dell’elenco che, quando i Consoli di questo Vicinato, che giurarono la pace, fossero stati due, i loro nomi si troverebbero riuniti insieme, come riuniti si trovano per gli altri di S. Matteo e di S. Lorenzo. Inoltre ad ognuno tornerà strano di non rinvenire in questo numero la Vicinanza di S. Andrea, che essa pure dovette essere delle più antiche, se teniamo conto della antichità della sua chiesa58, e del fatto che in ultima analisi questa diè nome a tutta la parte orientale del nostro suburbio59. Quanto a me tengo per fermo, che la seconda volta per puro errore siasi riportato nella trascrizione del Liber Poteris il nome S. Agathe invece di quello S. Andree, e questo, oltre le ragioni già addotte, me lo persuade il nome del console Rogerius Colde, il quale apparteneva a quella famiglia de Colda, che appunto nel 1263 sappiamo che teneva sua abitazione nel Vicinato di S. Andrea60 e dalla quale quindi era naturale che si traessero i Consoli di quel vicinato.

Nel 1251 adunque la nostra città era divisa in diciasette Vicinati: questi salgono a ventidue nello [p. 24 modifica]Statuto del 1263, nel quale inoltre è solennemente stabilito il diritto imperscrittibile del Comune di regolare questa faccenda, leggendovisi: quod omnes porte et vicinancie et suburbia Pergami et facte le foris debeant adequari et ad equalitatem reduci per comune Pergami. Et infrascripte porte et vicinancie tam veteres quam nove civitatis et suburbiorum Pergami, et infrascripte facte de foris ipsarum portarum et cuiusque earum et infrascritti termini et confines earum et cuiusque facti et ordinati per comune Pergami perpetuo et omni tempore sint et habeantur et teneantur firme et rate et firmi et rati secundum et eo modo ut inferius continetur61. I nostri Vicinati pertanto nel 1263 erano: 1 S. Grata intervites, 2 Canale, 3 S. Giovanni evangelista, 4 S. Salvatore, 5 Arena, 6 S. Agata, 7 S. Matteo, 8 S. Michele dell’Arco, 9 S. Pancrazio, 10 S. Lorenzo, 11 S. Eufemia, 12 S. Andrea, 13 S. Michele del Pozzo, 14 S. Alessandro della Croce, 15 S. Giovanni dell’Ospitale, 16 S. Antonio, 17 S. Cassiano, 18 Antescolis, 19 S. Giacomo della Porta, 20 S. Stefano, 21 S. Alessandro in Colonna, 22 S. Leonardo.

Ne ho recata la intera enumerazione, secondo l’ordine con cui questi Vicinati sono descritti nello Statuto del 126362 perchè essa ci apre il campo ad alcune considerazioni. E dapprima, se noi confrontiamo questa colla lista del 1251, vediamo che in questo frattempo il vicinato di Canale era stato diviso in due, cioè di Canale e di S. Grata; quello di S. Agata pure in due, cioè di S. Agata e di Arena; [p. 25 modifica]quello di S. Alessandro della Croce in tre, cioè di S. Alessandro della Croce, di S. Giovanni dell’Ospitale e di S. Antonio; infine quello di S. Alessandro in Colonna in due, vale a dire di S. Alessandro e di S. Leonardo. Quanto alla prima divisione ci è lasciata supporre dallo stesso Statuto del 1263: in esso si descrivono minutamente i confini del Vicinato di S. Grata, ma per quelli di Canale il tutto è lasciato alla consuetudine: item quod alia Vicinia sit que dici et appellari debeat de Canali. Et que est et esse debet tota illa Vicin. que dici et appellari consuevit Vicin. de Canali63. Le quali espressioni ci dimostrano, che la separazione dei due Vicinati avvenne nel punto stesso in cui si compilava lo Statuto; poi, che i nostri, essendo già ecclesiasticamente e civilmente, come vedemmo, per lunga consuetudine stabiliti i confini della intera parrocchia di S. Grata, si limitarono a descrivere minutamente se non quella parte che era stralciata e che si manteneva sotto un tale titolo, reputando sufficiente l’indicare che tutto il resto spettava al Vicinato di Canale, nuovamente creato. Rispetto poi a S. Agata e ad Arena lo stesso Statuto ci afferma che prima del 1263 erano Vicinia tantum64. La Vicinia di S. Giovanni dell’Ospitale deve essere stata formata prima di quella di S. Antonio, perchè solo quest’ultima porta il titolo di Vicinia nova65; però gli Atti di pace del 1251 ci dimostrano che ambedue non furono separate che dopo quest’anno dalla più vasta di S. Alessandro della Croce. [p. 26 modifica]E se nello Statuto del 1263 troviamo pure la espressione: de alia infrascripta Vicin. que debet appellari Vicin. S. Leonardi66, vediamo che anche questa ebbe vita intorno al 1263, e che quindi essa pure dovette essere stata staccata da quella di S. Alessandro in Colonna solo in epoca così recente.

Conviene osservare in secondo luogo, che l’ordine con cui sono descritti i nostri Vicinati nello Statuto del 1263 non è per nulla arbitrario, ma risponde, per quanto il consentivano certe anomalie già notate, alla divisione per quartieri della città e del suburbio. Così abbiamo67:

1. Vicinato di S. Grata Porta di S. Alessand.
2. " di Canale
3. " di S. Giovanni Evang.
4. " di S. Salvatore
5. " di Arena Porte di S. Alessand. e di S. Lorenzo
6. " di S. Agata
7. " di S. Matteo
8. " di S. Michele dell’Arco Porta di S. Lorenzo
9. " di S. Pancrazio
10. " di S. Lorenzo
11. " di S. Eufemia Porta di S. Andrea
12. " di S. Andrea
13. " di S. Michele del Pozzo
14. " di S. Alessandro della Croce
15. " di S. Giovanni dell’Ospitale
16. " di S. Antonio
17. " di S. Cassiano

[p. 27 modifica]

18. " di Antescolis Porta di S. Stefano
19. " di S. Giacomo
20. " di S. Stefano
21. " di S. Alessandro in Colonna
22. " di S. Leonardo

Come si comportasse il Comune nei casi in cui i confini dei quartieri esattamente non coincidevano con quelli dei singoli Vicinati, veramente non so; certo la maggior parte dei provvedimenti poteva avere affatto distinte le due diverse basi topografiche; ma in uno dei servizii più importanti, quale era quello dell’esercito, come vedremo, i Vicinati formavano una suddivisione dei quartieri, ed avean stendardi proprii affatto diversi da quello della Porta, con cui facevano fazione. Noi siamo così all’oscuro sulla vita interna del nostro Comune a quest’epoca, e ci manca così ogni modo per istituire una serie di rigorosi confronti, dai quali trarne qualche argomento di analogia, che parmi miglior consiglio lasciare insoluta la questione.

Piuttosto è da avvertire, che quanto più la vita comunale andò scompaginandosi frammezzo alle lotte di parte, e gli antichi principii caddero in disuso di fronte alle signorie forestiere, che mano mano tentavano introdursi nella nostra città, poi finalmente vi posero stabile piede, la divisione per Porte che dissi il simbolo più aperto della forza dei giovani nostri Comuni, perdette poco a poco ogni importanza e cesse alla fine completamente il posto a quella per Vicinati. E questo ci è attestato, non tanto dal fatto dei continui e nuovi oneri, che vedremo addossati ai [p. 28 modifica]Vicinati stessi, quanto anche dalla circostanza, secondo me degna di nota, che negli Statuti del 1353 e del 139l il numero delle Vicinie è mantenuto uguale a quello recato dagli Statuii del 1263 e del 1331, ma l’ordine della loro descrizione non è più mantenuto in alcun rapporto coi confini dei quartieri cittadini68. Le sole Vicinie spettanti alle Porte di S. Andrea e di S. Stefano rimasero inalterate; in tutte l’altre regna sotto questo punto di vista la massima confusione, che si rende poi ancor più generale nello Statuto nel 149369.

Non solo adunque questo disordine si mantiene in tutti gli Statuti posteriori a quello del 1331, ma in essi ravvisiamo anche altre modificazioni. Imperocchè essendosi riuniti in uno solo i due Vicinati di S. Grata e di Canale, come lo erano in origine, e quelli di S. Antonio e di S. Giovanni dell’Ospitale, nello Statuto del 1453 le nostre Vicinanze si trovano ridotte solo a venti70. Queste poi discesero a diciannove per la riunione delle due vicinie di S. Giovanni e di Arena, la quale ci è attestata dallo Statuto del 1491 approvato nel 1493 ed edito nel 172771: ed anche nella Ducale 21 Aprile 1517, con cui si danno le norme per la ricostituzione del maggior Consiglio della nostra città, è tenuto questo pel numero legale delle nostre Vicinanze72.

[p. 29 modifica]Allorquando, essendosi posto mano alla nuova fortificazione, le condizioni topografiche di questa città ebbero a subire rilevanti modificazioni, i confini delle Vicinanze non potevano più concordare esattamente colle descrizioni serbate nello Statuto; per la qual cosa, essendosi appunto per questo nel 1563 riconosciuta la necessità di ritoccare in qualche parte l’assetto delle Vicinie stesse, si pose ogni cura però, affinchè le introdotte variazioni non avessero a riuscire troppo rilevanti, nè troppo discoste da quanto oramai era stato accolto da una secolare consuetudine73. Con tale riordinamento si ebbero tredici Vicinie dentro, sette fuori della vecchia cerchia della città: in tutto venti. Vedemmo già che nel 1493 le Vicinie erano state ridotte al numero di diciannove, e le differenze stanno qui. Nello Statuto del 1493 le antiche Vicinie di S. Giovanni e di Arena ne formavano una sola; nel 1563 furono riunite a quella di S. Agata. La Vicinia di S. Andrea fu nel 1563 divisa in due parti, la prima comprendente tutte le abitazioni, che si trovavano entro l’antica Porta della città detta Porta Dipinta, l’altra, insieme alla chiesa, abbracciante e case e terreni posti fuori di essa Porta. Da ultimo, mentre fino dal 1453 le due Vicinie di S. Giovanni dell’Ospitale e di S. Antonio foris costituivano una sola Vicinanza, nel 1563 vennero di bel nuovo separate. Sebbene dall’incompleto modo con cui si esprimono e il Celestino e il Calvi, apparrebbe che il riordinamento del 1563 fosse quello tuttora in vigore al loro tempo, nullameno noi possiamo [p. 30 modifica]cogliere ancora una ulteriore alterazione avvenuta poco innanzi al 1596, perchè il Capitano Giovanni da Lezze nella sua interessantissima Relazione, che porta la data di quell’anno, annovera egli pure venti Vicinie74, ma da essa comprendiamo, che furono bensì unite in una sola le due Vicinie di San Salvatore e di Antescolis75, ma insieme veniamo a conoscere che fu creata la nuova Vicinanza di Santa Caterina76, la quale per lo avanti non era che una parte dell’altra di S. Alessandro della Croce. E di fronte alla asserzione dei nostri Scrittori del secolo decimosesto e decimosettimo vi sarebbe quasi a dubitare di questo fatto, se in quella Relazione non fosse troppo esplicitamente affermato, che il Borgo di S. Caterina si governava sotto la Vicinanza omonima col mezzo di un Console e di due Sindaci al modo medesimo dell’altre Vicinanze, e che questa pure avea il suo Consorzio con presidenti eletti dall’intera Vicinia; e di fronte a tali indicazioni dobbiamo pienamente accogliere la autorevolissima testimonianza del da Lezze.

Prendendo quindi per base l’ordine con cui sono descritte le nostre Vicinie nello Statuto del 1263, come l’unico in cui si tentò porre in armonia quella enumerazione anche coi confini dei quartieri cittadini, abbiamo il seguente prospetto: [p. 31 modifica]

1251 1263 1453 1491 1563 1596
1 Canale 1 S. Grata
2 Canale
1 S. Grata 1 S. Grata 1 S. Grata 1 Borgo Canale
2 S. Giovanni Ev. 3 S. Giovanni Ev. 2 S. Giovanni Ev. 2 S. Gio. ev. e Arena
3 S. Salvatore 4 S. Salvatore 3 S. Salvatore 3 S. Salvatore 2 S. Salvatore
4 S. Agata 5 Arena
6 S. Agata
4 Arena
5 S. Agata
4 S. Agata 3 S. Agata 2 S. Agata
5 S. Matteo 7 S. Matteo 6 S. Matteo 5 S. Matteo 4 S. Matteo 3 S. Matteo
6 S. Michele d. A. 8 S. Michele d. A. 7 S. Michele d. A. 6 S. Michele d. A. 5 S. Michele d. A. 4 S. Michele d. A.
7 S. Pancrazio 9 S. Pancrazio 8 S. Pancrazio 7 S. Pancrazio 6 S. Pancrazio 5 S. Pancrazio
8 S. Lorenzo 10 S. Lorenzo 9 S. Lorenzo 8 S. Lorenzo 7 S. Lorenzo 6 S. Lorenzo
9 S. Eufemia 11 S. Eufemia 10 S. Eufemia 9 S. Eufemia 8 S. Eufemia 7 S. Eufemia
10 S. Andrea 12 S. Andrea 11 S. Andrea 10 S. Andrea 9 S. Andrea intus
10 S. Andrea foris
8 S. Andrea intus
9 S. Andrea foris
11 S. Michele d. P. 13 S. Michele d. P. 12 S. Michele d. P. 11 S. Michele d. P. 11 S. Michele d. P. 10 S. Michele d. P.
12 S. Aless. d. Croce 14 S. Aless. d. Cr.
15 S. Gio. d. Ospit.
16 S. Antonio
14 S. Gio. e S. Ant. 13 S. Aless. d. Cr.
14 S. Gio. e S. Ant.
12 S. Aless. d. Cr.
13 S. Gio. d. Ospit.
14 S. Antonio
11 S. Aless. d. Croce
12 S. Gio. d. Ospit.
13 S. Antonio
14 S. Caterina
13 S. Cassiano 17 S. Cassiano 15 S. Cassiano 14 S. Cassiano 15 S. Cassiano 15 S. Cassiano
14 Antescolis 18 Antescolis 16 Antescolis 15 Antescolis 16 Antescolis 16 Antes. e S. Salv.
15 S. Giacomo 19 S. Giacomo 17 S. Giacomo 16 S. Giacomo 17 S. Giacomo 17 S. Giacomo
16 S. Stefano 20 S. Stefano 18 S. Stefano 17 S. Stefano 18 S. Stefano 18 S. Stefano
17 S. Aless. in Col. 21 S. Aless. in Col.
22 S. Leonardo
19 S. Aless. in Col.
20 S. Leonardo
18 S. Aless. in Col.
19 S. Leonardo
19 S. Aless. in Col.
20 S. Leonardo
19 S. Aless. in Col.
20 S. Leonardo

[p. 32 modifica]Il seguire tutte queste mutazioni non è oggetto della presente ricerca, perocchè esse richiederebbero una minutezza d’indagine, che troppo mi svierebbe dallo scopo prefissomi; i cenni dati e la carta topografica aggiunta a questo scritto basteranno per dare un sufficiente concetto e delle divisioni Viciniali, e dei mutamenti ai quali esse andarono soggette.

Era naturale che una volta entrati questi Vicinati come organi della amministrazione cittadina, il Comune ne avesse a regolare l’ordinamento. Quindi è che nello Statuto del 1248, in una ordinanza che devesi rapportare al 1245 solo per la nuova forma di elezione introdotta, troviamo prescritto quod fiat ellectio ad sortem per omnes de paratico et de vicinantiis si adesse voluerint maiores decemocto annis de Consulibus et Credendariis cuiusque paratici et vicinantie77. La elezione dei Consoli era obbligatoria pei Comuni del contado78, e così dev’esserlo stata anche per le Vicinanze, in quanto che queste a quelli furono interamente pareggiate in tutto ciò che riguardasse la elezione dei loro ufficiali79. E questo era affatto naturale, perchè solo con questa elezione e le une e gli altri acquistavano colla personalità giuridica la facoltà di obbligarsi di fronte al Comune, il quale alla sua volta con questo mezzo poteva anche guarentirsi, che gli oneri imposti sarebbero stati integralmente soddisfatti80. Il Podestà vegliava a che in ogni Comune avessero luogo queste elezioni81, [p. 33 modifica]e di ciò ne abbiamo una prova anche nei conti del 1284 della Vicinia di S. Pancrazio dove vediamo pagati den. 2 (l. 0,24) servitori qui venit ad precipiendum ex parte Potestatis illis qui non habent factam electionem de Vic. dicte Vicinancie82.

Il numero dei Consoli non era prefinito. Negli Atti di pace del 1251 vedemmo che i Vicinati di S. Matteo e di S. Lorenzo aveano due Consoli, tutti gli altri un solo83. Nel 1286 quello di S. Pancrazio ebbe tre Consoli, più un console canevario, che teneva i conti della Vicinia84, poi due consoli e il canevario; essi, come risulta da una deliberazione del 16 Giugno 129085 e da atti successivi, erano eletti da sei elettori scelti a sorte. In generale la legislazione statutaria lasciava una certa libertà su questo punto, poichè tanto nello Statuto del 145386, che in quello del 149387, durato sino negli ultimi tempi della Veneta dominazione, è prescritto che ogni Vicinanza debba, sotto la pena di 10 lire imperiali, eligere saltem unum vel duos Consules semel in anno.

Gli Atti delle Vicinie portavano nella intestazione il nome del Console o dei Consoli; a cagion d’esempio quelli di S. Pancrazio del 1286 si dicono scritti tempore consolatus dd. Detesalvi de Biffis et Bonaventure de Feragallis et Antonii de Pomo consulum [p. 34 modifica]et Girardi de Pelatis consulis et canevarii suprascripte Vicinie; quelli del 1292: In nomine Domini. Hec sunt concilia Vicinancie d. s. Pancratii facta et celebrata tempore consolatus cet.88. Dagli Atti poi di pace del 1251 risulta che la stessa persona poteva occupare contemporaneamente il consolato di due Vicinanze, perchè Paganus Primicerii, che nel 1263 avea sua abitazione nella Via delle Beccherie (ora Mario Lupo), di fronte alla Canonica, nel punto in cui il Vicinato di S. Cassiano era separato da quello di S. Pancrazio89, lo troviamo console insieme di S. Cassiano e di S. Lorenzo90. Così pure dagli stessi Atti vediamo che questi Consoli potevano essere nello stesso tempo anche membri del Consiglio generale del Comune, perchè fra i dugentotrenta, che intervennero all’adunanza del 21 Maggio, vi trovo i nomi di Normandinus Cassi, di Ventura Feragalli, di Montenario de Acerbo, che erano insieme Consoli dei Vicinati di S. Agata, di S. Pancrazio e di S. Giovanni91.

Come vedemmo, oltre a quella de’ Consoli, lo Statuto rendeva obbligatoria anche l’elezione del Consiglio di Credenza, senza prefinirne il numero. Come però nei Comuni rurali, che avessero più di venti fuochi, i membri della Credenza doveano essere almeno dodici92, un egual numero deve essere stato accolto dai Vicinati cittadini, se però gli Atti di quello [p. 35 modifica]di S. Pancrazio della fine del secolo decimoterzo possono dar norma per tutti gli altri93.

Ogni Vicinato da ultimo eleggeva in fin d’anno due revisori dei conti, ed aveva il suo Notajo, che redigeva i verbali delle deliberazioni94.

Quali affari spettassero propriamente alla Credenza, quali alla generale adunanza del Vicinato, non si potrebbe dire se non per via di congetture; come non si può dire se la Credenza abbia durato molto al di là del secolo decimoterzo. È bensì vero che di essa si trova menzione ancora nello Statuto del 135395, ma la disposizione in cui si rinviene un tale ricordo, non è che un raffazzonamento di più antichi ordinamenti contenuti nello Statuto del 124896, come aperto risulterà dal confronto dei brani, che qui poniamo di fianco l’uno all’altro.

STATUTO DEL 1248 STATUTO DEL 1353
    Et teneatur Rector facere addi in sacramentis locorum et villarum et ipsorum locorum quod elligent consules seu decanos in suis locis et villis, qui durent per totum tempus regiminis ipsius Rectoris et non ultra.
    Addimus quod si contra repertum fuerit, solvat Comune loci libras 10 imperialium, si plus 50 foci erunt in eo; et si 50 vel minus 50, solidos 100 imper. tantum.
    Quod Comunia de foris et Vicinie civitatis et suburbiorum Pergami et burgorum districtus Pergami teneantur et debeant elligere Consulles seu deganos in suis locis et villis comunibus et burgis et vicinanciis singullo medio anno sub pena libr. 10 imper. pro quolibet et qualibet vice, cujus medietas sit accusatoris, et alia comunis Pergami. Et quilibet possit accusare.
[p. 36 modifica]
    Addimus quod Consules et Canevarii Villarum et locorum virtutis Pergami elligantur et elligi debeant quolibet anno ad sortem in publica Credentia cuiuslibet loci. Et in qua Credentia sint ad minus et esse debeant XII credendarii, si in illo loco fuerint 20 foci et ultra. Huic capitulo addimus: et burgorum. Et ordinamus similiter quod credendarii illigantur ad sortem per omnes vicinos cuiusque loci vel ville seu burgi maiores 18 annis, qui voluerit esse ad ellectionem ipsorum credendariorum, ipsis vicinis citatis et coadunatis secundum quod citari et coadunari solent pro negotiis sui comunis ad consilium.     Et quod Consulles et Caneparii et Credendarii villarum et locorum, viciniarum et burgorum civitatis et districtus Pergami elligantur et elligi debeant ad sortem in publica et generali concione sive credentia cuiuslibet lori ville burgi vel vicinancie per omnes vicinos ipsorum locorum villarum burgorum et viciniarum maiores i8 annis qui voluerint adesse ad ellectionem predictam ipsis Vicinis citatis et coadunatis secundum quod citari et coadunari consueverunt, pro negotiis sui comunis ville burgi et vicinancie ad conscilium. Et sufficiat si ibi adfuerit maior pars vicinorum ipsorum comunis ville burgi et vicinancie.
    Quod non [sit nec esse debeat de uno casali paterno] alicuius loci virtutis Pergami nisi unus solus consul uno et eodem [tempore].     Et quod non sit nec esse debeat de uno casali paterno alicuius loci burgi ville vel vicinancie virtutis Pergami nisi unus solus Consul uno et eodem tempore.

Poche osservazioni basteranno a dimostrare che non possiamo fare un sicuro assegnamento sullo Statuto del 1353 per indurne la esistenza della Credenza nell’ordinamento Vicinale ancora nella metà del secolo decimoquarto. Come vedemmo, le disposizioni contenute nello Statuto del 1248 non riguardavano che i Comuni od i borghi del contado; nel 1353, per una tendenza che in questo scritto apparirà costante, furono ad essi accomunate anche le [p. 37 modifica]Vicinie cittadine. Ora, mentre nello Statuto più vecchio Consoli e Canevarii doveano essere eletti dalla Credenza, questa poi da tutti i Vicini, in quello del 1353 e Consoli e Canevarii e Credendieri sono eletti indistintamente da tutti i Vicini. Ma questo Statuto commette una confusione, poichè dove dice: in publica et generali concione sive Credencia cuiuslibet loci pose assieme due cose affatto distinte nel linguaggio statutario di quella età, poichè la concio è l’adunanza del popolo tutto, la credentia non è che un parziale Consiglio uscito da quella adunanza: ora, siccome dagli stessi atti delle Vicinie a noi pervenuti, e che spettano alla fine del secolo decimoterzo, non possiamo comprendere quale invero fosse la competenza della Credenza, se per ogni affare della più lieve importanza i Consoli trattavano direttamente colla adunanza generale dei Vicini, così è lecito credere, che la elezione di quel parziale Consiglio fosse nel 1353 già caduta in dissuetudine, essendo passata a lutti i Vicini la elezione dei Consoli e dei Canevarii, e che quindi la confusione penetrata nello Statuto di quell’anno dipenda unicamente dal fatto di aver dovuto applicare a condizioni presenti delle disposizioni compilate in altra epoca, quando prevaleva un diverso ordine di cose: lo prova la circostanza che i Consoli rurali vi sono ancora chiamati decani; nome inusitato da lunghissimo tempo nella nostra legislazione, sebbene fossesi conservato altrove97.

La adunanza dei Vicini si teneva nella chiesa da cui il Vicinato pigliava nome, e se ciò è indubitato [p. 38 modifica]per quello di S. Pancrazio, dobbiamo ammetterlo anche per tutti gli altri, in quanto gli stessi paratici tenevano generalmente uguale costume98. Il suono della campana dava il segno ai Vicini di raccogliersi a trattare de’ loro affari. Quindi, a cagion d’esempio, nei conti di S. Pancrazio del 1285 troviamo dati den. 4 (L. 0,49) Laurentio pro labore quem habuit ad sonandum conscilium pro quatuor vicibus99 e così via. Queste adunanze generali erano dette: publica vicinancia ipsius Vicinancie more solito convocata et adunata100; ordinarie erano quelle dei primi giorni dell’anno per la generale sicurtà da prestarsi al Comune, e quelle degli ultimi per procedere alla elezione degli ufficiali. Nel corso dell’anno non vi erano per esse epoche fisse, ma le adunanze si tenevano ogni qualvolta la necessità lo esigeva101. Il Comune lasciava interamente libere queste adunanze, in quanto che non vi si poteva trattare che di affari, i quali direttamente od indirettamente Io interessassero; laonde vediamo che anche quando, sotto la veneta Repubblica, nella minaccia di una guerra le adunanze dei paratici non potevano aver luogo senza il permesso del Podestà, rispetto a quelle dei Vicinati era espressamente dichiarato, non essere necessario un tale consenso102.

Ogni Vicinia dovea certamente avere un proprio [p. 39 modifica]Statuto, se di esso occorre menzione più d’una volta negli Atti di quella di S. Pancrazio; esso veniva consegnato al Console Canevario, che se ne chiamava responsabile al pari di tutto quanto apparteneva alla Vicinia, come, a cagion d’esempio, nei conti del 1289 troviamo: item recepi unum Statutum ipsius Vic. cum una coperta rubra103. Di questi Statuti, per quanto io so, non uno ne sopravvisse, ed è grandemente a dolersi; nullameno parmi di poter presupporre, che avranno trovato molti riscontri in quelli dei Comuni rurali, che possediamo abbastanza numerosi, perchè nella nostra legislazione raramente si fa parola di questi Comuni, che insieme non si accenni anche alle Vicinie cittadine.

Le entrate delle Vicinie si possono dividere, come oggidì, in ordinarie e straordinarie. Alla prima categoria sono da ascriversi le locazioni delle aree pubbliche, portici e botteghe di spettanza dell’intero Vicinato. Quello di S. Pancrazio, dava in appalto il reddito della sua piazza; altre volte lo esigeva direttamente dagli occupanti. In una deliberazione del 23 Giugno 1286 è stabilito quod denarii accipiantur ab illis qui tenent stallos in platea ipsius Vicinantie104; e la stessa espressione di platea vicinantie la trovo ancora pel vicinato di Antescolis in un atto del 1312105. Nelle entrate del 1287 è registrato Lanfranco di Zandobio che paga soldi 14 (l. 20,43) pro uno discho quod tenet a suprascripta Viciniantia, e così sono esposti altri otto canoni ugualmente [p. 40 modifica]pro uno discho seu stallo106. Nei conti del 1286 sodo descritti anche coloro, che tenevano banco nella piazza; Malgarita que vendit fructos in suprascripta platea paga den. 12 al mese (l. 1,46) pel suo banco; Anexia que dicitur Gussa, e che esercita lo stesso mestiere, paga un eguale canone107.

Nel 1285 invece la piazza era locata od appaltata ad un solo, onde erano messe in conto nell’attivo della Vicinia lire 11 imp. (l. 321,01) ricevuto da Lanfr. de Tohtelmannis hocasione afictamenti units anni platee de Vicinancia108. Quindi in un Consiglio del 1289 fu deciso ad unanimità quod platea et vis ipsius afictetur et afictari debeat ad meliorem condicionem quam possunt, e che le botteghe (staciones) que nuper facte sunt sub porticu veteri ipsius Vicin. intelligantur esse iuris ipsius platee et Vicin. et quod afictentur per ipsam Vicin. nomine ipsius Vicin.109. Questi ed altri consimili esempi, ch’io potrei moltiplicare, spiegano, come meglio vedremo più innanzi parlando degli oneri dei Vicinati, la cura che si avea nello Statuto del 1263 di dichiarare che la piazza e il portico di Canale erano comuni alle due Vicinanze di Canale e di S. Grata; la piazza degli Incrosiati (Crociferi) era comune pure alle due di S. Leonardo e di S. Alessandro in Colonna110. Non era questa una indicazione topografica, giacchè la minuta descrizione dei confini di questi Vicinati poteva condurre persino ad una contraria conclusione; sibbene, siccome le Piazze apportavano alle Vicinie [p. 41 modifica]oneri e proventi, così lo Statuto con quella espressione volle indicare la perfetta comunanza degli uni e degli altri fra quante di esse per successive divisioni topograficamente non vi aveano parte.

