Lettere (Machiavelli)/Lettera CXLIV a Francesco Vettori

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Lettera CXLIV a Francesco Vettori

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A FRANCESCO VETTORI Magnifico oratori fiorentino Francesco Vectorio apud S. Pontificem suo ab.mo Romae

Magnifico oratore. Io hebbi una vostra lettera dell’altra settimana, et sono indugiatomi ad hora a farvi risposta, perchè io desideravo intendere meglio il vero di una novella che io vi scriverrò qui da piè:poi risponderò alle parti della vostra convenientemente. Egli è accaduto una cosa gentile, o vero, a chiamarla per il suo diritto nome, una metamorfosi ridicola, et degna di esser notata nelle antiche carte.Et perchè io non voglio che persona si possa dolere di me, ve la narrerò sotto parabole ascose. Giuliano Brancacci, verbigrazia, vago di andare alla macchia, una sera infra l’altre ne’ passati giorni, sonata l'Ave Maria della sera, veggendo il tempo tinto, trarre vento, et piovegginare un poco, tutti segni da credere che ogni uccello aspetti, tornato a casa si cacciò in piedi una paio di scarpette grosse, cinsesi un carnaiuolo, tolse un frugnuolo, una campanella al braccio, et una buona ramata. Passò il ponte della Carraia, et per la via del Canto de’ Mozzi ne venne a Santa Trinita, et entrato in Borgo Santo Appostolo, andò un pezzo serpeggiando per quei chiassi che lo mettono in mezzo; et non trovando uccelli che lo aspettassino, si volse al vostro battiloro, et sotto la Parte Guelfa attraversò Mercato, et per Calimala Francesca si ridusse sotto il Tetto de’ Pisani, dove guardando tritamente tutti quei ripostigli, trovò un tordellino, il quale con la ramata et il lume, et con la campanella fu fermo da lui, et con arte fu condotto da lui nel fondo del burrone sotto la spelonca, dove alloggiava il Panzano, et quello intrattenendo et trovatogli la vena larga, et più volte baciatogliene, gli risquittì dua penne della coda, et in fine, secondo che li più dicono, se lo messe nel carnaiuolo di dietro.