Leonardo da Vinci/Capitolo 2 - Studi vari, talenti di ogni genere, profondo sapere, genio universale

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Capitolo 2 - Studi vari, talenti di ogni genere, profondo sapere, genio universale

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Capitolo 2 - Studi vari, talenti di ogni genere, profondo sapere, genio universale
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CAPITOLO II.


Studi vari, talenti di ogni genere, profondo sapere, genio universale.


Leonardo ballava bene e con eleganza, e riusciva nelle varie ginnastiche; niuno lo superava in tutti gli esercizi del corpo: era eccellente schermitore, nuotatore, e maneggiava con somma facilità e destrezza i più focosi [p. 7 modifica]cavalli; infine, egli era eccellente in tutti gli esercizi cavallereschi. Cantava egregiamente ed improvvisava sopra una lira di argento, di forma di teschio di cavallo, che egli stesso aveva immaginata, e da cui traeva i più armoniosi suoni. Egli si era pure internato nella scienza musicale, essendo versato nelle matematiche e nella fisica. Amava passionatamente la poesia, nella quale pure si distinse con componimenti eleganti e pieni d’idee ingegnose. Spesso, nei geniali convegni, improvvisava versi e musica.

Niuno il Vinci trascurò di tutti i rami delle arti del disegno, e delle scienze, che concorrono al perfezionamento della pittura. Molte prove ci ha lasciate del suo grande sapere nell’aritmetica (scienza allora nuova), nella geometria, nella fisica, storia naturale, chimica, notomia, meccanica, idraulica. Leonardo fu pure valentissimo nell’architettura civile e nell’architettura militare, nell’arte di modellare le figure, in plastica, in gettare in bronzo, in iscultura: ciò che prova che avrebbe potuto essere un grande scultore, esercitandosi, come fu pure un abilissimo incisore.

Ma tra gli studi, quelli per cui dimostrava più costante inclinazione, ed una maggior assiduità, si fu il disegno, e le arti tutte che ne dipendono. — Ser Piero, tanto per secondare l’inclinazione del figliuolo, quanto per istradarlo in un’arte onorevole e lucrosa, dopo di essersi consigliato con messer Andrea da Verrocchio, valente pittore, scultore ed architetto a quei dì, a lui stesso diello perchè nell’arte del disegno lo istruisse. 1

Seco il prese a discepolo messer Andrea, e poichè ne vide i maravigliosi progressi, per vieppiù animarlo allo studio ed alla diligenza, mentre stava dipingendo una tavola, in cui san Giovanni battezzava il Salvatore, volle che Leonardo in quel lavoro avesse parte; e questi vi dipinse un Angiolo che teneva alcune vesti: «e benchè [p. 8 modifica]fosse giovanetto, dice Vasari, lo condusse di tal maniera, che molto meglio delle figure d’Andrea stava l’Angiolo di Leonardo; il che fa cagione che Andrea mai più non volle toccar colori; sdegnatosi che un fanciullo ne sapesse più di lui.»2



Note

  1. [p. 49 modifica]Andrea Verocchio nacque in Firenze nel 1488, e morì in età di 56 anni. — Questo celebre artista possedeva vari talenti, e riuscì in tutte le arti del disegno. Egli era valente pittore, scultore in marmo ed in bronzo, architetto, modellatore, geometra, orefice, intagliatore. — Inoltre, possedeva l’arte di fondere e di colare i metalli, e di più era abilissimo nella musica. Colpiva a maraviglia la somiglianza delle cose; fu inventore e mise in voga la maniera di fare l’effige in forma di gesso dei morti e dei vivi per cavarne i ritratti, arte che dava la certezza della somiglianza, non potendo essere più precisa. Nello scolpire in bronzo, il Verocchio fu considerato al pari del Ghiberti e del Donatello. Egli molto studiava, e quasi in tutto riusciva egregiamente, sussidiato da un ingegno esteso, pieghevole, versatile. I critici trovano una certa qual durezza nei suoi dipinti, e non felice il colorito, ma dotto e corretto è il suo disegno; disegnava con grazia e venustà le teste, principalmente quelle di donne. Moltissime ne disegnò a penna, la quale maneggiava con franchezza ed assai bene. Sommamente stimati sono questi disegni, e gareggiano con i più corretti e diligenti dei disegnatori del secolo d’oro della pittura. Il Verocchio non contentavasi della somiglianza delle cose, voleva approfondirle, quindi spesso, a quest’uopo, faceva esperienze matematiche. Siccome egli benissimo eseguiva cavalli, e maestro era nell’arte, come dicemmo, di fondere e di colare metalli, i Veneziani vollero servirsi dell’opera sua, per erigere una [p. 50 modifica]statua equestre di bronzo, a Bartolomeo Coleone di Bergamo, al quale erano debitori dei successi delle loro armi. Questa statua, che fu l’ultima opera dell’autore, trovasi in Venezia nella piazza dei Santi Giovanni e Paolo. Verocchio ne fece il modello di cera in grande; ma, un altro artefice essendogli stato preferito per fondere l’opera, ne concepì tanto dispetto che ruppe la testa e le gambe al suo modello e se ne fuggì. Il Senato di Venezia lo fece inseguire inutilmente. La voce essendosi sparsa, che se lo si prendeva gliene costerebbe, egli fece rispondere a questa minaccia, che se a lui fosse troncato il capo, sarebbe impossibile fargliene un altro, in vece che poteva facilmente fare al modello del suo cavallo una nuova testa più bella ancora della prima. Questa risposta fece fare la pace, ma non ebbe il piacere di porre il cavallo al suo posto, poichè avendo preso un riscaldo nel fonderlo, gli sopravvenne una ploresia, di cui morì nel 1544. Onorarono l’arte e la memoria del Verocchio i suoi celebri allievi Leonardo da Vinci e Pietro Perugino, i quali ebbero dal loro maestro i mezzi di superarlo. Anche Agostino Caracci fu uno di quei genii universali che la sola Italia sembra avere il privilegio di produrre. Oltre quello della pittura, egli possedeva tutti i talenti. Una delle sue principali occupazioni era il comporre delle poesie, le quali non la cedevano in merito a quelle dei più stimati poeti suoi contemporanei. Sarebbe troppo lungo lo annoverare tutti gli artisti italiani che hanno saputo tenere in pari tempo il pennello e la lira. Leonardo e Raffaello alcune volte, onde sollevarsi dai loro serii e faticosi lavori, sacrificavano alle Muse; scrissero pure classiche poesie il Buonarotti, Lorenzo Lippi, Leon Battista Alberti, Benvenuto Cellini, Salvatore Rosa; e parecchi altri grandi artisti si distinsero anco come poeti; ma già la poesia è pure una pittura.
  2. [p. 50 modifica]Pietro Perugino pittore di molto merito, fu pure discepolo dello stesso Andrea Verocchio; sarebbe in più alta stima, se non si fosse trovato in rivalità di talento con il Vinci e se non fosse stato ecclissato dal talento e dal genio di Raffaello, di cui ebbe l’onore di essere il primo maestro.