Talune Vicinie, se non tutte, possedevano anche proprietà stabili; e questo mi è dato indurlo da ciò, che ancora nel 1493 il versante settentrionale su cui era tracciata la via, che da S. Sebastiano o dalla Piegna scende tuttodì al piano per dirigersi a Briolo (rizolum Canzellere), portava il significante nome di Bosco della Visinanza, sebbene fosse passato in proprietà della famiglia Brembati111; e questo assai verisimilmenle per avere appartenuto al Vicinato di S. Grata o di Canale. Il quale inoltre possedeva anche un molino nel 1373 assai guasto112.

E tra le attività dobbiamo anche contare le rendite di capitali proprii. Nel 1290 la Vicinia di San Pancrazio essendo stata condannata in una grossa multa, al 1. di Marzo in pubblica adunanza venne deciso che fosse pagata con un credito che la Vicinia stessa teneva verso certo Castellino Penchene113. In un consiglio del 13 Marzo dello stesso anno si cita quella parte degli Statuti del Vicinato, che riguardava i suoi debitori114; nè evidentemente i compilatori dello Statuto si sarebbero occupati di questo argomento, se le Vicinie non avessero posseduto beni mobili fruttanti qualche interesse, o se non vi fosse stata anche solo la possibilità, che ciò potesse essere. [p. 42 modifica]Come si fossero formati questi capitali, mi è impossibile dirlo; pur troppo la storia non ci affida qualche sprazzo di luce che sull’epoca in cui questi capitali stavano dileguandosi, non su quella in cui si formarono; essa ci permette soltanto di indugiarci sulla decadenza di queste monadi cittadine, non sul tempo in cui furono in fiore.

Certamente questi redditi non potevano bastare di fronte alle crescenti spese, che cadevano sulle Vicinie, per il che, in date circostanze, almeno in principio, si ebbe ricorso alla imposizione sull’estimo dei Vicini in concorso col Comune. Onde trovo, che nel 1296 avendo il Comune imposto un fodro e contemporaneamente essendo incorsa la Vicinia di San Pancrazio in una multa di 100 lire imp. (l. 2918,30), essa incaricò i distributori della imposta comunale di dividere tra i vicini anche il pagamento di quella multa115. Come succede, quanto più da una parte gli oneri andavano aumentandosi e insieme scomparivano le facoltà patrimoniali, dall’altra la diretta imposizione sull’estimo de’ cittadini andava pigliando piede e, per la agevolezza della riscossione, da straordinaria, che era in principio, prendeva posto poco a poco fra gli ordinari redditi del Comune, anche i Vicinati devono aver attinto a larga mano a questa come all’unica e principale fonte di mezzi, coi quali adempiere agli obblighi loro incombenti; laonde le taglie imposte di volta in volta tennero luogo degli antichi frutti de’ capitali consumati, dei proventi delle piazze e dei portici, o distrutti o [p. 43 modifica]passati, come vedremo, al Comune; per la qual cosa nello Statuto del 1493 troviamo sancito il principio, che il Podestà, i Giudici ed i Consoli di Giustizia sieno tenuti a dare facoltà ai Comuni ed ai Consoli delle Vicinie di oppignorare, sequestrare ed occupare i beni dei vicini, che non avessero soddisfatto agli oneri o taglie loro accollati dal Comune di Bergamo dalle stesse Vicinie116.

Verso la metà del secolo decimoterzo, dopo aver dato fondo alla maggior parte dei loro beni patrimoniali, ricorsero su vasta scala anche al credito, nè sembra che gli stessi Vicinati si sieno astenuti dal contrarre prestiti affine di far fronte con queste entrate straordinarie alle spese straordinarie delle quali si trovavano continuamente aggravati. Quindi fin dal principio degli Atti a noi pervenuti della Vicinia di S. Pancrazio trovasi registrato un breve rogatum die 13 intr. Iun. 1280 in quo continetur dd. Pazzium de Rosciate iudicem et Mafeum de Gastaldo ambos Consules ipsius Vicin. essersi obbligati dandi et solvendi libr. 38 imp. (l. 1108,95) in quo breve continetur ipsos impremutasse pro ipsa Vicin. cet.117. E talvolta le strettezze giungevano a tal punto, che, come nel 1291, la Vicinia per ottenere un prestito di soldi 30 e mezzo imp. (l. 44,50) dovette dare in pegno il proprio gonfalone118. E nel 1303 per poter muovere insieme coll’esercito di Scalve, la stessa Vicinia dovette sborsare soldi 28 ad Armanno di Fara affine [p. 44 modifica]di ricuperare il gonfalone certo consegnatogli a guarentigia di una tale somma119.

Queste, per quanto mi fu dato raccogliere, erano le principali entrate sulle quali potevano fare assegnamento i nostri Vicinati nelle diverse epoche di loro esistenza; ora dobbiamo indagare quali oneri o quali obblighi vi si contrapponessero.

Il primo e principale, quello che sta anche nella più stretta connessione col modo, secondo il quale ebbi a considerare la formazione di queste Vicinie, è quello dipendente dai rapporti fra le stesse e le chiese, che ne formavano il centro e che aveano loro dato nome. Su questo punto veramente noi saremmo quasi del tutto all’oscuro, se non possedessimo i frammenti degli Atti della Vicinia di S. Pancrazio, i quali, come vedremo, ci forniranno mezzo per rintracciare altri indizii dai quali indurne, che questa dovette essere condizione di cose assai più generale, di quello che a primo aspetto non appaia.

Per cominciare quindi da quella di S. Pancrazio, recherò tutti quei brani, che meglio servano a determinare i rapporti or ora accennati. Nei conti del 1286 vi ha: den. 6 (l. 0,73) ad emendum unam clavim in goro (coro) ecclesie; item den. 6 1/2 (l. 0,79) ad emendum unum carnazium (catenaccio) in suprascripto hostio gori ecclesie; den. 1 (l. 0,12) Bergamino Romanie qui ivit acceptum clavim de gocario (campanile); den. 14 et medium (l. 1,83) de quibus empte fuerunt aulive (olivi) in dominico ulivarum pro ipsa Vicin.; sol. 52 et medium (l. 76,60) quos dedit [p. 45 modifica]pro lignamine ecclesie; den. 3 (l. 0,37) ad faciendum esportari ligna extra dicta ecclesia. Nella assemblea della Vicinanza del 23 Giugno dello stesso anno si trova proposto: cum ecclesia dicte Vicin. sit coperta et dicant Consules quod conveniens esset et utile per ipsam Vicin. quod ipsa ecclesia deberet intongari (intonicare) et aptari et quod banche deberent fieri in ipsa ecclesia secundum quod utile fuerit quid volunt et eis placuit debere fieri. Item quod lignamen quod avanzatum est ipsi Vicin. pro conzamento ipsius ecclesie sit in ipsa ecclesia et in curte presbiteri, passò: quod ipsa ecclesia intongetur et optetur secundum quod conveniens et utile est ad expensas ipsius Vicin. Et quod banche fiant de ipsa ecclesia120. Nei conti del successivo 1287 troviamo esposta minutamente tutta la spesa di riattamento della chiesa, che qui ommetto, perchè mi condurrebbe troppo in lungo, sebbene sotto altro aspetto sia interessantissima.

Agli 8 Maggio del 1293 in un’altra adunanza si espone: cum planeta qua consueti sunt uti per d. lohannem de Lavello presbiterum ecclesie et manupullum d.ni s. Pancratii ad dicendum et celebrandum missas sint ita rupti et deguastati quod comode amplius uti non possint, si decide che sieno fatti di nuovo, come pure che si facciano riparazioni alla chiesa in alcune parti guasta. E così ai 3 Giugno dello stesso anno si approva la spesa di riparare la porta del coro e i banchi sotto il portico della chiesa stessa121.

Ma più importante è un Atto del 25 Settembre [p. 46 modifica]1294 col quale i Consoli della Vicinia ad Alberto fil. Bertolamii de Gastaldo de Scanzo presbitero noviter electo et confirmato in ipsa ecclesia s. Pancratii a nome della Vicinanza danno e consegnano arredi sacri, libri e reliquie, che sono tutti particolarmente descritti, e che dimostra come la Vicinia non solo provvedesse al mantenimento della chiesa, ma anche a quanto era necessario al culto e come insieme non ne tenesse il cappellano che quale semplice depositario122. Nel 6 Aprile 1295 trovo perfino ordinato, che a spese della Vicinia sia fatta liberare la piazza dai sassi e dalla terra, che la ingombravano, perchè il prete nuovamente eletto voleva nella prossima domenica solennemente celebrarvi la messa, non potendo forse la chiesa per la sua piccolezza contenervi tutti insieme i Vicini123.

Non sempre però il più felice accordo passava tra il clero ed i Vicini, e sebbene non ne conosciamo le cause, tuttavia non è difficile arguire, che il carattere invadente ed arrogante di quello non sarà stato una delle cause ultime di queste contestazioni. Quindi nel 1286 tra le spese veggiamo registrato den. 1 (l. 0,12) ad emendam unam lischam super quam fuit finita sentencia Vicin. de placito quod habebat cum presbitero124; nel 1287 fra le entrate figurano soldi 43 1/2 (l. 63,47) ricevuti da Guidotto da Capriate occasione placiti quod erat inter dd. presbiterum et clericos s. Pancratii ex una parte et suprascriptos Vicinos ex altera125.

[p. 47 modifica]Questi rapporti del resto ci dimostrano una condizione di cose esattamente conforme a quella, che ci è ricordata dallo Statuto rurale di Vertova del 1256, dove nel brano di giuramento dei Consoli è detto: item iuro — quod bene et bona fide manutenebo ecclesiam s. Marie de Vertoa et campanilum et campanas et porticum ipsius ecclesie de omnibus illis rebus que fuerint utilia et necessaria ipsi ecclesie et campanilo et campanis et porticu126; e questa dev’essere stata condizione quasi generale a quell’epoca, quando le sole antiche chiese pievane e la sola Cattedrale raccoglievano le decime, una parte dell’introito delle quali doveva essere impiegata al mantenimento del tempio e degli arredi destinati agli usi liturgici, mentre l’altre chiese sorte per ispontaneo impulso dei vicini, sia della città, sia del contado, imponevano agli stessi anche l’obbligo di tenerle riattate e provvedute di un decoroso e sufficiente corredo pel culto.

Piuttosto si potrebbe chiedere, se la sola Vicinia di S. Pancrazio si trovasse fra noi in queste condizioni. Il fatto, che le più certe fra le antiche Vicinie hanno nome solo da una chiesa, è già un argomento sufficiente per accomunare a tutte quello, che sfortunatamente non abbiamo che per una sola, e la genesi stessa della Vicinia, la quale, come dissi, dovè precedere il Comune, basterebbe a renderci alieni dall’ammettere, che su questo punto esistessero delle notevoli eccezioni. Furono i Vicini di S. Giacomo della Porta, come già avvertii più volte, e non altri, quelli che chiesero che la loro fosse parificata alle [p. 48 modifica]altre cappelle della città; e se l’atto, con cui il vescovo Guala, come vedemmo, accorda quella domanda, non contiene nulla, segno è che si sapeva per secolare consuetudine che i nuovi oneri sarebbero stati sopportati da quei Vicini. Se una volta entrale le Vicinie nell’organismo del Comune, questo, sia per rispondere meglio ai bisogni loro ed alle nuove attribuzioni loro affidate, sia anche per un riguardo alla crescente popolazione, sia anche per creare una più equa ed armonica ripartizione delle forze loro, si trovò obbligato a rimutarne in alcune parti i confini, giova tuttavia ripetere, che insieme ebbe cura nello Statuto del 1263 di avvertire, che con ciò non intendevasi sollevare alcun pregiudizio alicui persone in aliquo iure sepulturarum, vel baptismi, vel alio iure spirituali quod haberent in aliqua ecclesia127; il che lascia abbastanza intravedere, per così esprimermi, che la Vicinia ecclesiastica aveva preceduto la civile, e che il Comune co’ suoi rimaneggiamenti non intendeva recare offesa a quegli oneri o diritti, che nei rapporti religiosi erano sanciti da una consuetudine di gran lunga anteriore. E sebbene più in là non accenni la nostra legislazione, nullameno possiamo ancora cogliere un punto, nel quale parmi si raffermino pienamente queste induzioni.

Ho già avvertito ripetute volte, che le due Vicinie di S. Grata e di Canale prima del 1263 doveano formarne una sola. La separazione fu fatta in modo, che la chiesa di S. Grata dovea trovarsi topograficamente inclusa entro i confini della Vicinia a [p. 49 modifica]cui dava nome; ma come si potrebbe spiegare la cura che si ebbe nello Statuto di notare, che essa chiesa restava comune anche all’altro Vicinato di Canale128, se non per questo, che, come per la piazza e pel portico, una tale comunanza dovea essere posta fuori di questione, in quanto, importando essa un intreccio di diritti e doveri, il Comune non voleva che per la nuova partizione da esso introdotta si avesse a recare pregiudizio agli uni ed agli altri ed a creare cause di futuri litigi? Al Comune non ispettava determinare questi oneri o diritti o specificarli di più per questo, che da una parte riguardavano una materia affatto estranea alla sua amministrazione, e dall’altra li trovava già sanciti da una secolare consuetudine; colla sua dichiarazione però poneva in sodo, che dinanzi a lui, sebben separate, nei rapporti colla chiesa le due Vicinie continuavano ad essere considerate come una sola, e che per avventura chiamato a decidere su eventuali contestazioni, per mezzo de’ suoi giudici avrebbe portato una eguale sentenza. Se con quella clausola avesse voluto fornire solo una indicazione topografica, essa sarebbe stata affatto oziosa, perchè, una volta segnati quei confini colla maggiore esattezza possibile, tornerebbe difficile il poter immaginare quale interesse poteva mai avere il Comune di ripetere con una speciale indicazione, che la chiesa restava inclusa nell’una piuttosto che nell’altra Vicinia; mentre per contro non dovea riuscire inutile l’aver posto fuori di questione, che tanto l’uno che l’altro Vicinato poteva [p. 50 modifica]raccogliersi in quella chiesa, uniti eleggervi il cappellano, che ciascuno per la sua parte era tenuto al mantenimento dell’edifizio e degli arredi, che insomma sotto questo rapporto nulla era stato innovato.

E lo Statuto ci fornisce altri consimili esempi, i quali ci permettono di venire ad identiche conclusioni. Già vedemmo che prima del 1263 il Vicinato di S. Agata si estendeva verso occidente sui luoghi, che poscia formarono la Vicinia cittadina di Arena. Quando i due Vicinati furono separati, il confine ascendeva direttamente dal fonte del Vasine sulla Via di Corserola, passando tra la così detta Casazza e il convento dei Carmelitani. Egli è aperto, che in siffatta condizione topografica di cose la chiesa di S. Agata e l’annesso cimitero appartenevano esclusivamente a quel Vicinato, che da essa anticamente avea pigliato nome; eppure malgrado tutto ciò, lo Statuto dichiarò in termini espliciti, e che pongono in luce la cosa meglio d’ogni altro commento: salvo et intellecto, quod ecclesia s. Agathe et cymiterium eiusdem et ius ipsius ecclesie intelligantur esse et sint Vicin. de Arena et Vicin. s. Agathe sicut esse consueverant quando erant (una) Vicinia tantum129. Dal che veniamo a comprendere, che il Vicinato di S. Agata dovea avere sulla sua chiesa diritti per lo meno uguali a quelli che vedemmo esercitati dal Vicinato di S. Pancrazio.

E un altro esempio n’è in pronto. Se il confine tra le due Vicinie di S. Alessandro in Colonna e di S. Leonardo, stabilito, come già osservai, nel 1263 o in quel torno, partendo dall’Ospitale (ora Caserma) [p. 51 modifica]della Maddalena era stato tracciato in mezzo alla Via S. Alessandro fino al ponte sul Serio alle Cinque Vie, indi continuava nella stessa direzione di mezzodì fra le contrade di S. Bernardino e di Osio sino ai confini del suburbio130, e se quanto restava ad oriente di questa linea spettava alla Vicinia di S. Alessandro, è aperto che in questa restava inclusa anche la chiesa di S. Leonardo, che pure dava nome all’altra contigua Vicinia. Però anche qui lo Statuto del 1263, descrivendo il Vicinato di S. Alessandro, credette opportuno notare, che da esso doveasi intendere detracta ecclesia s. Leonardi que debet esse de alia infrascripta Vicin. que debet appellari Vicin. s. Leonardi131. Qui pure m’è giocoforza fare una osservazione eguale alle precedenti: se tra la Vicinanza e la chiesa di S. Leonardo non fossero esistiti anteriori rapporti, la riserva dello Statuto si potrebbe appena comprendere. Lo Statuto edito nel 1727 intese affatto topograficamente quella detrazione, determinando che ecclesia s. Leonardi cum ilio plateolo qui est ante portam maiorem per tantum devesi tenere di spettanza della Vicinia omonima132. Però qui si osservi, che occorrevano speciali ragioni perchè in questa partizione dei due Vicinati venisse completamente separata la chiesa dall’annesso ospitale dei Crociferi, il quale in quella vece, come risulta dagli Statuti e da altri documenti133, fu sempre considerato come appartenente alla Vicinanza di S. Alessandro. E [p. 52 modifica]ancora si ponga mente, che quando non fossero esistite quelle speciali ragioni, il Comune avrebbe potuto intitolare altrimenti questa nuova Vicinia costituita nel 1263, senza creare l’anomalia, che la chiesa, da cui aveva nome, venisse a trovarsi entro i confini di altra Vicinia: come si fe’ per quella di Antescolis, appena la chiesa di S Maria divenne cittadina, e per quella di Arena, appena venne separata dall’altra di S. Agata e alla quale si applicò l’antichissimo nome, che tutta abbracciava quella località134; in ultima analisi, dando altra denominazione al nuovo Vicinato staccato da quello di S. Alessandro, avrebbe potuto dichiarare per esso, come fece per gli altri, che la chiesa di S. Alessandro, la quale antecedentemente era il nucleo di un’unica Vicinia, continuava ad essere comune fra le due Vicinie, in cui questa venne divisa. Ma la ragione parmi di coglierla in ciò, che sebbene, quando nel 1171 il vescovo Guala accordò ai Crociferi di porre loro stanza in Bergamo, abbia anche concesso loro di fabbricare una chiesa sotto il titolo di S. Maria135, nullameno questa non sia stata eretta dalle fondamenta, ma solo siasi ampliata una già prima esistente e sacra al nome di s. Leonardo136; onde in fatto, e per rispetto ad un preesistente stato di cose, e perchè forse, come non ne mancano altri esempi, i Vicini stessi principalmente sieno concorsi a quell’ampliamento, sia stato conservato il titolo antecedente; per il che, per gli obblighi che in tal guisa continuò la Vicinanza a mantenere verso quella [p. 53 modifica]chiesa, lo Statuto dovette dichiararla spettante ad essa, quantunque chiusa fra i confini di quella di S. Alessandro.

Nei più antichi tempi il Comune verisimilmente credette opportuno di affermare più esplicitamente quegli oneri dei Vicinati. Certo se possedessimo intera la Collazione XV dello Statuto vecchio, avremmo una soluzione di questa questione, perchè dove troviamo le rubriche: de terra emenda ad faciendum cimiterium s. Alexandri in Columpna et de ipso cimiterio faciendo; de ecclesia s. Salvatoris aptanda et de campanili s. Cassiani137, ci troviamo di fronte a provvedimenti, nei quali il Comune credette certo di dover intromettere la sua autorità, ma la esecuzione dei quali e le conseguenti spese, come in generale per altri provvedimenti, saranno cadute su queste tre antiche Vicinie, perchè il principio che questi interessi locali fossero curati ad expensas illorum quorum interest, era così radicato anche rispetto ad altre cose di non minore importanza, quali le fonti e le vie, che a niun patto si può credere dovesse qui farvi una eccezione il Comune. Piuttosto è verisimile, che nei rimaneggiamenti che questo credette di fare nei confluì dei più antichi Vicinati per coordinarli più acconciamente ai nuovi ordinamenti ed alla parte loro fatta nell’organamento cittadino, siasi poscia, come avviene, meglio chiarito fin dove il Comune potesse dovesse intromettersi colla sua ingerenza, e quindi siasi compreso, che la restaurazione di una chiesa, l’ampliamento di un particolare [p. 54 modifica]cimitero, il riattamento di un campanile, non erano cose che lo toccassero, che quando la utilità e la sicurezza generale lo richiedessero, e che anche in questi casi doveasi farlo con speciali provvedimenti, anzichè con sanzioni, che avessero vigore per quanto durava lo Statuto in cui erano inscritte; per la qual cosa nelle due ordinanze recateci incomplete dallo Statuto vecchio parmi di ravvisare l’ultima eco di quell’epoca in cui, appena trascinate le Vicinie nell’orbita della vita comunale, i limiti fra gli interessi locali ed i generali erano ancora male definiti ed incerti, nè il Comune s’era ancor fatto un giusto concetto de’ nuovi rapporti, che andavano formandosi, e che dovevano sussistere affatto indipendenti dagli antichi.

La Vicinia di S. Pancrazio, come vedemmo, aveva la sua chiesa a cui ampiamente provvedeva; nullameno, sentendo l’influenza de’ nuovi tempi creati dalle ipocrite signorie de’ Torriani, non reputò potersi rifiutare ad altri oneri, che avevano attinenza col culto. Poichè, dal Borgo Canale trasportatisi i frati Minori nel luogo entro la città, che poscia ebbe nome di S. Francesco138, nel 1294 chiesero di essere sovvenuti dalla Vicinanza, intendendo nella loro chiesa, che stavano fabbricando, innalzare una cappella, che in perpetuo fosse chiamata capella seu altare edificatum per vicinos Vicinancie s. Pancratii e sulla quale sarebbe stato posto un segno, che sempre ricordasse il fatto; e malgrado una ragionevole opposizione, che tentò rimandare ad altra epoca la proposta, passò che si accordasse un ragguardevole [p. 55 modifica]sussidio139. Così nel 1295 un poverello di spirito, certo Paxinus de Mayis, ottenne un sussidio di lire 3 imperiali (l. 87,54) per edificare unum eremitagium in Valle Tegetis occasione faciende ibi penitencie140. Questi accatti si saranno fatti indubitatamente anche in altre Vicinie, e così queste sciupavano i loro averi a scopi del tutto all’infuori della loro azione in una epoca, in cui, come vedremo, gli oneri sempre crescenti avrebbero dovuto renderle restie dal largheggiare con coloro, che pigliavano così a gabbo le basi fondamentali della società, pur pretendendo di vivere, come altrettanti parassiti, a spese di questa.

Una caratteristica particolarità risulta dagli Atti della Vicinia di S. Pancrazio, quella, cioè, dell’obbligo che aveano i Vicini di accompagnare alla sepoltura quegli tra loro, che erano colpiti da morte. Se in altri tempi ed in altri luoghi vi furono confraternite, che provvedevano a ciò141, non possiamo a meno in questo fatto di ravvisare la forte solidarietà, che legava fra loro questi Vicini dopo morte, ed il fondamento religioso che ebbero in origine questi nostri Vicinati. E di questo ne è una prova primamente la circostanza, che la convocazione dei Vicini per l’accompagnamento del morto era fatta a spese di tutta la Vicinanza. Quindi nel 1283 si trovano dati soldi 10 (l. 14,59) Bonacurso spatario pro eius merito et fatiga quam habuit et habere debet occasione suprascripte Vicinancie ad vocandum homines occasione mortuorum142; in un verbale di adunanza del 1 Luglio [p. 56 modifica]1292 si legge: cum Iacobus Bonacursi spatarius in servicio dicte Vicinancie pro anno presente et etiam per medium annum preteritum causa eundi ad sepulturas mortuorum vocasset vicinos dicte Vicinancie, et non sit ordinatum sibi aliquod salarium, per questo passò quod suprascriptus Iacobus spatarius habeat et habere debeat de avere suprascripte Vicinancie tantum ut hinc retro consuetum est habere143. In secondo luogo la Vicinanza provvedeva anche a sue spese a parte del corredo pei funerali, poichè nel 28 Ottobre del 1294 si propose e venne approvato di far reaptari banchas que operantur pro corporibus mortuis in ipsa Vicin. et etiam facere fieri ultra que sunt in ipsa Vicin. sex alias144. Quanto abbia durato questo pietoso obbligo dei Vicini, non m’è possibile dirlo. Ma verso quest’epoca appunto cominciavansi a fondare confraternite di laici, che provvedevano anche a ciò145; e questo era affatto conforme alla natura delle cose. Imperocchè sotto l'azione incessante del Comune i vincoli naturali della vicinanza andavano tramutandosi in vincoli fittizii, onde poco a poco perdendo il loro carattere originario, non lasciavano ai Vicinati così costituiti che una serie di obblighi al tutto estranei a quelli, pei quali in principio aveano pigliato forma e s’erano via via così rassodati entro all’àmbito della città e de’ suoi borghi, da prendere alfine una parte attiva nell’azienda del Comune stesso.

Non io mi distenderò, facendo il già fatto, per [p. 57 modifica]provare quanto sieno antichi i consorzi laicali di beneficenza146; piuttosto resterà sempre il desiderio di conoscere, se i Consorzi, che compaiono fra noi nel secolo decimoterzo, sieno una continuazione di quelli, o non veramente una creazione ex novo, fosse pur tolta a prestito da altre città. Quello di S. Michele del Pozzo Bianco, che quindi funzionava nella omonima Vicinia, dicesi fondato fin dal 1266, ma solo nel 1272 approvato dal vescovo Guiscardo147; ma vi è lasciata troppa parte alle pratiche religiose, e la visita stessa degli infermi non v’è permessa che al Canevario del Consorzio, sempre colla licenza dei Consiglieri; la deliberazione che, raggiunto un certo capitale, il di più si distribuisse ai poveri, la vediamo così subito abolita per volontà stessa del cappellano di S. Michele148, che sembrami questo Consorzio essere sorto per tutt’altri fini da quelli, pei quali s’erano costituiti gli antichi. Così si potrebbe credere fondato nel 1272 anche quello di S. Alessandro della Croce, che esercitava la sua azione entro i limiti della Vicinia accuratamente descritti ne’ suoi ordinamenti, se non trovassi ch’esso si riattacca indubbiamente ad un Consorzio assai più antico, là dove tra i suoi obblighi mantiene anche quello di distribuire a Pasqua indistintamente a ricchi e poveri l’agnello benedetto, e ciò in ossequio ad una antica consuetudine149. [p. 58 modifica]

A mio avviso, tolgono ogni dubbio su questa interpretazione gli Atti della Vicinia di S. Pancrazio dove nel 1292 troviamo accennato ai socios et consorcialles Consorcii veteris beati s. Pancratii150, e dove vediamo la Vicinia esercitare una così spiegata ingerenza nella amministrazione di questo Consorzio, da persuadermi risalire esso ad una epoca di gran lunga anteriore, quando la carità non si teneva ancora un esclusivo monopolio del prete151 e quando questi Consorzi, non per anco aggravati da inconvenevoli spese di culto, che ne alteravano le natura e lo scopo152 e davano appiglio ad indebite intromissioni, non erano soggetti ad altra sorveglianza che di quelli, a beneficio dei quali erano istituiti. Quindi in un verbale del 1289 trovo proposto ai Vicini quid volunt et vobis placet debere fieri super facto Consortii s. Pancratii, e passò all'unanimità che quatuor sapientes ipsius Vicinancie eligantur per Consules ipsius Vicin. qui habeant baliam eligendi duos consortialles una cum suprascriptis Consulibus unus quorum sit Canevarius et alius Notarius et qui ipsi duo Consortialles iurent et satisdent ut supra dictum est nelle proposte fatte dai Vicini153. Agli 8 Gennajo del 1297 cum plura sint fienda per Consules nomine ipsius Vicinancie tam occasione Consorcii ipsius Vicin. quam occasione Canevarii cet. Gusmerio de’ Gambazzi fe’ varie proposte riguardo al Consorzio, e fra l’altre che per asta pubblica si affittino i suoi beni al miglior offerente, [p. 59 modifica]onde passò quod iura et bona ipsius Consorcii incantentur predicto modo et forma. Poi al successivo 1.° Luglio si trova esposto: Cum secundum formam suprascripti Consilii cet. per Consules dicte Vicinancie et per Sapientes ad hoc ellectos sint ellecti dd. Iacobus de Zoppo, Bedeschus de Curteregia iudex, Castellinus d, Petri Penchene, Andrea de Totelmannis, Guidottus de Capitaneis (de Scalve) cet. socios et consorcialles Consorcii veteris beati s. Pancratii penes dd. Tazinum de Rosciate iudicem, Bonaventuram de Feragallis et Fustinum de Palathina socios et consorciales ad recuperandum et reponendum bona ipsius Consorcii, et ea distribuendum in usum pauperum, quid vultis et vobis placet debere fieri per ipsos socios et Consorciales tam in eligendo Canevarium et Ministrum qui bona et iura dicti Consorcii reservent et retineant in usum pauperum quam ad recuperandum ab aliis qui ipsi Consorcio tenentur tum etiam ad omnia necessaria ipsius Consorcii vel quid aliud cet. Quibus lectis et propositis d. Guill. de Feragallis consuluit quod suprascripti dd. qui sunt electi consorciales debeant esse et esse intelligantur consorciales suprascripti Consorcii: Et quod si aliquis ex eis decederet quod ipsi socii et consorciales debeant elligere per se unum in locum illius qui decederet. Et quod ille quem sic ellegerint sit et esse intelligatur socius et consorcialis dicti Consorcii. Et quod Consules quos nunc elligerent teneantur et debeant in pena et bano sol. 20 imper. (l. 29,18) pro quolibet eorum de eorum proprio avere infra quindicem dies ab inceptione sui Consolatus facere postam seu proposicionem in suprascripta Vicinancia inter Vicinos et Credendarios dicte Vicin. quid habent facere ipsi Consules in facendo [p. 60 modifica]eligere Canevarium et Ministrum ipsius Consorcii ut in proposicione continetur. E questa proposta venne approvata154.

