Matematica allegra/5

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Il famoso Pi Greco (π)

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Il pi greco è uno degli elementi geometrici piú noti e, direi, piú popolari fra la grande folla degli scolari. Come ognun sa, avendolo appreso in 4a o in 5a elementare, si indica con tal segno il rapporto fra la circonferenza di un cerchio e il suo diametro. La regoletta relativa si esprime, lo sapete tutti, cosí: la circonferenza si ottiene moltiplicando il diametro per π ossia per 3,14.

Questo pi greco o 3,14 che dir si voglia, è uno dei numeri che piú hanno dato da studiare ai matematici di tutte le epoche. Moltissimi, nel passato avevano trovato valori approssimativi; ma solamente in epoca recente si riuscì a dare del π: un valore molto approssimato. Perché tanto per capirci subito, il numero che π rappresenta è sempre e solamente un numero approssimato: la sua parte decimale che comincia col 14, non ha mai fine. Ogni decimale in piú che i matematici riescono ad aggiungere alla lunga teoria, dà al π un valore di maggiore approssimazione, ma per quante cifre noi aggiungiamo nessuna di esse sarà mai l’ultima. E tenete presente che a nessun punto della lunga serie si troveranno gruppi o periodi di numeri che si ripetano: π non è un numero periodico. Questi tipi di numeri decimali non periodici, la cui parte decimale non ha fine, si dicono numeri irrazionali: gli studenti della 2a media ne conoscono molti altri: √2, √3, √5, ecc... sono tutti numeri decimali non periodici, la cui parte decimale non ha fine. Sono numeri, insomma, che si possono avere solo per approssimazione.

Per il π, nelle scuole si usa il valore 3,14, nel quale l’errore in meno è minore di un centesimo; nei calcoli pratici della vita, si usa il valore 3,1416, nel quale l’errore in più è minore di un centomillesimo. È evidente che l’errore di 3,14 rispetto al piú approssimato 3,1416 è di 0,0016 in meno, che è evidentemente minore di 0,0100 ossia di un centesimo; e l’errore di 3,1416 rispetto al piú approssimato 3,141592 è di 0,000008 in più, che è evidentemente minore di 0,000010, ossia di un cento millesimo, e cosí via.

È chiaro che il cerchio ebbe la sua importanza già nella primitiva vita dei tempi lontanissimi. L’orizzonte che girava a cerchio attorno agli uomini, i cerchi generati da una pietra lanciata in uno stagno, le abitudini stesse di certi gruppi di bestie, di riunirsi a cerchio, hanno indubbiamente offerto agli uomini un’idea di questa figura, che la natura stessa, nel fusto degli alberi, e in tante altre manifestazioni ripeteva. Né dev’essere dimenticata l’enorme importanza che il Sole e la Luna ebbero nello svolgersi della vita pratica e di quella spirituale dei primi popoli: Sole e Luna, e cioè figure circolari che in taluni periodi (fasi lunari) diventano parti di cerchi.

L’uomo cominciò ad appassionarsi a questa figura, e la fece entrare nell’uso della propria vita pratica e di quella parte di essa ch’era piú specialmente difensiva, contro le bestie feroci e contro altri uomini piú cattivi. Con l’andar del tempo furono costruite anche case e mura di città in forma circolare. Ma logicamente, arrivato a quel periodo, che diremo periodo costruttivo, l’uomo cominciò ad aver la necessità di misurare gli elementi del cerchio e, s’intende, di misurarli l’uno in rapporto all’altro. Non occorre essere ingegneri, per capire che il problema si poneva ai costruttori in questo modo: «quale sarà la lunghezza della cinta difensiva della città (e perciò quanto materiale occorrerà), se io conosco solo la distanza fra due porte cittadine opposte?». Ciò che in parole poverelle significava: quale sarà la misura della circonferenza, dato il diametro?

Ed ecco allora tutti gli studiosi, dedicarsi all’importante problema. Cosa fecero per prima cosa? Essi inscrissero un esagono regolare in una circonferenza, e alla stessa circoscrissero un quadrato: come fu loro facile controllare (voi le sapete a perfezione, queste cose), il lato dell’esagono era uguale al raggio del cerchio, e il lato del quadrato era uguale al diametro del cerchio stesso. E poiché l’esagono era interno alla circonferenza, il suo perimetro (6 volte il raggio o, ciò che è lo stesso, 3 volte il diametro) era certo minore della circonferenza; e a sua volta, per essere il perimetro del quadrato esterno, la sua lunghezza (4 volte il diametro) era certo maggiore della circonferenza. La lunghezza di questa stava perciò compresa fra 3 volte il diametro, e 4 volte il diametro; e la prima cifra della misura della circonferenza rispetto al diametro era stata trovata: il 3. Per ovvie ragioni ottiche, il numero avrebbe dovuto essere piú vicino al 3 che al 4, ossia inferiore a 3,50.

Il primo passo era fatto; ma fu necessario arrivare al periodo egiziano della 4a dinastia (come abbiamo già visto) per avere la precisazione importantissima della prima cifra decimale 3,1: fatto che noi, lontani posteri, apprendemmo solo dopo aver cominciato a leggere nel gran libro di pietra della Piramide di Cheope.

