Lettere (Machiavelli)/Lettera XXII a Francesco Vettori

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Lettera a Francesco Vettori

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Lettera a Francesco Vettori
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Magnifico oratori florentino Francisco Vittorio apud Summum Pontificem.

Romae.

Magnifico oratore. Poiché voi mi havete messo in zurlo, se io vi straccherò con lo scrivere, dite: Habbimi il danno, ché gli scrissi. Io dubito che non vi paressi nella risposta che io feci a' quesiti vostri, che io passassi troppo asciutto quella parte della neutralità; et così quella dove io haveva a disputare quello dovessi temere dal vincitore, quando quella parte a chi e' si adherisse perdesse; perché nell'una et nell'altra pareva da considerare molte cose. Però io mi sono rimesso a riscrivervi sopra quella medexima materia. Et, quanto alla neutralità, il quale partito mi pare sentire approvare da molti, a me non può piacere, perché io non ho memoria, né in quelle cose che ho vedute, né in quelle che ho lette, che fosse mai buono, anzi è sempre suto pernitiosissimo, perché si perde al certo; et benché le ragioni voi le intendiate meglio di me, pure io ve le voglio ricordare.

Voi sapete che l'ofizio principale di ogni principe è guardarsi dallo essere odiato o disprezzato, fugere in effetto contemptum et odium: qualunque volta e' fa questo bene, conviene che ogni cosa proceda bene. Et questa parte bisogna osservarla così nelli amici come ne' sudditi; et qualunque volta un principe non fugit saltem contenptum, egli è spacciato. A me pare che lo stare neutrale intra due che combattono, non sia altro che cercare di essere odiato et disprezzato, perché sempre uno di quelli vi fia che li parrà che tu sia, per li beneficii ricevuti da lui, o per antica amicizia tenuta seco, obbligato a seguire la fortuna sua, et quando tu non te li adherisci, concepe odio contro di te. Quello altro ti disprezza, perché ti scuopre timido et poco risoluto, et subito pigli nome di essere inutile amico et non formidabile inimico; di modo che qualunque vince ti offende senza rispetto. Et Tito Livio in due parole nella bocca di Tito Flamminio dà questa sentenzia, quando disse alli Achei, che erano persuasi da Antioco a stare neutrali: « Nichil magis alienum rebus vestris est; sine gratia, sine dignitate premium victoris eritis ». È necessario, ancora, che, nel maneggiarsi la guerra infra quelli due, naschino infinite cagioni d'odio contro di te; perché il più delle volte il terzo è posto in lato, che può in molti modi disfavorire et favorire hor l'uno hor l'altro. Et sempre in poco tempo, dal di che la guerra è appiccata, tu se' condotto in termine, che quella declarazione che tu non hai voluto fare apertamente et con grazia, tu sei costretto a farla segretamente, et senza grado; et quando tu non la faccia, si crede per qualunque di loro che tu l'habbia fatta.

Et quando la fortuna fosse tanto prospera in favore del neutrale, che, maneggiandosi la guerra, non nascesse mai cagioni giuste di odio con alcuno di loro, conviene che naschino poi, finita la guerra, perché tutti gli offesi da quello che è suto terzo, et tutti i paurosi di lui ricorrendo sotto al vincitore, gli danno cagione di odio et di scandolo seco. Et chi replicasse che il papa, per la reverenzia della persona et per l'autorità della Chiesa, è in un altro grado, et harà sempre refugio a salvarsi, risponderei che tal replica merita qualche consideratione, et che vi si può fare su qualche fondamento: nondimanco e' non è da fidarsene, anzi credo che, a volersi consigliare bene, non sia da pensarvi, perché simile speranza non facesse pigliare tristo partito; perché tutte le cose che sono state io credo che possano essere; et io so che si sono visti de' pontefici fuggire, exiliare, perseguitare, et extrema pati, come e signori temporali, et ne' tempi che la Chiesa nello spirituale haveva più riverenza che non ha hoggi. Se la Santità dunque di Nostro Signore penserà dove sieno posti li stati suoi, chi sono coloro che combattino insieme, chi sieno quelli che possono rifuggire sotto al vincitore, io credo che sua Santità non potrà punto riposarsi in su lo stare neutrale, et che la penserà che per lei si faccia più adherirsi in ogni modo; si che, quanto alla neutralità, a dichiararla più largamente che l'altra volta, io non vi ho da dire altro. Et quanto a quello che potesse temere da chi vincesse et superasse quella parte con chi e' si accostasse, non ne dirò altro, perché di sopra è detto tutto.

Io credo che vi parrà per la mia lettera che io vi scrissi, che io habbia penduto da Francia, et che chi la leggesse potrebbe dubitare che l'affectione non mi portasse in qualche parte; il che mi dispiacerebbe, perché io mi ingegnai sempre di tenere il giudizio saldo, maxime in queste cose, et non lo lasciare corrompere da una vana gara, come fanno molti altri: et perché, se io ho alquanto penduto da Francia, e' non mi pare essere ingannato, io voglio di nuovo discorrervi in brievi parole quello che mi muove, che sarà quasi uno epilogo di quello che io vi scrissi. Quando due potenti contendono insieme, a volere giudicare chi debbe vincere, conviene, oltre al misurare le forze dell'uno et dell'altro, vedere in quanti modi può tornare la vittoria all'uno et in quanti all'altro. A me non pare che per la parte di qua ci sia se non venire a giornata subito, et per la parte di Francia ci siano tutti li altri maneggi, come largamente vi scrissi. Questa è la prima cagione che mi fa credere più a Francia che a costoro. Appresso, se io mi ho a dichiarare amico dell'uno de' dua, et io vegga che, accostandomi ad uno, io gli dia la vettoria certa, et accostandomi con l'altro, gliene dia dubbia, credo che sarà sempre da pigliare la certa, posposto ogni obbligo, ogni interesso, ogni paura, et ogni altra cosa che mi dispiacesse. Et io credo che, accostandosi il papa a Francia, non ci sarìa disputa; accostandosi a questi altri, ce ne sarebbe assai per quelle ragioni che allhora scrissi. Oltre di questo, tutti gli huomini savii, quando possono non giucare tutto il loro, lo fanno volentieri; et, pensando al peggio che ne può riuscire, considerano nel male dove è manco male; et perché le cose della fortuna sono tutte dubbie, si accostano volentieri a quella fortuna che, faccendo il peggio che la sa, habbia il fine suo meno acerbo. Ha la Santità di Nostro Signore due case, l'una in Italia, l'altra in Francia. Se la s'accosta con Francia la ne giuoca una, se con questi altri la le giuoca tutte a dua. Se la è nimica a Francia et quello vinca, è constretta a seguire la fortuna di questi altri, et ire in Svizzerìa a morirsi di fame, o nella Magna a vivere disperato, o in Spagna ad essere espilato et rivenduto. Se si acosta con Francia et perda, rimangli Francia, resta in casa sua, et con un regno a sua divotione che è un papato, et con un principe che, o per accordo o per guerra, può in mille modi resurgere. Valete. Et mille volte a voi mi raccomando.

Die XX Decembris MDXIIII.

Niccolò Machiavegli in Firenze.