La Vicinia adunque era rappresentata continuamente nel Consorzio per mezzo de’ suoi Consoli; ma qui non si arrestava la sua benefica ingerenza, in quanto essa credeva del suo dovere e insieme del suo diritto lo stabilire le norme per l’andamento economico del Consorzio stesso. Diffatti in una adunanza successiva alla precedente, della quale ho recato i principali punti, passarono queste proposte fatte da alcuni de’ Vicini: quod qui sunt ellecti consorciales dicti Consorcii possint et debeant elligere cum Consulibus dicte Vicin. Canevarium dicti Consorcii et ministrum dicti Consorcii qui Canevarius possit et debeat recipere bona et res et fructus et redditibus qui debentur et debebuntur ipsi Consorcio ab illis qui debent et debebuntur illud dare ipsi Consorcio. Et facere eis cartas solucionis de omni eo toto quod sic reciperet. Et quod suprascripti consorciales non possint nec debeant expendere de sorte seu de capitali averis dicti Consorcii sed possint solummodo tantum de usufructibus et redditibus illius Consorcii expendere in servicio ipsius Consorcii in distribuendo eos in usu pauperum. E il Canevario sia tenuto dare cauzione per quanto riceve a conto di detto Consorzio. Inoltre che fra i Consorziali presenti nella chiesa si eleggano incontanente il Canevario e i due Ministri, l’uno notaio, l’altro laico, il primo dei quali tenga nota delle entrate e delle spese. Durino in carica solo un anno dacchè avranno dato cauzione. [p. 61 modifica]Ed entro otto giorni prima della loro scadenza sieno scelti i successori. Et quod Consules ipsius Vicin. una cum Canevario et Ministro et consorcialibus diete Vicin. inquirant modis omnibus quibus melius potuerint de emere vel fictum vel in aliquo alio facto destribuere denarios dicti Consorcii. Che il Canevario entro otto giorni debba fare la consegna al suo successore et quod omnia que ad presens ordinabuntur in predictis habeant vim decreti. Alle quali proposte, tutte approvate, si aggiunse anche questa: quod postquam designatum erit ipsi Canevario totum illud quod ad presens debetur ipsi Consorcio de denariis et rebus, quod Consules diete Vicin. debeant facere postam in dieta Vicinantia inter Vicinos diete Vicin. Et ibi certificare quid et quantum est penes ipsum Canevarium de bonis et rebus et denariis ipsius Consorcii155; dal che vediamo che l’intera vicinanza faceva un severo riscontro di quanto era posseduto dal Consorzio. Che anzi in una adunanza del 30 Novembre dello stesso anno essendosi conosciuto dai Vicini, che presso certo Castellino Penchene giacevano infruttuose L. 38 soldi 16 imp. (l. 1132,30), venne deliberato che i Consoli presentemente in ufficio dovessero invenire aliquod fictum ad emendum prò ipso Consorcio de ipsis denariis156.

Il male però fe’ capo anche qui: i frati Minori installatisi in sui confini della Vicinia, memori della loro professione di accattonaggio, come aveano chiesto un sussidio alla stessa per la fabbrica di una cappella nella nuova chiesa che stavano erigendo, così [p. 62 modifica]non dimenticarono nel 1294 neppure il Consorzio, che doveano conoscere abbastanza provveduto; onde avendo esposto che si trovavano in maxima quantitate et in magna necessitate157, ottennero di esser soccorsi con 100 soldi imperiali (l. 145,90), tolti così ai poveri del Vicinato, che soli v’aveano diritto.

In questo e nel precedente punto abbiamo adunque trovato ancora sulla fine del secolo decimoterzo le traccie del modo con cui si sviluppò l’antichissima Vicinia; obbligo di mantenere la chiesa e gli arredi sacri; concorso ai riti funebri dei Vicini; associazione a sollievo dei poveri del Vicinato. Forse di fianco a questo vecchio Consorzio, completamente laico negli scopi e nella amministrazione, n’era sorto uno, come quello di S. Michele del Pozzo o l’altro riformato di S. Alessandro della Croce, dove, sotto specie di beneficenza e di carità, s’era lasciato un campo larghissimo a pratiche religiose, luminarie, suffragi, feste e ad altrettali opere di umana superstizione, che ne traviavano il fine; laonde fu per avventura allo scopo, che il vecchio Consorzio non avesse a deviare dalla sua prima istituzione, che la Vicinia reputò opportuno di occuparsene con tanta solerzia sulla fine del secolo decimoterzo, e, riaffermando ripetutamente, che esso non dovea avere altro fine che le distribuzioni in soccorso de’ poveri, dettò norme sicure per essere guarentita, che a questo intento non si sarebbe mai venuto meno. Così essa tenne nettamente separati gli obblighi che le incombevano e rispetto al culto e rispetto alla beneficenza, e diede [p. 63 modifica]ai posteri un esempio tanto più onorevole, quanto meno conosciuto nella modesta cerchia in cui veniasi compiendo.

Fino ad ora ho considerato le Vicinie nelle loro forme più originarie di esplicamento. Non voglio dire con ciò, e raffermarlo sarebbe certamente contrario alla natura delle cose, che fin qui e non oltre dovesse giungere in principio la loro azione, perchè il concetto, che costituisce l’intima essenza della vicinità, poteva estendersi anche alla mutua difesa ed in generale al dovere di promuovere tutti quei provvedimenti, che fossero per riuscire giovevoli al benessere di quanti si trovavano in quel rapporto; intendo piuttosto, che appunto di tutti questi obblighi, od almeno del maggior numero, vediamo essersene impossessato il Comune in un’epoca posteriore, ed averli così svolti e regolati, da modificarli profondamente e in conseguenza da attribuir loro un aspetto al tutto diverso da quello che in origine doveano avere. Quei di Valtesse, posti ad una certa distanza dalla città, si saranno, per così esprimermi, sentiti certo più vicini tra loro, che non con quanti abitavano il vastissimo Vicinato cittadino, di cui facevano parte, e questo tanto più quando anch’essi poterono avere fin dal secolo undicesimo nella loro chiesuola di S. Colombano158 un centro di unione più opportuno, di quello non fosse la chiesa suburbana di S. Lorenzo; e così dovette a una cert’epoca intendere la cosa anche il Comune, se tentò, loro malgrado, sottoporli come rustici al fodro dei terreni, quasi formassero [p. 64 modifica]una separata comunanza. Ma la sentenza favorevole che ottennero nel 1231159, dimostra che gli originari principii, pei quali s’era tradotto in atto il concetto della vicinanza, aveano fatto luogo ad altri principii derivanti dalle speciali convenienze del momento: quello che una volta appariva come il simbolo in coi si concretava la vicinanza, il centro da cui poteva irradiare una serie di altri obblighi, ora perdeva del suo valore di fronte alla natura degli obblighi stessi, alla maggiore o minore loro gravezza, all’indirizzo che il Comune aveva dato a tali obblighi, per quanto questi, nella loro essenza, potessero trovare attinenze con quelli di un’epoca anteriore; ed è appunto in questo secondo stadio ch’io mi accingo a prendere in esame la condizione dei nostri Vicinati.

Il primo atto della Vicinanza può tenersi quello in principio d’anno di dare, mediante buoni ed idonei fideiussori, una generale sicurtà al Comune. Questa pratica era imposta anche ai Comuni del contado, i quali così guarentivano de attendere precepta Vicarii (Rectoris, Potestatis) et Comunis Pergami qui nunc est vel pro temporibus erit, et eius precepta et Comunis Pergami obedire et sustinere per se fodra honera et factiones Comunis Pergami160. Qui è riassunto in breve tutto ciò, di cui stavano garanti questi fideiussori; la formola di giuramento posta negli Statuti del 1353, del 1453 e del 1493 dimostra più apertamente e più minutamente quanto esigeva il Comune di Bergamo dai Vicinati e quali obblighi loro imponesse161.

Esisteva però una differenza, almeno nei secoli [p. 65 modifica]decimoterzo e decimoquarto, ed era questa, che i fideiussorì presentati dai Comuni rurali dovevano essere civitatis et burgorum adiacentium civitati Pergami subiecti iurisdictioni Vicarii et comunis Pergami162, mentre sembra che pei Vicinati i Consoli stessi, pel fatto della loro elezione, fossero tenuti a prestare questa generale sicurtà; laonde, mentre essi chiedevano ai Vicini convocati in assemblea ai primi di Gennaio di essere autorizzati a dare quella malleveria generale, questi stabilivano anche contemporaneamente quod si aliqua briga vel pericullum imminerei ipsis Consulibus pro aliqua de causa occasione ipsius satisdationis, quod debeant liberari et trahi ad expensas ipsius Vicinancie et Vicinorum eiusdem163, e questa clausola si trova ripetuta ogniqualvolta si tratti di autorizzare i Consoli a prestare quella sicurtà, poichè è evidente che in caso contrario sarebbe stato ben difficile trovare persone, che volessero accettare un tale ufficio. Un eguale principio fu fatto valere nella stessa Vicinia di S. Pancrazio nel 1296, poichè essendo stata condannata a pagare una grossa multa al Comune, nè potendo sì tosto dividerne l'importo tra i Vicini, in Consiglio del 17 Luglio venne stabilito di fare un mutuo, di dare facoltà ai Consoli di scegliere fra i meliores o più abbienti coloro, che ne stessero garanti, ma in pari tempo fu dichiarato che il mutuo così fatto si dovesse fino alla estinzione tenere come debito di tutta la Vicinia, e non altrimenti164. [p. 66 modifica]

La convocazione dell’assemblea de’ Vicini per dare quella sicurtà non sarebbe stata in effetto che una mera formalità, in quanto che strettamente la esigeva lo Statuto generale del Comune, nè i Consoli, come tali, potevano sfuggirvi; la espressione degli Atti nei loro verbali: et ipsi Consules non velint facere ipsam satisdationem sine parabola vicinorum de Vicinancia165 dimostra che il consenso non era assolutamente necessario, ma che dipendeva dalla volontà dei Consoli il richiederlo; questi però lo richiedevano sempre in quanto che, nel mentre veniva loro accordato, erano tenuti anche indenni da ogni aggravio e da ogni spesa per espressa deliberazione dei loro rappresentati. Va senza dire, che le spese degli atti di sicurtà cadevano sulla Vicinia, e che quindi figurano per le prime in ogni conto annuale166.

Negli Statuti compilati durante la dominazione Viscontea e la Veneta non sono più i Consoli, che devono prestare questa generale malleveria, ma in principio di ogni anno in ciascuna Vicinanza o Comune del contado si doveano eleggere uno o più Sindaci, che avessero facoltà di obbligare anche con giuramento i proprii beni e quelli dei loro vicini alla esatta osservanza dei mandati del Governo, del Podestà e del Comune di Bergamo. Almeno due terzi de' Vicini, maggiori di diciotto anni, doveano concorrere alla elezione di quei Sindaci167.

Sebbene brevemente, nullameno debbo accennare alla importanza politica che per un momento ebbero [p. 67 modifica]le nostre Vicinie ed i loro Consoli. Quando, dopo quasi quattro anni di sanguinose lotte civili, nel 1230 le parti spossate vennero a concordia, si formò la Società del Popolo, la quale s’era prefisso per iscopo honorem et bonum statum comunis et totius civitatis Pergami ac virtutis eius et specialiter populi et paraticorum civitatis et virtutis Pergami. Nei capitoli, che, sotto forma di giuramento, ne descrivono l’organamento e determinano la cerchia di sua azione, si trova anche: et dabo fortiam et virtutem ut de quolibet paratico et de qvalibet Vicinantia civitatis et suburbiorum Pergami, qui paratici et Vicinantie venerint ad hanc Societatem, sint et esse debeant ad Credentiam Comunis Pergami duo ad minus168. Il giovedì grasso nella Camera del Comune si ragunarono i Consoli dei Paratici e delle Vicinie ed approvarono gli Statuti di quella Società, poi, fatta raccogliere il venerdì seguente l’assemblea generale del popolo, li videro pienamente confermati169. Il chiamare ad accolta il parlamento del Comune era competenza dei Consoli Maggiori dapprima, poscia del Podestà170, onde qui vediamo che, nella confusione creata da questo lungo periodo di partigiane lotte tra la nobiltà, il popolo si sostituì all’autorità degli uni e dell’altro, e per mezzo dei Consoli dei Paratici e dei Vicinati fe’ raccogliere la generale concione del Comune e vi fece approvare quello Statuto, col quale esso per la prima volta segnava la sua comparsa sulla scena della nostra storia171. [p. 68 modifica]Che se era prescritto, che quella Vicinia, la quale avesse fatto adesione alla Società del Popolo, dovesse avere due de’ suoi membri Della Credenza o Consiglio Generale del Comune, non so d’altra parte se in questo lo Statuto abbia avuto la sua piena esecuzione; certo però è degno di nota, che i Consoli delle nostre Vicinie raffermarono col loro giuramento la pace del 1251 fra Brescia e Bergamo e insieme si obbligarono di farla giurare entro tre giorni ai loro Vicini172; il che dimostra, che in luogo della generale concione del Comune, che via via più raramente veniva convocata, ed alla quale anche in questo periodo di decadenza sembra dovrebbe essere spettato il dare solennemente la sua sanzione a quel trattato di pace173, si trassero in campo i Consoli de’ Vicinati, e si tenne che il loro giuramento e quello dei loro Vicini avrebbero conferito una uguale autorità a quell’atto. Trovo poi inoltre in uno Statuto del 1253, che, trattandosi della difesa delle frontiere, i Consoli delle Vicinie e dei Paratici doveano essi pure intervenire nel Consiglio generale di Credenza, prendervi parte alle deliberazioni e concorrere col loro voto a confermarle174. Dopo d’allora non trovo più traccia della parte presa nei Consigli del Comune dalle Vicinie, ossia dai loro rappresentanti; questi rientrarono nella modesta cerchia delle loro attribuzioni, dalla quale erano per breve ora usciti, ed attesero a rispondere, come potevano, agli oneri che a larga mano il Comune andava continuamente gravando su di essi e sui loro Vicini. [p. 69 modifica]Uno degli obblighi che cadevano sui Consoli delle Vicinie, del pari che su quelli dei Comuni foresi, era quello di denunciare entro otto giorni, sotto pena di lire venticinque, omnes violentias, occupationes, invasiones, molestationes et turbationes manifestas et notorias factas et que amodo fient in ipsis Vicinantiis175. Questo discendeva già da una legge di Pippino176, come ne discendeva l’altro obbligo di dovere entro un giorno od al più entro due, partecipare al Podestà le ferite od omicidii avvenuti nella Vicinia, sotto la pena, da pagarsi in proprio, di lire cinque imperiali quando la ferita non fosse susseguita da morte, e del doppio in caso contrario177. E finchè si comminava la pena di cento lire a quella Vicinia (o Comune), che violentemente avesse impedito la cattura di un bandito, se questo entro tre giorni non veniva rimesso in potere del Comune di Bergamo178, il peso non era grave nè ingiusto, in quanto la Vicinia avrebbe sempre potuto evitare una tale pena, per poco che avesse rispettato i decreti degli officiali del Comune.

Ma per uno di quegli errori, che prevalsero nella età di mezzo nella applicazione delle pene, e pei quali talvolta si teneva ad ignominia di un intero casato la colpa di uno solo de’ suoi membri179, quasi la responsabilità di uno dovesse gravare su tutti, anche le Vicinie si trovarono coll’andare del tempo [p. 70 modifica]di fronte ad obblighi gravosissimi. Da principio, quando il malfattore fosse rimasto ignoto, i danni dell’incendio, e quelli recati alle piantagioni od ai seminati, erano risarciti dai Vicini dei Comuni, nei quali il danno fosse avvenuto; che se ciò succedeva in civitate Pergami vel in burgis vel etiam in terra que sit de vicinantia civitatis vel burgorum vel in territorio civitatis in quo si aliquis habitaret faceret vicinantiam cum civitate vel cum burgis Pergami restituatur sibi dampnum datum per Rectorem arbitrio duorum bonorum hominum quos Rector elegerit180. Siccome però, e lo vedremo nel corso di questi cenni, vi ha nella nostra legislazione una continua tendenza a parificare i Vicinati cittadini ai Comuni del contado, così più tardi i danni apportati nella città e nel suo territorio non vennero più risarciti dall’intero Comune, ma dalle singole Vicinie entro i confini delle quali erano avvenuti. Quindi è che vediamo estesa a queste la disposizione quod si daretur aliquod dampnum per incendium incisionem vel robariam destructionem vel aliquo alio modo — la Vicinia ed i Vicini in quorum locis vel terretoriis ipsa damna facta essent sieno obbligati a compensare i danneggiati, se entro tre giorni non avranno consegnato il reo, salvo regresso contro i danneggiatori. Non aveano luogo queste pene quando fossero conosciuti i malfattori, dove si potesse dimostrare che erano in tal numero, da non poterli catturare. Non andavano esenti da questa pena, che i minori di 14 anni, le vedove, coloro che avessero passato i 70 anni; ma le Vicinie [p. 71 modifica]e gli altri luoghi, che dopo fatta denuncia ai loro Consoli, non avessero cacciato il bandito reo di quei misfatti, doveano sostenere tutto intero il risarcimento dei danni181. E siccome, per la malvagità dei tempi, non sempre era possibile conoscere i rei, o, conosciutili, catturarli, così è aperto, che quante volte saranno avvenute violenze di questa natura alla proprietà, l’intero Vicinato in ultima analisi n’avrà portato la pena. Nella posteriore legislazione le Vicinie non furono più tenute a questo gravoso obbligo182, poichè fu specificatamente determinato, che ad emendationem damnorum datorum de die nec de nocte non teneantur vicini viciniarum habitantes intra muros civitatis et suburbiorum nec ipse Vicinie.

Che se tali mezzi credevansi i più adatti a salvaguardare la altrui proprietà, tanto più si doveano reputare opportuni per opporre un argine ai delitti contro le persone, o per punirli se già commessi. Se sotto un certo aspetto i Comuni possono definirsi una società di mutua guarentigia183, tanto più possiamo comprendere come i Vicini di un luogo potessero guarentirsi l’un l’altro i danni eventuali che loro potevano avvenire, e come soltanto coloro, che entravano in questa associazione, creata dai vincoli della Vicinità, potessero partecipare dei vantaggi della mutualità; lo stesso nostro Statuto in una delle sue parti più vecchie lascia ancora intravvedere le traccie [p. 72 modifica]di siffatta istituzione, sorta affatto spontaneamente184, e che gettava le sue radici ben lontano nei tempi185. Il Comune la volse a suo profitto, reputando che in tal modo tutti sarebbero stati interessati a scoprire i rei, se rendeva coattivo, ciò che dapprima non era che volontario, se dava l’aspetto di una pena per una colpevole inerzia o vergognosa pusillanimità a ciò che prima non era che un doveroso risarcimento. Da questo campo di idee è lecito supporre che il nostro Comune sia stato solo più tardi condotto ad aggravare di una eguale responsabilità i Comuni del contado ed i Vicinati cittadini per gli omicidii avvenuti entro i loro confini, perchè nella IX Collazione dello Statuto vecchio, dove a buon diritto dovremmo trovarne qualche cenno, non ve ne ha traccia alcuna186. Forse la cosa si trovava già regolata nello Statuto del 1263, andato perduto, perchè sulla fine del secolo decimoterzo troviamo già applicata questa severa misura, come vedremo tosto, alla Vicinia di S. Pancrazio, ed è assai verisimile che da quello si debbano ripetere le relative disposizioni, che si trovano nello Statuto del 1331 e che, salve alcune modificazioni, compaiono in tutti i posteriori187.

Ommettendo, perchè troppo in lungo mi trascinerebbero, tutte le circostanze, minutamente enumerate in quegli Statuti, che potevano mitigare od anche annullare quella responsabilità, noto soltanto che era [p. 73 modifica]stabilito per principio che si in aliquo territorio alicuius loci districtus Pergami seu Vicinia civitatis et suburb. Pergami interficietur aliquis, quod comune illius loci vel terretorii seu Vicinia solvat Comuni Pergami libr. centum imperialium nisi malefactorem seu malefactores designaverit in fortiam comunis Pergami infra quinque diespost ipsum maleficium commissum188. Per quanto risulta dai pochi frammenti degli atti viciniali a noi pervenuti, questa pena venne applicata con tutta severità. Quindi nei consigli della Vicinia di S. Pancrazio del 1290 troviamo, che per l’omicidio avvenuto il giorno 4 Febbraio in persona di certo Zigala da Pontirolo, il Podestà avea già intimato che fossero consegnati l’assassino o gli assassini, onde il giorno 5 già si radunava l’assemblea del Vicinato per deliberare sul da farsi; e la multa dovette venire pagata, perchè quei della Vicinia non erano riusciti a conoscere ed a catturare i malfattori189. Così nel 1296 troviamo un’altra condanna di 100 lire imp. (l. 2918,30) per la uccisione di certo Zambono di Lanfranco Barbiere, e questa pure fu pagata190. Nel 1303 nella stessa Vicinia veniva ammazzato Bonino de’ Tarussi, ed anche qui la pena era inesorabilmente pagata, perchè i malfattori erano sfuggiti alle ricerche di quei Vicini191.

È bensì vero che lo Statuto avea stabilito quod Vicinia locus vel burgus que substinerent aliquam condempnationem vel aliquod dampnum pro aliquo homicidio [p. 74 modifica]vel malefactore, regressum habeant et habere possint contra ipsos homicidiarios et malefactores et eorum heredes et res et bona, nec possint exire de bannis eis datis, nisi prius integre solverint ipsis Vicinanciis et Comunibus omnia dampna et expensas que sostinuissent occasione predicta192; ma non sembra che le Vicinie ne approfittassero, sia per ischivare le noie di una procedura, che parecchie volte avrà naufragato di fronte alla impotenza di chi avea commesso il delitto; forse anche perchè in que’ tempi molte volte la strapotenza del malfattore, o di chi gli avea dato il mandato, rendesse illusorio o pericoloso il giovarsi di questo beneficio accordato dalla legge; onde lo Statuto provvide quod aliquis Consul alicuius Vicinie non possit facere aliquam propositionem inter Vicinos suos de remittenda aliqua condempnatione in totum vel in partem alicui malefactori vel bannito pro quo vel cuius occasione essent condempnata ipse Vicinie vel Comunia, sub pena libr. 25 imp. pro quolibet Consule. Et quod finis et remissio que fieret non valeat nec teneat, nisi prius habita et recepta fuerit pecunia per ipsas Vicinias et Comunia193.

È agevole l’ammettere, che le limitate rendite dei portici e delle aree pubbliche riuscissero insufficienti a far fronte a questi casi straordinari, nei quali l’ammontare della pena trovavasi con tutta verisimiglianza aggravato dalle spese della procedura avviata contro la Vicinia stessa, o quanto meno dalle penalità derivanti dagli inevitabili ritardi nel raccogliere una somma abbastanza ragguardevole. Se [p. 75 modifica]la Vicinia aveva capitali proprii, che fossero disponibili in breve lasso di tempo, ad essi poneva mano; in caso contrario divideva tra i Vicini l’importo della condanna, dalla seconda metà del secolo decimoterzo, sulla base dell’estimo. Questo secondo sistema era prescritto anche dagli Statuti, quando le Vicinie non aveano più patrimonio proprio194 in luogo dell’antecedente ed affatto irrazionale della distribuzione per fuochi. Gli esempi non mancano nei conti della Vicinia di S. Pancrazio. Nel 1290, per soddisfare al pagamento della condanna in cui essa era incorsa per la uccisione di Zigalla da Pontirolo deliberò all’unanimità quod ipsa condemnatio solvatur de denariis brevis illius quos d. Castellinus tenet ab ipsa Vicinantia, e che i Consoli debeant pregare ipsum d. Castelinum quod amore ipsius Vicinantie debeat solvere ipsos denarios ipsius Vicin.195 Nel 1296 pure per soddisfare alla condanna subìta per la morte di Zambono, la Vicinanza decise di assumere a mutuo lire 125 imp. (l. 3647,80) e di scegliere alcuni tra i migliori e più abbienti del Vicinato, che ne stessero mallevadori. Che nel frattempo, essendo stato imposto un fodro dal Comune, si eleggano nove talliatores, che procedano alla stima dei beni della Vicinia e in base alle risultanze ottenute debeat dividi suprascriptum fodrum Comunis et suprascriptam condempnacionem [p. 76 modifica]libr. 100 imper. (l. 2918,30) cum omni damno dispendio et guaderdono earum196.

Siccome poi molte delle nostre Vicinie si estendevano co’ loro confini anche al di fuori delle mura della città e dei borghi, così sotto la Veneta dominazione era invalso il principio, che pei misfatti avvenuti entro le mura non fosse tenuta a pagare che quella parte di Vicini, che abitavano all’interno o dentro esse, e pei misfatti compiti nel circondario esterno rispondesse quella parte di Vicini, che abitava nel suburbio197.

Questa condizione di cose ci dà una ragione della accuratezza con cui nei nostri Statuti sono descritti i confini delle Vicinanze cittadine. Era naturale che, di fronte alla gravità delle pene comminate, solo ne’ casi più evidenti quelle Vicinie si acconciassero a subire la condanna per aver lasciato sfuggire il reo, che avesse commesso il delitto entro i loro confini, o per non aver potuto o saputo riconoscerlo; nei casi dubbi certamente avranno procurato di riversare sulle Vicinie contermini il danno, che poteva provvenire da quella trascuranza forse il più delle volte incolpevole. Quindi è che nei conti del Vicinato di S. Pancrazio del 1283 si veggono dati den. 4 (l. 0,49) servitoribus Comunis Pergami qui venerunt — occasione mensurandi confines Vicinanc. nostre et Vicin. s. Heufemie occasione ferite facte in personam Oberti de Roeta198, e inoltre sol. 5 (l. 7,30) d. Guilelmo de Cuchis pro labore et fatiga quam habuit in [p. 77 modifica]servicio Vicinancie nostre ad consultandum nos occasione suprascripte ferite ad nostram defensionem199. E d’altra parte bisogna notare, che, per quanta diligenza avesse posto il Comune nello stabilire i confini di questi Vicinati, tuttavia, specialmente entro la città, vi erano case che mal si sapeva a quale di essi Vicinati propriamente appartenessero, perchè non sempre quei confini erano fondati su vie maestre o su altri edifici, che meno avessero a subire delle alterazioni prodotte dal tempo o dalla volontà degli uomini, onde in una miscellanea del secolo decimosesto trovo l’estratto di un atto, così dato: an. 1333. Item datum Plegapani cet. de Zoppo factum per Grumerium olim d. Alberti de la Crotta de quadam petia terre seduminata cum turri et puteo et brolo iacente in vicin. s. Pancratii in parte et in parte in Vicin. s. Laurentii. In multis partibus coherentiat domus de Bongis in contesia in dictis Vicinis (meglio forse: in controversia inter dictos Vicinos)200, dove vediamo una stessa casa posta sul confine di due Vicinanze e divisa fra esse.