Fino a poche decine d’anni fa si credeva che il primo dato di una certa esattezza risalisse ad Archimede, ma i Saggi egiziani lo avevano preceduto di 3000 anni. Comunque egli, nel calcolare il π raggiunge una piú grande approssimazione. È interessante descrivere il modo seguito nella determinazione del π da Archimede, anche perché è il metodo geometrico poi sempre applicato in seguito. Egli considerò i poligoni regolari iscritti di 6, 12, 24, 48 e 96 lati, e i corrispondenti poligoni regolari circoscritti di ugual numero di lati e ne calcolò nel modo che imparerete fra qualche anno (a meno che non abbiate un professore in gamba in seconda media...) i lati e da essi il perimetro, in base al raggio del cerchio. Rapportando poi i perimetri al doppio raggio, ossia al diametro, trovò. per esempio, che per i poligoni iscritti, nell’ordine dato, il rapporto approssimato era: 3; 3,10; 3,12; 3,13; 3,1408; quest’ultimo, che nelle misure archimedee - corrispondeva a 3 + 10/71 circa - era il dato corrispondente al poligono di 96 lati, che poteva già considerarsi molto prossimo alla circonferenza. Usando analogo sistema per i perimetri dei poligoni circoscritti, trovò che per il poligono di 96 lati, il rapporto approssimativo era di 3,1428, che corrispondeva a 3 + 10/70, o a 22/7, che è lo stesso.

Indubbiamente il valore vero del pi greco era compreso fra questi due valori. Archimede si mantenne fedele al valore maggiore, ossia a quello per eccesso 3,1428, nel quale l’errore per eccesso è di 12 decimillesimi (3,1428 3,141592...), e fedeli per almeno quattordici secoli vi si mantennero tutti. Il valore minore, ossia quello per difetto 3,1408, era invece piú prossimo al vero, perché l’errore è di otto decimillesimi circa (3,141592 3,1408) e più vicino al vero sarebbe stato il valore intermedio 3,1418, che avrebbe ridotto l’errore per eccesso a 2 decimillesimi. Più tardi Tolomeo dette, con un errore di 75 milionesimi circa il valore 3 + 17/120 = 3,141666...

Gli Indiani, nel 1100 dell’era nostra, conoscevano ed applicavano il π con un valore molto vicino al valore reale. Essi avevano adottato 3927/1250 = 3,1416, con un errore in piú di 8 milionesimi, assolutamente trascurabile in tutti i calcoli della vita normale e della tecnica normale, valore che si applica tuttora e che è, in verità, il piú esatto dei valori approssimati comunemente usati.

Un altro valore, poco noto, ma molto piú approssimato al vero, è quello fissato dal famoso geometra olandese Adriano Anthoniszoon, più conosciuto col nome di Mezio o Metius, nel 1700: 355/113 = 3,1415929... dove l’errore è di 3 diecimilionesimi circa in piú. Ma non devesi dimenticare che a quel tempo, già da circa due secoli l’altro olandese Ludolph Van Ceulen, (e precisamente nel 1539) aveva calcolato il vero valore di π fino alla 32a cifra; a distanza di due secoli e mezzo l’austriaco Vega raggiunse la 140a cifra; nel 1844 Dase arrivò alla 200a; Richter nel 1854 alla 500a e Shanks nel 1890 superò tutti, arrivando alla 700a cifra decimale.

Ognuno di questi matematici, che hanno dedicato periodi interi della loro esistenza a questo calcolo, non fu spinto solo dal vano orgoglio di superare gli studiosi che l’avevano preceduto. Tutti speravano invece di poter mettere la parola fine all’ansiosa ricerca, tutti speravano di giungere a un punto dal quale avesse inizio un periodo, per poter in tal modo rinchiudere il π greco nella prigione dorata di una frazione, ossia di un valore esatto. Voi l’avete già studiato nelle elementari e poi nella prima media questo argomento dei numeri decimali periodici. I numeri periodici, ve lo ricordate benissimo, possono sempre ridursi in una frazione, la frazione generatrice. Se il π greco a un certo punto avesse rivelato (magari dopo un antiperiodo di 500 cifre) di essere un numero periodico, esso avrebbe avuto una frazione generatrice; avremmo cioè determinato con calcolo matematicamente esatto il valore della circonferenza che, moltiplicato per la metà del raggio ci avrebbe dato il valore esatto della superficie del cerchio, che siamo invece costretti a calcolare in modo approssimativo, perché approssimativo è il valore di uno dei suoi fattori, il π greco.

In seconda media, fra le tante altre cose belle, dopo avervi spiegato la teoria dell’equivalenza e i due teoremi di Euclide, preparazione il primo e conseguenza il secondo del Teorema di Pitagora, vi hanno insegnato una elegante costruzione geometrica mediante la quale ogni poligono può essere ridotto a un altro poligono equivalente, di un lato di meno; costruzione che, ripetuta il numero di volte necessario, può trasformare un qualsiasi poligono in un triangolo equivalente; con un’altra leggera costruzione sapete trasformare il triangolo in un rettangolo equivalente al triangolo, epperciò equivalente anche al poligono dato. Applicando poi uno dei due teoremi di Euclide, avete imparato un doppio modo per trasformare il rettangolo in un quadrato equivalente.

Conclusione: qualunque poligono può essere ridotto in un quadrato equivalente. O, in altri termini, di qualunque poligono può, essere eseguita la quadratura.

Solo il cerchio non ammette quadratura; o, in parole piú semplici, la quadratura del cerchio non è possibile. Il cerchio non può essere trasformato in un quadrato equivalente.

A queste conclusioni giunsero il tedesco Lambert nel 1761, dimostrando che il π è un numero irrazionale, il Légendre all’inizio del 1800, che precisò essere irrazionale anche il quadrato di π. E infine, nel 1882, il Lindemann, altro studioso tedesco che dimostrò l’impossibilità di rettificare la circonferenza, e quindi di quadrare il cerchio.

Per vostra soddisfazione mi limiterò a trascrivervi il valore del π con soli 40 decimali:

3,1415926535897932384626433832795028841971...


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