Lettere (Machiavelli)/Lettera X a Francesco Vettori

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Lettera a Francesco Vettori

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Lettera a Francesco Vettori
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Magnifico viro Francisco Victorio oratori Romae apud Summum Pontificem.

Signore ambasciadore. Questa vostra lettera de' 20 mi ha sbigottito, perché l'ordine di essa, la moltitudine delle ragioni, et tutte le altre sue qualità mi hanno in modo implicato, che io restai nel principio smarrito et confuso; et se io non mi fossi nel rileggerla un poco rassicurato, io davo cartaccia, et rispondevovi a qualche altra cosa. Ma nel praticarla mi è intervenuto come alla volpe, quando la vedde il leone, che la prima volta fu per morire di paura, la seconda si fermò a guardarlo drieto ad un cespuglio, la terza gli favellò; et così io, rassicuratomi nel praticarla, vi risponderò.

Et quanto allo stato delle cose del mondo io ne traggo questa conclusione: che noi siamo governati da così fatti principi, che hanno, o per natura o per accidente, queste qualità: noi habbiamo un papa savio, et per questo grave et rispettivo; uno imperadore instabile et vario; un re di Francia sdegnoso et pauroso; un re di Spagna taccagno et avaro; un re di Inghilterra ricco, feroce et cupido di gloria; e Svizzeri, bestiali, vittoriosi et insolenti; noi altri di Italia poveri, ambitiosi et vili; gli altri re, io non li conosco. In modo che, considerato queste qualità con le cose che di presente corrono, io credo al frate che diceva « Pax, pax, et non erit pax », et cedovi che ogni pace è difficile, così la vostra come la mia. Et se voi volete che nella mia sia più difficultà, io sono contento; ma io voglio che voi ascoltiate patientemente dove io dubito che voi vi inganniate, et dove e' mi pare essere certo che voi vi inganniate. Dove io dubito è prima, che voi facciate questo re di Francia nonnulla troppo presto, et questo re di Inghilterra una gran cosa. A me non pare ragionevole che Francia non habbia più, che diecimila fanti, perché del paese suo, quando non habbia Tedeschi, ne può fare assai, et se non sono pratichi come i Tedeschi, sono pratichi come gli Inghilesi. Quello che me lo fa credere è che io veggo questo re di Inghilterra con tanta furia, con tanto exercito, con tanta voglia di sbarbicolarlo (come dicono i Sanesi) non havere ancora preso Tarroana, un castello come Empoli, in sul primo assalto, et ne' tempi che le genti procedono con tanta furia questo solo a me basta a non temere tanto Inghilterra, et non stimare sì poco Francia. Et penso io che questo procedere lento di Francia sia electione et non paura, perché gli spera, non pigliando Inghilterra piede in quello stato, et venendone il verno, che sia forzato o a tornarsi nell'isola, o a stare in Francia con pericolo. Sento che quelli luoghi sono paludosi et senza uno arboro, di modo che debbono di già patire assai: et però credevo io che non fosse tanta fatica al papa et a Spagna disporre Inghilterra. Appresso, non havere voluto Francia renunziare al Concilio mi fa stare in quella oppinione di sopra detta, perché, se fosse tanto afflitto, egli harebbe bisogno di ognuno, et vorrebbe star bene con ognuno.