Le Vicinie, per quanto stava in loro, avranno cercato di allontanare il pericolo, che venissero loro addossate queste gravose multe. Così nel 1296, quando fu ucciso Tano de’ Degoldei, la Vicinia di S. Pancrazio tenne guardia per due notti, o per sorprendere i colpevoli, o per impedire i primi impeti di una vendetta, che avrebbe potuto apportare nuovi guai201. Così pure nel 1290, quando la stessa Vicinia [p. 78 modifica]fu condannata per la morte di Zigala da Pontirolo, nella pubblica assemblea del 5 Febbraio vennero autorizzati i Consoli ad aggiungersi quanti sapienti volessero, i quali fossero tenuti a fare proposte tendenti ad impedire il ripetersi di tali reati; e quegli in una successiva adunanza proposero e fecero passare: che ogni vicino, sotto pena di 100 lire (l. 2918,30), fosse obbligato a concorrere alla cattura di coloro, che nella Vicinia avessero provocato risse e commesso omicidio; che ognuno, il quale avesse bottega sulle vie pubbliche, fosse tenuto ad avere nella sua bottega una targa, una lancia ed una cervelliera per essere pronto ad accorrere armato all’arresto de’ malfattori, e di più stabilirono premii per coloro, che in questa bisogna si fossero addimostrati più solleciti202.

Si connettono con questi anche i provvedimenti presi per la tutela dei fondi posti entro i confini della Vicinia. In un lungo atto inedito203, mancante di data, che per molte ragioni, qui inutili a ripetersi, terrei per fermo doversi assegnare ai primi lustri del secolo decimoterzo, il quale poi, pel fatto che si chiude colle parole: in omni mense faciam legere istud breve in Vicinantia ad tollam sonatam, sarei d’avviso senz’altro si debba tenere pel più antico, e meglio per l’unico giuramento dei Consoli delle nostre Vicinie, delle Vicinie stesse, pervenuto fino a noi, trovo: ego non auferam nec vastabo fraudolenter alterius plantatum vel seminatum vel ferum vel drapum nec aliquid aliud valens unum denarium204 nec uvas [p. 79 modifica]nec cessas (siepi) nec maniculos (pali di sostegno delle viti) perticas erbas orti nec erbam prati cet. bannum vero tale sit si equa vel equus vel bos inventi fuerint in dampno in die den. 6 pro unoquoque. Si asinus den. 4 in die si nocte den. 12, capra den. 2 cet. — illi homini qui vastaverit alterius plantatum vel seminatum den. 6 in die cet. Già vedemmo, che i Vicini di S. Vigilio, sebbene non costituissero Vicinanza civile, ma solo ecclesiastica inclusa in quella di S. Grata, per lo meno fin dal principio del secolo decimoterzo aveano posto in convenientia i loro fondi ed eletti camparii, i quali li guardassero dai danni e dai furti campestri, e che il Comune avea approvato tutto ciò205. Gli Statuti più vecchi fanno menzione di camparii Vicinanciarum206; però il Comune su questo punto non esercitò alcuna coazione, e le disposizioni stesse del nostro più antico Statuto non riguardano che la tutela dei luoghi ricinti posti entro la città ed i borghi, come lo indicano, e il testo stesso, e la ingiunzione che i camparii avessero la loro abitazione entro le porte della città e dei borghi207, le quali, come è noto, durante la notte venivano chiuse. Come però i posteriori Statuti prescrivevano, che ogni luogo, che avesse almeno sei fuochi, fosse tenuto ad eleggere ogni anno due buoni, idonei e legali camparii208, così un tale principio, sia per necessità delle cose, sia per consuetudine, sia per la giurisprudenza invalsa, ricevette [p. 80 modifica]in seguito una più larga applicazione, poichè nello Statuto del 1493, che ebbe vita sino alla fine del secolo scorso, fu aggiunto che guest’obbligo valeva pure si ipse locus sit intra Vicinantias civit. Bergami, dummodo sit extra muros et portas burgorum et suburbiorum Bergomi209.

La custodia notturna della città era una delle incumbenze del Podestà, il quale, almeno due volte la settimana, per sè, o per mezzo de’ suoi giudici o del suo milite, dovea assicurarsi che le guardie compiessero il loro dovere. I luoghi poi, che formavano il centro della città, e dove si trovavano il palazzo del Comune e quello del Podestà, erano oggetto di una speciale sorveglianza, come lo era tutto il tratto del canale Serio, o fossatum comunis Pergami, ne’ suoi luoghi di passaggio (zapelli) dai molini di Plorzano (Borgo S. Caterina) fino a Longuelo210. Questo però non toglieva, che quando minacciassero torbidi o fossero avvenuti alcuni misfatti, le Vicinie, ognuna entro i suoi confini ed a proprie spese, dovessero provvedere ad una severa custodia notturna delle loro vie o piazze, perchè, come già osservai, i misfatti non avessero a ripetersi o si potesse impedire il rinnovarsi di improvvisi e sanguinosi tumulti.

Un tale onere non risulta in niun modo dagli Statuti generali del Comune, ma appare apertissimo dai conti delle Vicinie. In quelli di S. Pancrazio del 1286 troviamo: den. 2 (l. 0,24) Iohanni Cuchi qui insignavit Consul. custodes qui custodiebant Vicin. de nocte, e inoltre nello stesso anno sol. 12 (l. 17,51) [p. 81 modifica]a sei uomini qui custodierant Vicin. per duas noctes propter mortem Tani de Degoldeis, et den. 2 (l. 0,24) qui dati fuerunt in vino211. Nel Settembre del 1295, quasi alla vigilia delle furibonde lotte civili, che scoppiarono nella città e nel contado, e che li insanguinarono per quasi due secoli, trovo che, cum multi et multi ex viris suprascripte Vicinancie instanter dixerint ipsis Consulibus quod bonum opus erat facere custodire ipsam Vicin. de nocte per vicinos ipsius Vicin. et ad expensas ipsius Vicin. propter presentes rumores Collionum et Suardorum et cum ipsi Consules fecerint custodire per tres noctes proxime preteritas ipsam Vicin. per quatuor custodes qualibet nocte, si stabilisce quanto a questi debba venir corrisposto, e inoltre si determina che per altre otto notti si abbia a continuare una tale custodia212.

Qui la iniziativa parte dai Vicini stessi; nel Gennajo dell’anno successivo, certo per l’incalzare dei torbidi, l’ordine parte dal Podestà. Cum preceptum sit eis ex parte d. Potestatis comunis Pergami Consulibus predicte et etiam aliis Consulibus civitatis et burgorum Pergami quod omni sero faciant guardare odo ex vicinis vicinorum suorum de nocte omni die quousque placuerit d. Potestati cet. e qui la ragione è chiara. Queste guardie straordinarie erano suggerite e richieste, non dalla quiete di una sola Vicinia, ma dal generale interesse del Comune, onde la iniziativa spettava alla suprema autorità. Però il verbale afferma, che neppure in questo caso il Comune stabilì alcun salario per quelle guardie così imposte, per il che [p. 82 modifica]in quella assemblea fu approvato, che le spese di questa custodia cadano per alcuni giorni sulla Vicinia: che in questo frattempo i Consoli stessi abbiano a scegliere i custodi, poi, perchè non succedano ingiustizie ed indebiti aggravii ove abbia a continuare un tale stato di cose, si stabilisce un sistema, che sarà recato più sotto, secondo il quale il turno di queste guardie abbia ad essere equamente ripartito. In questo caso però, il carico cadendo indistintamente su tutti i Vicini, si trovò giusto che essi non avessero a percepire alcun salario213. Tolto questo caso, che, anche pei provvedimenti presi, si comprende essere stato affatto eccezionale, la Vicinia dovea per proprio conto aver cura della propria sicurezza; quindi ancora per quella di S. Pancrazio nel 1300 trovo dati sol. 20 (l. 29,18) Venture de Venturis pro labore ad citandum illos qui debebant custodire de nocte in ipsa Vicinancia; nello stesso anno altri sol. 20 Venturino de Venturis pro eius remuneratione ad citandum Vicinos omni die quo debent facere custodiam in nocte; nel 1301 denari 30 (l. 3,65) pro custodia noctis die 11 Junii; nel 1303 den. 12 (l. 1,46) in candelis et vino illis qui custodierunt Vicinanciam die dominico 18 augusti214. E si teneva un esatto ruolo di quelli, che dovevano far guardia nelle Vicinie, onde nei conti del 1318 si trovano registrati den. 8 in uno quaterno occasione scribendi superius taliam Vicinorum qui debent custodire Viciniam215. Così ancora nei conti del [p. 83 modifica]1372 della Vicinia di S. Grata trovo segnata la spesa pro facendo scribere nomina omnium stantium intra murum suprascripte Vicin. ut facerent scaraguaytas que fiebant dicto tempore216.

Altrove, come a Vercelli, era prescritto che i custodes noctis eligantur de illa vicinia quam debebunt custodire — et non compellatur aliquis invitus esse custos noctis217. I provvedimenti qui presi nel 1296, ed ai quali ho accennato poco fa, ci lasciano intravvedere sino a qual punto sia qui invalso un tale principio nel secolo decimoterzo. Ed invero in essi leggiamo: quod tunc Consules ipsius Vicin. debeant ponere omnia nomina Vicinorum in uno sachello. — Et quod illi qui primo venerint foras de ipso sachello debeant guardare vel guardari facere usque ad voluntatem d. Potestatis. Et quod illi Vicini qui sic tunc guardabunt nullum solarium habeant ab ipsa Vicin. occasione predicta. Et quod aliquis qui guardasset pro ipsa Vicin. ab uno anno citra et qui nullum salarium habuerit pro ipsa guarda non teneatur nec debeat guardare si voluerit donec quod omnes Vicini dicte Vicin. non fecerint unam guardam pro ipsa Vicin.218. La espressione: debeat guardare vel guardari facere, indica che, per lo meno quando quelle guardie erano ordinate nell’interesse generale del Comune, niuno vi poteva sfuggire, sebbene in pari tempo fosse ammesso il temperamento, che il Vicino potesse sostituire altri in suo luogo. La stessa distinzione del servizio fatto con o senza salario prova due [p. 84 modifica]differenti condizioni di cose, poichè evidentemente nei casi ordinari, quando la Vicinia, nel suo particolare interesse, ricorreva a provvedimenti di tal sorta, non faceva assegnamento che su coloro, che spontaneamente si presentavano, attratti dal promesso salario, onde essa non reputava dover tener conto di questo servizio affatto volontario e insieme retribuito; mentre negli straordinari, come nel 1296, l’onere pel Vicinato non era tanto finanziario per le eventuali spese, che n’erano la conseguenza, quanto onninamente personale per tutti i Vicini, poichè niuno d’essi poteva sfuggirvi; laonde rendevasi anche necessario tener conto di guardie fatte e non retribuite in uguali condizioni entro un precedente periodo di tempo, perchè l’aggravio non diventasse ingiusto per quelli, che l’aveano già sopportato. Dalle quali considerazioni parmi discenda, che in massima anche qui, come a Vercelli, niuno contro voglia potesse essere astretto alla custodia notturna della Vicinia, però solo quando il provvedimento partiva dalla Vicinia stessa; mentre all’incontro quel servizio colpiva tutti i Vicini, salva la sostituzione, se era richiesto dalla suprema autorità del Comune; ma allora non correva alcun salario per le guardie. In ultima analisi, nel primo caso si risolveva in un onere finanziario di tutto il Vicinato, nel secondo in un onere personale di tutti i Vicini. Dopo quest’epoca però gli esempi or ora arrecati del 1318 e del 1372 ci lasciano ammettere, che il servizio di guardia della Vicinia fosse diventato obbligatorio, se si teneva un registro di quanti vi erano atti e se la tallia Vicinorum qui debent custodire Viciniam indicava la regolare distribuzione [p. 85 modifica]di questo carico su tutti i Vicini in base agli elenchi compilati ogni anno dal Console o dai Consoli.

Stabilitasi qui la dominazione veneta e quietatisi i disordini dell’epoca precedente, la custodia notturna della città passò al Capitano, poichè nello Statuto del 1493, è chiaramente stabilito: quod magn. d. Capitaneus, cui spectant custodiae nocturnae civit. et suburb. Bergomi, teneatur et debeat mittere unum vel duos ex Militibus seu Commilitonibus suis, qui erunt cum eorum comitiva sufficienti armatorum, qualibet nocte, ad minus semel in nocte, per civit. et suburbia Bergomi ad circhandum si aliqua persona portet aliqua arma vetita, et sit aliquis rumor vel rixa, et si aliquis vadit de nocte ultra tertium sonum campanae, quae pulsatur in sero, et ante sonum campanae, quae pulsatur in aurora, appellata Diana219. E questo nei casi ordinari, perchè negli straordinari e specialissimi, all’onere delle singole Vicinie dev’essere subentrata la intera città, trovandosi prescritto nello Statuto del 1453 e nel successivo, quod custodie nocturne fiende intra muros civ. et burgorum Pergami fiant et manuteneantur solummodo tempore guerrarum et aliis temporibus suspectis arbitrio mm. dd. Rectorum Pergami qui per tempora erunt expensis civium et aliarum personarum habitantium intra muros civ. et burgorum Pergami; pro quibuscumque custodiis fiendis liceat imponere taleas civibus et aliis personis habitantibus intra muros civ. et burgorum Pergami220. La Vicinia tuttavia sopravvivente sarà stata ancora la [p. 86 modifica]base del riparto di questa spesa incombente a tutta insieme la città co’ suoi borghi chiusi entro le mura; ma la Vicinia avea perduto quel diritto di provvedere da sè e di propria iniziativa alla sua sicurezza, che le attribuiva nei tempi precedenti un certo aspetto di autonomia di fronte al Comune del quale faceva parte, ma che insieme rivelava, a mio vedere, una delle forme per le quali essa avea pigliato consistenza in mezzo ai torbidi tempi che ebbe ad attraversare.

Ho già accennato che le Vicinie aveano parte anche nell’ordinamento militare dei nostri Comuni. La milizia dei quartieri o sestieri (Portae), in cui si trovava divisa la città, era composta di compagnie, le quali, per quanto si può indurre dall’analogia coll’altre città221, erano formate in ogni Vicinanza quando la necessità lo richiedeva. Come quindi ogni quartiere della città era partito in Parrocchie o Vicinie, così anche la milizia d’ogni Porta era distribuita per Vicinati, e quindi Milano nel 1162, oltre le sei bandiere principali delle Porte, inalberava anche novantaquattro vessilli delle sue Vicinie222.

Anche le nostre Vicinanze, al pari che quelle delle altre città223, avevano il loro gonfalone. Così [p. 87 modifica]per quella di Arena lo rileviamo dai conti del 1327, nei quali risultano pagati den. 15 in faciendo portare confanonum suprascripte Vicinancie obviam d. Imperatori et ad eius honorem224, cioè quando Lodovico il Bavaro fece il suo ingresso nella nostra città ai 19 di Marzo225. La spesa di questo gonfalone cadeva naturalmente sulle Vicinie; nei conti del 1284 di quella di S. Pancrazio si legge: item dedit libr. tres et sol. 17 et medium (l. 113,08) in cendatto (zendado) vermellio et albo de quo factum fuit confanonum; item dedit sol. 4 imper. (l. 5,84) quid in fatono ad operandum ad ipsum confanonum; item sol. 26 (l. 37,94) pro factura suprascripti confanoni226. Questo nuovo gonfalone non portò ventura, perchè quando i nostri nel 1290 uscirono a difendere Mura contro i Bresciani, ai quali troppo stava a cuore il possesso di quel castello, il gonfalone sotto cui si schierarono quei del nostro Vicinato, fu affidato a Pietro de’ Capitani di Scalve, che l’ebbe a perdere227 nella grave sconfitta che i nostri, ad arte ingannati dai Bresciani, toccarono sulle rive dell’Oglio228. Furono dati den. 26 (l. 3,16) uni misso qui ivit Palazollum [p. 88 modifica]et ad Murata causa inveniendi et recuperandi confanonum suprascripte Vicinancie229, ma invano per cui, tenuti indenni il Console, che l’aveva, come di solito, in consegna e colui, che l’avea perduto nella feroce mischia230, ne fu fatto un altro, come risulta dai seguenti conti. Libr. 3 sol. 15 (l. 109,43) in zendato vermelio pro confanono; item sol. 7 (l. 10,22) in fatono et nastolis (nastri) ipsius confanoni: item sol. 11 (l. 16,05) Rogerio de Pizollis qui fecit ipsum confanonum; item denar. 12 (l. 1,46) in faciendo edeficari intersenias ipsius confanoni; item sol. 4 (l. 5,84) pictori qui pinxit confanonum; item den. 4 (l. 0,49) in vino quid suprascripto Rogerio quid soprascripto pictori231. Questo gonfalone, che fu più d’una volta dato in pegno per sovvenire alle strettezze della Vicinia, e già lo vedemmo, servì in una spedizione militare del 1303, poichè nei conti dì quell’anno trovansi notati sol. 10 (l. 14,59) Jacobo Recuperati Fabe pro eius solutione quinque dierum portandi confanonum Vicinancie ad exercitum de Scalve232. Nei conti della stessa Vicinia spettanti al primo semestre del 1318 vediamo in generale qual parte avessero le Vicinie nelle spedizioni militari di quel tempo. Ferveano allora le lotte civili tra gli intrinseci Ghibellini e gli estrinseci Guelfi, e sembra che questi ultimi si fossero fortificati in Romano, contro la quale terra furono [p. 89 modifica]diretti tutti gli sforzi della parte avversa. Quindi troviamo: Item den. 18 datis in uno quaterno membranaceo causa exemplandi taliam stipendiariorum et guastatorum qui debent ire ad terram de Rumano. Item den. 3 datis in papiro pro exemplare Vicinos ad dandum in scriptis notario d. Potestatis pro exercitu de Rumano, dove vediamo che alla Vicinia spettava formare i ruoli di coloro, che erano soggetti al militare servizio. Inoltre vi troviamo dati den. 8 in una asta ad ponendum intus penellum Vicinie pro exercitu de Rumano; soldos 19 imper. datis decem novem Guastatoribus qui taliati fuerunt per comune Pergami occasione faciendi guastum ad terram de Rumano; item sol. 38 et den. 4 datis filio Bergamini de Albano pro solucione 23 dierum occasione portandi confanonum ad exercitum de Rumano ad racionem den. 20 pro quolibet die; item sol. 12 imp. datis decem novibus (leg. novem) Guastatoribus qui fecerunt mostram qui Guastatores erant impositi suprascripte Vicinie pro exercitu de Rumano233. Questa spedizione di Romano, alla quale presero parte le nostre Vicinie, e che è affatto sconosciuta ai nostri storici, ci è attestata anche da un atto, che copriva i conti della Vicinia di Arena del 1327, e che ci fu conservato dall’Ab. Mazzoleni almeno in parte234. Qui lo trascrivo a complemento ed a conferma delle poche notizie qui addietro recate: Die 23 Iunii 1318 ... d. Facius de Lamponiano miles et socius d. Stefani de Vicomercato potestatis Pergami mittit precipiendo tibi Bertulino de Mazuchellis deputato pro comuni Pergami canepario [p. 90 modifica]in exercitu de Rumano super spiis et nunciis... dicti exercitus, quod sine retencione alicuius mediani pro soldo.... des et solvas soldos 5... servitori Comunis pro solutione fatige eius andate ad partes de Colonio et de Urniano et de Martinengo ad portandum literas... similiter sol. 5 Marino de Cumsaggis de Caravagio expensator ad emendum ligna operata ad faciendum cassam trebuchi com. Pergami... similiter... imper. Zeruto de Rumano cum tribus sociis, qui fecerunt custodiam... ad guadum de Navarazia et ad Zoppellum de Covo.

Che se i Vicinati erano la base delle suddivisioni dell’esercito cittadino, sulla stessa base il Comune ripartiva anche il numero de’ cavalli e ronzini, secondo che la necessità dettava. Così in una carta del 1326 troviamo: cum provisum sit pro comuni Pergami... quod centum equi ab armis cum totidem ronzinis imponerentur cet.235; ma un fuggevole cenno dei conti del 1287 della Vicinia di S. Pancrazio mi lascia supporre, che il riparto fosse addossato alle Vicinie, poichè ivi fra le spese vi ha anche quella pro quadam carta occasione equorum impositorum pro comuni Pergami236.

Ma le Vicinie non solo a questo, sibbene bisognava provvedessero anche all’armi. Quindi è che nei [p. 91 modifica]conti di quella di S. Pancrazio troviamo nel 1290 fra le spese: den. 15 (l. 1,83) in fillo pro facere aptari balistam suprascripte Vicinancie; den. 4 (l. 0,49) in una stuma que posila fuit uni ex balistis237; nel 1291: den. 8 (l. 0,87) in facendo scribi balistas et illis qui aportaverunt ad palacium; sol. 3 et den. 4 (l. 4,87) in quinque carcassis238; nel 1294 troviamo imposte alla Vicinia panzeras chortas vigintinovem, onde passa che sieno eletti i talliatores et compartitores in ipsa Vicin. qui debeant et possint compartire et taliare inter ipsos Vicinos ipsius Vicin. suprascriptas panzeras secundum quod ordinatum est debere fieri pro comune Pergami239. Nel 1299 troviamo esposti denari 18 (l. 2,19) ad faciendum apiari targas; nel 1303 sol. 7 (l. 10,22) illi qui conzavit targas Vicinancie; poi il Canevario dedit unam balistam d. Potestati que missa fuit Paluschum, indi di nuovo furono spesi denari 3 (l. 0,37) ad faciendum portare balistas in brollo d. Episcopi240. Questi dati, che sgraziatamente non possediamo che per pochi anni e per una Vicinia sola, valgono indubitatamente per tutte, ed è troppo naturale l’ammettere, che ognuna di esse avrà avuto il suo armamentario di baliste, archi, carcassi, targhe, panciere, o che altro, che ad ogni richiesta del Comune dovea completare a sue spese, come a sue spese doveva mantenerlo in buon ordine e pronto ad ogni più improvvisa occorrenza.

Questi aggravii militari delle Vicinie si accrebbero [p. 92 modifica]ancor più sotto il disordinato governo dei Visconti nella seconda metà del secolo deciquarto. Fa veramente pietà il vedere da quei conti a quali esigenze andasse soggetta nel 1372 la sola Vicinia di S. Grata. Questa pure dovette mandare a Guastalla e più a Modena de’ guastatori per quelle due bastie, che Bernabò voleva erigervi241; ed a sostenere quella spesa dovette ricorrere ad un mutuo. Quindi in quei conti troviamo che il Console canepario recepit mutuo libr. 12 sol. 4 occasione solvendi partem tangentem de illis duobus guastatoribus qui precepti fuerunt — debere mitti Guastallam et hoc die 19 Madii. Inoltre recepit die 27 Iunii libr. 26 sol. 8 prestitos de occasione guastatorum missorum per Viciniam ad exercitum contra Mutinam, a cui si contrappone quanto fu dato pro duodecim guastatoribus, magistris duobus a lignamine quos manutenere debebat nomine diete Vicinie et hoc pro solucione dierum triginta inceptorum die 29 Iunii ad rationem sol. 12 pro quolibet guastatore et sol. 15 et medium pro quolibet magistro et pro quolibet die242. E nel seguente anno 1373 la stessa Vicinia, insieme alle altre, ad ogni momento è obbligata mandare guastatori e lavoratori all’esercito di Mapello e di Valle S. Martino243, a fornirne per la erezione di quella bastia sul monte Miliono, che al luogo suburbano lasciò il suo nome, ed oltre a ciò a provvedere di manganelle e di mantelli [p. 93 modifica]quell’esercito, tenere guardia sul Monte S. Vigilio, per tacere di mill’altre angherie, delle quali farò parola più innanzi. Le armi ormai erano passate in mani mercenarie, e i nostri doveano pagare a ben caro prezzo questo sacrificio della loro libertà che aveano fatto in nome della loro quiete, poichè cadevano indistintamente su loro quei carichi, che un tempo erano riserbati alle ville del contado ed alle genti rusticane, alle quali contendevasi l’onore di difendere coll’armi il loro paese, ma solo era riserbato il condurre carri per l’esercito, fornire guastatori per le opere di difesa o di offesa244.

Nei rapporti delle imposte le Vicinie aveano una parte importante, al pari dei Comuni rurali, per quanto riguardava la ripartizione e la esazione del fodro. Quando siasi introdotto fra noi l’estimo o catasto di tutti i beni mobili ed immobili, non si potrebbe affermare; il primo esempio di una imposta sui terreni, applicata in misura più grave agli ecclesiastici, che non ai laici, l’abbiamo nel 1203245, dove appare che tutte le possessioni vennero in prevenzione assoggettate a stima, e in rapporto alla quale sappiamo che i singoli Comuni erano incaricati della esazione nel loro territorio246; che anzi alcuni anni di poi parrebbe che, secondo l’uso romano, i Comuni stessi [p. 94 modifica]dovessero rispondere dell’intero pagamento, perchè nel 1231 quello di Almenno dovette prendere a mutuo l. 73 soldi 11 den. 6 per pagare un fodro imposto in quell’anno dal Comune di Bergamo247. Questi Comuni rurali poi, tra gli altri ufficiali, come i Consoli, il Canevario, eleggevano anche ogni anno i taliatores fodri248, i quali erano detti anche extimatores249, in quanto, per ripartire fra i Vicini l’onere imposto, come vedremo, procedevano anche ad una revisione delle stime preesistenti.

Il silenzio assoluto di tutti i nostri Statuti sulla materia censuaria, non permette di affermare alcunchè di positivo su questo argomento; sembra però che in massima per lungo tratto del secolo decimoterzo l’imposta sui terreni non colpisse che i beni dei rustici250, e, malgrado le vive e insieme ingiustificabili opposizioni, anche i beni degli ecclesiastici251: in generale i beni di quelli, che non militavano nell’esercito cittadino; i cittadini poi non saranno stati colpiti da queste imposizioni, che quando speciali ed urgenti necessità lo richiedevano, come per sopperire alle spese di lunghe guerre o per estinguere debiti contratti252. Ma quanto più l’amore dell’armi veniva meno, e all’armi mercenarie si cominciava ad avere ricorso, e quando colle podesterie dei [p. 95 modifica]Torriani i pesi per militari spedizioni, fortificazioni, riattamenti di ponti e strade253 e tutti gli altri, che sono conseguenza di forestiera signoria, andarono facendosi vie più gravi, deve poco a poco essere cessata ogni distinzione fra cittadini e non cittadini, e il fodro deve essersi cominciato ad esigere indistintamente nella città e nel contado. Da allora le Vicinie devono essersi trovate di fronte al Comune nell’uguale rapporto in cui già erano i Comuni rurali, e quindi le estimazioni e le imposizioni saranno state eseguite per Vicinati, salvo a questi di curarne il riparto tra gli abitanti del loro territorio.

Così avveniva anche a Novara, poichè vi vediamo stabilito quod de predictis extimationibus parochie nec parochiani nec extimatores teneantur pro defectis, sed nihilominus potestas et eius assessores teneantur precise exigere ab extimatis fodra simpla et quarta cum penis ad expensas ipsorum qui essent extimati. Et insuper statutum est, quod si qua extimatio de cetero facta fuerit vel erit per parochias, quod potestas et eius assessores teneantur bona fide et fideliter exigere ab extimatis eorum fodra, secundum quod fuerint extimati, et in defectum exigatur a parochia illud quod defuerit a non possentibus solvere254. Dalle quali ordinanze vediamo, che le stime erano fatte per parrocchie, che queste non erano tenute per gli errori incorsi, ma che in pari tempo rispondevano delle quote inesigibili. Negli Atti della Vicinia di S. Pancrazio troviamo registrato una carta solucionis die 7 intr. octobr. 1282 ind. 10 [p. 96 modifica]pro pluribus defectis fodrorum impositorum Vicinis ipsius Vicinancie tempore potestatie d. Facini de Strata de Papia quondam potest. comunis Pergami255, dove se defectus si deve intendere per la quota non pagata, come parrebbe da altro passo, vediamo che, al pari di quelle di Novara, la Vicinia rispondeva anche di queste quote. E come vedemmo che i Comuni rurali aveano i loro talliatores fodri, così anche nei conti di questa Vicinia troviamo dati soldi 15 (l. 21,89) a tre persone pro eorum merito et fatiga et salario quem habuerunt in dividendo fodrum inter Vicinos ipsius Vicin. tempore Nicholay Quirini de Venezziis potest. Pergami256.

