Lettere (Machiavelli)/Lettera IV a Francesco Vettori

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Lettera a Francesco Vettori

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Lettera a Francesco Vettori
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Magnifico viro Francisco Victorio oratori florentino apud Summum Pontificem, patrono et benefactori suo.

Rome.

Magnifico oratore. Sabato passato vi scrissi, et, benché io non habbia che dirvi né che scrivervi, non ho voluto che passi questo sabato che io non vi scriva.

La brigata, che voi sapete quale è, pare una cosa smarrita, perché non ci è colombaia che ci ritenga, et tutti i capi di essa hanno hauto un bollore. Tomaso è diventato strano, zotico, fastidioso, misero, di modo che vi parrà alla tornata vostra trovare uno altro huomo; et vi voglio dire quel che mi è intervenuto. E' comperò della settimana passata sette libre di vitella, et mandolla a casa Marione. Dipoi, per parerli havere speso troppo, et volendo trovare chi concorresse alla spesa, andava limosinando chi vi andasse a desinare seco. Pertanto, mosso da compassione, vi andai con dua altri, i quali gli accattai ancora io. Desinamo, et venendo al fare del conto toccò 14 soldi per uno. Io non ne havevo allato se non dieci: restò havere da me 4 soldi; et ogni dì me li richiede, et pure hiersera ne fece quistione meco in sul Ponte Vecchio. Non so se vi parrà che gl'habbia il torto; ma questa è una favola all'altra cosa che fa.

A Girolamo del Guanto morì la moglie, et stette 3 o 4 dì come un barbio intronato: dipoi è rinvizzolito, et rivuol tòrre donna, et ogni sera siamo in sul panchino de' Capponi a ragionare di questo sponsalitio. El conte Orlando è guasto di nuovo d'un garzone raugieo et non se ne può haver copia. Donato ha aperto un'altra bottega del corno dove faccino le colombe, et va tutto dì dalla vecchia alla nuova et sta come una cosa balorda, et hora se ne va con Vincenzio, hora con Piero, hora con quello suo garzone, hor con quell'altro; nondimento io non ho mai veduto che sia adirato col Riccio. Non so già donde questo nasca; alcuno crede che sia più a suo proposito, alcun altro che la sorte; io per me non ne saprei cavare construtto. Philippo di Bastiano è tornato in Firenze, e duolsi del Brancaccino terribilmente, ma in genere, et per ancora non è venuto ad alcuno particulare: venendovi, ve ne aviserò, acciò possiate advertirlo.

Però se alcuna volta io rido o canto,
Follo perché io non ho se non questa una
Via da sfogare il mio acerbo pianto.

Se gli è vero che Jacopo Salviati et Matteo Strozzi habbino hauto licentia, voi rimarrete costì persona publica; et poiché Jacopo non vi rimane, di questi che vengono io non veggo chi vi possa rimanere, et mandarne voi; di modo che io mi presuppongo che voi starete costì quanto vorrete. La Magnificenzia di Giuliano verrà costì, et troverretela volta naturalmente a farmi piacere; el cardinale di Volterra quello medesimo; di modo che io non posso credere, che essendo maneggiato il caso mio con qualche destrezza, che non mi riesca essere adoperato a qualche cosa, se non per conto di Firenze, almeno per conto di Roma et del pontificato; nel qual caso io doverrei essere meno sospetto; et come io sappia che voi siate fermo costì, et a voi paia, ché altrimenti non sono per muovermi, et potendo senza incorrere qua in pregiuditii, io me ne verrei costì; né posso credere, se la S.tà di Nostro Sig.re cominciasse a adoperarmi, che io non facessi bene a me, et utile et honore a tutti li amici mia.

Io non vi scrivo questo, perché io desideri troppo le cose, né perché io voglia che voi pigliate per mio amore né un carico, né uno disagio, né uno spendio, né una passione di cosa alcuna; ma perché voi sappiate l'animo mio, et, potendomi giovare, sappiate che tutto il bene mio ha ad essere sempre vostro et della casa vostra, dalla quale io riconosco tutto quello che mi è restato.

A dì 16 d'aprile 1513.

Niccolò Machiavelli in Firenze.