Delli danari che Inghilterra ha mandato a' Svizzeri, io lo credo, ma per le mani dello imperadore io me ne maraviglio, perché io crederrei che gli havessi voluti spendere ne' sua, et non ne' Svizzeri. Et non posso assettarmi nel capo come questo imperadore sia sì poco considerato, o il resto della Magna sì straccurato, che possino patire che li Svizzeri venghino in tanta reputatione. Et quando io veggo che gli è in fatto, io triemo a giudicare una cosa, perché questo interviene contro ad ogni giuditio che potesse fare uno huomo. Non so anco come possa essere che i Svizzeri habbino potuto havere il castello di Milano et non lo voluto, perché a me pare che, havendo quello, egli havessino la intentione loro fornita; et che dovesse più tosto fare quello, che andare a pigliare la Borgogna per lo imperadore. Dove io credo che voi vi inganniate al tutto, è ne' casi de' Svizzeri, circa il temerne più o meno. Perché io giudico che se ne habbia a temere eccessivamente; et il Casa sa, et molti amici mia, con i quali soglio ragionare di queste cose, sanno, come io stimavo poco e Vinitiani, etiam nella maggior grandezza loro, perché a me pareva sempre molto maggior miracolo che eglino havessino acquistato quello imperio et che lo tenessino, che se lo perdessino. Ma la rovina loro fu troppo honorevole, perché quello che fece un re di Francia harebbe fatto un duca Valentino, o qualunque capitano existimato, che fosse surto in Italia, et havesse comandato a 15 mila persone. Quel che mi moveva era il modo del proceder loro senza capitani o soldati proprii. Hora quelle ragioni, che non mi facieno temere di loro, mi fa temere de' Svizzeri. Né so quello si dica Aristotile delle republiche divulse; ma io penso bene quello che ragionevolmente potrebbe essere, quello che è, et quello che è stato; et mi ricorda havere letto che i Lucumoni tennono tutta l'Italia insino all'Alpe, et insino che ne furono cacciati di Lombardia da' Galli. Se gli Etoli et gli Achei non ferno progresso, nacque più da' tempi che da loro, perché gli hebbono sempre addosso un re di Macedonia potentissimo che non gli lasciò uscire del nidio, et, doppo lui, e Romani; sì che e' fu più la forza d'altri, che l'ordine loro, che non li lasciò ampliare. Or e' non vogliono fare sudditi, perché non vi veggono dentro il loro: dicono così hora, perché non ve lo veggono hora; ma, come io vi dissi per l'altra, le cose procedono gradatim, et spesso gli huomini si inducono per necessità a fare quello che non era loro animo di fare, et il costume delle populationi è ire adagio. Considerato dove la cosa si truova, eglino hanno già in Italia tributarii un ducato di Milano et un papa; questi tributi e' gli hanno messi ad entrata, et non ne vorranno mancare, et quando e' venga tempi che uno ne manchi, la reputeranno ribellione, et sieno di fatto in su le picche, et vincendo la gara, penseranno d'assicurarsene, et, per far questo, metteranno più qualche briglia a chi gli haranno domo, et così a ppoco appoco vi entrerrà tutto.

Né vi fidate punto di quelle armi che voi dite che in Italia potrebbono pure un dì fare qualche frutto, perché questo è impossibile: prima, rispetto a loro, che sarebbono più capi et disuniti, né si vede che si potesse dare loro capo che gli tenesse uniti; secondo, rispetto a' Svizzeri. Et havete a intendere questo, che gli migliori exerciti che sieno, sono quelli delle populationi armate, né a loro può obstare se non exerciti simili a loro. Ricordatevi delli exerciti nominati; troverrete Romani, Lacedemonii, Atheniesi, Etoli, Achei, sciami d'oltramontani, et troverrete coloro che hanno fatto gran fatti, havere armati le popolationi loro, come Nino gli Assirii, Ciro i Persi, Alessandro i Macedoni. In exemplis ritruovo solo Annibale et Pirro, che con exerciti collettitii feciono gran cose. Il che naccque dalla eccessiva virtù de' capi, et era di tanta reputatione, che metteva in quelli exerciti misti quel medeximo spirito et ordine che si truova nelle popolationi. Et se voi considerate le perdite di Francia et le vittorie sue, voi vedrete lui havere vinto mentre ha havuto a conbattere con Italiani et Spagnuoli, che sono stati exerciti simili a' suoi; ma hora che li ha a combattere con le popolationi armate, come sono li Svizzeri et li Inghilesi, ha perduto et porta pericolo di non perdere più. Et questa rovina di Francia per li huomini intendenti sempre si è vista, giudicandola da non havere lui fanti proprii, et havere disarmati i suoi popoli: il che fu contro ad ogni attione et ogni instituto di chi è stato tenuto prudente et grande. Ma questo non è stato defetto de' reali passati, ma del re Luigi, et da lui in qua. Sì che non vi fondate in su armi italiane, che non sieno o semplice come le loro, o che, miste, faccino un corpo come il loro.

Et quanto alle divisioni o disunioni che voi dite, non pensate che le faccino effetto, in mentre che le loro leggi si osserveranno, che sono per osservarle un pezzo; perché quivi non può essere, né surgere capi che habbino coda, et li capi senza coda si spengono presto et fanno poco effetto. Et quelli che gli hanno morti, sarà stato qualcuno che in magistrato, o altrimenti harà voluto per modi estraordinarii favorire le parti franzesi, che sieno suti scoperti et morti, ché non sono là di altro momento nello stato che qua, quando si impicca parecchi per ladro. Io non credo già che faccino uno imperio come e Romani, ma io credo bene che possino diventare arbitri di Italia per la propinquità et per li disordini et cattive conditioni nostre; et perché questo mi spaventa, io ci vorrei rimediare, et se Francia non basta, io non ci veggo altro rimedio et voglio cominciare hora a piangere con voi la rovina et servitù nostra, la quale, se non sarà né hoggi né domane, sarà a' nostri dì; et l'Italia harà questo obbligo con papa Giulio et con quelli che non ci rimediono, se hora ci si può rimediare. Valete.

Addì 26 d'Agosto 1513, in Firenze.

Niccolò Machiavelli.