L’estimo dei beni, come è naturale ad ammettersi, non si rinnovava ogni anno257, ed anche i nostri documenti ci mostrano, che molte imposizioni furono poste sopra estimazioni precedentemente fatte258. S’aveva cura poi che gli estimatori si dividessero in due o tre bine, delle quali ciascuna facesse la stima per conto proprio; la media, che ne risultava, si teneva per l’estimo definitivo. Con ciò parmi di poter spiegare espressioni, quali quelle, che si trovano in nostri documenti, dove si ha: libr. 11 sol. 1 den. 4 imp. super extimacione libr. 466 sol. 13 den. 4 imp. ad racionem den. 6 imp. super qualibet libra pro extimacione libr. 1400 imp.259, e meglio [p. 97 modifica]ancora dove il pagamento di soldi 19 den. 1 med. 1 è detto essersi eseguito pro fodro — super estimacione tercie partis librar. 11000 in quibus extimatum fuit suprascriptum Monasterium (Astini) in tribus viccis (vicibus) ad racionem cet.260. Ma per quanta accuratezza si intendesse di porre in queste operazioni, è aperto, che se l’estimo abbracciava tutti indistintamente i beni del cittadino, tanto più le variazioni annuali doveano essere frequenti e notevoli, onde in fin dei conti le cifre definitive d’estimo per ogni singola Vicinia e per ogni singolo Comune del contado non venivano che ad essere cifre figurative, che davano norma soltanto al Comune di quanto nei rapporti di tutto l’estimo comunale, avrebbe dovuto imporre ad ogni Vicinia per far fronte a’ suoi bisogni, e nulla più. Ed era qui che cominciava l’opera dilicata dei talliatores fodri, perocchè essi, per ripartire fra i Vicini l’importo complessivo stabilito dal Comune, doveano procedere ad una revisione dell’estimo della loro circoscrizione, e in base a questa determinare le quote d’ogni famiglia. Che il risultato complessivo di questa operazione concordasse o no coi risultati complessivi dell’estimo precedente, dei quali era già [p. 98 modifica]in possesso il Comune, e in base ai quali ad ogni singola Vicinia veniva assegnata la sua quota, non importava, in quanto quella operazione non aveva per iscopo che un equo riparto tra i Vicini di una somma, che in quel momento ineluttabilmente doveasi pagare; solo la revisione generale del Catasto avrebbe permesso di conoscere se quella somma superava o stava al di sotto dei limiti di quella generale proporzionalità, che volevasi o speravasi mantenere con questi estimi.

Gli Atti della Vicinia di S. Pancrazio ci forniscono una preziosissima prova di tutta questa procedura. Imperocchè nel 1296 essendosi imposto il fodro di un denaro (l. 0,12) per lira di capitale sulle lire 12894 (l. 376285,60) nelle quali era estimata la Vicinia, con ordine ai Consoli, sotto la comminatoria di una pena, di far ripartire entro un tempo definito la imposta tra i Vicini, e questi contemporaneamente essendo stati colpiti da una multa di 100 lire imp. per la uccisione di un Zambono di Lanfranco Barbiere, passò la parte, che si eleggessero quattro sapienti, i quali alla loro volta eleggessero nove taliatores, che insieme al fodro avessero a ripartire anche la delta condanna. Item placuit omnibus quod suprascripti novem taliatores imponant et talient inter ipsos Vicinos ipsius Vicin, ad quantitatem sufficientem ad solvendum suprascriptum fodrum Comunis Pergami et suprascriptum debitum factum sive fiendum occasione suprascripte condempnacionis infrascripto modo videlicet: quod ipsi novem taliatores sic eligendi per ipsos quatuor sapientes Vicin. predicte debeant facere extimacionem in tribus binis et per tres binas de bonis [p. 99 modifica]et facultatibus suprascripte Vicin. que extimacio postea reducatur ad terciam partem super qua tercia parte ipsarum trium extimacionum debeat dividi suprascriptum fodrum Comunis et suprascripta condempnacio librarum 100 imp. cum omni dampno dispendio et guaderdono earum261.

Ad esigere questo fodro talvolta la Vicinia avea un esattore proprio. Nei conti di quella di S. Pancrazio del 1283 si veggono dati soldi 12 (l. 17,51) Pagano ser Bonaventure de Lemine exactori fodri pro Comuni Pergami impositi tempore potestatie d. Nicholay Quirini de Venezziis262. Ai 12 Settembre si voleva affidare l’esazione all’esattore del Comune, ma ai 19 Dicembre trovo che per ordine del Podestà le Vicinie della città e dei borghi doveano eleggere proprii esattori per la riscossione del fodro poco prima imposto263. Che se alla Vicinanza spettava il salario dell’esattore e dei talliatores, come ne sono frequenti gli esempi, essa pure stabiliva la penalità pei ritardati pagamenti: e ciò era naturale, dal momento che dell’intero dovea rispondere al Comune; e così nel 1296 si vede stabilita la pena terci et quarti al Vicino che entro dieci giorni non avesse pagato la sua quota264.

Questi oneri devono aver gravato ancor più sulle nostre Vicinie quando ad espilare queste città scese Enrico di Lussemburgo sul principio del secolo decimoquarto265, delle cui taglie non s’erano ancora [p. 100 modifica]rimesse le nostre Vicinie nel 1318266, e quando in mezzo alle sanguinosissime lotte civili, che travagliavano la città ed il contado, il Comune fe’ cessione a private persone di quanto doveano i nostri Vicinati; onde troviamo che il debito di quello di S. Pancrazio, che originariamente era di l. 160, sol. 14 den. 6, nel 1318 erasi accresciuto di lire 14 sol. 13 den. 6 per gli interessi e di una pena di mora, che saliva a sei denari per lira al mese (30 per 100 all’anno) e che importava altre lire 123267. Del resto, nel 1318 tutte le spese attinenti alla distribuzione ed alla esazione del fodro, come pure la esazione stessa, cadevano interamente sulle Vicinie, poichè, per non citarne che pochi esempi, nei conti semestrali di quell’anno della stessa Vicinia di S. Pancrazio abbiamo: Item den. 6 datis Pagano Temporalis occasione cujusdam preconamenti quod fecit occasione cuiusdam fodri; item sol. 5 imp. datis in duobus quaternis occasione scribendi extimum factum de libris viginti millibus; item den. 10 datis in vino et zeressis (ciriege) pro vicinis quando iverunt cum d. Bunino occasione exigendi fodrum; e così vi sono notate altre spese per la tallia e distribuzione del fodro. Tutto il quaderno poi delle entrate semestrali non contiene che una lunghissima serie di fodri imposti in varie occasioni; il che ci dimostra, che certo allora la esazione dell’imposta addossata alle Vicinie venne interamente affidata ai loro Consoli, se questi dovettero darne un così minuto rendiconto. Naturalmente la odiosità delle esecuzioni contro coloro, che non aveano da soddisfare [p. 101 modifica]la imposta, cadeva sulla Vicinia, e indubitatamente accennano a sequestri avvenuti in tali circostanze le spese che il Console Taddeo dei Capitani di Scalve esponeva ne’ suoi conti di quell’anno: Item sold. 12 imper. datis in tribus equis pro ire Roxiatum cum d. Bunino et pro potu et cibo; item den. 12 datis quatuor portasachis qui portaverunt robam domine Novelle ad domum meam; item den. 4 datis uni portasacho qui portavit culzedram Razzii ad domum meam268.

E di mezzo a tutto questo non mancavano neppure delle contestazioni a dar noia alle Vicinie, sia che fossero provocate da errori d’estimo, da cambiamenti di domicilio, da quote inesigibili, sia che gli estimati invocassero diritti d’esenzione non infrequenti in quella età, e de’ quali non fosse stata tenuta la debita ragione. Quindi è che fra i conti del 1285 della Vicinia di S. Pancrazio trovansi dati den. 6 (l. 0,73) notario armariorum comunis Pergami occasione inquirendi si Nicholinus magistri Tarussi et alii plures quibus impositum erat fodrum in ipsa Vicinancia, qui non solverant, si debebant solvere defecta an ne, pro eo quod officia condempnacionum et fodrorum dicebant nos debere solvere ipsa fodra seu defecta269. Nel 1300 passò quod Consules ipsius Vicin. teneantur procedere contra heredes d. comitis Berzoni de Curtenova et contra Gufredum de Mazochis et contra successores d. Bonaventure de Mapello occasione faciendi definire si teneantur solvere fodra eis imposita per taliatores suprascripte Vicin.270. Lo Statuto [p. 102 modifica]poi del 1453, a togliere le differenze, che continuamente insorgevano a cagione dei cambiamenti di abitazione, stabilì, che quelli che si trasportassero in una Vicinia, nella quale non erano estimati, in essa dovessero concorrere al pagamento delle pene pei maleficii ivi commessi, alla manutenzione della fonte e dei selciati ed al salario dei Consoli; tutti gli altri oneri e fazioni fossero pagati o sostenuti nella Vicinia, nel cui estimo si trovavano inscritti271: e questa massima ebbe vigore sino alla fine del secolo decimottavo272.

È appena poi necessario avvertire, che, tutti i libri extimationum di un’epoca anche più recente, pervenuti fino a noi, hanno per base la partizione della città in Vicinie, e quindi per Vicinie vi sono descritti tutti gli estimati273.

Un altro carico, che avea attinenza coll’azienda finanziaria del Comune fu addossato alle Vicinie sul finire del secolo decimoterzo. Fino al 1244 il Dazio di vendila del vino al minuto era stato esatto direttamente dal Comune274; poi nel 1244 fu fatta la proposta di appaltarlo275, in seguito alla quale sembra che questo dazio venisse accollato al paratico de’ Tavernai276. Quanto durasse questo sistema, non so; certo però è, che nel 1294 quel dazio era in [p. 103 modifica]mano di appaltatori, ai quali era stato assegnato in base allo scompartimento viciniale della città. Diffatti in un atto del 28 Agosto troviamo che d. Uricus de Sursina index canevarius comunis Pergami nomine et vice comunis Pergami — fatetur se accepisse a Bertramo de Prezate libr. 36 imper. (l. 1050,59) quas dare debebat comuni Pergami solutione quatuor parofarum Vicinie burgi Cànalis quas conduxerat a comune Pergami suprascripto predo et de quibus investitus fuit per d. Bandinum de Florentia potest. comunis Pergami277. Ma dopo d’allora non fu più il Comune che direttamente affidò a privati appaltatori la esazione di questo dazio, ma lo addossò alle Vicinie, e a quali condizioni, risulta dal seguente atto: cum ordinatum sit pro comune Pergami et per sapientes provvisionis quod paroffie seu talloneum vini debeat dari consullibus et vicinis et locis civitatis et virtutis Pergami pro illo pretio seu preciis mayoribus quibus date fuerunt ab octo annis citra quando incantate fuerunt ipse paroffie seu talloneum vini. Et quod consules et vicini et loca civitatis et virtutis Pergami cogantur et cogi debeant recipere ipsas paroffias seu talloneum illo precio seu preciis mayori seu mayoribus ut dictum est. Alle Vicinie non restava che subire questo nuovo onere, di guarentire, cioè, al Comune il minimo di quanto avea ritratto da questo dazio durante gli otto precedenti anni di appalto, e così vediamo che nel Novembre del 1296 anche la Vicinia di S. Pancrazio lo pose all’incanto e l’offerta salì alla ragguardevole cifra di annue lire 290 (lire [p. 104 modifica]8463,07)278, che, a ragguaglio del corso del fiorino effettivo in quel tempo, corrisponderebbero a fiorini d’oro 386 e mezzo circa279. Quanto abbia durato questo sistema, non saprei dire.

Nè a questo si limitava la parte delle Vicinie nella azienda finanziaria del Comune. Ci mancano prove dirette per istabilire con tutta sicurezza quando fosse introdotta fra noi la gabella del sale, e sebbene non facciano difetto esempi che altrove essa risalga al principio del secolo decimoterzo280, nullameno parci di poter ammettere, che per tutto quel secolo i nostri non abbiano creduto di dover ricorrere a quella gravissima sorgente di rendita281. E di questo sembra accertarcene, da un lato il silenzio in generale dei documenti fino ad ora a noi pervenuti, dall’altro, in particolare il silenzio dei conti delle nostre Vicinie, alle quali, come i fatti posteriori ci danno diritto di ammetterlo, dovremmo veder addossata la parte più. grave nella distribuzione e nella [p. 105 modifica]esazione di quella imposta, come loro era stata addossata pel fodro e pel dazio sulla vendita del vino al minuto. Le lotte civili però scoppiate nel 1296; i continui sconvolgimenti, che ad esse tennero dietro, insieme alle incessanti spese per armi e spedizioni militari; i giornalieri sperperi di sostanze e la niuna sicurezza, tutte queste cause, che doveano far risentire la perniciosa loro influenza anche sulle fonti da cui il Comune traeva i suoi redditi, possono avere indotto pure i nostri a seguire l’esempio d’altre città, e ad introdurre questa gabella, la quale per la facilità della esazione poteva riuscire non poco proficua all’erario comunale. Questo dev’essere avvenuto sul principio del secolo decimoquarto, e probabilmente nel 1307, quando, stabilita nel Marzo di quell’anno la concordia fra le parti cittadine in lotta da oltre due lustri282, gli interessi del Comune richiesero i più serii provvedimenti, e quando, forse in conseguenza della divisata introduzione di questo nuovo balzello, troviamo anche il nome della nostra città compreso con quello di parecchie altre in questa grave notizia lasciataci dalle cronache di quel tempo: «Item eo anno (1307) commune Venetiarum ad instantiam marchionis Extensis et comunis Cremone Mediolani Papie et Bergami voluit et proposuit ducere salem et alias eorum mercationes per Paudum et transire sursum cum ipsis. Set commune Parme viriliter prohibuit ne transirent. Et commune Venetiarum multos ambaxatores misit Parmam, ut permitterentur ire naves eorum et mutam [p. 106 modifica]suam, dicendo quod iter Paudi eral saum; sed nihil eis faclum fuit seu promisum per Comune Parme. De quo Cremonenses et predìcti alii sui sequaces damnum maximum habuerunt Nam sextarius salis tunc ob hanc prohibitionem valuit in Cremona et in aliis predictis civitatibus tribus et quatuor libris imperialium, et non inveniebatur283». Il fatto è che nel 1308 troviamo fra noi già istituita stabilmente la gabella del sale, poichè in una convenzione di quell’anno leggiamo: In nomine Dei cel. Concordaverunt et reformaverunt inter se Habates et Sapientes Gabelle magne Cremone nemine discrepante cet. quod peticio requisicio hac eciam supricacio Tomaxii de Bexena et Laurencti de Puteo civium Pergami sociorum Societatis gabelle salis de Pergamo admitatur et in ea procedatur cum capitolis infrascriptis cet. In primis petunt et requirunt et supricant — pro ipsa Societate de Pergamo quod cum ducere volunt et conduci facere intendant nomine dicte Societatis et pro dicta Societate maximam quantitatem salis ad civitatem Cremone et per districtum Cremone versus civitatem Pergami solvendo Comuni et gabelle Cremone dacium et pedagium et gabellam de ipso sale conducendo per eos ad civitatem Pergami totum illud quod consuetum est solvi hinc retro per homines de Pergamo comuni Cremone occasione salis conducendi ad civitatem Pergami a civitate Cremone integraliter cet.284. Dalle quali espressioni parmi anche di poter [p. 107 modifica]indurre, che mentre prima il commercio del sale fra noi era libero, e da Cremona era tratto dagli homines de Pergamo, ora la convenzione fa stretta perchè, fattone di esso un cespite di rendita comunale, la Società, alla quale era stata appaltata fra noi quella gabella, volle assicurarsi le migliori e più sicure condizioni entrando nei più diretti rapporti colla Società, che già esisteva a Cremona, non essendo forse possibile, per le gelosie cittadine, che ferveano in quel tempo, e delle quali, come vedemmo, ce ne diede un esempio Parma, avere il sale da Venezia se non col mezzo di una delle città situate sul Po285.

La tassa del sale era ripartita tra le famiglie forse in una ragione composta dei loro averi e dei membri che le componevano; esse quindi nei termini stabiliti durante l’anno doveano prelevare la prefinita quantità di sale al prezzo determinato di volta in volta nel contratto d’appalto di questa gabella286. Ma egli è evidente che il congegnò di questa imposizione dovea fondarsi sovra principii, che ne rendessero il più possibilmente semplice la applicazione. Come per il fodro, così anche per questa imposta i Comuni del contado e le Vicinie nella città prestarono senza dubbio la base più naturale al riparto. È bensì vero che nel contratto del 1356 troviamo indicato in termini affatto generali che ai Comuni [p. 108 modifica]di fuori erano assegnate Some 2600, alla città Some 520 di sale287, come d’altra parte nel 1365 non troviamo che accennato complessivamente alla città ed ai Comuni ad essa aderenti ed alle Valli di S. Martino, Brembana, Seriana superiore e Seriana inferiore288; ma abbiamo ogni ragione per ammettere, che in ultima analisi le cifre complessive spettanti a tutto il territorio saranno state divise su Comuni e Vicinie, e che anche a queste saranno toccate tutte le operazioni dì riparto sulle singole famiglie della quota di sale ad esse assegnata. E ciò è tanto vero, che nei conti della Vicinia di S. Pancrazio del 1318 troviamo: Item den. 4 in papiro super quo extracti fuerunt Vicin. de talia salis; item sol. 12 datis Betino de Capitaneis qui exemplavit Vicinos de Vicinia in sex partibus pro facere talliam sallis et facere stemum l’extimum, come pare, di ciascuna famiglia pel corrispondente riparto. Ed indi: item sol. 3 datis Capuzino de Puteo per facere tayare stemum, ed altri due pagamenti pro suprascripta causa. Item sol. 7 datis in duobus quaternis per facere exemplare taliam salis conductoribus289. Da queste poche citazioni vediamo, che alla Vicinia era assegnata una quantità fissa di sale in base ai criterii sui quali era fondata la gabella generale: che ad essa spettavano i riparti fra le singole famiglie, e siccome ancora nel 1365 questa imposizione nella città si pagava ogni due mesi a cominciare dal 5 Febbraio di ciascun [p. 109 modifica]anno290, così a questo sembra debba accennare la recata espressione: exemplare Vicinos in sex partibus. Gli appaltatori poi dovevano avere una copia dei riparti vicinali rilasciata a cura dei Consoli della Vicinia.

Sembra che in principio le Vicinie, al pari certo dei Comuni del contado, se non dovessero anticipare il prezzo per la quantità di sale ad esse assegnata, come avveniva altrove291, fossero però tenute responsabili degli errori materiali incorsi nei ruoli da esse compilati, poichè nei conti di quella di S. Pancrazio leggiamo: item libr. 3 sol. 6 et den. 11 datis Bonacursio qui dicitur Degavarnus et Teutaldo de Vegiis pro defectu sextar. 4 et quar. 3 et medium sedesinum salis quod defectum aprobatum fuit per Vicinos dicte Vicinie; e fra altre partite identicamente ripetute troviamo anche: item sol. 13 imp. datis d. Raynaldo de Suardis pro solucione sextarior. 4 et quartar. 1 et medium salis ad racionem sold. 3 pro sextario pro defectu plurium hominum qui non erant Vicini292. E questi errori potevano ripetersi, sia pei cambiamenti di domicilio dei Vicini, sia perchè molti provassero di non avere tale qualità in una data Vicinia, sia anche, come all’epoca Viscontea, perchè molti accampassero esenzioni da una tale gabella, se però tali esenzioni non riguardavano propriamente che il sale morto, nel qual caso però, come vedremo, verso l’appaltatore era tenuto il Comune ad un compenso. La ragione poi per la quale la Vicinia [p. 110 modifica]dovea consegnare al Conduttore un ruolo delle famiglie dipendeva da ciò, che non era obbligatorio il ritirare dalla Canova la quantità di sale tagliata fra i Vicini; chi però non lo faceva, era soggetto ad una multa di un tanto al mese per ogni unità di peso o di misura, più a corrispondere all’appaltatore un prezzo, di non molto inferiore a quello generalmente stabilito, sulla misura assegnatagli di sale, senza che questo gli venisse consegnato293. E siccome quei della città e borghi ricevevano il sale direttamente dalla Canova, così i ruoli viciniali passati agli appaltatori servivano di base per la determinazione delle multe e della somma da corrispondere sulla quantità di sale non levata.

Questa gabella fu tra quelle che sotto il dominio de’ Visconti furono lasciate al Comune294, ma divenne essa stessa la base di nuove reimposizioni per sopperire ai bisogni dello Stato. Imperocchè, quando si presentassero urgenti e straordinarie necessità, di fianco al dazio del Sale vivo venne introdotto anche quello del Sale morto, così detto perchè la somma occorrente veniva ridotta ad un prezzo aliquoto per ogni unità di peso o di misura del sale, e quindi dalla assegnazione alle Vicinie cittadine ed ai Comuni rurali si discendeva alla determinazione della imposta per ogni singola famiglia. In ultima analisi, mentre il Sale vivo era quello che si somministrava effettivamente secondo un prezzo, che era misurato sul reddito richiesto dallo Stato e sul guadagno [p. 111 modifica]serbato agli appaltatori, il Sale morto rappresentava invece una somministrazione fittizia, in quanto allo Stato non si contribuiva che il prezzo determinato per ogni unità di peso di volta in volta a seconda de’ suoi bisogni sulla quantità di sale già assegnata alla Vicinia, senza che per questo il sale venisse distribuito295. A ragione in un documento del 1374, che citerò fra breve, è detto: dacium salis seu additionis salis quod nuncupatur dacium salis mortui296, imperocchè il sale morto non era in fine dei conti che una sovraimposizione sul sale vivo, una addizione al prezzo ordinario del sale somministrato dal Comune per mezzo de’ suoi appaltatori pagata nella ragione della quantità del sale stesso assegnata prima alla Vicinia, indi da questa alle singole famiglie. Che anche la distribuzione della tassa detta del Sale morto si facesse per Vicinie, non vi ha dubbio, in quanto vedemmo, che esse sole erano incaricate di formare i ruoli dei contribuenti e di assegnare a ciascuno di essi la sua parte aliquota di sale; nè veramente saprei perchè non dovesse toccare ad esse la ripartizione [p. 112 modifica]della imposta addizionale, se tanta ingerenza aveano nel riparto della principale. Ed invero, dal breve sunto di una serie di atti dataci dal Mazzoleni veniamo a comprendere, primamente che, come in generale per l’altre imposizioni, anche quella del Sale morto si distribuiva per Vicinie; che ognuna di queste, per una tale tassa, avea anche il suo appaltatore od esattore; che da ultimo, quando nella Vicinia vi fossero stati degli esenti da siffatta gabella, spettava al Comune di compensare quell’appaltatore per il di più di cui era stato caricato, non essendosi tenuto conto di tali esenzioni297. Ecco il sunto di questi atti: Die 9 Martii 1374. In hospicio comunis Pergami olim combusto298 et noviter refecto in quo moratur d. Petrus de Vicecornitibus de Mediolano Pergami Potestas — in publico Consilio novem Deputatorum super intralis et expensis comunis Pergami — lecta peticione — Belebonus filius et procurator Iacobi de Terno petit et requirit quod ipse Iacobus accepit ad incantum Dacium salis seu additionis salis quod nuncupatur Dacium salis mortui sol. 48 d. 6 pro pensione Vicinie s. Michaelis de Puteo Albo incepti cal. Marcii anni 1368 et finiti ultimo Februarii 1369 in qua Vicinia omnes infrascripti de Bucellenis taleati erant in infrascriptis quantitatibus — et quia emanate fuerunt per magnificum d. Redulfum Vicecomitem littere tenoris infrascripti cet. e qui segue lettera di esenzione dal dazio del sale per Giovanni Mafeis di Zogno [p. 113 modifica]con dieci altri data Dexii die 28 Novembris 1368, e poi dichiarazione del Mafeis, che chiama al beneficio di tale esenzione cinque de’ Bucelleni e sei de’ Mafeis, e da ultimo la sentenza che condanna il Comune a rifare i danni agli appaltatori data die 6 Iulii 1374299. Che poi le Vicinie eleggessero speciali appaltatori od esattori per la riscossione di questa sovrimposta, oltrecchè dagli Atti or ora recati, ci è lasciato ammettere pure dalla seguente lettera, la quale ci dimostra anche come talvolta, o perchè cessato il bisogno, o per ragioni politiche, la sovrimposizione del sale morto venisse condonata ai contribuenti: Regina de la Scala et Rodulfus Vicecomes. Auditis literis quas tu Referendari magnifico d. Consorti et Genitori nostro destinasti continentibus quod per occasionem cuiusdam litere prefati Dni. facte die 16 May proxime preteriti continentis quod nulla persona occaxione Salis mortui deberet molestari pro tempore preterito nec futuro, multi conductores dicti Dacii qui exigerunt aliquas quantitates denariorum a Vicinis Vicinorum quos incantaverant compelli nequeant ad solvendum Comuni id quod debent et exigerunt a dictis Vicinis, et aliqui ex conductoribus qui solverant Comuni Pergami plus quam receperant a debitoribus suis nil exigere possunt obstantibus dictis literis; respondemus nos velle quod quelibet persona compelli possit ad solvendum totum id quod debent occasione Salis mortui usque 16 diem May. Ad parte de compensatione fienda conductori illorum daciorum que propter guerram passi fuerunt .... providentis prout [p. 114 modifica]conveniens est. Dat. Cusagii 23 Iulii 1373.300. Siccome quella del Sale morto non era che una tassa dove la quantità di sale assegnata a ciascuna Vicinia non le serviva che di base per determinarne l’importo, ed alla quale quindi erano affatto estranei l'appalto e l’azienda della Canova del sale vivo, così resta aperto perchè le Vicinie in queste circostanze potessero creare esattori proprii, che erano del tutto indipendenti dai Conduttori della gabella generale.

Venezia avea avocato interamente a sè questa gabella, come quella che rappresentava la principal entrada e dazio che ha la nostra Ser.ma Signoria in la cita de Bergamo, e i capitoli relativi ad essa non contemplarono d’allora che i rapporti tra lo stesso governo Veneto e gli appaltatori, che da esso ricevevano il sale301.

Che i Comuni posti fuori della città e dei borghi di Bergamo, ciascuno per la sua parte, oltre alle proprie, potessero essere obbligati a mantenere quelle vie maestre, che dal centro irradiavano ai confini del territorio cittadino, è cosa che agevolmente si può comprendere; e se di quest’obbligo vediamo minutamente occuparsene solo la posteriore legislazione, non per questo, a mio avviso, possiamo interpretare il silenzio della più antica come argomento per ammettere la prevalenza di un sistema del tutto differente302. Perchè, sebbene la collazione XV del nostro più vecchio Statuto sia andata perduta, nullameno molte [p. 115 modifica]delle sue disposizioni passarono nello Statuto del 1331, mentre dall’indice delle rubriche, il solo sopravvissuto, troviamo ingiunto: de omnibus stratis civitatis Pergami videndis303, il relativo capitolo lo troviamo nello Statuto del 1331, dove scorgiamo, che appunto il Podestà, entro quattro mesi dal suo ingresso, dovea visitare tutte le strade della città e dei borghi ad essa adiacenti e provvedere perchè fossero riattate e migliorate304. E nell’indice del capitolo 48 del vecchio Statuto, corrispondente al 49 della stessa collazione XV di quello del 1331, troviamo ingiunto l’obbligo al Podestà di chiamare avanti a sè i Consoli delle ville del contado e di ammonirli del dovere che loro imcombeva di restaurare e di ammendare sine aliquo honere comunis Pergami quei ponti che da dieci anni fossero stati costrutti o quelle vie che da altrettanto tempo fossero state aperte nel loro territorio pro comuni Pergami seu per homines virtutis Pergami precepto comunis Pergami305.

La città adunque provvedeva alla manutenzione delle sue vie e di quelle del suburbio: i Comuni rurali, oltrecchè di quelle, che per loro aveano un particolare interesse, doveano curare anche la manutenzione dell’altre vie, che avevano un interesse più generale, come quelle, che ponevano in communicazione fra loro, e insieme colla città le più disgregate parti di questo territorio. Che poi, tenendo fermo a questo concetto, la manutenzione o la costruzione di [p. 116 modifica]queste vie cittadine e suburbane fosse assunta dal Comune in propriis e la relativa spesa quindi sostenuta coi redditi patrimoniali e coi dazii, di cui disponeva, o non piuttosto venisse ripartita fra le singole Vicinie, non è questione, che pel secolo decimoterzo possa essere risolta con tutta certezza; sembra però, e basti accennare a questo solo, che il Comune entro quei limiti provvedesse direttamente alla viabilità, perchè non in uno solo dei conti viciniali a noi pervenuti si trova accennato alla benchè menoma spesa di concorso al riattamento delle vie cittadine. E questo non solo, ma anche nello Statuto del 1353, tenendosi fermo a questo antico principio, trovo stabilito quod Comune Pergami teneatur et obligatum sii ad refectionem omnium stratarum sitarum in Vicinanciis cìvitatis et suburbiorum Perqami, et extra dictos muros, que strate non sunt designate per comune Pergami refici et aptari alicui vel aliquibus Comuni vel Comunibus districtus Pergami ex forma infrascriptorum Statutorum306, e gli Statuti ed ordinamenti, che a questo immediatamente tengono dietro307, ci dimostrano che, tolte alcune eccezioni, delle quali qui non occorre occuparsi, il Comune di Bergamo provvedeva quasi esclusivamente al riattamento ed alla manutenzione delle vie entro i confini del suburbio, al di là del quale quest’obbligo cadeva sui Comuni rurali, ai quali erano con tutta esattezza assegnati i diversi tratti di quelle vie.

Non sempre però questa distinzione fu mantenuta [p. 117 modifica]perchè sulla fine del secolo decimoterzo, o nei primi anni del seguente, troviamo addossato alle nostre Vicinie il concorso alla costruzione e manutenzione di vie, che stavano affatto al di fuori dei confini del suburbio. Quindi nei conti del 1283 della Vicinia di S. Pancrazio si trovano date lire 3 (l. 87,54) superstiti strate de ponte s. Petri pro layco pro comuni Pergami qui denarii impositi erant ipsi Vicinancie per suprascriptum comune Pergami occasione refectionis suprascripte strate308; nei Consìgli del 1295 si trova, che era stato comandato ai Comuni per d. Capitaneum Populi seu eius iudicem quod debeant facere inglerari et aptari tria capizia strate de Briollo309, la manutenzione della quale strada invece nello Statuto del 1353 troviamo a carico di trentacinque Comuni310. Quindi nei conti della stessa Vicinia del 1318 vi ha: item Leonardo de Bianco libr. 22 sol. 10 pro solutione quindecim capiciorum strate et fossati nuper impositorum per comune Pergami de strata que fieri debebat a loco de Arcene Stezanum precio solidorum 30 pro quolibet capicio dicte strate et fossati311, ed in quelli della Vicinia di Arena nel 1327: item den. 12 in benedicendo et pro benedictione strate de Trivillio; item sol. 11 pro facere exemplare copiam tallie stratarum de Trevillio et de Seriate312. Nei tempi più antichi il Comune di Bergamo aveva costrutto molte la maggior parte di queste vie principali, come, a cagion d’esempio, prima del 1256 [p. 118 modifica]quella di Valle Seriana313; ma la manutenzione era stata accollata ai Comuni, che la fiancheggiavano314; qui invece ci troviamo di fronte a spese di semplice manutenzione addossate alle Vicinie per vie, che, come quella, correvano al di fuori della città e dei borghi, onde dobbiamo ammettere in questo periodo una confusione di cose, che nè prima, nè poi ebbe vita nelle nostre consuetudini.

E questo non basta. Il Podestà per sè o col mezzo de’ suoi giudici era tenuto da speciale giuramento ad esaminare tre volte all’anno il ponte romano di Almenno, ed ove occorresse, a farlo riattare315. In principio del secolo decimoterzo dovea essere mantenuto dai Vicini di Almenno, perchè questi in una carta del 1208 o del 1209 aveano dovuto fare un mutuo di lire venti honorum denariorum imperialium pro ponte de Lemine316, mentre negli Aiti del 1283 della Vicinia di S. Pancrazio è segnato il pagamento al Canevario del Comune di Bergamo di lire 4 e mezza imperiali (l. 131,31) imposte ipsi Vicinancie pro comuni Pergami occasione reformationis pontis de Lemine, e così ivi si citano altri pagamenti per lo stesso oggetto317, come pure nello stesso quaderno si trova registrato un pagamento di 12 denari (l. 1,46) fatto nel 1275 exactori tallie pro ponte de Primullo (Prèmolo) imposite ipsi Vicinancie occasione soprascripti pontis de Primullo318. [p. 119 modifica]Nello Statuto del 1453 questo obbligo delle Vicinie nel mantenimento e riattamento delle strade venne meglio determinato anche in coerenza al principio posto nello Statuto del 1353 (16 § 52), cioè sì stabili, che alcune delle Vicinie della città e sobborghi non erano tenute a concorrere alla manutenzione delle vie poste fuori delle mura della città o borghi, ma solo doveano provvedere a quelle vie o selciati, che si trovavano entro i limiti della loro circoscrizione319; col che si aveva uno speciale riguardo a quelle principalmente delle Vicinanze della vecchia città, che restavano interamente comprese entro le vecchie mura. In secondo luogo poi venne stabilito che il Comune di Bergamo fosse tenuto alla manutenzione di tutte quelle vie costrutte nei Vicinati della città e borghi, che non si trovassero assegnate ai Comuni contermini320, i quali in ultima analisi circondavano tutto il suburbio. Più avanti poi fu prescritto quod quelibet Vicinia civitatis et burgorum et suburbiorum Pergami teneatur et debeat facere aptare rizolos (i selciati) ruptos in earum Vicinantiis321.

Queste disposizioni però potevano ancora lasciare il dubbio, se ai Vicinati unicamente spettasse in fin dei conti la manutenzione di tutte le vie urbane e suburbane, o se di alcuna di esse dovesse aver cura il Comune co’ redditi proprii, indipendentemente dalle taglie imposte alle singole Vicinie di volta in volta. Lo Statuto del 1493 fu ancora più esplicito su questo punto, in quanto che, non traendo più in campo il Comune di Bergamo, ci dimostra che questo era [p. 120 modifica]diventato un carico esclusivamente viciniale. Infatti vi venne disposto322, che ciascuna Vicinia della città, borghi e sobborghi di Bergamo, tra le mura della città e borghi anche in concorso coi Vicini abitanti fuori delle mura, ma entro i confini dei Corpi Santi, debba far riattare i selciati rotti ed anche quelle strade entro le Porte di S. Caterina, S. Antonio e tutte l’altre porte, che non fossero state assegnate ad alcun Comune; che se queste vie o selciati fossero stati rotti per colpa di alcuno, esse Vicinie abbiano ogni diritto di regresso senza alcuna formalità di giudizio. E più oltre è stabilito323, che alcune Vicinanze non hanno obbligo di concorrere al mantenimento delle vie fuori delle porte della città o borghi, le quali fossero assegnale in manutenzione ai Comuni del contado: la quale disposizione, a mio avviso, va intesa in questo senso, che, come era di fatto, a questi Comuni non era sempre assegnata in ogni punto la manutenzione a partire esattamente dalle porte cittadine, ma solo da qualche luogo più esterno, onde il tratto intermedio, che pure si trovava nel suburbio, perchè non ne andasse privo, doveasi riattare da quelle Vicinie, che si trovavano in tali condizioni e alla circoscrizione delle quali spettava324. In ultima analisi, tolte queste eccezioni, ai Vicinati era addossato, ciascuno nel proprio raggio, il mantenimento di tutte le vie, le quali circolavano nel vasto spazio, che propriamente forma la odierna nostra città entro la cerchia daziaria.

[p. 121 modifica]Ho notato più volte, che, quanto più ci avviciniamo alla fine del secolo decimoterzo, vediamo negli oneri parificate quasi le Vicinie cittadine ai Comuni rurali. Pel compimento di una delle grandi opere, che nella seconda metà di quel secolo erano state avviate dal nostro Comune, il Fosso Bergamasco, che separava il suo dai territorii di Cremona e di Milano, noi vediamo ripetutamente imposte taglie ai nostri Vicinati. Perciò negli Atti della Vicinia di S. Pancrazio trovo ricordato un atto del dicembre 1282, nel quale è attestato il pagamento di lire 4 sol. 2 den. 6 imper. (l. 120,37) al Canevario del Comune, che erano state imposite et talliate pro Comuni Pergami ipsi Vicinancie s. Pancratii occasione fossati et torsellarum (torricelle) qui et que ordinate sunt fieri debere super fossato Cremonensium et Pergami325; nel 1283 sono pagati soldi 21 den. 3 (l. 31) in faciendo fieri fossatum impositum ipsi Vicin. pro comuni Pergami ordinatum debere fieri in plano quod fossatum est unum capizium et medium; item sol. 30 (l. 43,77) in faciendo fieri duo capicia fossati in plano imposita soprascripte Vicinancie; item sold. 8 et medium imper. (l. 12,41) in faciendo laudari suprascripta capicia tria et media imposita suprascripte Vicinancie pro comuni Pergami326; nel 1284 den. 12 imper. (l. 1,46) ad faciendum satisdacionem de fossato de s. Gervasio, che è ancora lo stesso, e inoltre denarios duos (l. 0,24) illis qui acciperunt fossatum hocasione benesionis (benedictionis) illius fossati327. Nel 1286: den. 6 [p. 122 modifica](l. 0,73) ad mittendum servitorem acceptum unam cartam de lodazione fossati quod fecit fieri Vicinancia; libras 5 imper. (l. 145,90) pluribus de Seriale qui fecerunt pro ipsa Vicin. unum capicium fossati de S. Gervasio quod impositum fuit pro Comuni Pergami suprascripto anno328.

Nello Statuto del 1248 troviamo la rubrica di un capitolo, nel quale si conteneva: de porticubus faciendis per Vicinantias329. I portici non solo erano di ornamento alla città e insieme servivano mirabilmente quali luoghi di convegno, ma doveano essere tenuti come una necessità, perchè quando la popolazione si addensava in uno strettissimo ambito, nè gran fatto vaste erano le abitazioni, anche le botteghe saranno state assai scarse, onde non poteva a meno di essere sentito il bisogno, che nei varii punti della città, meglio alla portata degli abitanti, si trovassero tali costruzioni, ove i mercatanti potessero in qualunque stagione dell’anno riparare colle loro merci ed esporle in vendita. Quindi è che non infrequenti volte nelle imbreviature de’ notai del secolo decimoterzo occorre menzione anche di atti rogati sotto questi portici, come, a cagion d’esempio, tra quelle di Viviano di Alberto Gatti del 1281 leggiamo: actum die 8 intr. Ianuar. in civitate Pergami in via de Arena sub portichu vicinali ipsius Vicinancie330, e come in parecchi altri esempi, che non mi sarebbe difficile qui recare.

Il Comune, come vedemmo, ordinò la costruzione [p. 123 modifica]di questi portici; ma se la iniziativa spettasse a lui, o se un tal fatto non fosse già in talune Vicinanze il portato della necessità stessa delle cose o di quei rapporti, che erano sorti dalle condizioni stesse della vicinità, non m’è possibile dirlo; in ogni modo il Comune elevò il fatto a regola generale e siccome per la elezione dei Consoli e per la conseguente sicurtà data in principio d’anno i Vicinati, come osservai, acquistavano una giuridica personalità, così tutto permette di supporre, che mentre il Comune da una parte li obbligava a quelle costruzioni, dall’altra, come a Parma nel 1255, accordasse, che si vicini alicuius Vicinee voluerint facere porticum, sub qua conveniant homines, potestas teneatur cogere illum, cuius fuerit domus, in qua voluerint facere porticum, dare vicinis illam domum iusto precio facta extimatione per duos bonos homines331, dove la forzosa espropriazione discendeva come necessaria conseguenza del preso provvedimento.

Già vedemmo come il Comune ottenesse l’intento suo, e i conti della Vicinia di S. Pancrazio, gli unici che ci sieno pervenuti per una certa serie di anni, contengono dati sufficienti per farci conoscere come dalle nostre Vicinie si fosse adempiuto a quest’obbligo. Nell’assemblea del 23 Giugno 1286 si propose quod tectum portici ipsius Vicinancie debeat aptari sic quod non pluat sub ipso porticu, e passò la parte quod porticus coperiatur332, onde tra le altre spese dell’anno seguente trovo dati soldi 10 e mezzo (l. 15,32) Magistro Laurentio mag. Petri de Via [p. 124 modifica]Nova et Lanfranco Alberti Trabuchi de Bulgaro eius manualli pro eorum labore et fatiga quam habuerunt in servicio ipsius Vicin. ad coperendum et reficiendum porticum ipsius Vicin. qui est a meridie parte ecclesie s. Pancratii finis a columpna Ugni rotunda ipsius portici usque ad murum domus Antonii de Urniano, e inoltre il 16 Settembre den. 8 (l. 0,97) uni manualli qui aportavit terram sub porticu nova cum uno cerllo (gerlo), il che indica che la Vicinia avea anche un altro portico vecchio333. E questo è tanto vero, che in un verbale del 1289 vi ha: Item placuit omnibus quod slaciones que nuper facte sunt sub porticu veteri ipsius Vicin. intelligantur esse iuris ipsius platee Vicin. et quod afictentur per ipsam Vicin. nomine ipsius Vicinancie334, dove comprendiamo altresì che gli spazii fra l’una e l’altra colonna di quel vecchio portico erano stati chiusi e ridotti ad uso di botteghe. Oltre a queste botteghe, la Vicinia sotto quei Portici teneva anche dei banchi per sovrapporvi le merci; perciò nei conti del 1289 troviamo esposta la spesa in faciendo aptare unam perticam sub porticu, in faciendo aptare bancum335; nel 1291: den. 3 (l. 0,37) in lignis ad faciendum picollos (traverse, berg. pícoi) banchorum Vicinancie336; nel 1294 ai 28 Ottobre passa la spesa perchè si abbiano a riattare i bancales sotto il portico a sera della chiesa337, che doveva essere il portico vecchio.

Nè in queste operazioni di riattamento mancavano [p. 125 modifica]alla Vicinia noie o contestazioni, poichè negli Atti del 24 Maggio 1290 veggo il Vicario del Vescovo Roberto de’ Bonghi aver intimato all’appaltatore di una delle piazze vicinali che non debeant facere aliquod copertamen in suprascripta volta portici s. Pancratii que est a sero parte ipsius ecclesie me impedire cimiteria ipsius ecclesie338.

Se le Vicinie, come dai portici, traevano i principali loro redditi anche dalle piazze, è agevole ad ammettersi che anche di queste avranno avuto il carico della manutenzione. Quindi i conti del 1283 della Vicinia di S. Pancrazio ci danno la spesa di lire 40 imper. (l. 1167,32) pagate d. Guilelmo Feragalli sindico suprascripte Vicinanc, occasione expendendi in platea quam ipsa Vicin. habet cum ecclesia s. Pancratii et clericis et beneficialibus eiusdem339, e nel 1290 sono persino esposti denari 10 (l. 1,21) in vino et frugis ad benedicendum plateam et staciones Arnaldo de la Piazza et pluribus aliis ex Vicinis340.

Comprendiamo da questi fatti perchè nello Statuto del 1263, alla descrizione delle due Vicinie di S. Grata e di Canale, si aggiunga: salvo quod porticus et platea de Canali et ecclesia s. Grate intervites et ius eiusdem sint ita comunia ipsarum duarum Vicin. ut quondam esse consueverunt341. Queste due Vicinie, come avvertii, prima del 1263 ne formavano una sola, che anzi nel 1251 erano ancora insieme [p. 126 modifica]riunite. Ora è evidente, che l’onere della manutenzione della piazza e del portico, come i proventi che se ne ritraevano, doveano restare in comune, perchè, a quello che si vede, o l’una o l’altra delle due Vicinie, dopo che erano state separate, non si era provveduta di una piazza o di un portico proprii, che d’altronde erano resi inutili dalle contiguità dei due Vicinati; ma siccome e portico e piazza, od almeno l’uno di essi, colla nuova partizione, era rimasto rinchiuso nei confini di una delle due Vicinie, così lo Statuto, a togliere ogni appiglio a futuri litigi, ne determinò la comunanza tanto negli oneri, che nei vantaggi. Così si deve avere avuto in vista lo stesso principio, quando ancora nello Statuto del 1263 si prescrisse quod porticus Vie Crucis est comunis Vicin. ss. Salvatoris et Iohannis342, dove anche comprendiamo che, con tutta verisimiglianza, quando il Comune ordinò la costruzione di questi portici, quelle di S. Salvatore e di S. Giovanni formavano una sola Vicinanza civile, che dalla prima delle due chiese dovea aver nome, se già nello stesso Statuto vedemmo più indietro ricordati i veteres confines ipsius Vicin. (s. Salvatoris)343 e se quindi aveano in comune anche il loro portico.

Questi obblighi delle Vicinie risguardanti la costruzione, o, se costrutti, la manutenzione dei portici viciniali, quanto abbiano durato, veramente non so. Unicamente i conti o gli Atti del secolo decimoquarto potrebbero dare una risposta su questo punto; intanto osservo, che nel 1331 sembra che il Comune [p. 127 modifica]abbia avocato a sè il diritto sui portici e piazze, poichè stabilisce che nessuno acquisti un diritto su di essi per la consuetudine di porvi un desco344: principio ripetuto anche in tutti i posteriori Statuti345, e che riceve una conferma da quello del 1493, poichè il principio che la prescrizione su piazze, portici e vie non corre contro il Comune di Bergamo, è esteso a tutti i Comuni del contado346, ma delle Vicinie non vi ha parola, le quali pure a questi in tante cose vedemmo parificate, e che lo sarebbero state anche qui, se appena avesse durato la antica condizione di cose. E nello stesso Statuto dove si enumerano gli oneri, che doveano cadere sulle Vicinanze, vi ha parola delle fonti, delle vie e del selciati; ma non più nè di portici nè di piazze347.

E quella delle fonti era una delle principali cure dei nostri Vicinati, poichè in una città, come questa, tutta collocata in origine sovra un colle, dove la condotta delle acque non era troppo agevole, nè senza gravi dispendii, una assicurata ed equa distribuzione di questo indispensabile elemento a quanti abitavano in una stessa cerchia, doveasi a ragione tenere come cosa di capitale interesse. Il Comune provvedeva a sue spese al Saliente, che dalle sorgenti di Castagneta, forse fin dai tempi romani, forniva di sufficienti acque la città348; dentro le mura poi, fino dai più antichi tempi le spese relative spettavano parie al Comune stesso, parte alle Vicinie. Se [p. 128 modifica]osserviamo alla uniformità, colla quale sodo costruite le più antiche fontane, che raccoglievano le acque nei varii punti della città, parmi di poter ragionevolmente ammettere che il Comune abbia da principio provveduto per proprio conto a questo importante servizio, lasciandone poi, se non in tutto, almeno io parte la manutenzione ai Vicini. Così il Comune manteneva una attenta sorveglianza sulla pulizia delle pubbliche fontane. Ai tempi di Mosè del Brolo, in principio del secolo decimosecondo, l’acqua del fonte di tramontana, il Vasine (fons opacinus) era raccolta in un aperto bacino, dove gli abitanti andavano ad attingerla coi loro secchi349; ma fin certo dalla prima metà del secolo decimoterzo era stato provveduto che vi fossero posti quattro verricelli coi loro secchi di rame, e che solo di questi potessero usare i cittadini; che una cancellata, posta all’ingresso dell’arco, sotto il quale scaturiva quell’acqua, venisse chiusa durante la notte, e insieme venivano date rigorose prescrizioni sulla distanza alla quale si potevano lavare i panni od accumulare materie perniciose alla salubrità di quest’acqua350. Una uguale cura il Comune avea delle due Boccole, della fontana di Pignolo, ora dei Gozzi in borgo S. Tommaso351, e così anche al Lantro, come al Vasine, faceva porre i verricelli coi secchi di rame352, e insieme prescriveva, che ogni fontana avesse i suoi custodi, che fossero della stessa contrada o Vicinia, nella quale essa era [p. 129 modifica]posta, e che i canali di derivazione fossero accuratamente visitati e nettati di tempo in tempo, aggiungendo gravi pene a chi trascurasse questa importante bisogna353.

La consuetudine però, se non la legislazione, non s’era ancora stabilmente fissata su questo punto. Essendo guasto il canaletto, che conduceva l’acqua alla fontana di Pignolo, il Comune impose ai Consoli della Vicinanza di S. Alessandro della Croce che lo facessero riattare a spese de’ Vicini, limitando insieme il suo concorso a quest’opera a sessanta soldi imperiali; e siccome gli Umiliati del Tovo, che stavano ov’era la chiesuola di S. Tommaso da pochi anni demolita, secondo il solito, più badando ai proprii, che agli interessi dei Vicini, aveano deviata quell’acqua pei loro lavori354, nel 1244 il Comune ordinò che fossero demolite tutte le opere, che ne impedivano il libero corso alla fontana di Pignolo, ma anche qui limitò il suo concorso a venti soldi imperiali, stabilendo che alie expense fiant per vicinos victnancie s. Alexandri de la Cruce. Ma, in mezzo a queste disposizioni di diverse epoche, ne troviamo un’altra senza data, che ordina quod ille fons custodiatur pro comuni Pergami secundum quod custodiuntur fontes de Buccula et de Cornu355, vale a dire a tutte spese del Comune356. Raccogliendo gli sparsi indizii pervenuti a noi, parmi che pel secolo decimoterzo e pel [p. 130 modifica]principio del seguente, si possa affermare, che così fosse in generale la consuetudine. Il Comune provvedeva alla nettezza, custodia e manutenzione del canale detto il Saliente, il quale portando l’acqua da Castegneta, alimentava la fontana di Borgo Canale357 e tutte l’altre nell’interno della città; inoltre in eguale misura provvedeva alle fonti del Lantro, del Vasine, della Boccola, del Corno (alle quali in seguilo si aggiunse quella di Pignolo), che scaturivano dal versante settentrionale del colle sul quale è posta la città, la prima sotto il convento di S. Francesco, la seconda sotto quello de’ Padri Carmelitani, la terza sotto il Seminario vecchio di S. Matteo358, l’ultima sotto la Rocca359; ma erano in ultima analisi i Consoli delle rispettive Vicinie quelli, i quali doveano sorvegliare affinchè pure queste fonti fossero ben tenute, perchè se, rispetto al Saliente, vediamo dallo Statuto del 1248 affidato l’incarico di nettarlo ad un servitore del Comune360, vi troviamo anche: et de hoc detur fides Consulibus Vicinie de Canali in concordio dicentes. Et Consules teneantur et debeant hoc diligenter inquirere. Cuius banni sit medietas Comunis et alla medietas sit ipsorum Consulum. Et illud idem habeat locum de guazatoriis et lavellis et casa et Bucchula superiori per guardatores ipsius Bucchule et per Consules Vicin. s. Mathey. Et in lavellis et casa et guazatorio Lantri per custodem ipsius Lantri et de Consulibus ipsius Vicinie. Et in [p. 131 modifica]casa aque de Cornu per guardatorem ipsius aque et per Consules Vicin. s. Michaelis de Puteo Albo, Et teneantur custodes ipsarum aquarum stare et habitare in Vicinia cuius aque sunt custodes. E questa disposizione durò quanto la veneta dominazione361.

Dell’altre fontane propriamente dette, ove erano condotte e raccolte le acque, che scendevano dai colli sovrastanti alla città, qui non vi ha parola. Esse, come avvertii, erano state edificate dal Comune, come lo lasciano supporre, e la uniforme loro struttura, che le richiama ad un’epoca sola, per lo meno alla fine del secolo XII, e le iscrizioni a noi pervenute, come ad esempio quella di Pignolo del 1258362, che attribuisce tale opera al podestà Gutuero Rufino di Asti nella seconda metà del suo reggimento, e infine il fatto costante pel quale vediamo il nostro Comune aver sempre provveduto alla prima costruzione di tali fontane, come nel 1294 quella a’ piedi della torre comunale per opera del podestà Federico de’ Ronzoni363, nel 1342 il fons magnus ora Fontanone364, e così via. Naturalmente il Comune avrà costrutto queste fontane in modo che rispondessero alle esigenze, delle singole Vicinie, in cui era partita la città; ma è certo, che una volta adempiuto a questo dovere, ne abbia ad esse abbandonata la manutenzione, non così però, che nel secolo decimoterzo, o per la qualità delle opere, o perchè [p. 132 modifica]la spesa avrebbe di troppo aggravato le Vicinie, non si credesse tenuto a concorrere esso pure talvolta negli oneri di quella manutenzione.

E i conti della Vicinanza di S. Pancrazio ci offrono esempi sufficienti per chiarire questa condizione di cose. Nel 1283 trovo spesi soldi 2 imper. (l. 2,92) pro occasione faciendi spazare fontanam365; nel 1286 den. 12 (l. 1,46) pro quodam labore che un tale fecit in fonte de Vicinancia366: nell’anno seguente den. 1 (l. 0,12) uni homini qui ivit in fontem per stopare (otturare) bochetos ipsius fontis pro eo quod ipsa aqua spargebatur, dal che si vede, che neppur qui l’acqua si attingeva, come un tempo, coi secchi calati nei serbatoio; e inoltre den. 4 (l. 0,49) uni homini qui vacuavit et spazavit ipsum fontem et accepit foris de ipsa fonte unum camollum367; nel 1291 den. 2 (l. 0,24) Castanee Scalvino pro aptandis (accomodare) lapidibus que sunt super canegium (canaletto) fontis qui est in ipsa Vicinancia donec ponerentur magistri ad conzandum (riattare) ipsum caniculum; item den. 1 (l. 0,12) in una candela operata (adoperata) quando fuit accepta aqua foras de ipso fonte ad soratorium (sfogatoio) quod est super Sorlaschum368; item den. 28 (l. 3. 41) pro solutione ad descohoperendum caniculum per quem decurrit aqua que exit de ipso fonte usque ad caniculum qui est in media via publica comunis Pergami; item den. 7 (l. 0,85) in una libra plumbi ad implombandum [p. 133 modifica]unam cratem de ferro ad bucham ipsius caniculi; item den. 1 et medium (l. 0,18) in uno quartario carbonum operatorum ad deloandum (liquefare) ipsum plumbum; item den. 12 (l. 1,46) in astrogo (smalto, fondo calcare) operato ad ipsum caniculum; item sol. 7 et medium (l. 10,95) per una cratis de ferro di libbre 7 e mezza in ragione di den. 12 imper. (l. 1,46) per libbra; item den. 12 pro solutione clavorum magnorum et parvorum operatorum ad hostium quod est in ipso fonte de retro et per conzare cathenacium ipsius hostioli et per conzare unam agugiam de ferro (subbia) magistri Iohannis Raymondi; item den. 12 et medium (l. 1,52) in una cartaria (serratura) cum clavi posita in ipso hostio369. Ho riportato quasi per intero questo conto per dimostrare che sulle Vicinie cadeva propriamente la manutenzione di quanto aveva attinenza colle fontane situate entro i loro confini e insieme perchè parmi un importante saggio del nostro dialetto sulla fine del secolo decimoterzo. Ma, continuando nel nostro argomento, bisogna credere, o che questi riattamenti non fossero fatti a dovere, come pur troppo non di rado avviene quando si tratti di opere pubbliche, o che non mancassero anche allora di que’ malnati, che tengono la roba del pubblico per roba da rubello, perchè in una assemblea dell’8 Gennaio 1292 passò quod fons dicte Vicinancie debeat conzari pro ipsa Vicin. et de avere ipsius Vicin., e inoltre quod bocheta dicte fontis aptetur ad expensas dicte Vicin.370; nel 1294 vengono incaricati i Consoli di indagare che cosa impedisca all’acqua [p. 134 modifica]di venire alla fontana, donde si cavava dai Vicini371. E sembra che questo impedimento provvenisse forse dal canale principale di distribuzione dell’acqua cittadina, perchè in una adunanza del 6 Aprile 1295 trovo enunciato: cum pro comune Pergami sit aptatus et renovatus canicullus fontis Vicin. s. Pancratii, dove vediamo ancora in vigore il concorso del Comune in quest’opera di riattamento, che propriamente non interessava che la nostra Vicinia. E quindi cum lochete sint ita deguastate cet. passa che sieno rifatte a spese della Vicinanza372. Ma ancora in un Consiglio del 17 Luglio dello stesso anno si prendono nuovi provvedimenti, ed al 20 successivo passò la proposta di una riforma totale della fontana e dell’ingrandimento della casa (serbatoio) in cui si raccoglieva quell’acqua, chè, a quello si vede, quale in origine era stata costrutta dal Comune, non bastava più ai cresciuti bisogni della Vicinanza373.

I rapporti, a dir vero, tra il Comune e le Vicinie rispetto a questo servizio sembra fossero sin qui ancora un po’ indeterminati; malgrado le ordinanze del vecchio Statuto, la consuetudine manteneva ancora una parte principale in quei rapporti, onde non era ancora stabilito fin dove avessero a giungere gli obblighi dell’uno, quegli delle altre, e neppure dai conti della Vicinanza di S. Pancrazio possiamo formarci un esatto criterio per giudicare dei motivi pei quali in un anno, e non piuttosto anche in altri, il Comune abbia creduto di riattare il canaletto, che [p. 135 modifica]forniva d’acqua quella Vicinia. E le cose devono essere durate così fino al 1331, poichè nello Statuto di quell’anno troviamo inserita questa tassativa disposizione, vale a dire, quod postquam fuerint conzate fontes civitatis Pergami et bochete que ordinate fuerunt debere fieri et conzari pro comuni Pergami et ad expensas comunis Pergami designentur ipsi fontes et bochete Consulibus (Viciniarum) civitatis et suburbiorum Pergami in quibus sunt ipsi fontes. Et quod ipsi Vicini debeant ipsos fontes seu ipsas bochetas perpetuo tenere et manutenere suis expensis374. Si vede che intorno a quell’anno il Comune si assunse la spesa di un generale riordinamento delle fontane; abolì vericelli e secchie di rame al Lantro ed al Vasine, ed a tutte indistintamente fe’ applicare a sue spese nuove bocchette a chiave, poi consegnò le stesse fontane ai Consoli delle Vicinie ed a queste ne addossò esclusivamente la perpetua manutenzione. Da allora con tutta verisimiglianza le Vicinie dovettero in principio d’ogni anno nominare i Custodes fontium o fontanieri ed assegnare loro un conveniente salario375. Quindi d’allora in tutta la nostra legislazione restò stabilito quod fontes civit. et burgorum Pergami et eorum bochete aptentur et manuteneantur ad expensas Viciniarum in quibus sunt ipsi fontes et bochete. Et quod ipse Vicinie debeant ipsos fontes et bochetas perpetuo tenere et manutenere suis expensis et non comunis Pergami. Et quod Vicinie quorum Vicini utuntur aqua ipsorum fontium pro maiori parte teneantur ad [p. 136 modifica]contributionem dictarum expensarum376. E nello Statuto del 1493, dove più particolarmente si parla di fontanieri, fra l’altre cose troviamo, che essi accusare debeant et teneantur quemlibet contrafacientem super ipsis fontibus et aqueductibus Viciniarum suarum377, dove vediamo, che la Vicinanza doveva a sue spese provvedere, non solo alle bocchette, ai serbatoi ed alle fontane propriamente dette, ma anche agli aqueductus, cioè ai canali, pei quali a queste erano condotte l’acque, mentre, come vedemmo, nel secolo decimoterzo in parte di questa spesa concorreva il Comune. E questo non si assunse più neppure, come un tempo, la totale spesa di costruzione di nuove fontane, perchè quando nel 1572, nella fabbrica dell’attuale fortificazione, sotto al baluardo de’ Zanchi fa trovata una vena di acqua limpidissima e fu condotta sulla Piazza di Pignolo, la spesa fu dovuta sostenere in parte anche dalla Vicinanza di S. Alessandro della Croce378.

Il Comune poi continuava a mantenere a suo carico il canale del Saliente, che portava l’acqua alla città379; provvedeva al ripulimento ed alle riparazioni del Lantro e della Boccola380, lasciando a carico delle rispettive Vicinanze il rimettere le bocchette poste fuori d’uso; in generale, portata l’acqua nella città, o curate le sorgenti, che sgorgavano vicino ad essa, ogni Vicinanza dovea provvedere ai mezzi di avere quell’acqua e di mantenerla a commodo [p. 137 modifica]de’ suoi abitanti. Con questo però il Comune non rinunciò a tener fermi tutti gli ordinamenti sulla pulizia delle fontane e il diritto di farle visitare perchè venissero date tutte quelle prescrizioni, le quali fossero richieste dalle esigenze di una oculata manutenzione o di una lodevole nettezza381.

Come per le chiese, pei portici e per le piazze, così anche per le fontane troviamo nello Statuto dichiarata la comunanza fra due Vicinie, che prima ne avessero formato una sola. Quindi, allorquando dopo il 1251 da quella di S. Alessandro in Colonna venne staccata la Vicinia di S. Leonardo, si reputò necessario di prescrivere nel medesimo tempo quod fontana que est in platea de Incrosatis sit comunis ipsarum duarum Viciniarum382; il che mi basta qui di avvertire, per non ripetere osservazioni già fatte precedentemente. Questa fontana poi si sarà trovata a un di presso ov’è l’attuale, rifabbricata nel 1549383. E così per l’interesse della topografia locale dirò come alcune delle attuali fontane si possano con sicurezza assegnare ancora alle antiche nostre Vicinanze. Ognuno conosce l’antico fons de Piniolo, ora dei Gozzi, di fronte all’Accademia Carrara, e che, come vedemmo, spettava al Vicinato di S. Alessandro della Croce. La Vicinia di S. Andrea aveva la sua fontana in Via di Porta Dipinta, un po’ al di sopra della chiesa, rifabbricata certo intorno al 1298 quando lo fu anche l’altra in Via d’Osmano della Vic. di S. Michele del Pozzo384. E la fontana dei [p. 138 modifica]Vicini di S. Eufemia venne alla luce, non sono molti anni, atterrandosi alcune case a mezzo Via Solata; quella di S. Pancrazio non dovea essere lontana dall’attuale, ricostrutta in mezzo alla Piazza nel 1549385, e l’altra di S. Michele dell’Arco si apriva sul fianco occidentale di questa chiesuola, come oggidì. Quelle di S. Agata, in Via di Corserola, di Antescolis, in fianco al lato di mezzodì della basilica di S. Maria, di S. Cassiano, nella via omonima, di S. Giacomo, pure a mezzo della via entro le nuove mura, ricordano ancora colla loro costruzione le prime fontane che il fiorente Comune distribuì nei varii punti della città e che assegnò a questi Vicinati perchè ne curassero la manutenzione a totale loro vantaggio.

Il Comune poi non volse solo il suo pensiero a quelli che abitavano entro la cerchia cittadina. Quindi quando nel 1203 permise ai Monaci di Astino di condurre al loro monastero la così detta Aquamorta, fece anche la riserva, che ipsi qui soliti sunt uti ipsa aqua habeant illam usantiam et ius habendi et tollendi et utendi aquam illam ut olim et tunc habebant et tenebant et utebantur386; laonde presso quel monastero essendosi costrutta una fontana, probabilmente a spese del Comune, nello Statuto del 1248 troviamo ordinato che il Podestà teneatur facere refici et meliorari et aptari fontem Vallis Astini que est prope Monasterium s. Sepulcri de Astino, unde vivunt homines ipsius Vallis et de Sudorno, ad expensas illorum quorum interest. Ita quod sufficienter homines illius [p. 139 modifica]montis et vallis possint vivere de ipso387. E qui vediamo entro i confini della vicinanza di S. Grata intervites essersi formata una minore Vicinanza pel mantenimento della fonte comune, alla quale lo Statuto imponeva un tale obbligo, allo stesso modo che gli antichi ammettevano formati i loro pagi intorno al fonte comune, da cui ebbero nome388. Quella ordinanza fu mantenuta in tutti i posteriori Statuti; anzi si pose tale obbligo anche pel mantenimento di una fontana, che si trovava prope Portam de Lurbico, sulla strada di Ponte S. Pietro389. Quella Porta trovavasi ai confini del territorio cittadino, dal che aveva nome390, e non era altro che quello detto oggidì Portone di S. Matteo, che fu edificato nel secondo semestre del 1256 dal podestà Filippo d’Asti.

Nel 1286 la Vicinia di S. Pancrazio fe’ bandire, che non si poteva tener giuoco nella Piazza vicinale391, il che non poteva essere che in conseguenza di prescrizioni del Comune, perchè questo aveva imposto gravissime pene alle Vicinie, che non denunciassero coloro, che si davano a giuochi proibiti392, od anche perchè la Piazza, dalla quale, come vedemmo, la Vicinia traeva un reddito, non venisse ingombrata da coloro, che si abbandonavano a giuochi, [p. 140 modifica]che pure erano permessi, quali il ludus schachi, bastonzelli et paletti393. Ed altri obblighi addossava il Comune ai Consoli delle Vicinie. Così essi dovevano subito denunciare i contravventori se in un funerale si portavano più di quattro croci394; avevano uguale obbligo se nella città o nei dintorni, fino a due miglia, si fossero abbruciate feci per farne polvere395. Solo nella Piazza del Comune doveasi tenere il Mercato delle biade e dei legumi; e quindi i Consoli delle Vicinie erano soggetti ad una pena se avessero permesso, che si fosse aperto un mercato in altro luogo, da quello stabilito dal Comune396; ed anche questa disposizione ebbe vigore sinchè durò il Veneto dominio397.

Le condizioni topografiche della città, così dispersa in tanti centri, aveano avuto, a non dubitarne, una non piccola influenza nel far addossare questi numerosi oneri alle Vicinie, poichè si vede che le autorità del Comune, forse non in tutto a torto, temevano di non poter estendere la loro sorveglianza su ogni punto della disgregata città; per il che a noi venuti dopo si presentano tante analogie fra gli oneri imposti a queste Vicinanze e quelli accollati ai Comuni del contado, in quanto e nelle une e negli altri poteva essere quasi ugualmente sentita la necessità di avere in luogo una rappresentanza, che [p. 141 modifica]ripartisse i fodri, denunziasse le contravvenzioni, ne curasse i particolari interessi, infine rispondesse della quiete pubblica. E questa considerazione parmi resti affermata anche dalle seguenti disposizioni. Perocchè, sia in conseguenza di espropriazioni per debiti, sia per ragioni d’estimi o per qualunque altra causa, i Consoli delle Vicinie, al pari di quelli dei Comuni esterni, appena richiesti da mandato del Podestà o di qualunque altro giudice, doveano indicare e case e terre colle loro coerenze e colla loro superficie, assegnare, a chi eseguiva il mandato, estimatori o persone, che sapessero fornire tutte le indicazioni possibili, quasi si trattasse di enti lontanissimi dalla città; un tale obbligo non cadeva sui Vicini, che quando mancassero i Consoli398. I quali poi aveano inoltre l’obbligo di farsi depositari di pegni o sequestri eseguiti nella loro Vicinanza399. Così, quando per tacita od espressa convenzione, per malizia o per prepotenza d’alcuno, una terra dovea rimanere incolta, il comune o borgo, nel cui territorio fosse situata, era tenuto corrisponderne l’affitto al proprietario; e questo provvedimento, che ci rivela tutta una serie di pregiudizi o di prepotenze, pur troppo più tardi lo vediamo esteso alle nostre Vicinie, mostrandoci come tali fatti fossero possibili entro la città stessa ed i confini del suburbio, sotto gli occhi di quelle autorità, che avrebbero dovuto impedirli400. E la [p. 142 modifica]Vicinia avea così poco a poco preso tale consistenza, che non v’è quasi atto nel quale, accanto al nome della città non sia posto anche quello della Vicinanza in cui era rogato, e il Servitore del Comune, che avesse avuto a pubblicare una grida, dovea nella sua relazione indicare e la contrada, e la Vicinia ove aveva ciò fatto, sotto pena di cinque lire imperiali o di un giorno di catena401.

Era troppo naturale che l’amministrazione della stessa Vicinia, considerata a sè, esigesse le sue spese. L’officio de’ Consoli certo per tutto il secolo decimoterzo era gratuito, perchè non mi avvenne mai nei conti di trovare un cenno sul loro salario; ma coll’andare del tempo anch’essi furono pagati col concorso di tutti i Vicini abitanti entro i confini della Vicinanza, vi fossero o no estimati402. In principio d’ogni anno il Console tesoriere si provvedeva della carta per annotarvi le entrate e le spese, ed ogni conto s’apre con questa appostazione, come, a cagion d’esempio, nel 1283: In primis pro duobus quaternis super quibus scripta sunt receptum et dispendium; e più avanti: item den. 8 imper. (l. 0,97) Iacobo suprascripto per paperios cet.403; nel 1285: item den. 4 imp. (l. 0,49) in uno quaternello paperi (carta bambagina) super quo facebat scribere expensas pro memoria (e negli Atti di S. Pancrazio ne abbiamo di scritti su questa carta); den. 1 (l. 0,12) in carta paperi ad scribendum postas impositas inter vicinos pro necociis ipsius Vicinancie facendis404 e così nei [p. 143 modifica]seguenti. Su questi quaderni poi la entrata e la uscita non era posta l’una di contro all’altra sulle due facciate, ma si cominciava il quaderno, a cagion d’esempio, con una spesa, poi lo si arrovesciava e dal lato opposto vi si inscriveva la entrata. Pagati erano pure i revisori dei conti, o factores racionum, eletti annualmente a rivedere l’operato del Console tesoriere; quindi nel 1283 si trova sol. 3 (l. 4,38) suprascripto Bonacorso pro eius merito et fatiga quam habuit occasione faciendi racionem Savoldey Penchene consuli canevario suprascripte Vicinancie405; così in una assemblea del 1292 si fe’ la proposta, che venisse stabilito il da farsi occasione canevariorum quondam dicte Vicin. qui bona diete Vicin. receperunt et non designaverunt, e passò che si avessero ad eleggere due revisori, che abbiano soldi 10 imp. (l. 14,59) e facciano i conti entro due mesi406. La Vicinia aveva il suo Notaio, che teneva i verbali delle adunanze, e che pure non era gratuito, e inoltre dovea pagare una persona, che desse i tocchi alla campana per raccogliere la Vicinanza, o, come già vedemmo, pel secolo decimoterzo, che si recasse per le case dei Vicini a chiamarli per le guardie notturne e pei funerali. Nel 1291 alla Vicinia di S. Pancrazio occorse un archebancum ad reponendum scripturas, e la spesa relativa ci presenta un nuovo saggio di forme dialettali di quell’epoca, ch’io qui presento allo studio di chi si occupa di questa importante materia. Fra l’altre cose adunque furono pagati sol. 7 et medium imp. (l. 10,95) pro solutione quatuor assidum [p. 144 modifica]de pezzio (abete); sol. 2 imp. (l. 2,92) in una cartaria cum clavatura posita in ipsum archebanchum; den. 20 imp. (l. 2,43) in octo lamis et in quinquaginta clavis parvis od inclodandum ipsas lamas; den. 16 et medium (l. 2) in tribus groppis et claudis parvis, et den. 3 (l. 0,37) in quindecim clodis ad inclodandum orlum super coperculo ipsius archebanchi; et den. 6 (l. 0,73) in ipso orleto; et den. 4 et medium (l. 0,55) in clodis magnis ad inclodandum bredella ipsius archebanchi et cadastas; et den. 6 in ipsis cadastis; et medianum unum (l. 0,06) in una sterlera posita in davi ipsius archibanchi407. Vi erano inoltre molte spese affatto occasionali; per esempio nello stesso anno 1291 si veggono dati den. 4 (l. 0,49) Iohanni qui dicitur Zinonus servitori comunis Pergami qui preconavit vicinos qui se congregarent in ecclesia causa recipiendi Consules novos408; nè saprei perchè quest’unica volta ci si presenti una tale spesa.

Ma per quanto frequenti si trovino questi aggravii, onde non v’era chi movesse due passi o ponesse un po’ d’inchiostro sovra un pezzetto di carta, che la Vicinia non avesse subito a prenderne nota fra le sue spese, essi sono un nulla appetto a quelli, che ci si presentano nella seconda metà del secolo seguente. Già ho accennato ai conti della Vicinia di S. Grata, nei quali più d’una volta, a scusa di non poter soddisfare alle imposte gravezze, si adduce che, appunto per queste, quasi tutti aveano abbandonate le loro abitazioni e s’erano trasportati altrove, lasciando così la Vicinia quasi un deserto. Ne trascriverò [p. 145 modifica]solo alcuni cenni a prova di quello a cui si tenevano obbligate queste Vicinanze. Nel 1372 si dovette pagare il Servitore del Comune, che venne ad intimare agli Officiali delle vettovaglie avessero a presentare i nomi somezatorum revenditorum et piscatorum cet. Nel 1373 il Console pone fra le entrate quanto ricevette a Paxinetto de Russo expensatore magn. d. nostri pro polastris quatuor ei presentatis per soprascriptum Iohannem (il Console) pro adventu prefati magn. d.ni nostri; altrove, nello stesso anno, si trovano pagati i cancellieri del Comune pro presentamento facto ad Canzellariam per Consules cet. obedire volentes cuidam proclamationi facte ex parte d. Potestatis Pergami quod Consules Viciniarum Pergami sub pena capitis deberent se presentare ad Canzellariam cum quatuor ex Vicinis suis occasione adventus magn. Domini nostri et quibus preceptum fuit certas toalias mappas et lectum et alia de quibus possibilitas non erat tunc temporis in dicta Vicinia; poi nuovo pagamento Canzellariis pro quodam cumparimento cuiusdam cride facte die suprascripto (10 Settembre) cet. quod Consules Viciniarum Pergami presentarent ad Canzellariam nuncios tres pro qualibet Vicinia qui ibidem starent paratos si locum haberent facere aliquid pro dicto adventu magn. Domini nostri; datum die 22 Octobr. uni servitori qui precepit quod cras deberent presentare Calcareo de la Volta toalias duas et mappas duas mittendas Morengum occasione adventus magn. Domini nostri; item datum servitori qui precepit quod statim deberent presentare ad Canzellariam duos laboratores pro eundo per civitatem et suburbia ad recipiendum scudellas talieros et alia necessaria [p. 146 modifica]pro adventu magn. Domini nostri; item datum die 20 Novembris in papiro pro faciendo super scribere omnia nomina eorum qui habuerunt canes qui non erant de canibus Domini et eos amazaverunt occasione portandi eos in scriptis ad executionem cuiusdam proclamationis facte de predictis; item datum die 26 Novembris uni nuncio qui precepit ex parte d. Capitanei Pergami quod deberent presentare lectos quatuor furnitos pro dando eos certis stipendiariis409, e così taccio di innumerevoli altre noie e spese, alle quali ho già accennato, di spedire guastatori all’esercito di Mapello e di Valle S. Martino, di fornirne per l’erezione di una bastia sul colle suburbano, che ne conserva il nome, per gettare a terra delle torri, per costruire de’ battifredi nel Prato S. Alessandro, come taccio delle continue richieste di carri, di uomini per guardie, di sacchi per riporvi il pane da inviare all’esercito. E intanto tutte le spese propriamente viciniali sussistevano in tutta la loro intierezza: la manutenzione delle fontane e dei canali, che ad esse portavano le acque; il riparto delle imposte del Comune e delle taglie particolari della Vicinanza, il salario dei Consoli e la quasi interminabile serie di pagamenti a coloro, che prestavano il menomo servizio: il riattamento obbligatorio del molino della Vicinia410 e così di seguito.

Se la Veneta dominazione abbia arrecato un qualche sollievo a questo stato di cose, non mi è possibile dirlo, in quanto non conosco conti di quel periodo, che soli potrebbero dare una soddisfacente risposta a tale investigazione. Imperocchè gli oneri [p. 147 modifica]addossati alle Vicinie non dipendevano tanto da quello che la Legislazione generale del Comune ad esse imponeva, quanto dall’uso che si faceva della massima completamente addottata, che esse fossero o dovessero essere congegni, non solo utili, ma necessari al buon andamento dell’azienda comunale entro la cerchia della città e del suo suburbio; quegli oneri erano il portato di una arbitraria e assurda applicazione dell’ottimo principio, fatto rivivere dalla splendida era dei Comuni, che Io Stato può e deve ottenere dai cittadini quali e quanti sacrifici il bisogno richieda, onde non v’era alcun limite nelle esigenze, alcun determinato confine tra diritti e doveri. Nullanneno vedemmo già un miglioramento rispetto alla manutenzione delle vie, in quanto che nell’ultimo Statuto, in quello del 1493, non solo si abolì il concorso delle Vicinie per quelle che si trovavano fuori delle mura della città e dei borghi, ma venne anche ristretto ai semplici selciati. Inoltre esse non furono più condannate per delitto commesso da un forestiero da un militare entro i loro confini411; che anzi, rispetto alla Vicinanza di Arena, ove si trovava la Cittadella, preventivamente era stato stabilito: salvo quod dieta Vicinia de Arena non teneatur pro aliquibus delictis que comitti contigerit in dicta Citadella412, e lo stesso era dichiarato per la Vicinanza di S. Eufemia ove era la Rocca413. Inoltre furono dichiarate esenti da ogni tassa le denuncie o notifiche fatte dai Consoli delle Vicinie414; poi, perchè nelle contestazioni, [p. 148 modifica]le quali per avventura potessero insorgere tra Vicinia e Vicinia, queste non avessero ad andare incontro ad un cumulo di liti e di spese, fu per esse, come per altri Corpi morali, reso obbligatorio l’arbitrato, quale più spedito e più economico mezzo di risolvere le questioni415. Erano però palliativi, perchè nel giuramento prestato dai fideiussori delle Vicinanze in principio d’anno, dopo enumerati gli obblighi, quali quello di essere fedeli alla Dominazione Veneta, al Podestà, al Comune, di osservarne in lutto i precetti, di denunciare maleficii e rizze, di prendere e consegnare i malfattori, di soddisfare a taglie, condanne, fodri ed oneri, di consegnare gli oppignoramenti loro affidati, si lascia correre anche la clausola, che oltre a tutto questo satisfacient et solvent — quecumque eis imponerentur per magn. d. Potestatem et comune Pergami416. Certamente in tempi più quieti molti degli oneri, che furono sin qui presi in esame, non avranno gravato sulle spalle delle povere Vicinie, e pur troppo i pochi frammenti di Atti a noi pervenuti si rapportano ai tempi più turbolenti per civili discordie e per disordinate signorie; ma d’altra parte non possiamo sapere, se i vantaggi portati da un quieto e tranquillo stato avranno compensate le esigenze nei pubblici servizi fatte vie maggiori col progredire del civile consorzio, e se quindi, per la necessità delle cose o per la forza della consuetudine, anche alle Vicinie non sia toccata qualche parte di più di questi pesi o, se si vuole, di questi fastidii.

Note

  1. Murat. SS. II., 1, 154.
  2. Murat. Antiqu. I, 760.
  3. Hist. Patr. Mon. XIII, 263.
  4. H. P. M. XIII, 274.
  5. Hegel Stor. d. Cost. dei Mun. p. 497 della v. i.
  6. Lupi Cod. Dipl. II, 561.
  7. Lupi II, 565.
  8. Pergamene in Bibl. n. 349.
  9. Lupi II, 1277.
  10. Pergam. in Bibl. n. 542. V. già nel 1148 Romano vecchio diviso in quattro Porte: populus trium portarum inferiorum conveniat ad plebem de Calzo — quarta porta superior vadat ad plebem de Gixalba (Lupi II, 1085); segno che anche ne’ luoghi minori, dove appena esistesse una cerchia murata, la divisione interna per porte si formava spontanea.
  11. Cicer. de Finib. 5. 23.
  12. Sueton. Octav. 30.
  13. Gloss. Lat. in De Vit Lex. s. v. vicinitas.
  14. Marquardt Röm. Staatsv. I, 7 n. 6.
  15. Hegel p. 324 seg.
  16. Corogr. Bergom. p. 225 seg.
  17. Lupi de Parochiis p. 77 seg.
  18. Muratori Antiqu. VI, 361.
  19. Lupi Cod. D. I, 963 seg.
  20. Lupi I, 978 seg.
  21. ap. Lupi de Par. p. 152.
  22. Giulini Mem. stor. II, 362.
  23. Lupi C. D. II, 221 ed anche 267, 343, 361.
  24. Lupi I, 721, 1059, 1061; II, 729 ecc. Pertile, Stor. d. Dir. Ital. II, 1, 18.
  25. Lupi II, 1277.
  26. Stat. Parmae p. 263.
  27. Per es. Cap. Pippini 1 e Capit. Lothar. 20 in Padelletti Fontes pp. 367, 405.
  28. Pertile II, 1, 18.
  29. Pertz Mon. Germ. XVIII, 619.
  30. Murat. SS. VI, 1186.
  31. Cont. Acerbi Mor. in Pertz XVIII, 636.
  32. Stat. an. 1331 ms. 2 § 27 da cfr. coi §§ 33, 34, 35, 36, 37. V. la carta topografica in fine.
  33. Stat. 1331, 2 § 26. Avverto che i brani dello Statuto del 1263, ch’io cito nel corso di questo studio, non ci sono serbati che dallo Statuto del 1331. Sul che vedi l’Append. al mio Perelassi.
  34. Lupi de Par. p. 144 seg.; Ronchetti III. 207; IV, 7.
  35. Celestino Hist. Quadr. I, 485; Calvi Effem. III, 291.
  36. Lupi II, 501.
  37. Lupi II, 977 seg.
  38. Lupi II, 1277.
  39. Lupi de Paroch. p. 150 seg.
  40. Ronchetti III, 207.
  41. Lupi II, 563, 1277.
  42. Ronchetti III, 201, 203.
  43. Lupi II, 1299.
  44. Stat. an. 1331, 2 § 31.
  45. Lupi II, 991, 1043, 1063.
  46. Stat. an. 1248, 12 § 21 in H. P. M. XVI, 2, 1993.
  47. Però il Vicinato di Canale, separato dopo il 1251 da quello di S. Grata, dovette in ultima analisi rispondere alla più antica Vicinia di S. Vigilio, onde qui possiamo seguirne la genesi in questi tre stadii: Vicinia puramente ecclesiastica; Vicinia che provvede alla sicurezza dei fondi; costituzione separata in Vicinia cittadina con tutti gli oneri inerenti.
  48. Mazzoleni lib. B, ms. Λ, II, 7 in Bibl. V. anche Stat. 1248, 9 § 14 col. 1936.
  49. Pergam. in Bibl. n. 400.
  50. Lupi II, 1011 seg.; Ronchetti III, 66 seg.
  51. Stat. 1331, 2 § 48.
  52. Stat cit. 2 § 26.
  53. Stat. cit. § 34.
  54. Stat. cit. § 45.
  55. Stat. cit. § 35.
  56. Stat. 1248, 13 § 51 col. 2017.
  57. Lib. Poter. Brix. fol. 322 v.; cfr. Valentini Il Lib. Pot. p. 87, che va corretto, e questo è tanto più sperabile, in quanto quell’insigne volume andrà riprodotto fra gli H. P. Monumenta.
  58. Corogr. Berg. p. 92: I Mart. d. Ch. di Berg. p. 184.
  59. Ronchetti IV, 237; V, 4.
  60. Stat. 1331, 2 § 42.
  61. Stat. cit. 2 § 26.
  62. Stat. cit. 2 §§ 31-32.
  63. Stat. cit. 2 § 32.
  64. Stat. cit. § 35.
  65. Stat. cit. § 46.
  66. Stat. cit. § 51.
  67. V. la Carta Topografica.
  68. Stat. 1353, 16 § 103 seg.; Stat. 1391, collat. 7 (manca la numerazione dei capitoli)., Mss. in Bibliot.
  69. Stat. 1493 p. 418 seg.
  70. Stat. 1453, 7 §§ 77-98.
  71. Stat. 1493, 12 cc. 1-19 pp. 418 seg.
  72. Stat. cit. p. 490 seg.
  73. Celestino I, 485; Calvi Effem. III, 290 seg.
  74. Relaz. del 1596 p. 154 seg. Ms. prezioso fatto copiare negli Archivi Veneti a cura del Senatore G. B. Camozzi-Vertova, che ben comprese non potere la nostra Biblioteca andarne sfornita.
  75. Rel. cit. pp. 155, 189.
  76. Rel. cit. p. 185.
  77. Stat an. 1248, 12 § 5 col. 1988; v. anche 13 § 50 col. 2014.
  78. Stat. cit. 12 § 5 col. 1987.
  79. Stat. cit. 13 § 50 col. 2014.
  80. Stat. 1453, 2 § 41; Stat. 1493, 2 c. 66 p. 74.
  81. Stat. 1248, 12 § 5 col. 1987.
  82. Acta vic. S. Pancratii fasc. I quaderno 2, presso la Congr. di Carità, cancello 27. Abbreviatamente li citerò sempre Acta, e non altro.
  83. Lib. Pot. Brix. fol. 222 v.
  84. Acta I quad. 3 ecc.
  85. Acta I qu. 7.
  86. Stat. 1433 2 § 41.
  87. Stat. 1493, 2 c. 66 p. 74 seg.
  88. Acta I qu. 3; II qu. 1.
  89. Stat. 1331, 2 §§ 28, 29, 39 ecc.
  90. Lib. Pot. Brix. fol. 322 v. La sua casa spettava al vicinato di S. Cassiano; Stat. 1331, 2 § 47.
  91. Lib. Pot. Brix. 322 r. e v. 323 r.
  92. Stat. 1248, 12 § 5 col. 1987.
  93. V. per es. Acta II, qu. 1 e frequentemente.
  94. Acta cit. passim.
  95. Stat. an. 1353, 12 § 7, ms. in Bibl.
  96. Stat. an. 1248, 12 § 5 in H. P. M. XVI, 2, 1987 seg.
  97. Per es. Stat. di Costozza pp. 14, 15, 17 ecc. 89.
  98. Imbrev. di P. Lanfr-Roca an. 1251 (Arch. Not.); Acta Vic. S. Pancr. I, qu. 3 e passim.
  99. Acta I, qu. 2.
  100. Acta I qu. 3 e sempre.
  101. Acta cit. passim.
  102. Stat. 1493, 2 c. 71 p. 393.
  103. Acta I, qu. 6.
  104. Acta I qu. 3.
  105. Pergam. in Bibl. n. 392.
  106. Acta I qu. 4.
  107. Ibid. qu. 3.
  108. Ibid. qu. 2.
  109. Ibid. qu. 6.
  110. Stat. 1331, 2 §§ 32, 52.
  111. Stat. 1493, 12 c. 1 p. 419. Si ammettono possessi di Vicinie anche ivi 10 c. 32 p. 379.
  112. Acta Vic. S. Gr. in Arch. Cap. cancell. II.
  113. Acta I qu. 7.
  114. Acta a. l. c.
  115. Acta II, qu. 3.
  116. Stat. 1493, 3 c. 31 p. 108.
  117. Acta I qu. 1.
  118. Acta I qu. 8.
  119. Acta ap. Mazzoleni lib. A. Ms. Ψ. V, 8 in Bibl.
  120. Acta I qu. 3.
  121. Acta I qu. 1.
  122. Acta II qu. 2.
  123. Acta a. l. c.
  124. Acta I qu. 3.
  125. Acta I qu. 4.
  126. Stat. di Vert. § 3 p. 5 Rosa.
  127. Stat. 1331, 2 § 36.
  128. Stat. 1331, 2 § 32.
  129. Stat. 1331, 2 § 35.
  130. Stat. 1331, 2 §§ 51, 52.
  131. Stat. cit. § 51.
  132. Stat. 1493, 12 c. 17 p. 445.
  133. Perg. in Bibl. n. 343.
  134. Perelassi p. 33 seg.
  135. Lupi II, 1263.
  136. Ronchetti III, 147.
  137. Stat. 1248, ind. col. 15, §§ 62, 63 col. 2035.
  138. Ronchetti IV, 158.
  139. Acta II, qu. 2.
  140. Acta II qu. 3.
  141. Murat. Antiqu. VI, 449 seg.
  142. Acta I qu. 1.
  143. Acta II qu. 1.
  144. Acta II. qu. 2.
  145. Stat. Cons. s. Michael de Puteo § 15, ms. in Bibl.; Calvi Effem. II, 254.
  146. Murat. Antiqu. VI, 451 seg.
  147. Peregr. Vinea 2. 39; Stat. Consort. cit. § 1.
  148. Stat. Consort. cit. §§ 25, 32.
  149. Calvi Effem. II, 254. Una quitanza del 1337, tra le carte del compianto Tiraboschi, che passarono alla Civ. Biblioteca, accenna al Consorzio vecchio di S. Alessandro in Colonna (Ser. III, n. 76.)
  150. Acta II qu. 1.
  151. Cfr. Capit. Ital. Karoli M. 13 in Padelletti Fontes p. 333.
  152. V. il voto del Lupi II, 1014.
  153. Acta I qu. 6.
  154. Acta II qu. 1.
  155. Acta a. l. c.
  156. Acta a. l. c.
  157. Acta II qu. 2.
  158. Corogr. Berg. p. 460.
  159. Ronchetti IV, 49.
  160. Stat. 1331, 2 § 59.
  161. Stat. 1353, 1 § 73; Stat. 1353, 10 § 48; Stat. 1493, 10 cc. 17, 18 p. 373 seg.
  162. Stat. 1331, 2 § 59.
  163. Acta S. Pancr. I. qu 3.
  164. Acta II qu. 3.
  165. Per esemp. Acta I qu. 3.
  166. Acta cit. passim.
  167. Stat. 1353, 1 § 73; Stat. 1453, 10 § 48; Stat. 1493, 10 cc. 17, 18 p. 373 seg.
  168. Stat. 1248, 13 § 51 col. 2017.
  169. Stat. cit. col. 2017 seg.
  170. Pertile St. d. Dir. It. II, 1, 54, 128.
  171. Su questo punto della nostra storia mi occuperò in altro scritto.
  172. Lib. Pot. Brix. fol. 322 v.
  173. Cfr. Pertile II, 1, 115 seg.
  174. H. P. M. XVI, 2, 2066.
  175. Stat. 1453, 9 § 201; Stat. 1493, 9 c. 26 p. 298.
  176. Capit. Pipp. 8 in Padelletti p. 370.
  177. Stat. 1453, 9 § 201; Stat. 1493, 9 c. 185 p. 342. V. Statuto di Vertova § 47 p. 18.
  178. Stat. 1331, 9 § 36.
  179. Pertile V, 376 seg.
  180. Stat. 1248, 9 §§ 26, 27 col. 1940 seg.
  181. Stat. 1331, 8 § 18.
  182. Cfr. Stat. 1453, 9 § 114 con Stat. 1493, 9 c. 200 p. 347 seg. emendato a p. 478 seg.
  183. Cibrario Econ. Pol. del M. E. I, 196; Pertile V, 386, 644. Così lo lascia ammettere un documento pavese del 1084; Ficker Forschungen III, 470; IV doc. 85.
  184. Stat. 1248, 9 §§ 26, 27 col. 1940
  185. Capit. Karoli M. 15 in Padelletti p. 333.
  186. Ciò risulta evidente confrontando Stat. 1248, 9 § 49 col. 1952 con Stat. 1331, 9 § 32.
  187. Stat. 1331, 9 § 19; Stat. 1453, 9 §§ 58, 59; Stat. 1493 cc. 148, 149 p. 329 seg. e 477; cfr. Stat. 1333 fol. 46 v.
  188. Stat. 1331, a. l. c. e tutti i posteriori.
  189. Acta I qu. 6.
  190. Acta II qu. 3.
  191. Acta in Mazzoleni lib. A ms.
  192. Stat. 1331, 9 § 19.
  193. Stat. 1331, 2 § 39.
  194. Stat. 1453, 9 § 58. Ed anche nello Statuto del 1333 vi ha (fol. 46 v.); et debeat ipsa condemnatio compartiri inter vicinos diete Vicinie per es et libram; dove questa formola fraintesa si deve far rispondere a quella che troviamo nel giuramento della Società del Popolo del 1230; Tallia — imponatur — per libram et secundum facultates hominum (Stat. 1248, 3 § 51 col. 2016).
  195. Acta I qu. 7.
  196. Acta II qu. 3.
  197. Stat. 1453, 9 § 58; Stat. 1493, 9 c. 148 p. 329 seg.
  198. Acta I qu. 2.
  199. Acta a. l. c.
  200. Miscell. fol. 23 v., ms. Ψ IV, 36 in Bibl.
  201. Acta I qu. 3.
  202. Acta I qu. 7.
  203. Arch. Capit. L. 4.
  204. Cfr. Stat. 1248, 9 § 22 col. 1938; Stat. 1331, 9 § 20.
  205. Stat. 1248, 12 § 21 col. 1993 seg. V. sopra p. 17 seg.
  206. Stat. 1248, 12 § 18 col. 1993. Stat. 1331, 8 § 1; 12 § 7.
  207. Stat. 1248, 12 § 22 col. 1994 seg.
  208. Stat. 1453, 3 § 42. Stat. 1493, 10 e 26 p. 378.
  209. Stat. 1493, 4 c. 46 p. 153.
  210. Fragm. Stat. saec. XIII in H. P. M. XVI, 2, 2063.
  211. Acta I qu. 3.
  212. Acta II qu. 3.
  213. Acta a. l. c.
  214. Acta in Mazzoleni lib. A.
  215. Acta Vicin. S. Pancrat., ms. in Bibl. dalla raccolta Tiraboschi. Sono due quaderni, che comprendono il solo primo semestre del 1318. V. la Prefazione.
  216. Arch. Capit. cancell. II.
  217. Mandelli Vercelli II, 161.
  218. Acta II qu. 3.
  219. Stat. 1493, 9 c. 96 p. 315.
  220. Stat. 1453, 10 § 30; Stat. 1493, 10 c. 30 p. 379.
  221. Deliz. d. Er. Toscani, XI, 199. V. i passi in Ric. Malispini cc. 141, 142, 167.
  222. Contin. Ac. Morenae in Pertz Mon. Germ. XVIII, 636. Cfr. Ricotti nelle Mem. della R. Accad. di Torino, S. II, tom. II, 151 seg., 161.
  223. Per es. per Parma v. Salimbene Chron. p. 31 seg. I passi del Continuatore di Acerbo Morena (Pertz XVIII, 636) provano che sotto i vessilli delle Vicinie, si schierava la fanteria cittadina. R. Malispini aa. ll. cc. Però nelle spedizioni a cavallo, o cavalcate, che erano accompagnate esclusivamente da arcieri e balestrieri (Ricotti p. 154; Mandelli II, 153), questi si saranno tagliati in ogni Vicinia, in modo da formare una o più compagnie, ciascuna con propria insegna, come, a cagion d’esempio, a Firenze (Malispini c. 142); alla stessa guisa vedremo in seguito essersi tagliati anche i Guastatores, cioè assegnati in determinato numero ad ogni Vicinia per formarne un corpo da impiegarsi in una data spedizione militare.
  224. Acta in Mazzoleni lib. A.
  225. Cfr. Ronchetti V, 50.
  226. Acta I qu. 2.
  227. Acta I qu. 6.
  228. Chron. Parm. e Malvecii Chron. in Murat. SS. IX, 818; XIV, 959; Pertz XVIII, 707. La condotta dei Bresciani fu in questa occasione abbastanza riprovevole.
  229. Acta I qu. 7.
  230. Acta I qu. 6. Questo fatto confermerebbe la versione degli Annales Parmenses (Pertz XVIII, 707), che i nostri non ebbero a soccombere che per tradimento de’ Bresciani, poichè era punito di morte il gonfaloniere che solo avesse abbassato il suo vessillo (Ricotti p. 153); tanto più se l’avesse perduto fuggendo.
  231. Acta I qu. 7.
  232. Acta in Mazzoleni lib. A.
  233. Acta an. 1318, in Bibl. nella racc. Tir.
  234. Mazzoleni lib. A.
  235. Arch. Miser. carta 241 in Mazzoleni lib. A.
  236. Acta I qu. 4. E la cosa non poteva correre diversamente, se il servizio a cavallo fondavasi sulla entità degli averi del cittadino (Stat. 1248, 9 § 20 col. 1938), e se in ragione di essi era imposto anche il numero di cavalli che ognuno dovea tenere a disposizione del Comune (Pertile II, 1, 405): operationi queste, che doveano avere per base l’estimo, in cui, come vedremo, la Vicinia avea una parte grandissima. V. anche Ricotti, Mem. cit. p. 157, 160 seg.
  237. Acta I qu. 8.
  238. Acta I qu. 9.
  239. Acta II qu. 2.
  240. Acta in Mazzoleni lib. A, ed ivi altri esempi.
  241. Corio II, 250; Murat. Annal. 1372.
  242. Arch. Capit. canc. II.
  243. V. la lettera di Bernabò Visconti a Lodovico Gonzaga del 23 Settembre 1373: Habuimus castrum Mapeli et monasterium Pontide que tenebant inimici nostri cet.; Osio Cod. Dipl. I n. 108.
  244. Giulini VI, 65 seg.; VII, 90 seg. Ricotti Mem. cit. p. 153, 156. Ronchetti IV, 129. Pare che i rurali andassero armati alla leggiera; certo più per difesa che per offesa contro gli eserciti di quel tempo. V. il passo di A. Mussato in Murat. SS. X, 546: Accitis in urbem ruriculis quibus iussa vehiculorum, fundibulariorum, levisque armaturae cet.
  245. Finazzi, del Cod. Dipl. p. 54 dove va corretto extraneis in clericis.
  246. Arch. Capit. D 15.
  247. Arch. Capit. M 3.
  248. Pergam. in Bibl. n. 446.
  249. Stat. 1353, I § 24, ms. in Bibl.
  250. Ronchetti IV, 49.
  251. Ronchetti IV, 75, 78, 81 ecc. Arch. Capit. C 5, L 17; Pergam. in Bibl. nn. 1855, 2213; Lupi Stralci n. 32, ms. in Bibl. Λ, IV, 4.
  252. Mandelli Vercelli II, 98 seg. Veggasi anche Liber Pot. Brix. fol. 126 v., 127, 132 del ms. nella Quiriniana. V. pure Rovelli, Stor. di Como II pag. CLXXVII.
  253. Ronchetti IV, 150 seg. V. anche Osio I nn. 7, 8, 11, 13 e pag. 19 nota 2.
  254. Stat. Novar. § 192 in H. P. M. XVI, I, 656 seg.
  255. Acta I qu. 1.
  256. Acta a. l. c.
  257. Pertile II, 1, 477.
  258. Arch. Capit. C 5. L 17 dove sonvi molte ricevute di fodri.
  259. Perg. in Bibl. n. 1855. La somma di l. 466 s. 13 d. 4 è esattamente la media di tre somme, che complessivamente dieno l. 1400. E la cosa è meglio posta in evidenza nel seguente documento.
  260. Pergam. in Bibl. n. 2213. Tengasi presente, che il catasto generale era fatto in base alle dichiarazioni giurate dei contribuenti (Rovelli II p. CLXXVI; Ronchetti IV, 127; Pertile II, 1, 474 seg.), e che quindi i talliatores fodri, od extimatores, non entravano in campo che quando si trattava del riparto dell’imposta fra i contribuenti d’ogni singolo Comune o di ogni singola Vicinia. Si deve però ammettere una eccezione nel 1203, nel quale anno, stando alla bolla di Innocenzo, il Comune deputò stimatori pro sue voluntatis arbitrio extimantes (Finazzi d. Cod. Dipl. p. 54); il che parrebbe escludere deposizioni giurate delle parti. Non sappiamo come fosse avviato nel 1211 questo catasto generale a Milano (Corio I, 349).
  261. Acta II qu. 3.
  262. Acta I qu. 1.
  263. Acta II qu. 3.
  264. Acta a. l. c.
  265. Un esempio in Celestino Hist. quadr. I, 203.
  266. Mazzoleni lib. A.
  267. Acta in Mazzoleni lib. A.
  268. Acta an. 1318 in Bibl.
  269. Acta I qu. 2.
  270. Acta in Mazzoleni lib. A.
  271. Stat. 1453, 10 c. 22
  272. Stat. 1493, 10 c. 27 p. 378.
  273. Cito per tutti gli abbondantissimi estratti che si trovano nel Mozzi e nell’Angelini, mss. in Bibl. Alcuni di questi libri passarono dalla raccolta Tiraboschi alla Civ. Biblioteca. V. anche Celestino I, 330.
  274. Stat. 1248, 13 § 23; 14 § 14 col. 2007, 2024.
  275. Stat. cit., 14 § 15 col. 2024
  276. Stat. cit. 14 § 14 add. col. 2023 seg.
  277. Arch. Capit. L 2 in Agliardi ms. Λ, III, 11, 4 in Bibl.
  278. Acta II qu. 3.
  279. V. La Convenz. monet. del 1254, p. 93 seg.
  280. Pertile II, 1,444, al quale aggiungi Mandelli II, 96. Nel 1272 a Milano questa gabella era già data in appalto come più tardi da noi; Corio I, 573. Il Verri (Stor. di Mil. I, 418) dice esser questa la prima menzione che si abbia in quella città di una tale gabella; e parrebbe non vi fosse da lungo tempo introdotta, se si credette porre fra gli obblighi del Podestà specificatamente quello di far osservare il contratto di appalto fatto con Marco da Como.
  281. Nello Statuto del 1248 (13 § 43 col. 2012 seg.) i rivenditori di sale sono posti assieme coi rivenditori di legumi e biade. Lo speciale giuramento ad essi imposto (ibi 13 § 42) non si riferisce che all’obbligo di non mischiare le diverse qualità di sale: obbligo che, posto nello Statuto generale del Comune, accenna al libero commercio del sale, non ad una gabella spettante al Comune.
  282. Celestino I, 186 seg.
  283. Annal. Parm. in Pertz XVIII, 743.
  284. Ex membrana Gabel. Magne sign. 15 in Arch. Cremon. Ommetto, perchè inutile in questi cenni, il resto della convenzione.
  285. Venezia forniva a quest’epoca il sale a tutte le città del Veneto e di Lombardia; Pertile II, 1, 443 n. 30. L’averlo però direttamente da essa dipendeva da speciali convenzioni, che non sempre, come vedemmo, era possibile eseguire.
  286. Contract. dacii salis an. 1356, ms. in Bibl. nella raccolta Tir.; Celestino I, 241 seg. V. anche Rovelli Stor. di Como, III, 1,163.
  287. Contract. cit
  288. Celestino a. l. c.
  289. Acta an. 1218 in Bibl. Stemum, indubitatamente corruzione da extimum, riferivasi più propriamente al Sale morto, di cui più sotto. V. p. 111 nota 2.
  290. Celestino I, 242.
  291. Pertile II, 1,444.
  292. Acta ann. 1318.
  293. Contr. cit. e Celestino I, 242, che confuse questo col Sale morto di cui dirò fra breve.
  294. Rovelli III, 1,45.
  295. Castelli Chron. in Murat. SS. XVI, 860, 919, 928 e passim. Cfr. Celestino I, 242.
  296. Mazzoleni lib. A. Lo stesso nel libr. M. p. 24 ci ha lasciato quest’altra indicazione tratta da un documento dell’Arch. della Misericordia (Arm. 17): 1371. Tadeus de Poma condutctor Datii additionis salis vivi quod nuncupatur Datium salis mortui. Il Sale morto si chiamava anche Stemum od extimum. Così negli Stat. Datior. Bergomi An. 1431-58 fol. 43 V.: Et intelligantur cives civit. Pergami quilibet extimati in extimo seu sale mortuo Viciniarum Pergami et suburbiorum Pergami tunc vigente vel in sale seu in aliqua alia talea comunis Pergami facta inter cives. Vi, era dunque differenza fra la taglia del sale, detta semplicemente con questo nome, e la sovrimposizione o additio detta stemum, extimum e sale morto: e qui la differenza è indicata apertamente. V. anche Castelli Chron. col. 952.
  297. Per il contratto del 1356, quando si fosse trattato di Comuni esenti, come Martinengo, Romano o di altri dichiarati tali, la perdita andava totalmente a carico dell’appaltatore. Contract. dacii salis. cit.
  298. Bruciato la sera del 6 Maggio 1360; Memor. Benv. de Bonate.
  299. Mazzoleni lib. A.
  300. Mazzoleni lib. cit. Questa è la prima menzione di Referendario fra noi; cfr. Rovelli III, 1,44.
  301. Stat. Datior Berg. fol. 79; Capitoli del 1441.
  302. Cfr. Capit. Pippini 4; id. Ludov. Pii 33 in Padelletti pp. 368, 396.
  303. Stat. 1248 index coll. 15 § 34 col. 2034.
  304. Stat. 1331, 15 § 43.
  305. Stat. 1248 ind. coll. 15 § 48 col. 2034; Stat. 1331, 15 § 49.
  306. Stat. 1353, 16 § 35 ms.
  307. Stat. cit. 16 §§ 53-81 da completarsi con 15 §§ 36, 50, 52, 53, 57, 58.
  308. Acta I qu. 1.
  309. Acta II qu. 2.
  310. Stat. 1353, 16 § 76.
  311. Acta in Mazzoleni lib. A.
  312. Acta in Mazzoleni lib. cit.
  313. Stat. di Vertova § 105 p. 51 Rosa.
  314. Stat. cit. a. l. c.; Stat. 1353, 16 § 58.
  315. Stat. 1248, 15 § 52 — Stat. 1331, 15 § 54.
  316. Arch. Capit. M. 10.
  317. Acta I qu. 1.
  318. Acta a. l. c.
  319. Stat. 1453, 10 § 18.
  320. Stat. cit. § 19.
  321. Stat. cit. § 103.
  322. Stat. 1493, 8 c. 9 p. 252.
  323. Stat. cit., 8 c. 25 p. 259.
  324. V. Stat. 1493, 8 cc. 27 seg. pp 261 seg.
  325. Acta I qu. 1.
  326. Acta a. l. c.
  327. Acta I qu. 2.
  328. Acta qu. 3.
  329. Stat. 1248, ind. coll. 15 § 56 col. 2035.
  330. Imbrev. nell’Arch. Notarile di Bergamo.
  331. Stat. Parm. p. 98.
  332. Acta I qu. 3.
  333. Acta I qu. 4.
  334. Acta I qu. 6.
  335. Acta a. l. c.
  336. Acta I qu. 9.
  337. Acta II qu. 2.
  338. Acta I qu. 7.
  339. Acta I qu. 1.
  340. Acta I qu. 7 piccolo.
  341. Stat. 1331, 2 § 32.
  342. Stat. cit. 2 § 35.
  343. Stat. cit. 2 § 34.
  344. Stat. cit. 8 § 15.
  345. Per es. Stat. 1453, 10 § 63.
  346. Stat. 1493, 5 c. 74 p. 196.
  347. Stat. cit. 10 c. 10 p. 370 seg.
  348. Stat. 1248, 15 § 10 col. 2041 seg.; Stat. 1331, 15 §§ 10, 11.
  349. Moys. Pergam. vv. 205-262.
  350. Stat. 1248, 15 § 11 col. 2042.
  351. Stat. cit. §§ 12, 15 col. 2043 seg.
  352. Stat. cit. § 16 col. 2044.
  353. Stat. cit. aa. ll. cc.; Stat. 1331, 15 § 17.
  354. Stat. 1248, 15 § 18 col. 2046; così colla Boccola aveano fatto i loro confratelli, che stavano ove è ora il Carmine; Stat. cit. § 12; Stat. 1493, 8 c. 75 p. 280.
  355. Stat. 1248 a. l. c.
  356. V. La Convenz. monet. del 1254, p. 37 seg.
  357. Arch. Capit. H 7 an. 1259; Stat. 1353, 16 § 105.
  358. Celestino I, 476.
  359. Stat. 1493, 8 c. 78 p. 280.
  360. Stat. 1248, 15 § 19 col. 2046 da completarsi con Stat. 1331, 15 § 17.
  361. Stat. 1493, 8 c. 80 p. 281.
  362. Calvi Effem. I. 397: Ronchetti III, 224, che male la rilevarono.
  363. V. la iscriz. trasportata in fianco alla scala della Biblioteca, certo per errore, perchè non appartiene a quelle di S. Agostino.
  364. V. la iscriz. ancora in luogo sotto l’edificio dell’Ateneo.
  365. Acta I qu. 1.
  366. Acta I qu. 3.
  367. Acta I qu. 4.
  368. Si badi a questo nome locale, fin qui sconosciuto, che può aver dato nome alla nostra famiglia cittadina de’ Sorlasco; così essa non sarebbe venuta d’altro contado. V. Cor. Berg. p. 346.
  369. Acta I qu. 9.
  370. Acta II qu. 1.
  371. Acta II qu. 2.
  372. Acta II qu. 2.
  373. Acta II qu. 3.
  374. Stat. 1331, 15 § 39.
  375. Stat. 1453, 8 § 31; Stat. 1493, 8 cc. 74, 80, 93, 94 pp. 279, 281, 285 seg.
  376. Stat. 1453, 8 § 44; Stat. 1493, 8 c. 92 p. 285.
  377. Stat. 1493, 8 c. 93 p. 285 seg.
  378. Calvi Effem. II, 548.
  379. Stat. 1493, 8 c. 73 p. 279.
  380. Stat. cit. 8 cc. 75, 76, 77 p. 280.
  381. Stat. 1453, 8 § 33; Stat. 1493, 8 c. 82 p. 282.
  382. Stat. 1263 in Stat. 1331, 2 § 52.
  383. Cfr. Calvi Effem. I, 140.
  384. Arch. Capit. Filz. H in GG 4; Agliardi ms. Λ, III, 11, 4.
  385. Calvi Effem. I, 140.
  386. Pergam. in Bibl. n. 2491; cfr. n. 2216.
  387. Stat. 1248, ind. coll. 15 § 21 col. 2033 — Stat. 1331, 15 § 40.
  388. Festi Epitom. p. 221 Müll. Servius ad Georg. 2, 381.
  389. Stat. 1453, 8 § 45; Stat. 1493, 8 c. 91 p. 285.
  390. Pergam. in Bibl. n. 434. Si connette con urbicum (sott. territorium) preso in senso generale. Ad urbicum fu premesso l’articolo, come in altri casi consimili (Corogr. Berg. p. 7).
  391. Acta I qu. 3.
  392. Stat. 1331, 8 § 20; Stat. 1493 9 c. 172 p. 337.
  393. Stat. 1331 a. l. c. Cfr. Stat. 1493, a. l. c.
  394. Stat. 1331 7 § 5; Stat. 1333 fol. 52 r.
  395. Stat. 1331 7 § 12; cfr. Stat. Novar. § 145 e Stat. Brix. 1313, 2 § 108. Stat. 1493, 7 c. 195 p. 245.
  396. Stat. 1331, 7 S 51; cfr. Capitul. Karoli M. 52 in Padelletti p. 347.
  397. Stat. 1493, 7 c. 1 p. 207.
  398. Stat. 1453, 8 § 5; Stat. 1493, 3 c. 57 p. 121 seg.
  399. Stat. 1453, 3 § 2; Stat. 1493, 3 c. 22 p. 104.
  400. Stat. 1493, 10 c. 33 p. 379; cfr. Stat. 1453, 9 §. 176. E questo provvedimento era già stato esteso alle Vicinie cittadine prima del 1248 in una aggiunta ad uno Statuto di più antica data; Stat. 1248, 12 § 10 col. 1990.
  401. Stat. 1453, 2 § 45; Stat. 1493, 2 c. 90 p. 86.
  402. Stat. 1453, 2 § 41; Stat. 1493, 2 c. 66 p. 74; 10 c. 37 p. 378.
  403. Acta I qu. 1.
  404. Acta I qu. 2.
  405. Acta I qu. 1.
  406. Acta II q. 1.
  407. Acta II qu. 9.
  408. Acta a. l. c.
  409. Arch. Capit. cancell. II.
  410. Acta Vic. S. Gratae a. l. c.
  411. Stat. 1453, 9 § 203; Stat. 1493, 9 c. 28 p. 209.
  412. Stat. 1453, 7 § 8; Stat. 1493, 12 c. 2 p. 421.
  413. Stat. 1493, 10 c. 10 p. 433.
  414. Stat. cit., 9 c. 237 p. 360.
  415. Stat. 1453, 2 § 46; Stat. 1493, 2 c. 81 p. 79.
  416. Stat. 1453, 10 § 48; Stat. 1493, 19 c. 18 p. 374.